Filippo Tezza ed Eddie Thespot Lamacchia ci parlano dei Chronosfear e del loro debut album
Giovedì, 07 Giugno 2018 09:58 Pubblicato in IntervisteAllaroundmetal.com questa volta è con Filippo Tezza ed Eddie Thespot Lamacchia, rispettivamente voce e chitarra dei Chronosfear, per parlare del loro eccellente debut album omonimo.
AAM.: Ciao, grazie di essere qui con noi di allaroundmetal.com! Vi va di raccontarci la storia dei Chronosfear, sin dai tempi in cui vi chiamavate Wings of Destiny?
Fil: Ciao e grazie a voi! I Chronosfear sono nati nel 2003 dalla mente del nostro batterista, Michele Olmi, con il nome di ‘Wings of Destiny’. Inizialmente suonavano cover. Dopo una serie di cambiamenti nella line-up e vari stop, nel 2012 Miky ha rimesso in piedi la band, stavolta con l’idea di suonare musica originale, cambiando il monicker nell’attuale ‘Chronosfear’ e portando la band a registrare un demo nel 2013. Dopodiché c’è stato un ulteriore stop, e la definitiva ripartenza nel 2015, quando Miky mi ha chiamato per entrare nella band come cantante. Mi sono unito quindi a Miky e Baldo (tastiere), in seguito è entrato Xavier (basso) e per ultimo Eddie (chitarra), dopo una lunga ricerca. Alla fine del 2016, con la attuale line-up, la nostra avventura è finalmente cominciata!
AAM.: Come nasce l’album “Chronosfear”? E di cosa parlano i testi?
Fil: Il nostro esordio è nato dall’intento comune di dare subito vita ad un primo album, senza aspettare troppo tempo. A me è sempre piaciuto comporre, lo faccio da tanti anni, così già prima della stabilizzazione della line-up, ho proposto alla band dei pezzi completi ed arrangiati. Abbiamo la fortuna di essere tutti musicisti preparati e competenti, e non necessitiamo di troppe prove, quindi ognuno si è poi studiato le proprie parti, mettendoci il proprio stile o apportando le proprie eventuali modifiche…così in pochi mesi siamo stati pronti, sia per l’attività live, sia per le registrazioni del nostro album. Alle mie canzoni poi abbiamo aggiunto i tre brani ed intro del demo del 2013, ri-arrangiati e sistemati in linea con gli standard attuali della band. I testi trattano di diversi argomenti: dal terrore della guerra, alla pazzia e alla solitudine, fino a toccare temi che riguardano lo scorrere del tempo e la consapevolezza della fine, vita e morte, sogni e speranze.
AAM.: A proposito chi scrive i testi?
Fil: A parte le vecchie canzoni, dei cui testi si era occupato il precedente cantante Leonardo, mi sono occupato io della stesura dei testi delle nuove canzoni. Ci impiego tempo a realizzarli, cerco sempre di elaborare concetti in forma, diciamo, ‘astratta’. Spesso diventa complicato, ma è una cosa che è sempre stata spontanea per me.
AAM.: Esiste un legame tra la copertina ed i testi dell’album?
Fil: L’idea dell’immagine di copertina deriva da Xavier (bassista). Si è occupato principalmente lui di interfacciarsi con Roberta Cavalleri, l’artista che ha realizzato tutto il packaging e l’artwork del disco. Xavier ha sviluppato l’idea proprio partendo da immagini e sensazioni che le liriche gli trasmettevano. Quindi sì, da questo punto di vista si può dire che la copertina sia legata un po’ ai testi, ma in generale è un’immagine legata al nome ‘Chronosfear’. La clessidra è ovviamente il simbolo del tempo che scorre, e Chronos è la divinità che rappresenta proprio lo scorrere del tempo, nella antica religione e mitologia greca. Il concetto di ‘paura’ traspare invece dalla rappresentazione della sabbia, che scorre da un ambiente accogliente e rassicurante, in alto, ad un luogo nero e morto, in basso.
AAM.: Come viene creato un brano dei Chronosfear? E’ un lavoro di squadra, oppure è qualcuno di voi che si occupa della stesura delle musiche?
Eddie: Per questo album, Fil ha composto la maggior parte dei brani. Gli altri sono stati ri-arrangiati sempre da Fil, ma appartenevano al vecchio demo dei Chronosfear, con un’altra formazione. Io mi sono occupato del ri-arrangiamento di alcune parti chitarristiche e ho scritto tutti gli assoli.
