A+ A A-

Opinione scritta da Virgilio

280 risultati - visualizzati 251 - 260 « 1 ... 22 23 24 25 26 27 28 »
 
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Virgilio    12 Ottobre, 2016
Top 10 opinionisti  -  

Gli Agony and Ecstasy sono un duo romano formato dal cantante Valerio Caricchio e da Francesco Liberati, che si occupa di tutti gli strumenti: entrambi ex Mysterhydden, si sono ritrovati insieme per portare avanti la loro visione musicale. Il loro primo lavoro con il nuovo moniker è un ep intitolato “Alter-ed Ego”, un mini-concept, ispirato al celebre racconto de “Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr.Hyde”, composto da cinque tracce mediamente piuttosto lunghe, tanto che il disco presenta una durata di circa trentacinque minuti. Il loro stile è una sorta di power/prog, con influenze varie che rimandano ad acts come Savatage (ovviamente, visto il nome scelto), Nevermore, Annihilator e Blind Guardian (questi ultimi soprattutto per le parti vocali). Il risultato è un sound abbastanza fresco, che riesce ad avere un certo mood e variegate atmosfere, volte ad esprimere nel migliore dei modi i vari stati d’animo raccontati nella storia. Davvero ben curato e ricercato dunque il lavoro di Caricchio con le voci, sia soliste che con le seconde voci e i cori, ma anche quello di Liberati, a suo agio con tutti i diversi strumenti. La tracklist di “Alter-ed Ego” scorre via dunque attraverso brani molto ben articolati, in grado di suscitare un susseguirsi di emozioni nell‘ascoltatore. Riteniamo di muovere un unico appunto con riguardo alla sezione ritmica, senz’altro valida e ben curata ma a tratti, a nostro avviso, forse un po’ scolastica, mentre un approccio più vario e fantasioso avrebbe giovato ad arricchire ulteriormente i brani, in considerazione anche del genere proposto. Al di là di questo, “Alter-ed Ego” è un buon debutto per questo nuovo progetto e auspichiamo pertanto che possa costituire un autentico trampolino di lancio per gli Agony and Ecstasy.

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Virgilio    12 Ottobre, 2016
Top 10 opinionisti  -  

I Perception Confused sono un gruppo tedesco che si è formato nel 2014 e che presenta il suo primo disco, nella fattispecie un ep intitolato “A sphere about to burst”. Il platter è composto da cinque tracce, per una durata complessiva di ventiquattro minuti, nei quali la band riesce a dare l’idea di aver maturato un proprio stile ed un proprio sound. In particolare, potremmo descriverlo come un heavy d’impatto potente e molto diretto, che accoglie però di tanto in tanto anche alcuni elementi prog. La struttura delle tracce non è dunque in genere particolarmente complessa, però i Perception Confused amano cambiare nel corso del brano ritmi e velocità, rallentando e ripartendo con sagacia, in modo da creare diverse atmosfere e cambi di passo, come si evince soprattutto a partire dalla seconda traccia, “In human transperency”. Qualche riserva va fatta invece sulla voce di Daniel Treude, non eccezionale ma addirittura piuttosto stonata in alcuni passaggi di “Creation Thesis”, il brano più lungo e articolato del disco, soprattutto nella partenza più lenta e arpeggiata, ma anche in certe parti più aggressive. Se la cava un po’ meglio in “Cyberspace left alone”, una traccia che inizia pure lenta ed atmosferica, ma che ben presto indurisce i suoni con un piglio ed un’aggressività che ricordano parecchio i Nevermore. Nella conclusiva “Glass human being”, la band tenta d’inserire qualche elemento di varietà con un cantato un po’ funky e quasi rappato nella strofa. Ad ogni modo, un discreto esordio per questo gruppo che dimostra di possedere buone qualità, benché sicuramente ci si ancora qualcosa da affinare.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Virgilio    24 Settembre, 2016
Top 10 opinionisti  -  

