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Che il Circolo Colony sia uno dei nodi fondamentali del metal italiano è ormai un dato di fatto, soprattutto dopo il week-end appena trascorso, dove si è tenuta una tripletta al quale il sottoscritto è riuscito a partecipare ad almeno due appuntamenti.

Dell'importanza mondiale che ormai gli Enslaved e i Ne Obliviscaris hanno assunto penso possiamo essere tutti d'accordo, e chi segue i miei articoli sa benissimo quanto io ami entrambe le band. È per questo che, grazie agli amici della Season of Mist, venerdì sera ho avuto la possibilità di assistere a un tour unico nel suo genere, che ha portato al piccolo circolo di Brescia tre esperienze da tre paesi diversi come il Texas, l'Australia e la Norvegia.

Arrivato sul posto mi trovo con Tim Charles, leader degli australiani, per una breve intervista che potrete leggere tra poco. Il Colony è pronto a una serata di buona affluenza, con tanto di Enslaved che cazzeggiano alla grande in giro per il locale.

Ad aprire la serata ci sono i texani Oceans of Slumber, dediti a un progressive metal dalle tinte blackeggianti. Devo dire che non conoscevo la band in questione, ma sono rimasto piacevolmente sorpreso dalle atmosfere avantgarde/blues del quintetto texano, che, capitanato dalla bravissima Cammie Gilbert, ci immerge in atmosfere che spaziano dalla cattiveria del black più duro al prog rock dei Moody Blues, dai quali i nostri ricavano una cover dell'immortale Nights in White Satin. Un gruppo che sicuramente meriterà di essere recuperato dopo questa bella serata.

Appena si spengono le luci per i Ne Obliviscaris io sono già in visibilio. La band australiana, completamente autogestita grazie alla campagnia di crowdfunding, porta sul palco del Colony una scaletta ovviamente corta per ovvie ragioni di tempo (per chi non lo sapesse i loro pezzi durano dagli 8 ai 13 minuti), che comincia con Devour Me, Colossus (part. I) Black holes. Avevo molta paura di come potessero rendere dal vivo i pezzi del combo australiano, ma non sono rimasto per nulla deluso: al di là che scenicamente avere due mancini nella band fa una porca figura, le atmosfere di Citadel ci sono tutte, così come quelle di Portal of I, dal quale ci vengono proposte Of Petrichor Weaves Black Noise e la finale And Plague Flowers The Kaleidoscope. La mia hype da fanboy esaltato per gli Enslaved non mi ha impedito di godermi questa bellissima esibizione: contando la giovane età dei membri dei NeO spero di potermene godere ancora molte.

Setlist:

  1. Devour Me, Colossus (part. I) Black holes
  2. Of Petrichor Weaves Black Noise
  3. Painters of the tempest (part. I) Wyrmholes
  4. Painters of the tempest (part. II) Triptych Lux
  5. Pyrrhic
  6. And plague flowers the Caleidoscope

Che gli Enslaved possano non piacere sono assolutamente d'accordo, ci mancherebbe, ma sostenere che la loro importanza non sia ormai di portata mondiale è impossibile. Il colosso guidato da Ivar Bjørnson è veramente uno di quei gruppi che non ne ha mai sbagliata una, sin dagli inizi black/viking fino ai nuovi lidi prog/black. Il motivo per cui sono qui è chiarissimo: voglio sentire i pezzi di Riitiir e In Times dal vivo. Vengo subito accontentato con la opener affidata a Roots of the Mountain, per la quale comincio già a svitarmi il cranio. Gli Enslaved sono veramente un unicum, anche dal vivo, vista l'attitudine al cazzeggio nonostante la serietà della musica suonata. Epico il momento in cui, dopo aver suonato Ruun, Grutle Kjellson chiede al pubblico "Are you having a good time? Of course, it's a stupid question after only two songs", per non parlare di quando presenta gli altri membri della band in un idiotissimo italiano maccheronico. Finalmente riesco a godermi dal vivo pezzi come Building with fire, The Crossing e One Thousand Years of Rain: nonostante il tizio di fronte a me abbia delle fastidiosissime treccine che ad ogni headbanging mi piovono in faccia stile mazza chiodata riesco pure a prendermi la prima fila sugli encores. Dieci pezzi per un'ora e mezza di pura epicità, che conferma gli Enslaved come una delle più importanti realtà del panorama metal moderno.

