A+ A A-

Opinione scritta da Virgilio

277 risultati - visualizzati 1 - 10 « 1 2 3 4 5 6 ... 7 28 »
 
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Virgilio    04 Febbraio, 2024
Ultimo aggiornamento: 04 Febbraio, 2024
Top 10 opinionisti  -  

Gli Imperial Child sono una band norvegese formata da Chris DeWolf e Eagle McMorgan, già insieme nei Critical Solution, che aveva esordito nel 2020 con l'ottimo album intitolato "Compass Of Evil", un concept incentrato su William Green, un personaggio di loro creazione. Ci saremmo aspettati per questo secondo lavoro, "Secrets of the Roman Ghost", un ulteriore passo in avanti da parte della band, che invece rimane ben salda su degli schemi ben precisi, tanto che questo secondo full-length sembra voler essere nelle loro intenzioni quasi una copia del precedente, con un songwriting che risulta tuttavia meno brillante e un po' più prevedibile. Si insiste, infatti, sempre sullo stesso concept, giusto con qualche variante, mentre a livello stilistico il gruppo norvegese si mantiene su un Metal melodico non particolarmente originale, che in alcuni brani ostenta precise influenze da parte dei Savatage e di King Diamond, tanto che, guarda caso, anche stavolta compaiono come guest Zak Stevens e Andy LaRocque, che ha pure prodotto il disco. In alcune canzoni rileviamo ancora una volta il gusto per bei cori e intrecci vocali ("The Garden Tomb", "For A Hundred Years"), ma la voce solista di DeWollf in qualche frangente non ci ha particolarmente convinti. C'è invece stavolta una maggiore presenza di orchestrazioni, che in qualche modo arricchisce i brani e conferisce maggiore solennità. Tra gli highlight segnaliamo "Red Red Sea", con le sue atmosfere piratesche e le già citate "The Garden Tomb" (impreziosita nel finale da flauti e chitarre acustiche), nonché l'ottima traccia conclusiva "For a Hundred Years", che si articola in oltre otto minuti di durata con vari cambi tematici. "Devil's Lair" è senz'altro uno dei pezzi più influenzati dai Savatage, mentre su "Sharagon the Black" sono presenti decise atmosfere alla King Diamond, con tanto di cantato in falsetto. Questi due brani non sono tanto male e presentano pure alcune idee interessanti, però al contempo a tratti risultano certamente troppo palesemente derivativi; non ci ha convinti quasi per nulla invece "Peace of Mind", una sorta di mid-tempo che alla lunga risulta alquanto noioso. Diciamo che gli Imperial Child si confermano una band molto valida ed interessante, però il fatto di proporre degli album clone non aiuta a valorizzarli, specialmente se non viene mantenuto lo stesso livello qualitativo in tutto e per tutto. Riteniamo perciò che sarà fondamentale per il futuro della band cercare di evitare questa tendenza a ripetersi, perché rischierebbe di fossilizzarsi entro schemi delineati, quando invece ha dimostrato di poter essere brillante e capace di concepire ottima musica e idee interessanti.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Virgilio    12 Gennaio, 2024
Ultimo aggiornamento: 13 Gennaio, 2024
Top 10 opinionisti  -  

I Grave Digger stanno insistendo da qualche tempo sull'idea di tornare alle loro radici con uno stile più decisamente orientato verso il classico Heavy Metal ottantiano. In quest'ottica, dopo l'uscita della compilation "The Forgotten Years", viene pubblicato questo nuovo singolo intitolato "The Grave Is Yours", che dovrebbe rappresentare l'attuale corso della band, al quale avrebbe dato impulso soprattutto il nuovo chitarrista Tobias Kersting. Si tratta effettivamente di un pezzo molto diretto, carico di riff, veloce e grintoso, in perfetto stile Heavy/Power ottantiano, che obiettivamente funziona molto bene. La release è completata da una nuova versione di "Back to the Roots", (il cui titolo vuole proprio sottolineare ancora una volta lo stesso concetto), già inclusa nella compilation sopra menzionata (oltre che a suo tempo pubblicata nell'EP "Symphony Of Death" del 1994), ma per l'occasione completamente ri-registrata con la nuova line-up. A tal proposito, la band propende per ribassare i toni e includere un assolo di Kersting diverso rispetto a quello originale di Uwe Lulis. Diciamo che le premesse rispetto ad un nuovo album sono abbastanza interessanti e se lo scopo dei Grave Digger era di incuriosirci, possiamo dire che l'operazione è perfettamente riuscita.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Virgilio    06 Gennaio, 2024
Ultimo aggiornamento: 06 Gennaio, 2024
Top 10 opinionisti  -  