Il prog è un genere certamente complesso, che richiede una buona dose di tecnica, notevoli capacità compositive e anche un pizzico di genialità. La Bottega del tempo a vapore è il moniker scelto da sette ragazzi di Benevento, degno certamente della grande tradizione prog italiana, quando i gruppi facevano quasi a gara a cercarsi nomi molto lunghi e persino bizzarri. La band tenta di creare uno stile in grado di accogliere diverse influenze, mettendo insieme dunque rimandi al prog rock italiano, con qualche venatura folk, qualche orchestrazione ma con un approccio per la verità decisamente più vicino al metal prog, mantenendo comunque il cantato sempre in italiano. L’idea potrebbe essere anche buona, ma il problema è che, specialmente nelle parti più metal, il gruppo finisce per essere davvero troppo derivativo e troppo forte è l’influenza di band come i Dream Theater. Anche guardando alla struttura dei brani, si nota lo sforzo dei ragazzi di realizzare tracce di una certa complessità, ma non sempre questi riescono ad essere fluidi, anzi a volte sono troppo bruschi i passaggi tra una parte e un’altra, frammentando e appesantendo inutilmente brani che potrebbero a quel punto funzionare meglio con una struttura più semplice. Per contro, la band se la cava molto bene quando punta sull’aspetto emotivo, riuscendo a creare passaggi lirici di una certa intensità, come avviene nel caso di “Mendicanti luridi”, “Eterea fusione” o “Vita sospesa”, giusto per fare qualche esempio. Una line-up così allargata, inoltre, con la presenza non solo di due chitarre ma anche di tastiere e sax, consente una vasta gamma di soluzioni che spesso offrono spunti interessanti e danno vita a momenti particolarmente affascinanti. Belli e per nulla banali, inoltre, sono i testi scritti da Alfredo Martinelli. Nel complesso, dunque, “Il guerriero errante” è un bel disco, che segna un esordio di buon livello per questa band campana, benché, a dire il vero, a nostro avviso, come evidenziato, non tutto sembri funzionare al meglio. Il punto di partenza è comunque molto buono, per cui ci aspettiamo ulteriori margini di crescita per questo gruppo dalle ottime potenzialità. Si evidenzia, infine, come il disco sia uscito originariamente come autoproduzione, mentre successivamente è stato pubblicato ufficialmente sotto l'etichetta della Minotauro records.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Virgilio    06 Settembre, 2016
Ultimo aggiornamento: 06 Settembre, 2016
Top 10 opinionisti  -  