Setlist:

  1. Roots of the Mountain
  2. Ruun
  3. The Watcher
  4. Building with Fire
  5. Ethica Odini
  6. Fenris
  7. The Crossing
  8. Ground

Encores:

  1. One Thousand years of Rain
  2. Allfadr Odinn
Pubblicato in Live Report

Fosch Fest 2016 (22/07/2016-24/07/2016)

Venerdì, 05 Agosto 2016 11:18

Tornare al Fosch Fest, per me, è come sentirsi a casa dopo un lungo viaggio.
È il festival che ho frequentato di più in assoluto, nonché quello a cui ho più ricordi legati, oltre che alla musica, anche alla compagnia. Cercherò di fare una carrellata di gruppi, per poi passare a valutazioni legate più a cose organizzative e gestionali (per esempio il campeggio).

22/07/2016

Arrivo giusto in tempo per sentire da lontano gli Ancient Bards che come al solito offrono una prestazione di buon livello. Il loro power metal rhapsodyano si è evoluto parecchio rispetto all'ultima volta che li ho visti, così come il loro pubblico che si è ampliato parecchio. La Squadrani e Pietronik sono in ottima forma, così come tutti i loro compari di band (una delle formazioni più stabili che abbiamo mai avuto in Italia): nessuno si risparmia sui cavalli di battaglia come Only the Brave e ovviamente la finale Through my Veins. Stesso discorso si può fare per i Folkstone, ormai macchina da concerto collaudata negli anni. Lore e soci portano la solita scaletta con cui avevano aperto il tour un paio d'anni fa, cominciando con Nella mia Fossa e viaggiando tra pezzi vecchi e nuovi, fino alle conclusive Simone Pianetti e Con Passo Pesante. Io mi lancio in mezzo al pogo più volte perché ai loro concerti non si può star fermi, prendendo un sacco di lividi ma uscendo felice.

23/07/2016

Alle 10 circa scoppia un temporale che causerà non pochi problemi. Verso mezzogiorno, infatti, veniamo a sapere che le bands del palco piccolo sono state praticamente cancellate per un guasto al service. Si inizia alle 16.30 con i Fleshgod Apocalypse, che non sono esattamente il mio genere e suonano principalmente pezzi dagli ultimi tre dischi, ma fanno la loro porca figura imbacuccati come dei nobili ottocenteschi. Pogo infernale su The Forsaking e, nonostante dei suoni non esattamente bilanciati, i nostri compaesani se la portano a casa discretamente. Purtroppo non si può dire lo stesso dei Destruction, che avrebbero dovuto suonare tutto Eternal Devastation ma vengono funestati da una serie infinita di problemi tecnici, tra cui l'impianto che continua a saltare. Nonostante tutto, Schmier e soci si portano a casa una serie di scroscianti applausi, perché riescono a terminare il concerto con le consuete Mad Butcher, Thrash 'till Death e Bestial Invasion. Fortunatamente al gruppo che più attendevo i problemi non ci sono stati: i Sacred Reich suonano per la prima volta in Italia portando uno show veramente esplosivo. Li avevo visti al Wacken ormai 9 anni fa ma sono ancora in formissima: si parte con The American Way e via di cavalcata tra Death Squad, l'immancabile cover di War Pigs, Ignorance e le finali, iindimenticabili Independent e Surf Nicaragua. I nostri si riconfermano una delle formazioni migliori del thrash internazionale e un gruppo che dal vivo va assolutamente visto. Gli At the Gates fanno anche loro uno show di mestiere, purtroppo tagliato per i motivi sopracitati: si parte con i pezzi dell'ultimo At war with reality e poi si va ovviamente a ripescare da quel capolavoro di Slaughter of the Soul, senza dimenticare però pezzi ben più antichi come Terminal Spirit Disease. Tompa e soci incitano il pubblico a farsi male il più possibile, nonostante i problemi di tempo, e chiudono con The Night Eternal, dall'ultimo album. Diciamo che non è stato il più memorabile dei loro show che abbia mai visto, ma meritavano assolutamente di essere co-headliner di questa edizione del Fosch. Degli Anthrax non saprei cosa dire bene se non che i pezzi nuovi sono veramente ammorbanti: dal vivo riescono quasi ad essere carini, ma dopo un po' il senso di noia eterna prende il sopravvento e mi fa rianimare solo con i grandi classici tra cui Caught in a Mosh, Madhouse e Got the Time, senza contare la cover di March of the S.O.D.