Il periodo della pandemia legata al Covid-19 e segnatamente quello della sua fase acuta che ha segnato il cosiddetto "lockdown", ha rappresentato nella vita di molti un periodo buio, pieno di paure ed incertezze. Proprio per scrivere canzoni che descrivessero quel contesto, si è formato nel 2020 il primo nucleo dei Create Illusions, per iniziativa dei chitarristi Alessandro Saponaro (ex-Heavenblast), Alessandro Di Carlo e del batterista Luca Nicolucci. Successivamente, sono stati coinvolti nel progetto anche due altri ex-Heavenblast, ovvero il bassista Simone Tucci e Diego Chiacchierini (attuale batterista dei Regina, una delle più accreditate cover band dei Queen, ma anche ottimo cantante e pianista). Il titolo di questo primo album, "Illusion I", probabilmente, non è stato a nostro avviso una scelta molto azzeccata perché soprattutto nel lungo termine potrebbe rendere più difficile rinvenire la loro musica attraverso i motori di ricerca o le piattaforme digitali, per via del fatto che somiglia al celebre album dei Guns 'n' Roses, "Use Your Illusion I", ma non siamo esperti in materia e magari ci sbagliamo. Dal punto di vista musicale, in effetti, invece, i Create Illusions si rivelano subito molto interessanti, perché sono riusciti in poco tempo a creare un loro stile personale, che obiettivamente li rende difficilmente "inquadrabili" in un genere ben preciso. Potremmo descriverlo essenzialmente come un Heavy Rock, nel senso che si tratta di un Rock abbastanza raffinato ed elegante, che però sa essere quando vuole parecchio graffiante ed incisivo, accogliendo anche elementi mutuati dall'Hard Rock o dal Metal: le influenze sono dunque svariate e ci abbiamo ravvisato qualcosa ad esempio di Toto, Europe, Van Halen, Gary Moore, Queen, Skid Row, fino al più attuale Metal italiano, ma se ascoltiamo un pezzo come "The Broken Big Black Wall" ci ritroviamo immersi in decise atmosfere Southern Rock o in "The Carillon" improvvisamente, c'è persino un intermezzo con la chitarra acustica dal sapore di Flamenco. Quindi una grande varietà di influenze che, almeno nella maggior parte dei casi, sono state davvero ben rielaborate in uno stile che magari non rivoluziona nulla, però riesce a far convivere tutti questi elementi risultando per nulla scontato o prevedibile. La band diventa poi praticamente irresistibile quando riesce ad inserire nei brani dei refrain accattivanti, come nel caso di "Give Me Strength" e "I Don't Wanna Feel Your Body": quest'ultima, una delle tracce più tendenti al Metal del disco, presenta peraltro un bellissimo duetto di Chiacchierini con la voce di Viola Versinthe. In altri casi, però, obiettivamente, i refrain non sembrano avere la giusta enfasi all'interno del brano o comunque non riescono a esaltarlo nel culmine della sua forza espressiva. Sotto il profilo esecutivo, invece, sono davvero notevoli, in generale, le performance di Chiacchierini, teatrale in "I Will Follow You", malinconico in "It's Only a Matter of Time", carico di pathos in "You Go Away From Me" o grintoso in "Scorpions On Fire", ma ci sono anche tanti bellissimi assoli da parte dei chitarristi e possiamo dire che tutti i musicisti svolgono un ottimo lavoro. In conclusione, questo esordio dei Create Illusions ci presenta una band davvero molto interessante, con ottimi interpreti, che sa spaziare tra diverse sonorità e influenze; a livello di songwriting, la tracklist presenta alcuni brani che ci sono piaciuti moltissimo accanto a diversi altri dove magari a nostro avviso poteva esserci ancora qualcosina da perfezionare. Le basi sono però ottime, perciò siamo convinti che questa formazione abruzzese possieda tutte le carte in regola per emergere e ritagliarsi il proprio spazio nell'attuale scena musicale Rock e Metal.