Ci apprestiamo alla recensione di questo secondo full-length degli Stormy Atmosphere con un bel po’ di ritardo, dato che il disco è uscito ufficialmente nel Settembre del 2015 (benché a nostra parziale discolpa il promo ci sia pervenuto parecchi mesi dopo) e rischiava a questo punto seriamente di essere dimenticato o archiviato. Ci sarebbe tuttavia dispiaciuto far passare inosservato questo platter, poiché si tratta davvero di un bel disco, che presenta anche alcune peculiarità. Cominciamo innanzitutto specificando che si tratta di un concept, dichiaratamente ispirato però a sei opere letterarie: “Stranger in a strange land” di Robert A. Heinlein, “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas, “Delitto e castigo” di Dostoevskij, “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, “Faust” di Goethe e “Il Maestro e Margherita” di Mikhail Bulgakov. La caratteristica principale nello stile degli Stormy Atmosphere è data dal fatto che il gruppo israeliano mescola il metal prog con elementi gotico-sinfonici: trame articolate, cambi tematici e di tempo, sono dunque interpretati e compenetrati assieme a cori maestosi e voci operistiche. In particolare, in line-up sono presenti due cantanti: Teddy Shvets, molto teatrale e versatile nella sua performance e Dina Shulman, singer dotata di una splendida voce che si propone spesso in un cantato lirico. Le tastiere di Edi Krakov (principale compositore della band), arricchiscono poi il tutto, esaltando il lato sinfonico della musica degli Stormy Atmosphere. Il risultato è quanto mai affascinante e si concretizza in tracce molto belle e suggestive come “Afterlight”, “Science Fiction”, “Historical Adventure”, “The Menippeah” (dove compare in veste di guest Tom Englund degli Evergrey), “Suspense”, “Gothic Dread” e “Tragic Play”. In chiusura, come bonus track, è stata inserita una traccia di addirittura più di quattordici minuti di durata, intitolata “Time”, che riprende peraltro temi già presenti nei precedenti brani. Nella tracklist sono presenti anche alcune tracce molto brevi, funzionali al concept, tutt’altro che banali, a differenza di quanto spesso avviene in questi casi dove si ritrovano invece tanti intermezzi pressoché inutili e fastidiosi. In conclusione, giusto per semplificare (perché poi in realtà lo spettro di influenze della band appare ben più ampio), “Pent Letters” suona un po’ come se Queensrÿche, Rush o Haken si incontrassero con Nightwish, Epica o Evergrey: l’idea non è affatto malvagia e a conti fatti si tratta di un album davvero ben curato e ricco di spunti interessanti, che riesce a sorprendere e ad emozionare. Gran bel disco.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Virgilio    25 Agosto, 2016
Top 10 opinionisti  -  

I Chronos Zero si erano messi in luce non molto tempo fa con il loro debutto intitolato “A prelude into emptiness - The tears path: chapter alfa”, uscito nel 2013. Come era stato preannunciato, si trattava di un concept album che introduceva una storia che si sarebbe sviluppata nel corso di più dischi e di cui quello rappresentava una sorta di capitolo zero, come se l’inizio vero e proprio partisse invece da questo capitolo primo. Nonostante questo fil rouge a livello narrativo, ci sono parecchie novità in quanto a line-up: assieme infatti a Zavatta e Dapporto, il cantante Jan Manenti resta solo come guest su alcuni brani, mentre vengono inseriti in formazione due nuovi singers, vale a dire Manuel Guerrieri e Margherita Leardini, con una maggiore accentuazione, rispetto al disco precedente, dell’alternanza tra extreme vocals e voci femminili. Diversi altri anche gli ospiti del disco: oltre a Manenti, ritroviamo in particolare Simone Mularoni, ormai sempre più richiesto produttore, che suona però anche un assolo nel brano “The compression of time”, nonché, tra gli altri, Matt Marinelli (Borealis), che canta in “Ruins of the memory of fear”. In linea di massima, la sensazione è che questo “Chapter One” tenda un po’ a ricercare la complessità a tutti i costi: le tracce presentano una struttura molto articolata, che è sì progressiva, ma che tende a mettere troppa carne al fuoco, forse anche nel tentativo di star dietro agli sviluppi narrativi alla base della storia. L’album presenta dunque indubbiamente un grandissimo sforzo a livello concettuale e compositivo, ma di fatto diventa piuttosto pesante l’ascolto per il continuo rincorrersi di voci o di temi musicali che sembrano affastellarsi l’uno sull’altro senza spesso che si riesca a trovare il bandolo della matassa. Del resto, spesso l’impressione è che i brani tendano ad essere troppo carichi o ridondanti e persino quando si opta per soluzioni più melodiche o introspettive, come nel caso di “On the tears of path”, ci troviamo di fronte ad un brano melenso e dilatato oltre misura (senza nulla togliere alla pur bella performance della Leardini). Dal punto di vista stilistico, restano molto forti le influenze dei Symphony X, ma anche di qualche altra band come Dream Theater (ma diremmo forse ancor di più di LaBrie solista), Adagio o Meshuggah, ma ci saremmo aspettati stavolta un pizzico di personalità in più. “Hollowlands” è tutto sommato un buon disco, che mette a dura prova probabilmente anche i progsters più incalliti per la sua impostazione dal punto di vista compositivo: d’altronde non è affatto detto che alla complessità corrisponda in maniera direttamente proporzionale la qualità. Ad onor del vero, in “Hollowlands” la qualità non manca, però, come evidenziato, il progetto è molto ambizioso e non tutto sembra ancora funzionare nel migliore dei modi.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Virgilio    02 Luglio, 2016
Top 10 opinionisti  -  