Fil: Nonostante mi piaccia proporre i pezzi in modo completo nel loro arrangiamento, poi lascio carta bianca ad ognuno, sugli assoli o su eventuali modifiche. Per esempio Eddie si occupa dei suoi assoli, mentre Baldo (tastiere) al contrario il più delle volte li esegue come glieli propongo. Più che come cantante, spesso mi sento quasi più a mio agio nel ruolo di songwriter; le mie proposte si sono fin da subito adattate molto bene alla ‘filosofia’ di questa band e, vedendo che fin dall’inizio tutti le hanno apprezzate, questo mi ha permesso di metterci molta farina del mio sacco in questo primo album. Ne sono sinceramente contento, nonché lusingato.
AAM.: Dove avete registrato l’album? E c’è qualche episodio simpatico che vi va di raccontarci al riguardo?
Fil: Figura essenziale nella realizzazione pratica dell’album è quella di Francesco Gambarini, con il quale suono negli Empathica, e con cui da ormai 2-3 anni collaboro anche per i miei progetti. Francesco sta facendo esperienza con l’idea di aprire in futuro un suo studio di produzione musicale; si è occupato sia di seguirci nelle registrazioni, sia del mixaggio e mastering dell’album. E’ molto puntiglioso, ci mette passione e dedizione. Ha lavorato benissimo con il mio ultimo album solista, e con il debutto dei Chronosfear ha fatto un lavoro ancora migliore! Episodi simpatici...mmmhhh…ti posso dire che nel periodo di produzione, una o due volte a settimana dopo il lavoro ero sempre da lui a seguire attivamente il mixaggio…beh, il fatto di arrivare lì da una giornata di lavoro, e doversi concentrare di nuovo fino a tarda sera…ti assicuro che spesso già in prima serata la concentrazione si trasformava in risate senza senso e completa disattenzione ahah! Per tutti i vari aspetti che la realizzazione di un album comporta (produzione, registrazione, burocrazia, promozione ecc..), è stato un periodo un po’ impegnativo a livello mentale, ma ne siamo usciti bene. Ah, le voci invece le ho registrate nello studio di Roberto Marconi dei Living Theory.
Eddie: Le chitarre sono state registrate nel mio Asgard Studio a Mantova. Avendo registrato da solo, sono stato molto autocritico e ho cercato di dare il massimo. È stata davvero un’esperienza stimolante che mi ha messo tanto alla prova.
AAM.: In un periodo storico in cui tutti suonano metal estremo (specie death o black metal) e solo in pochi si dedicano al power metal, perchè i Chronosfear suonano questo genere musicale e quali argomenti usereste per convincere qualcuno ad ascoltare la vostra musica?
Eddie: Per quanto mi riguarda, ho una laurea in chitarra classica in conservatorio. Dunque il mio background classico e il mio amore per il rock/metal mi hanno, per ovvi motivi, avvicinato a questo genere dove le orchestrazioni e i richiami alla musica classica sono molto forti. Le argomentazioni che porto a favore del Power Metal sono l’andamento sempre molto melodico e appunto i continui richiami alla musica classica, che per un profano del genere possono sembrare antitetici.
Fil: Io sono anche un estimatore del metal più estremo, pur restando molto ancorato ai generi melodici, apprezzo molto il black metal, in particolare quello più atmosferico e dalle inflessioni pagan/viking, e diverse cose nel death. Porto avanti dei progetti solisti in entrambi i generi. Tuttavia il metal melodico mi rappresenta maggiormente. Se dovessi convincere qualcuno ad ascoltare i Chronosfear, gli direi semplicemente che è musica di qualità, fatta con la testa, ma soprattutto con cuore e passione.
AAM.: So che ognuno di voi suona anche in altre bands, quale priorità hanno i Chronosfear per ognuno di voi rispetto agli altri gruppi in cui siete impegnati?
Eddie: I Chronosfear hanno per me la priorità assoluta. Ho un paio di realtà in acustico, e qualche volta suono ancora in concerti di musica classica, ma sempre dando la precedenza a questa band.
Fil: Anche per me i Chronosfear sono diventati una priorità, musicalmente. Erano veramente anni che cercavo una realtà di questo tipo e ora che l’ho finalmente trovata mi ci dedico al 100%, senza trascurare comunque nulla delle altre attività, per quanto possibile.
AAM.: Cosa fanno i Chronosfear nella vita di tutti i giorni?