Trovi utile questa opinione? 
30
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Virgilio    04 Gennaio, 2024
Ultimo aggiornamento: 04 Gennaio, 2024
Top 10 opinionisti  -  

Gli Isometry sono una nuova band torinese formatasi nel 2022 con ex membri di Shards of Infinity e Legacy of Silence, che esordisce con il suo primo album, intitolato "Break the Loop". Lo stile del gruppo piemontese è riconducibile al progressive metal, con evidenti influenze dei vari Dream Theater, Symphony X, Haken, ecc. I brani sono mediamente alquanto lunghi e ben aperti a variazioni tematiche; mostrano inoltre una certa perizia tecnica, ma senza alcun sfoggio di virtuosismi. Si riscontra, inoltre, un po' in tutti i brani, una massiccia presenza di piano, tastiere, synth e orchestrazioni, per quanto non venga fatta menzione di alcun tastierista di ruolo nella band, mentre in un paio di tracce ritroviamo azzeccati inserti di flauto a cura del bassista Luca Capurso. L'album si apre (come spesso avviene), con una breve strumentale che funge da intro, ma si entra subito nel vivo con la successiva e vigorosa "Shards of Mind", mentre a seguire, la title-track ci dà già un primo assaggio di divagazioni pianistiche in perfetto stile Symphony X. Sotto questo punto di vista, gli Isometry si rivelano abili nel creare continui chiaroscuri tra passaggi aggressivi e altri più raffinati e atmosferici. Molto bravo il cantante Andrea Perdichizzi, perfetto interprete delle diverse anime che caratterizzano lo stile degli Isometry, ma la band se la cava egregiamente anche con una serie di strumentali come "Outcast", nonché le conclusive "Beyond This World" e "X": quest'ultima, oltre a presentare una parte parlata, è alquanto particolare, perché accoglie anche effetti elettronici. Insomma, "Break the Loop" si rivela senz'altro essere un buon debutto per gli Isometry, in quanto questi dimostrano di possedere già buona personalità e un ottimo amalgama tra i musicisti, per cui li riteniamo un valido ascolto, in modo particolare per gli amanti del genere.

Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Virgilio    03 Gennaio, 2024
Ultimo aggiornamento: 03 Gennaio, 2024
Top 10 opinionisti  -  

I Dreamwalkers Inc avevano pubblicato finora un full-length nel 2019 e un live album l'anno seguente, ma in un certo senso la loro storia parte da molto più lontano, perché la maggior parte dei brani erano stati più volte proposti e riadattati nel corso degli anni dal cantante Tom de Wit con il moniker di TDW, alla fine definitivamente accantonato per concentrarsi su questa nuova band. Se i primi lavori erano dunque ancora legati a stretto filo alla precedente produzione del leader e fondatore della formazione olandese, i tre anni che hanno portato alla realizzazione del nuovo album "The First Tragedy of Klahera" hanno visto cementare l'amalgama tra i vari membri del gruppo, sia con i musicisti confermati, ovvero la cantante Radina Dimcheva e i due chitarristi Norbert Veerbrink e Lennert Kemper, che con i nuovi arrivati Bjorn van der Ploeg (basso) e Sander van Eiferen (batteria). "The First Tragedy Of Klahera" è un concept album che narra la storia di una bambina, di nome Klahera, appunto, che viene ritrovata in una foresta e viene adottata in un piccolo villaggio da una coppia, ma appare sin da subito assai diversa da chiunque altro. La trama si concentra dunque anche sul passato della fanciulla e su quello che succederà, ma non si concluderà con questo disco, in quanto è previsto un seguito. Già così, tuttavia, a dire il vero, il lavoro appare alquanto impegnativo e ambizioso, se consideriamo che questa prima parte è composta da tredici tracce, per una durata che supera addirittura gli ottantasei minuti di durata. L'impostazione scelta prevede che la storia si sviluppi quasi come in un film, tanto che sono inframmezzate persino le voci di tanti attori che interpretano vari personaggi, che vengono spesso inclusi in mezzo alla musica e alle parti cantate, il più delle volte all'inizio o alla fine del brano. Tutto ciò, in generale, non rende "The First of Klahera" un disco di facilissimo ascolto. Diciamo che, in linea di massima, la band si mantiene fedele alle proprie coordinate stilistiche, con svariate influenze Progressive Rock/Metal (Ayreon, Queensryche, Dream Theater, Pain of Salvation, tra queste), ma il gruppo olandese si apre comunque anche a varie contaminazioni: ad esempio, particolare una traccia dal sapore jazz come "Despicable" o i cori quasi gospel di "Celebrations", ma l'apice è probabilmente rappresentato dalla suite "Mother Dearest". Il fatto poi di poter contare su due voci soliste (una maschile e una femminile), oltre a svariati cori, offre senz'altro ai Dreamwalkers Inc la possibilità di sperimentare diverse soluzioni espressive, così come il fatto di giocare tra continui passaggi arpeggiati o più aggressivi in un effettivo alternarsi di atmosfere e suggestioni, per quanto si riscontri una certa fatica, di fatto, a mantenere alta l'attenzione dell'ascoltatore per l'intera durata della tracklist. I Dreamwalkers Inc possiedono dunque grande capacità di raccontare e generare emozioni con la loro musica; per contro, non tutto nel disco appare proprio imprescindibile e una minima capacità di sintesi avrebbe potuto a nostro avviso giovare al risultato finale dell'album.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Virgilio    26 Dicembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 26 Dicembre, 2023
Top 10 opinionisti  -  