Qualcuno probabilmente ricorderà il tastierista Finn Zierler per i suoi trascorsi nei Beyond Twilight: in seguito allo scioglimento del gruppo, Zierler ha pensato di mettere in piedi un progetto personale, che debutta con questo disco, intitolato “ESC” (a quasi dieci anni di distanza dall’ultimo dei Beyond Twilight!). Per realizzare questo lavoro, il tastierista danese ha messo in piedi una band davvero di tutto rispetto: per le chitarre, infatti, è riuscito a coinvolgere Per Nilsson (Scar Simmetry, Kaipa) mentre per il basso ha pensato a Truls Haugen (Insense, Circus Maximus). La line-up è stata poi completata con l’inserimento di due texani: il batterista Bobby Jarzombek (che certo non ha bisogno di presentazioni) ed il cantante Kelly Sundown Carpenter (Beyond Twilight, Adagio, Firewind, Darkology). Il songwriting di “ESC” è certamente difficile ed ambizioso: i brani presentano infatti una struttura molto complessa, nella migliore tradizione prog. Nello specifico, parliamo di metal prog, influenzato principalmente da Dream Theater, Devin Townsend e Symphony X (questi ultimi anche per l’uso dei cori). I brani sono mediamente piuttosto lunghi e abbondano di cambi di tempo e tematici, oltre che di ampie divagazioni strumentali. Peraltro, Zierler ha voluto puntualizzare come ogni musicista suoni fino in fondo la sua parte, senza far ricorso, come avviene di solito, al “copia/incolla”, in modo da conferire ai brani la maggiore fluidità possibile. Il risultato è davvero notevole: le tracce sono davvero ben interpretate e si articolano in maniera assolutamente imprevedibile, includendo passaggi orchestrali, sonorità elettroniche e alternando passaggi melodici con altri molto aggressivi, con il cantato pulito che di tanto in tanto diventa più “cattivo”, arrivando talvolta a sfociare in extreme vocals. Va pure detto, ad onor del vero che, anche in presenza di tale varietà e complessità non necessariamente possa riconoscersi alle composizioni di Zierler un’autentica genialità: parliamo cioè di un ottimo disco, nel quale però non s’intravede quel qualcosa in più che lo possa rendere un vero capolavoro. Sicuramente “ESC” incontrerà dunque i favori degli amanti del metal prog (e sarebbe indubbiamente un peccato farlo passare inosservato), però allo stesso tempo non ci sembra neppure destinato a diventare una pietra miliare del genere.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Virgilio    20 Aprile, 2016
Top 10 opinionisti  -  