24/07/2016

Finalmente una giornata di sole, neanche troppo caldo. I problemi al palco piccolo vengono sistemati e tutti possono suonare, a parte un repentino cambio di line-up che vede gli Embryo essere sostituiti dagli Ulvedharr. Comincio con i Beriendir, gruppo suggeritomi da una mia amica: non sono malaccio e fanno una specie di power-folk molto tastieroso, l'ideale per svegliarsi dopo due giorni di disagio in campeggio. Il caldo non lascia tregua e praticamente per tutta la giornata mi nutrirò di anguria e birra, ma ho tempo per pogare allo show degli Ulvedharr che come al solito si dimostrano una band che dal vivo non lascia delusi. Suonano anche qualche pezzo dal nuovo EP (scaricabile gratuitamente dal loro sito) che fa presagire altre ossa rotte e corse in ospedale con il nuovo disco in arrivo. Collassato, mi perdo un paio di band dello stage piccolo e i Drakum, mentre seguo lo show degli Atavicus da lontano, in quanto non sono propriamente il mio genere, ma mi sembrano fare un bello show. Dopo di loro è il turno degli Atlas Pain, altro gruppo che pesca a piene mani dal pagan metal di matrice ensiferumiana, scatenando un piccolo pubblico a urlare e saltare, specialmente su pezzi come Each Uisge. Niente male, insomma. Tocca quindi agli Skalmold, gruppo attesissimo da moltissimi che si radunano sotto il palco. Io non li conosco quasi per niente e mi sembrano l'ennesimo gruppo pagan clone di tanti altri, ma indubbiamente loro hanno un ottimo tiro e coinvolgono molti dei presenti. Torno a farmi vedere sotto i palchi solo per i Nightland, gruppo che seguo da parecchio tempo per l'originalità e la teatralità che li contraddistingue. Il loro stile, a metà strada tra Behemoth ed Enslaved, rende bene anche sotto il sole della sera, e i pezzi di Obsession dal vivo hanno davvero un bel tiro. Speriamo solo che anche loro non si sciolgano come neve al sole come gran parte dei gruppi italiani che riescono ad avere un minimo di successo. Viene quindi il turno di una band che aspettavo da almeno 8 anni di rivedere: gli Enslaved salgono sul palco e subito cala un gelo nordico che imbriglia tutti. Li adoriamo subito, perché nonostante la loro proposta musicale scherzano col pubblico, si prendono in giro da soli ma soprattutto dedicano Ruun a Francesco di Giacomo del Banco del Mutuo Soccorso. E non mancano i pezzi più noti come Isa o Fusion of Sense and Earth, mentre dal passato arrivano Fenris e Jotunblod. Non trovo molto altro da dire se non che è stato uno show superlativo e che non vedo l'ora di rivederli al Circolo Colony in autunno, dove spero portino anche qualche pezzo nuovo. Prima del "gran" finale ci sono i miei amici Kanseil che suonano nel palco piccolo e non riescono a liberarsi della maledizione dei suoni. Infatti, poco dopo aver cominciato, la bombarda di uno dei musicanti viene alzata talmente a sproposito da far saltare tutti gli altri strumenti. Vabbè, in extremis riescono a salvare tutto con Panevìn e la bellissima Vajont, regalandoci uno show che fa ben sperare sulle nuove leve del Folk metal italiano. A chiudere tutto c'è quel che resta dei Korpiklaani, ovvero uno Jonne Jarvela che dopo 2 minuti perde la voce e canta praticamente roco per tutto il concerto. Suonano una serie di pezzi inutili provenienti dagli ultimi album, ma alla fine, per fortuna, si ripigliano con Wooden Pints, Pellonpekko, Vodka e l'immancabile Beer Beer.