I Cathedral of Dust sono un progetto che nasce inizialmente come one man band per iniziativa del polistrumentista Matteo Cecchet, ma che poi diventa un duo con il coinvolgimento della cantante Sofia Bianchi. Questo primo EP è composto da quattro tracce, di cui due anticipate come singoli, ovvero "The Gargantual Collapse" e "A Fracture in Eternity". Dall'ascolto del brani emerge uno stile che crea una sorta di contrasto tra la voce femminile, eterea e sognante, con riff duri e atmosfere cupe. Si riscontrano così tracce dalla struttura aperta, sviluppate con l'intrecciarsi di più temi, alla maniera Progressive, accanto ad elementi più vicini al Gothic: la musica dei Cathedral of Dust riesce così ad essere melodica e suadente, ma allo stesso tempo prevede passaggi metal con riff distorti e una certa malinconia di fondo. Diciamo che rendono molto bene tutti questi aspetti proprio i primi due singoli: mentre "The Garguantual Collapse" ha un approccio tendenzialmente più Gothic e diretto, su "A Fracture in Eternity" emerge maggiormente la componente Progressive, con un ottimale equilibrio tra diversi mood e stati d'animo. Elementi Prog si ravvisano anche nella traccia conclusiva, "Self-Devouring Spirit", che è anche quella di maggiore durata (si consideri che sfiora i nove minuti), anche se qui, in generale, l'approccio appare più vicino al Gothic/Death e ci si aspetterebbe la presenza di growl vocals. Non ci convince invece particolarmente l'iniziale "The Meander", strutturata su una serie di contrasti che, a nostro avviso, non hanno nel risultato finale una buona resa. A conti fatti, in quest'EP si possono ravvisare buone idee e soluzioni stilistiche interessanti, anche se non tutto sembra ancora funzionare nel migliore dei modi e riscontriamo pure come alcune scelte che non ci abbiano del tutto convinti in sede di produzione e mixaggio. Visto il genere trattato, potrebbe inoltre pure giovare, almeno in parte, specialmente nelle parti caratterizzate da divagazioni strumentali, uno sviluppo del progetto basato su musicisti specializzati nei propri strumenti, in modo da consentire in certi passaggi una maggiore dinamicità e naturalezza esecutiva.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Virgilio    24 Dicembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 25 Dicembre, 2023
Top 10 opinionisti  -  