“Gravity beats nuclear” è il titolo scelto dagli Standing Ovation per il loro secondo album, che segue il loro debutto “The antikythera mechanism”, pubblicato nel 2012. La band finlandese suona un metal prog raffinato e piuttosto originale, che riesce a far convivere momenti di autentico virtuosismo con passaggi emozionanti, risultando a tratti davvero imprevedibile. Basti, in tal senso, ascoltare una traccia di ampio respiro come “Fool’s Parade”, nella quale appare in tutta la sua evidenza la bravura degli Standing Ovation: dopo una partenza piuttosto soffusa e teatrale, la band mette in piedi un pezzo molto complesso ed articolato, con intermezzi strumentali che ricordano la genialità degli Haken o la follia degli A.C.T. Forse leggermente meno riuscita, in tal senso, la lunga suite “Lifeline”, che supera i diciotto minuti di durata, ma appare nel complesso un po’ meno brillante appunto rispetto a “Fools’ Parade”. Se comunque questi brani rappresentano l’apice del disco, non sono niente male neanche altre tracce un po’ più brevi come ad esempio “The Great Attractor”, “Permafrost” o soprattutto “Hellbillies”. In chiusura, troviamo due canzoni un po’ differenti rispetto al resto della tracklist: “Run little mouse run” è infatti un brano più irruento e alquanto particolare negli arrangiamenti, mentre “I am” è una sorta di ballata, per la verità non molto entusiasmante. A conti fatti, ad ogni modo, “Gravity beats nuclear” è un disco di tutto rispetto, dove si trovano davvero buone idee e che merita senz’altro attenzione, specialmente da parte degli amanti del prog.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
0.5
Opinione inserita da Virgilio    18 Aprile, 2016
Top 10 opinionisti  -  

I Madness of Sorrow sono un progetto messo in piedi da Muriel Saracino (ex Filthy Teens) nel 2011 e che giunge al terzo album, come è facilmente intuibile dal titolo “III: The Beast”. Mettiamo subito in chiaro le cose: ci capita spesso di notare come la quantità di uscite discografiche sia abnorme e sproporzionata rispetto a quello che può essere il vero attuale mercato. Se di solito comunque la qualità dei dischi è abbastanza nella media, capita pure di imbattersi in platter alquanto insignificanti. Questo album appartiene in effetti a questa seconda categoria: si tratta, infatti, di una serie di canzoncine registrate alla meno peggio che tutto sommato non sfigurerebbero neanche più di tanto se non fossero state realizzate con arrangiamenti al limite del ridicolo. Una pecca di particolare evidenza per la sezione ritmica e per le tastiere, poco convincenti anche per la scelta dei timbri utilizzati. Veramente improponibile, poi, il cantato di Muriel (che pur saprebbe cantare molto bene), il quale sceglie un approccio che pare una via di mezzo tra qualcuno che ha il mal di pancia e uno che si sforzi alla toilette: a volte simile ad un fastidioso rantolo, arriva addirittura quasi a stonare (emblematico in tal senso un brano come “No redemption”, di cui vi sconsigliamo vivamente l’ascolto). Nelle intenzioni doveva trattarsi di horror metal, ma naturalmente ci guardiamo bene dal proporre inopportuni paragoni con i Death SS. Una delle poche cose che si salvano nell’album sono gli assoli di Shark, ma nel complesso è un disco di cui si può tranquillamente fare a meno, c’è davvero molto meglio in giro.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Virgilio    08 Febbraio, 2016
Ultimo aggiornamento: 09 Febbraio, 2016
Top 10 opinionisti  -  

John Dallas è il nome d’arte scelto da Luca Stanzani, singer bolognese nel campo della musica già da diversi anni e con una certa esperienza alle spalle in varie bands (Presidio, Afterlife, Red Burn), che propone in questo caso un lavoro fondamentalmente solista. Il disco, intitolato “Wild Life”, è composto da nove tracce, per una durata di circa trentacinque minuti. Lo stile di John Dallas è caratterizzato da un’impronta hard rock dalle diverse influenze (tra cui potremmo annoverare Dokken, Bon Jovi, Def Leppard, Guns n’ Roses, giusto per citarne alcune tra le principali), con un bel lavoro chitarristico, sia a livello di riff che di assoli (sebbene siano rimasti curiosamente anonimi gli strumentisti che accompagnano il cantante) e una grande cura per le melodie: le canzoni di “Wild Life” appaiono, dunque, sin da subito, assai fresche e coinvolgenti. Non a caso, la capacità di John Dallas di catturare l’attenzione dell’ascoltatore sin dai primissimi ascolti risulta evidente già dalle tracce iniziali, con brani come “Under Control” e “Heaven is”, ma tutta la tracklist scorre via gradevolmente senza conoscere passi falsi né cali qualitativi. Non manca neppure la ballad di turno, nella fattispecie intitolata “Freedom”, caratterizzata nel finale da un bel gioco di voci, mentre più particolare (e forse anche con qualche tentativo di sperimentazione), ma non per questo meno apprezzabile, è la conclusiva “Love’s Fake”. Buon disco, dunque, nel quale l’autore mostra sicuramente ottime doti interpretative e buona versatilità, sebbene magari un po’ di “cattiveria” in più ogni tanto non sarebbe guastata, specie nei pezzi più tirati. Ad ogni modo, “Wild Life” è certamente consigliato agli amanti dell’hard rock e del rock melodico.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Virgilio    19 Gennaio, 2016
Top 10 opinionisti  -  