L'organizzazione, quest'anno, è stata per alcuni versi puntuale e precisa, per altri eccessivamente zelante. Non posso fare una colpa a Sergio, Roby e soci perché ti è sceso un nubifragio sul service e, anzi, posso capire la drammaticità di prendere una decisione drastica come tagliare completamente le band del primo giorno, ma ci sono state delle cose che mi hanno lasciato parecchio perplesso. Un esempio è la gestione dei vari punti di ristoro: cosa significa che devo farmi la coda del bar per prendere l'acqua e che quella del ristorante serve solo per il cibo? Code che, ovviamente, ad una certa si facevano chilometriche. Poi: ci sta che a una certa chiudi le doccie dopo i casini dello scorso anno, ma chiuderle alle 14:00 mi sembra un po' eccessivo. Come mangiare e bere, fortunatamente, il Fosch è sempre una garanzia: c'era di tutto e di più tra birre artigianali e piatti ottimi di ogni sorta.

TUTTO SOMMATO

Il Fosch Fest si riconferma, per la qualità complessiva, uno dei migliori festival italiani, se non il miglior open air per chi non vuole andare a farsi spennare come un pollo da Live Nation. Speriamo che qualcuno raccolga l'esempio e, seguendo la filosofia tracciata, inauguri nuovi appuntamenti di questo tipo in tutta Italia.

Pubblicato in Live Report

Oggi comincia il Fosch Fest, evento che da 7 anni frequento e che ogni anno non manca di regalarmi molte emozioni musicali e non. Il clima di divertimento, la gente divertente e ubriaca in giro: tutto basta a trasformare quel di Bagnatica in una meta di pellegrinaggio per centinaia di persone che ogni anno arrivano da tutta Italia e, perché no, da tutta Europa. Ho avuto l'occasione di fare due chiacchiere con il buon Roberto Freri, l'organizzatore dell'evento. Buona lettura!

D: Ciao Robi e benvenuto su Allaroundmetal! Siamo arrivati alla settimana edizione del Fosch fest... Emozionato?
R: Innanzitutto, ciao ragazzi, e un saluto ai vosti lettori! Emozionato?! Certo! Come sempre! Ogni anno è una nuova emozione ed è proprio quello il bello!

D: Avendolo frequentato sin dall'inizio: come siete riusciti a mantenere buoni i rapporti con l'amministrazione comunale? C'è effettivamente un guadagno per il paese?
R: Beh sicuramente c'è la predisposizione da parte dell'amministrazione di voler andare d'accordo con noi e viceversa, e credimi non è poco, stessa predisposizione che trovi negli abitanti di Bagnatica. Poi dopo che hai superato lo scoglio delle primissime edizioni, col loro forte impatto sulla routine del paese, la gente comincia ad abituarsi e i problemi forse diventano sempre meno. Se ci sia effettivamente un guadagno per il paese...non mi piace fare i conti in tasca alla gente, di sicuro portare migliaia di persone che vengono da fuori, ed hanno le loro esigenze in un paese così piccolo, può essere un'ottima occasione per guadagnare, sicuramente vari esercenti sono rimasti soddisfatti, ma andando oltre il mero guadagno economico e la troppa importanza che si dà oggigiorno al vil denaro, c'è sicuramente da guadagnare da un punto di vista umano. Il paese guadagna visibilità, che non fà mai male, molti ragazzi anche dopo essere diventati adulti ricorderanno con piacere i bei giorni passati in quel paesino in provincia di Bergamo, inevitabilmente il paese finisce nei ricordi di molta gente, e questa secondo me è una cosa bellissima. Viene data la possibilità di conoscere ed interagire con gente che viene da tutta Italia e anche dall'estero, e questa è sicuramente occasione di arricchimento personale, e ti dà modo di renderti conto che aprirti un po' anche verso giovani e meno giovani, magari barbuti e dall'aspetto, passami il termine, "un po' barbaro" non è poi così negativo, anzi! Magari ci si rende conto, avendone la prova provata, che il vecchio proverbio "l'abito non fa il monaco" sia effettivamente veritiero, può aiutare le persone a non fermarsi davanti alle apparenze e fare un passo in avanti verso la "civiltà" che magari ad oggi non è facile trovare in certe zone d'Italia, ma è più consueto trovare nel nord europa per esempio, dove la gente addirritura ti ospita a casa sua. In conclusione, direi che in un modo o nell'altro il guadagno c'è!

