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05 Ago

Fosch Fest 2016 (22/07/2016-24/07/2016)

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Tornare al Fosch Fest, per me, è come sentirsi a casa dopo un lungo viaggio.
È il festival che ho frequentato di più in assoluto, nonché quello a cui ho più ricordi legati, oltre che alla musica, anche alla compagnia. Cercherò di fare una carrellata di gruppi, per poi passare a valutazioni legate più a cose organizzative e gestionali (per esempio il campeggio).

22/07/2016

Arrivo giusto in tempo per sentire da lontano gli Ancient Bards che come al solito offrono una prestazione di buon livello. Il loro power metal rhapsodyano si è evoluto parecchio rispetto all'ultima volta che li ho visti, così come il loro pubblico che si è ampliato parecchio. La Squadrani e Pietronik sono in ottima forma, così come tutti i loro compari di band (una delle formazioni più stabili che abbiamo mai avuto in Italia): nessuno si risparmia sui cavalli di battaglia come Only the Brave e ovviamente la finale Through my Veins. Stesso discorso si può fare per i Folkstone, ormai macchina da concerto collaudata negli anni. Lore e soci portano la solita scaletta con cui avevano aperto il tour un paio d'anni fa, cominciando con Nella mia Fossa e viaggiando tra pezzi vecchi e nuovi, fino alle conclusive Simone Pianetti e Con Passo Pesante. Io mi lancio in mezzo al pogo più volte perché ai loro concerti non si può star fermi, prendendo un sacco di lividi ma uscendo felice.

23/07/2016

Alle 10 circa scoppia un temporale che causerà non pochi problemi. Verso mezzogiorno, infatti, veniamo a sapere che le bands del palco piccolo sono state praticamente cancellate per un guasto al service. Si inizia alle 16.30 con i Fleshgod Apocalypse, che non sono esattamente il mio genere e suonano principalmente pezzi dagli ultimi tre dischi, ma fanno la loro porca figura imbacuccati come dei nobili ottocenteschi. Pogo infernale su The Forsaking e, nonostante dei suoni non esattamente bilanciati, i nostri compaesani se la portano a casa discretamente. Purtroppo non si può dire lo stesso dei Destruction, che avrebbero dovuto suonare tutto Eternal Devastation ma vengono funestati da una serie infinita di problemi tecnici, tra cui l'impianto che continua a saltare. Nonostante tutto, Schmier e soci si portano a casa una serie di scroscianti applausi, perché riescono a terminare il concerto con le consuete Mad Butcher, Thrash 'till Death e Bestial Invasion. Fortunatamente al gruppo che più attendevo i problemi non ci sono stati: i Sacred Reich suonano per la prima volta in Italia portando uno show veramente esplosivo. Li avevo visti al Wacken ormai 9 anni fa ma sono ancora in formissima: si parte con The American Way e via di cavalcata tra Death Squad, l'immancabile cover di War Pigs, Ignorance e le finali, iindimenticabili Independent e Surf Nicaragua. I nostri si riconfermano una delle formazioni migliori del thrash internazionale e un gruppo che dal vivo va assolutamente visto. Gli At the Gates fanno anche loro uno show di mestiere, purtroppo tagliato per i motivi sopracitati: si parte con i pezzi dell'ultimo At war with reality e poi si va ovviamente a ripescare da quel capolavoro di Slaughter of the Soul, senza dimenticare però pezzi ben più antichi come Terminal Spirit Disease. Tompa e soci incitano il pubblico a farsi male il più possibile, nonostante i problemi di tempo, e chiudono con The Night Eternal, dall'ultimo album. Diciamo che non è stato il più memorabile dei loro show che abbia mai visto, ma meritavano assolutamente di essere co-headliner di questa edizione del Fosch. Degli Anthrax non saprei cosa dire bene se non che i pezzi nuovi sono veramente ammorbanti: dal vivo riescono quasi ad essere carini, ma dopo un po' il senso di noia eterna prende il sopravvento e mi fa rianimare solo con i grandi classici tra cui Caught in a Mosh, Madhouse e Got the Time, senza contare la cover di March of the S.O.D.