Eddie: Sono insegnante di chitarra elettrica ad indirizzo Rock/Metal presso MMI Mantova e insegno anche chitarra classica. L’insegnamento mi permette di gestire la mia vita come musicista a tempo pieno. Per di più sono in una situazione per cui per riuscire a trasmettere agli allievi le giuste nozioni e far capire nel più profondo la meraviglia della musica, entro in competizione con me stesso, cercando di essere il più poliedrico possibile dal punto di vista dei generi musicali e degli artisti.
Fil: Tutti noi abbiamo un lavoro regolare. Io sono un geologo, attualmente lavoro presso una società di ingegneria e consulenze ambientali. Il resto del tempo lo dedico principalmente alla musica.
AAM.: Ora una domanda che mi piace sempre porre alla prima intervista per allaroundmetal.com; ci svelate quale musicista è stato determinante per la vostra crescita? In altre parole, chi vi ha convinto ad imparare a suonare il vostro strumento o cantare?
Eddie: Fin da molto piccolo mi mettevo gli occhiali da sole, prendevo una chitarra giocattolo regalatami dai miei genitori e facevo finta di cantare in inglese il Rock ‘n’ Roll ahahah! Mio padre strimpella due accordi sulla chitarra. Vedevo lui e, incuriosito dallo strumento, mi avvicinavo per poter dare una pennata con delicatezza. Questo sicuramente ha contribuito a farmi avvicinare a questo strumento stupendo. Il musicista che è stato determinante per la mia crescita è stato sicuramente Mark Knopfler. Prima di avvicinarmi al mondo Metal ero un fan maniaco dei Dire Straits.
Fil: A pensarci bene, non ho mai avuto nessuno che mi abbia “convinto”, o che sia stata la “molla” per farmi imparare uno strumento. Per me è sempre stato molto naturale ed in crescita con il tempo. Già da piccolo ascoltavo tantissima musica, rock o pop da radio. In casa c’erano molti strumenti, e quindi già canticchiavo o provavo a strimpellare e a scrivere brani. Tutto poi è maturato con il tempo, molto naturalmente. Ovviamente anche io ho i miei “miti” musicali: Kiske, Sammet, Luppi, Turilli, Hansen, Laiho, Åkerfeldt…ce ne sono tanti, tanti punti di riferimento che mi hanno influenzato negli anni.
AAM.: Argomento live. Riusciremo a vedere i Chronosfear dal vivo? Avete già qualche data in programma che potete svelarci?
Fil: Certamente, siamo attivi dal vivo dallo scorso novembre. Finora ci siamo fatti le ossa e siamo migliorati molto nella nostra intesa on-stage, quindi speriamo di riuscire a suonare ovunque il più possibile! Saremo nel bresciano per due concerti a giugno e luglio, poi a Roma con i Deathless Legacy a luglio, e a Varese con i Frozen Crown ad ottobre…ma per tutti gli aggiornamenti ed i prossimi appuntamenti live non esitate a visitare la nostra pagina facebook!
AAM.: Guardando nella sfera magica di una chiromante, cosa vedremmo per il futuro dei Chronosfear?
Eddie: Quando vi è un’aspettativa, vi è anche un maggiore rischio di rimanere delusi. Perciò è importante godersi il presente e trarre gioia da tutto ciò che di positivo i Chronosfear potranno ricevere e potranno dare. Però, dato che sognare è ancora permesso gratuitamente, vediamo un po’…il Wembley Stadium gremito?!? Ahahah!
Fil: Ah beh, io mi accontenterei di un bel Wacken! Ahaha, scherzi a parte, ha ragione Eddie: sempre piedi per terra e vedremo dove la strada ci condurrà, nella speranza di crescere sempre come band e come nuova realtà nel mondo del metal.
AAM.: State partendo per un lungo viaggio, ma potete scegliere solo 3 dischi da portare con voi; quali scegliete escludendo il vostro?
Eddie: Whitesnake – 1987;
Dire Straits – Alchemy Live;
Avantasia – Ghostlight.
Fil: Solo tre? Difficilissimo scegliere. Sicuramente il mio album preferito, ‘Nightfall in Middle-Earth’ dei Blind Guardian. Mettiamoci poi dell’ottimo metal italiano, ‘Hastings 1066’ dei Thy Majestie, un album che ancora oggi considero IL disco metal italiano…ed infine, per bilanciare, qualche sonorità un po’ più estrema e cupa, tipo ‘Blackwater Park’ degli Opeth.