D: Che previsione di affluenza avete?
R: Difficile a dirsi, noi ci aspettiamo una grande risposta di pubblico, sia per la qualità e l'importanza del bill, sia per come è strutturato il festival, ovvero cercando di mantenere prezzi popolari, offrendo del buon cibo, cucina tradizionale a km 0, dell'ottima birra artigianale, dall'ambiente famigliare alle piccole e grandi innovazioni e miglioramenti che ogni anno cerchiamo di introdurre. Fare grandi numeri al giorno d'oggi in Italia è difficile per molti motivi, che forse non è il caso di star qui ad elencare adesso, anche perchè poi alla fine son sempre gli stessi che vengono menzionati un po' da tutti.
Fare previsioni è sempre molto difficile, e molto spesso si sbaglia e finisci con l'amaro in bocca, quindi limitiamoci a parlare di aspettative: il numero massimo di persone che possiamo ospitare, secondo le leggi attuali, commissioni varie ecc. è di 5000 persone, inutile dire che il sogno di ogni organizzatore è centrare il sold out. Dal canto nostro ripeto, niente previsioni, ma aspettative sicuramente alte.

D: Chef e birra artigianale... Come mai puntare sulla qualità del prodotto anziché, come ci si potrebbe aspettare da un evento così grosso, sulla quantità?
R: Perchè innanzitutto non è sempre vero che qualità escluda quantità.Secondo noi è molto importante offrire, oltre alla buona musica, cibo e birra di qualità; tutto quello che c'è di contorno al discorso puramente musicale deve essere di qualità. Una persona si ferma da noi per 3 giorni, è normale che non stia 72 ore sotto al palco, anche se c'è qualcuno che quasi quasi lo fa ehehe! deve bere, mangiare, svagarsi con qualcosa che non sia solo il concerto. Per cui a questo punto è doveroso fornirgli questi servizi al meglio delle tue possibilità. Una buona birra è sempre meglio di una pessima birra, o sbaglio!? Se riesci a mantenere i prezzi sotto una certa soglia sicuramente avrai offerto qualità, ma avrai di ritorno la quantità nei consumi, se un piatto è buono lo mangi volentieri e magari fai il bis, se la birra è buona magari te ne bevi un paio in più. A mio modesto parere, la qualità di un evento del genere, va misurata anche in relazione a quello che offre aldilà della sola musica.

D: Molte persone si sono lamentate per questo cambio di direzione in favore del thrash e del death metal, come risponderesti?
R: Beh io personalmente ascolto un sacco di musica: il metal tutto o quasi, ma anche altri generi, l'importante è che sia buona musica innanzitutto e che mi piaccia. Detto questo mi riesce difficile immaginare come qualcuno possa lamentarsi di un'offerta musicale più ampia! noi abbiamo spiegato più volte i motivi che ci hanno spinto in questa direzione: In primis c'è la volontà di aprirsi ed ampliarsi proprio per principio: secondo noi chiudersi a guscio, può portarti qualche minimo vantaggio, ma non è la scelta giusta. Possiamo ampliare la nostra offerta e di rimando, il nostro pubblico, non è obbligato ad ascoltarsi tutti i concerti! (anche se farebbe bene a farlo puramente per sola cultura personale, sia mai che scopri che un genere che non ti ispira e che invece finisce col piacerti... e parlo per esperienza!) Se invece uno proprio certe band non le sopporta, si ascolta i gruppi che preferisce e mentre suona il gruppo non gradito, e qui mi riallaccio alla risposta precedente, può usufruire dei servizi che offriamo: dal rilassarsi bevendo una buona birra, al cogliere l'occasione di mangiare qualcosa intanto che aspetta il prossimo gruppo a lui più congeniale, fare un giro nel mercatino, parlare e conoscere gente... Un festival è un insieme di cose, non è solo musica; Sicuramente è la parte più importante, ma non la sola. Noi volevamo alzare il livello e per farlo dovevamo aprire ad altri generi, le band folk/viking/pagan di un certo livello le abbiamo fatte quasi tutte, se vuoi alzare l'asticella inserisci qualche band di altri generi, anche se una buona dose di band stile "vecchio FoschFest" c'è sempre e sempre ci sarà; così facendo, eviti anche di diventare ripetitivo nel corso delle varie edizioni. Detto questo, uno si informa sul festival e fa le sue valutazioni, noi non obblighiamo nessuno, chi gradisce viene, chi non gradisce presenzierà ad altri eventi.