24/07/2016

Finalmente una giornata di sole, neanche troppo caldo. I problemi al palco piccolo vengono sistemati e tutti possono suonare, a parte un repentino cambio di line-up che vede gli Embryo essere sostituiti dagli Ulvedharr. Comincio con i Beriendir, gruppo suggeritomi da una mia amica: non sono malaccio e fanno una specie di power-folk molto tastieroso, l'ideale per svegliarsi dopo due giorni di disagio in campeggio. Il caldo non lascia tregua e praticamente per tutta la giornata mi nutrirò di anguria e birra, ma ho tempo per pogare allo show degli Ulvedharr che come al solito si dimostrano una band che dal vivo non lascia delusi. Suonano anche qualche pezzo dal nuovo EP (scaricabile gratuitamente dal loro sito) che fa presagire altre ossa rotte e corse in ospedale con il nuovo disco in arrivo. Collassato, mi perdo un paio di band dello stage piccolo e i Drakum, mentre seguo lo show degli Atavicus da lontano, in quanto non sono propriamente il mio genere, ma mi sembrano fare un bello show. Dopo di loro è il turno degli Atlas Pain, altro gruppo che pesca a piene mani dal pagan metal di matrice ensiferumiana, scatenando un piccolo pubblico a urlare e saltare, specialmente su pezzi come Each Uisge. Niente male, insomma. Tocca quindi agli Skalmold, gruppo attesissimo da moltissimi che si radunano sotto il palco. Io non li conosco quasi per niente e mi sembrano l'ennesimo gruppo pagan clone di tanti altri, ma indubbiamente loro hanno un ottimo tiro e coinvolgono molti dei presenti. Torno a farmi vedere sotto i palchi solo per i Nightland, gruppo che seguo da parecchio tempo per l'originalità e la teatralità che li contraddistingue. Il loro stile, a metà strada tra Behemoth ed Enslaved, rende bene anche sotto il sole della sera, e i pezzi di Obsession dal vivo hanno davvero un bel tiro. Speriamo solo che anche loro non si sciolgano come neve al sole come gran parte dei gruppi italiani che riescono ad avere un minimo di successo. Viene quindi il turno di una band che aspettavo da almeno 8 anni di rivedere: gli Enslaved salgono sul palco e subito cala un gelo nordico che imbriglia tutti. Li adoriamo subito, perché nonostante la loro proposta musicale scherzano col pubblico, si prendono in giro da soli ma soprattutto dedicano Ruun a Francesco di Giacomo del Banco del Mutuo Soccorso. E non mancano i pezzi più noti come Isa o Fusion of Sense and Earth, mentre dal passato arrivano Fenris e Jotunblod. Non trovo molto altro da dire se non che è stato uno show superlativo e che non vedo l'ora di rivederli al Circolo Colony in autunno, dove spero portino anche qualche pezzo nuovo. Prima del "gran" finale ci sono i miei amici Kanseil che suonano nel palco piccolo e non riescono a liberarsi della maledizione dei suoni. Infatti, poco dopo aver cominciato, la bombarda di uno dei musicanti viene alzata talmente a sproposito da far saltare tutti gli altri strumenti. Vabbè, in extremis riescono a salvare tutto con Panevìn e la bellissima Vajont, regalandoci uno show che fa ben sperare sulle nuove leve del Folk metal italiano. A chiudere tutto c'è quel che resta dei Korpiklaani, ovvero uno Jonne Jarvela che dopo 2 minuti perde la voce e canta praticamente roco per tutto il concerto. Suonano una serie di pezzi inutili provenienti dagli ultimi album, ma alla fine, per fortuna, si ripigliano con Wooden Pints, Pellonpekko, Vodka e l'immancabile Beer Beer.

L'organizzazione, quest'anno, è stata per alcuni versi puntuale e precisa, per altri eccessivamente zelante. Non posso fare una colpa a Sergio, Roby e soci perché ti è sceso un nubifragio sul service e, anzi, posso capire la drammaticità di prendere una decisione drastica come tagliare completamente le band del primo giorno, ma ci sono state delle cose che mi hanno lasciato parecchio perplesso. Un esempio è la gestione dei vari punti di ristoro: cosa significa che devo farmi la coda del bar per prendere l'acqua e che quella del ristorante serve solo per il cibo? Code che, ovviamente, ad una certa si facevano chilometriche. Poi: ci sta che a una certa chiudi le doccie dopo i casini dello scorso anno, ma chiuderle alle 14:00 mi sembra un po' eccessivo. Come mangiare e bere, fortunatamente, il Fosch è sempre una garanzia: c'era di tutto e di più tra birre artigianali e piatti ottimi di ogni sorta.

TUTTO SOMMATO

Il Fosch Fest si riconferma, per la qualità complessiva, uno dei migliori festival italiani, se non il miglior open air per chi non vuole andare a farsi spennare come un pollo da Live Nation. Speriamo che qualcuno raccolga l'esempio e, seguendo la filosofia tracciata, inauguri nuovi appuntamenti di questo tipo in tutta Italia.

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