AAM.: Credo di essermi dilungato fin troppo. Concludo come consuetudine l’intervista lasciandovi uno spazio libero per aggiungere un vostro saluto ai lettori di allaroundmetal.com
Eddie: Ciao a tutti!!! Per questo disco abbiamo dato il massimo che potevamo! Acquistate il disco, seguiteci sulle nostre pagine social e vi aspettiamo ai nostri prossimi live!!! Stay Metal!!!
Fil: Grazie mille alla redazione e ai lettori di allaroundmetal! Speriamo di vedervi presto sotto il palco e che possiate tutti apprezzare il nostro album!!
I Frozen Crown ci parlano del loro debut album "The fallen king"
Lunedì, 26 Marzo 2018 19:59 Pubblicato in IntervisteI Frozen Crown si sono raccontati con noi di allaroundmetal.com, dopo il loro splendido esordio discografico dal titolo “The fallen king”. Ecco il resoconto del nostro colloquio.
D.: Ciao ragazzi e benvenuti su allaroundmetal.com! Vi va di raccontarci la storia dei Frozen Crown, come si è formata la band e da chi tra voi è partito tutto?
R.: Tutto è nato da Federico (chitarra, voce e tastiere) che dopo la sua esperienza con i Be The Wolf ha deciso di iniziare un progetto metal. Giada, la singer, è stata la prima ad aggiungersi alla formazione, che era originariamente stata concepita come una band da studio. In seguito i Frozen Crown sono diventati una live band vera e propria con l'aggiunta di Filippo, Talia e Alberto, rispettivamente al basso, alla chitarra e alla batteria.
D.: Come siete arrivati a firmare per la Scarlet Records per il vostro debut album?
R.: Come detto prima, Federico ha già lavorato con Scarlet Records con i suoi Be The Wolf, di conseguenza c'è stata da parte dell'etichetta piena fiducia in questo nuovo progetto.
D.: Siete una delle poche band con una donna chitarrista; a memoria in Italia ricordo solo gli Starsick System con la mitica Valeria Pizzy Battain al basso, ma null’altro. Come mai, secondo voi, tolte le all female bands, ci sono così poche donne tra i musicisti?
R.: A dir la verità, di band con donne che suonino la chitarra o il basso ne conosciamo più di una. E' sicuramente più raro trovare band in cui sia presente una chitarrista solista nello specifico, ma nella nostra ricerca ne abbiamo conosciute parecchie, prima di imbatterci in Talia (che si è rivelata la migliore sotto ogni punto di vista, e anche la più adatta al progetto a livello stilistico). La scena musicale italiana è piena di donne talentuose e dedite allo strumento, e ci permettiamo di dissentire con la vostra affermazione. Probabilmente molte di esse mantengono un profilo basso semplicemente perché restano concentrate sulla musica, invece di far leva sul loro essere donna per emergere.
D.: Di cosa parlano i testi di “The fallen king” e chi si occupa della loro stesura? A proposito esiste un concept alla base dei testi?
R.: I testi, scritti da Federico e Giada, sono ispirati alla mitologia norrena, e pur non essendo legati da un concept, sono accomunati dalle stesse atmosfere.
D.: Chi ha realizzato la copertina del disco e quale legame ha con i testi?
R.: La copertina è a cura di Federico, che è anche un designer / illustratore. Oltre a descrivere l'atmosfera generale del disco e dei testi, l'immagine ha anche il compito di evocare il legame con il passato e con l'Heavy Metal classico che ha parecchio influenzato il nostro sound.
D.: Come nasce un brano dei Frozen Crown? E’ opera di uno di voi, oppure un lavoro di squadra?
R.: Per quanto riguarda il processo creativo di The Fallen King, si è trattato di un lavoro a cura del solo Federico, con il contributo di Giada su tre dei dieci pezzi, e con l'apporto ritmico di Alberto, che ha scritto e arrangiato le sue parti di batteria. Questo metodo di lavoro è stato principalmente una conseguenza della natura originaria del progetto, che ha lasciato poco spazio agli altri membri, ma per quanto riguarda il futuro della band, tutti avranno sicuramente più spazio in fase compositiva.
D.: Non so se vi siete resi conto di aver realizzato una bomba di disco; sul nostro sito avete ottenuto 4,5/5, quali sono stati gli altri responsi su siti web e stampa specializzata?
R.: Tendenzialmente abbiamo ricevuto solo recensioni estremamente positive, fatta eccezione per un paio in cui siamo stati accusati di poca originalità. Siamo molto soddisfatti del feedback ricevuto fino ad ora.