I Grave Digger sono al giorno d'oggi considerati un gruppo storico del Power Metal tedesco e possono vantare una discografia con almeno venti studio album, senza considerare una consistente quantità di altre pubblicazioni come album dal vivo, raccolte, demo, EP, ecc.. In realtà, non era così scontato che la band potesse giungere oggi a questo traguardo. Questa nuova compilation, intitolata "The Forgotten Years", fa riferimento ad un periodo alquanto buio per la formazione di Boltendahl, durante il quale aveva seriamente rischiato di scomparire. Infatti, gli scarsi riscontri ottenuti con il loro terzo full-length, "War Games", avevano indotto la loro etichetta a costringerli a proporre un sound un po' più commerciale, cambiando persino il moniker in Digger. Quest'operazione si tradusse in un totale fallimento, che portò allo scioglimento della band. A quel punto, il cantante Chris Boltendahl e il chitarrista Uwe Lullis, lavorarono ad un nuovo progetto chiamato Hawaii, recuperando le sonorità Metal dei primi Grave Digger e pubblicando un demo, intitolato "Bottles And Four Coconuts", che viene interamente inserito in questa compilation. Nel 1991, però, i due riformano i Grave Digger andando a recuperare quelle canzoni, che confluiranno nel primo album della reunion, "The Reaper". Di poco precedenti alla pubblicazione di questo disco sono un demo, "Return Of The Reaper", con quattro tracce che anticipano alcuni brani che verranno inclusi nel full-length ed un EP, chiamato semplicemente "For Promotion Only!!", entrambi a tiratura limitata ed entrambi pure inseriti in questo "The Forgotten Years". Forse, anzi, proprio queste otto tracce sono tra gli aspetti più interessanti della compilation, dato che quest'EP e questo demo erano in effetti fino ad ora alquanto rari. Diciamo poi che, comunque, in generale, la release non presenta tantissime novità, perché di fatto tutte le pubblicazioni di quel periodo ruotano attorno a quei brani, tanto che alcune canzoni vengono qui riproposte anche due-tre volte. Ad ogni modo, è interessante anche mettere a confronto le differenti versioni e vedere come queste si siano evolute, soprattutto tra il demo degli Hawaii e le successive versioni del primo demo come Grave Digger e quelle finali incluse in "The Reaper": ad esempio, per un brano come "Wedding Day", le differenze sono alquanto palesi. "The Forgotten Years" riflette dunque un periodo ben preciso della carriera dei Grave Digger, che non aggiunge nulla di alquanto significativo alla loro copiosa discografia (anche perché, come specificato, questi brani non sono stati nient'affatto dimenticati, in quanto sono stati ripresi e pubblicati), però certamente costituiscono una testimonianza utile e importante per meglio capire l'evoluzione del loro sound e come hanno affrontato quegli anni, senz'altro tra i più difficili della loro carriera: riteniamo perciò che possa essere una release gradita soprattutto per i loro fan della vecchia guardia, che li seguono cioè quanto meno dai primi anni '90.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Virgilio    13 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 13 Novembre, 2023
Top 10 opinionisti  -  