D: Come fate, nonostante tutto, a mantenere il costo del festival così basso e comunque presentare una qualità alla pari di altri grandi festival europei?
R: Bella domanda, ce lo chiediamo sempre anche noi! ehehe! Scherzi a parte, credo che alla fine sia lo spirito di fondo, cioè fare le cose per pura passione e non per fini di lucro. Semplicemente l'idea è sempre stata quella di rientrare nelle spese e non di guadagnare per forza. Stare qui a tradurre questo concetto applicato a tutti gli aspetti tecnici e materiali dell'organizzazione dell'evento sarebbe oltremodo tedioso, per cui diciamo che è questo concetto di base che ci permette di farlo.

D: Pensi che il Fosch sia diventato un evento di valore internazionale?
R: Non lo so, sicuramente un po' di visibilità all'estero l'abbiamo avuta, cerchiamo di promuovere l'evento anche oltre i nostri confini, e la buona affluenza di stranieri al nostro evento lo dimostra. Sicuramente il gap con i grossi festival europei è ampio, noi di anno in anno cerchiamo di ridurlo, speriamo che col tempo, quando mi auguro ci intervisterai di nuovo, a questa stessa domanda potremo risponderti: "Si, decisamente!"

D: È presto per parlarne, ma proverete a portare qualcosa di più underground nelle prossime edizioni?
R: Hai detto bene, è presto per parlarne! Se ti riferisci a band più o meno emergenti, direi che puoi trovarne molte già ora nel nostro bill, non a caso abbiamo deciso di allestire un secondo palco, l'Underground Stage, dedicato interamente a questo tipo di realtà.

D: Continuerete con la formula "primo giorno gratuito, gli altri a pagamento"?
R: In tutta onestà adesso non posso rispondere a questa domanda, è troppo presto per dirlo e non vorrei fare dichiarazioni che poi vengono smentite dai fatti. Le uniche dichiarazioni che posso fare sono quelle d'intenti, ovvero la nostra volontà è quella di venire incontro ai fans il più possibile, quindi tenere un prezzo basso e/o lasciare un giorno gratuito è sicuramente nelle nostre intenzioni, però prevedere il futuro è impossibile.

D: Quante persone sono impegnate nella realizzazione dell'evento e quanti volontari vi supportano ogni anno?
R: Allora oltre ai 3 veri e propri organizzatori, quelli che ci mettono la faccia e il rischio, che sono Sergio, Silvia ed Elena, siamo un 5 o 6 che seguono la vera e propria organizzazione sotto tutti gli aspetti fin dall'inizio, e aggiungici un 50/60 persone che lavorano durante l'evento, diciamo che oltre ai 3 giorni di concerti, ci lavorano anche una settimana prima per allestire e una dopo per smontare.

D: Avete iniziato ad organizzare degli eventi paralleli al festival: piccoli concerti etc... Amplierete il discorso per assicurare una serie di eventi annuali?
R: Si! Qui posso risponderti con sicurezza. L'idea è proprio quella. Cerchiamo di organizzare sempre più eventi e cercheremo di dare una certa continuità alla cosa, sia organizzandoli noi in prima persona, sia co partecipando con altri alla realizzazione degli stessi...è doveroso dire che sono più Sergio, Silvia ed Elena che se ne occupano, non prendiamoci meriti che non abbiamo.

D: Infine ti chiedo un saluto per i nostri lettori e per tutti quelli che verranno al Fosch!
R: Innanzitutto è d'obbligo un grazie a tutti i vostri lettori, sia quelli che verranno al Fosch, sia quelli che hanno semplicemente dedicato un po' del loro tempo a leggere quest'intervista, per altro ad un personaggio poco meritevole di tanta attenzione come il sottoscritto. Vi saluto calorosamente e vi aspetto al Fosch Fest, dove vi divertirete partecipando al massacro che si prospetta!

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