D.: Mentre miriadi di bands agli esordi si mettono a suonare metal estremo (death, black, thrash, ecc.), voi decidete di suonare power metal, un genere parecchio bistrattato e non più all’apice dei gradimenti. Perchè questa scelta?
R.: Il motivo è solo il nostro amore per il genere, unito ad una nostalgia per la fine dei '90 in cui album power meravigliosi hanno visto la luce senza poi essere in grado di lasciare successori all'altezza. Nel nostro disco in ogni caso è possibile trovare anche forti influenze death e black melodico, oltre al classic Heavy Metal menzionato in precedenza.
D.: So che qualcuno di voi milita anche in altre bands, come si conciliano i Frozen Crown rispetto ad esse; in altre parole, esistono delle priorità o riuscite a metterci lo stesso identico impegno?
R.: I Frozen Crown sono la priorità di tutti noi al momento.
D.: Quali sono adesso i progetti dei Frozen Crown? Riusciremo a vedervi live, oppure vi siete già messi al lavoro su nuovi pezzi?
R.: Siamo al lavoro su nuovi pezzi, ma stiamo anche organizzando diverse date in Italia e all'estero. Presto annunceremo tutto online sui nostri canali.
D.: Adesso alcune domande che è mia abitudine porre alla prima intervista per allaroundmetal.com. Quale musicista vi ha ispirato e convinto ad imparare il vostro strumento musicale o a cantare?
R.: Trattandosi di una band con elementi dal background molto diverso tra loro, è difficile dare una risposta univoca. Talia è fortemente influenzata da Kiko Loueiro, da Joe Satriani e da Marty Friedman, mentre Filippo ha un background decisamente lontano dal metal, e più radicato negli anni 90 e nel grunge. Giada, Alberto e Federico invece hanno influenze estremamente varie, che oltre ai vari Nightwish, Blind Guardian e Sonata Arctica, includono anche acts che con il Power Metal hanno a che fare ben poco, come Dark Tranquillity e Nevermore.
D.: Dovete salvare da un incendio solo 3 cd della vostra collezione, quali scegliete e perchè?
R.: Sarebbe troppo difficile selezionare tre cd in generale, di conseguenza restringeremo il cerchio limitandoci al Power Metal. “Ecliptica” dei Sonata Arctica è una scelta ovvia, trattandosi di uno dei dischi dal songwriting più ispirato in assoluto nel genere, totalmente privo di filler e mai più bissato dagli stessi Sonata (se non con il successivo “Silence”, di poco inferiore al primo). “Dawn Of Victory” dei Rhapsody è il più bel disco Power Metal italiano di sempre, e rappresenta secondo noi l'apice delle capacità compositive e d'arrangiamento del duo Turilli – Staropoli. Tutti i dischi successivi fino a “From Chaos to Eternity” hanno poi visto un continuo perfezionamento da parte della band Triestina, ma “Dawn” è sicuramente il primo disco che consiglieremmo ad un ascoltatore che voglia approcciarsi per la prima volta alla band. “Art Of Life” (più che un disco, una singola canzone della durata di 29 minuti) è il capolavoro degli X Japan, una band che stimiamo moltissimo e che tantissime band (dai Sonata Arctica agli Shaman di Matos) hanno omaggiato negli anni.
D.: Credo di essermi dilungato abbastanza, grazie per la vostra disponibilità. Lascio, come consuetudine, uno spazio finale per un vostro messaggio ai lettori di allaroundmetal.com?
R.: Grazie per l'intervista, e grazie a tutti i lettori per la loro attenzione. Vi aspettiamo ai prossimi live show dei Frozen Crown!