Gli Elegy of Madness si sono costruiti nel corso degli anni una solida reputazione nell'ambito del Symphonic Metal realizzando ottimi album, da ultimo con il bellissimo "Invisible World" pubblicato nel 2020 e con il successivo DVD live "Invisible World Live at Fusco Theater". A questa release, tuttavia, è seguita a quanto pare una sorta di rivoluzione in seno al gruppo: innanzitutto a livello di formazione, dato che hanno lasciato la band la cantante Anja Irullo (praticamente una dei membri fondatori) e il violoncellista Luca Basile; anche a livello stilistico, in realtà, si assiste in effetti a significativi cambiamenti. In particolare, vengono tralasciati gli elementi più affini alla musica classica, propendendo per un sound decisamente più moderno, con diversi inserti elettronici, che ci fanno pensare a varie band scandinave come ad esempio i Sirenia. Le orchestrazioni, naturalmente, non vengono abbandonate ma assumono un aspetto differente, fungendo più da accompagnamento ed arricchimento della parte Metal, che non come una vera e propria componente a sé stante. In certi casi il sound si fa decisamente più aggressivo, con seconde voci in growl e passaggi quasi tendenti al Death: risulta magari meno evidente tale cambiamento in qualche brano come "Broken Soul" (in cui ci sono peraltro belle orchestrazioni curate da Francesco Ferrini dei Fleshgod Apocalypse), mentre in altri casi si fa quasi fatica a riconoscere gli Elegy Of Madness: a titolo di esempio, basti ascoltare "Hybrid Love", in cui sembra di ritrovarsi quasi in una via di mezzo tra i Rammstein e gli Amaranthe, o "Portrait of a Ghost", in cui le atmosfere horror/dark ci hanno fatto pensare, tra gli altri, ai Deathless Legacy. Per questa svolta è stata molto azzeccata la scelta della nuova cantante, la siciliana Chiara Di Mare, in arte Kyrah Aylin, che si dimostra senz'altro all'altezza del compito, spaziando con estrema disinvoltura tra un cantato ora deciso, ora suadente oppure lirico. In linea di massima, al di là di un paio di brevi strumentali o di una sorta di ballata come "Moon", le canzoni riescono ad essere tutte (o quasi) molto accattivanti ma, come spesso accade in questi casi, "XI" ci dà l'impressione di essere un disco un po' interlocutorio, come se la band volesse andare in una certa direzione, ma non volesse allo stesso tempo snaturare troppo repentinamente quello che è stato il loro stile per tanti anni. Peraltro, ci sembra che, in effetti, come evidenziato, la formazione tarantina si avvicini parecchio ad un filone molto nordeuropeo, sacrificando un po' alcuni dei tratti distintivi che avevano sempre caratterizzato la loro musica: non escludiamo che la band, con questa mossa, potrebbe conquistare nuovi fan, ma potrebbe al contempo, in qualche misura, deludere chi li aveva finora seguiti. Vedremo dunque quale sarà la direzione che vorrà intraprendere la formazione pugliese: di certo, la nostra impressione è che, con questa sua nuova incarnazione, si possa presentare molto bene in ambito internazionale, anche se sarà fondamentale, per il futuro, sforzarsi ulteriormente per ottenere una proposta leggermente più personale, che comunque, sia pure a sprazzi, sembra già emergere in "XI".

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Virgilio    14 Ottobre, 2023
Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre, 2023
Top 10 opinionisti  -  

I Grymheart sono una nuova band ungherese fondata da Gabriel Blacksmith, alias Gabriel Kovács, chitarrista degli apprezzati Wisdom, che qui si cimenta anche dietro ai microfoni come cantante. Lo stile si muove tra Melodic Death (con growl vocals, ovviamente) e Power Metal, e potrebbe ricordare molto i Children of Bodom, ma ci sono anche elementi Folk scandinavi, talvolta con intermezzi di chitarre acustiche arpeggiate (anzi, già l'iniziale "The Twilight Coming" è una breve strumentale eseguita in questo modo), talvolta ispirati pure alla tradizione musicale magiara. I testi sono tutti rivolti alla caccia di mostri vari, sia della mitologia medievale europea (compresa quella norrena), sia della letteratura e cinematografia più recente, con riferimenti a personaggi come Van Helsing e Solomon Kane. Si riscontra una grande attenzione per le melodie e in effetti i ritornelli dei brani riescono ad essere catchy fin dai primissimi ascolti. Diciamo che nella musica dei Grymheart non si ravvisano grandissime invenzioni e particolare originalità, però Gabriel e compagni hanno voluto delimitare un margine e degli schemi entro cui muoversi, sia a livello musicale che concettuale e, tutto sommato, all'interno di essi, i brani funzionano e riescono ad essere abbastanza accattivanti. Certo, magari questa scelta non paga alla lunga, nel senso che, dopo ripetuti ascolti, non si riscontra grande varietà: peraltro, non aiuta, in tal senso, il fatto che le tracce siano perlopiù caratterizzate da ritmi e riff molto veloci, con la voce che tende ad essere alquanto monotona. C'è comunque anche qualche traccia più cadenzata, come nel caso di "Army From The Graves" o della più varia e articolata "Monsters Among Us", che supera abbondantemente gli otto minuti di durata. "Hellish Hunt" è comunque, in fin dei conti, un disco che si fa ascoltare con piacere, non particolarmente impegnativo od originale, ma con diverse buone canzoni, per cui possiamo senz'altro valutare positivamente questo debutto dei Grymheart.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Virgilio    06 Ottobre, 2023
Ultimo aggiornamento: 06 Ottobre, 2023
Top 10 opinionisti  -  