I Permian Incident si formano nel 2012 con musicisti che avevano già una discreta esperienza in altre band, iniziando a lavorare alla stesura di pezzi nuovi, che hanno trovato forma nel loro album di debutto, intitolato “Songs of Solitude & Sorrow”. Quello dei Permian Incident è un prog rock di gran classe, che vibra tutta l’energia e la potenza sonora degli anni ’70 e che si articola attraverso otto tracce, mediamente piuttosto lunghe, tanto che ben quattro di esse superano i dieci minuti di durata. La band si rivela in effetti abile nel realizzare suite dalla struttura complessa, con tutti gli elementi tipici del prog rock, a partire da cambi tematici, tempi dispari, raffinati assoli, uniti ad un buon groove e a squisite melodie, impreziosite dalla splendida performance del cantante Johannes Hulleberg, dotato di una voce potente ed espressiva (in qualche canzone ricorda persino un po’ Ian Gillan). Le tracce di “Songs of Solitude & Sorrow” accompagnano così l’ascoltatore in un viaggio attraverso un turbinio di note che scatenano intense emozioni tra passaggi atmosferici e impennate vigorose di grande impatto: spettacolari, ad esempio, le complesse trame che caratterizzano tracce come “True or False”, “Memento mori”, “Oh Death, Oh Fear” o la purpleiana “Paradise Faded”; un po’ più diretti, invece, altri brani come l’opener “Sinless Perfection” o “This Wonderful Darkness”, caratterizzata da un arioso ritornello. Ottimo esordio, che ci presenta una band già di altissimo livello e potenziale protagonista della scena prog negli anni a venire.

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
280 risultati - visualizzati 251 - 260 « 1 ... 22 23 24 25 26 27 28 »
Powered by JReviews

releases

Oz Hawe Petersson s Rendezvous - Aor ispirato con un flavour ottantiano
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Mortuary Slab: riscaldano i motori con un breve EP dal sound pachidermico
Valutazione Autore
 
3.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Putrified: tornano a farsi sentire dopo otto anni
Valutazione Autore
 
3.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Necrophagia: un'uscita che raccoglie l'ultimo (si spera) materiale inedito rimasto
Valutazione Autore
 
3.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Vaticinal Rites: un debutto su lunga distanza di sicuro soddisfacente
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Il classico album in stile Vhäldemar, ricco di carica esplosiva tra Power e Heavy Metal!
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Autoproduzioni

Tenebrific: un EP d'esordio autoprodotto di livello qualitativo eccelso
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Per quest'album i Cyrax mescolano stili troppo diversi senza alcun criterio
Valutazione Autore
 
2.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Elle Tea, Metal e Hard Rock per passione
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Tomb of Giants, Heavy Metal di buon livello
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
The Inner Me, un disco su Houdini
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Maesün, un debutto con rivelazione
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Consigli Per Gli Acquisti

  1. TOOL
  2. Dalle Recensioni
  3. Cuffie
  4. Libri
  5. Amazon Music Unlimited

allaroundmetal all rights reserved. - grafica e design by Andrea Dolzan

Login

Sign In

User Registration
or Annulla