Piet Sielck, com'e noto, si trova suo malgrado costretto ad affrontare un'importante battaglia a causa di seri problemi di salute, ma nonostante ciò è riuscito a pubblicare comunque un nuovo album con i suoi Iron Savior. Naturalmente, la band tedesca si mantiene fedele al suo classico stile, ma bisogna riconoscere come questa abbia saputo traghettare ai giorni nostri il suo tipico Power Metal tedesco in maniera assolutamente convincente, riuscendo in un certo senso a proporre una propria versione rielaborata in chiave contemporanea di questo genere, con influenze specialmente derivate dagli anni '90, pensando a punti di riferimento come Gamma Ray, Blind Guardian, Rage ecc., Sielck e compagni ritornano obiettivamente con un disco molto solido e di grande impatto, che peraltro parte molto bene con una traccia davvero ben riuscita come "Curse Of The Machinery" (non tenendo conto della solita breve intro, stavolta intitolata "The Titan"). Peraltro, come ha raccontato lo stesso Sielck, in realtà sono stati aggiunti tre brani all'ultimo momento quando il disco era di fatto praticamente pronto e questi, a suo dire, avrebbero fatto compiere un significativo salto di qualità al full-length: non sono effettivamente male due pezzi alquanto anthemici, ovvero "In The Realm Of Heavy Metal" e "Together As One" (per essere più precisi, quest'ultimo, più che essere stato scritto alla fine è stato sensibilmente modificato), mentre per la verità non ci ha entusiasmato la title-track, la tipica traccia Power/Speed un po' monotona che punta più che altro sulla velocità, con la doppia cassa tiratissima e un numero di battute quasi impossibili da contare. La band ci convince invece decisamente di più su pezzi meglio strutturati ed equilibrati (spesso d'ispirazione sci-fi, come da tradizione del gruppo tedesco), caratterizzati da riff decisi, nonché dalla voce roca di Sielck, spesso accompagnata da cori imponenti, come le bellissime "Demise Of The Tyrant" e "Mask, Cloak And Sword" o la più melodica (quasi nostalgica) "Nothing Is Forever". Non male, anche se magari un po' melensa "Through The Fires Of Hell" (dedicata da Sielck alla moglie), mentre non ci entusiasma alla lunga il mid-tempo di "Across The Wastelands". Nel complesso, comunque, questo "Firestar" non ci dispiace affatto: magari non è un capolavoro, ma è davvero un buon disco di Power Metal vecchia maniera, con una produzione eccellente e delle ottime performance da parte di tutti i musicisti. Non possiamo dunque che salutare con piacere questo comeback degli Iron Savior e augurare a Piet Sielck, parafrasando il testo di "Through The Fires Of Hell", di tornare quanto prima dall'Inferno, più forte e in forma che mai.

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
277 risultati - visualizzati 1 - 10 « 1 2 3 4 5 6 ... 7 28 »
Powered by JReviews

releases

All'assalto con i Razgate!!!
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Social Disorder tornano con un gran bel disco a cavallo tra Hard Rock e Heavy Metal
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Thornbridge, che discone!
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Si confermano band di qualità gli Arkado!
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Civerous: ancora un po' macchinosi, ma la nuova strada sembra quella giusta
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Autoproduzioni

Dyspläcer, un debut album che fa intravedere del talento
Valutazione Autore
 
3.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Blood Opera: grande incompiuta
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Con “Yet I Remain” i Pandora's Key ci guidano in un oscuro regno di Metal melodico
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Ember Belladonna, un debutto fin troppo poco Metal
Valutazione Autore
 
2.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Metal melodico: debutto per gli Attractive Chaos
Valutazione Autore
 
3.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Gengis Khan: epica cavalcata
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Consigli Per Gli Acquisti

  1. TOOL
  2. Dalle Recensioni
  3. Cuffie
  4. Libri
  5. Amazon Music Unlimited

allaroundmetal all rights reserved. - grafica e design by Andrea Dolzan

Login

Sign In

User Registration
or Annulla