Kaledon, Pleonexia, Serenade e Ankor @ Arci Tom - Mantova 11/03/2018
Lunedì, 12 Marzo 2018 23:12 Pubblicato in Live ReportDomenica 11 marzo 2018, mi metto in marcia direzione Mantova, circolo Arci Tom; la statale “Padana inferiore” fa veramente ribrezzo, stretta e tortuosa, mi ricorda un po’ le strade di montagna dell’amata Calabria, ma qui siamo in pianura tra le ricche Veneto e Lombardia, dove costruiscono inutili autostrade e poi non sono capaci di rendere decente una strada statale.... dopo un lungo percorso sotto la pioggia, arrivo al locale e con il mio amico ci guardiamo intorno spaesati: il parcheggio è vuoto e ci chiediamo se per caso il concerto dei Kaledon e di altre 3 bands fosse stato rinviato a nostra insaputa... saliamo al primo piano dello stabile, ove ha sede il circolo, ci tesseriamo regolarmente e paghiamo l’ingresso e subito notiamo Manuele Di Ascenzo, il batterista dei Kaledon, aggirarsi da quelle parti; dopo i saluti di rito, apprendiamo che la serata sta per avere inizio. Entriamo nel locale e ci sono i Pleonexia, band torinese di cui anni fa ho recensito l’ottimo debut album “Break all chains”, appena saliti sul palco ma... il pubblico non c’è! Oltre ai vari componenti delle altre bands (fra cui noto il mitico Alex Mele, Michele Guaitoli e Paolo Campitelli con cui ci salutiamo), gli unici spettatori siamo io ed il mio amico! I Pleonexia iniziano a suonare e ci danno anche dentro di brutto, perchè lo show è davvero piacevole, così come lo era stato il loro album; dal vivo anzi i pezzi vengono anche meglio, forse perchè la registrazione del disco non era delle più esaltanti; i torinesi suonano alla grande per circa una ventina di minuti, il tempo di 4-5 brani fra cui non poteva mancare, in conclusione, la mitica “Break all chains” che mi ha fatto letteralmente venire i brividi! Durante il cambio di strumentazione sul palco, apprendo anche dal chitarrista che è in preparazione il secondo album, che dovrebbe essere pubblicato entro fine 2018. Davvero mi sorprendo a pensare quanto siano professionali queste bands che si sbattono e si dimenano davanti sostanzialmente a nessuno.... fino al termine della serata, infatti, forse sarà arrivata in totale una decina di persone, non di più! Ed ora, perdonatemi, ma ci lamentiamo sempre che non si fanno concerti, che la scena è deprimente, che ci sono solo cover bands, ecc. ecc..... ma se, quando abbiamo davanti uno show simile, non ci va nessuno, come si pretende che i locali possano sopravvivere? Sicuramente, nella serata in questione, le spese hanno superato di gran lunga le entrate che possiamo aver portato con i nostri biglietti ed i beveraggi acquistati (tra l’altro anche a prezzi economici). Con una simile situazione è pressoché scontato che alla lunga si arrivi al fallimento, poi non venite a lamentarvi se si fanno solo concerti di cover bands del cavolo! Un locale deve pure pagare fornitori vari ed avere un introito minimo per campare e così non ce la farebbe nessuno! Chiusa questa triste parentesi, ritorniamo al concerto. Dopo gli ottimi Pleonexia, salgono sul palco i padovani Serenade, gothic metal band di cui avevo recensito l’ultimo disco “Onirica” lo scorso anno, senza venirne colpito particolarmente. Si nota subito per il suo fascino la cantante, la cui performance canora però non mi aveva fatto impazzire sull’album ed anche stasera non mi ha conquistato. Lo show non mi ha entusiasmato, forse un po’ troppo freddo o forse è proprio il sound della band a non coinvolgermi, come invece succede normalmente con il gothic sinfonico (uno dei miei generi preferiti). Sinceramente non saprei dire cosa non mi ha convinto, fatto sta che durante l’esibizione dei Serenade ne ho approfittato per contribuire al risanamento delle casse del locale acquistando una birra. Arriva il turno degli spagnoli Ankor, senza un bassista in formazione (le basi pre-registrate aiutano in tal senso) e con una ragazza batterista ed un’altra nel ruolo di cantante ad alternare clean vocals ad uno screaming furioso. Il modern groove degli Ankor non è il mio genere musicale preferito, ma la band ha energia da vendere ed obiettivamente non sono affatto malaccio. Dato che la loro musica non mi affascina particolarmente, ne approfitto per scambiare due parole con alcuni membri dei Kaledon, scoprendo che il tastierista Paolo Campitelli sta lavorando ad un interessante progetto tutto suo di cui presto sentiremo parlare! Ma arriva il momento di andare in scena ed attorno alle ore 23.00 circa i Kaledon iniziano a suonare, dando naturalmente spazio ai pezzi dell’ultimo, ottimo album “Carnagus – Emperor of the darkness”. Con 20 anni di esperienza alle spalle, la band romana è ormai una macchina perfettamente oliata, uno schiacciasassi power; la coppia Mele/Nemesio alle chitarre ha un’intesa invidiabile, il nuovo bassista Enrico Sandri pare sia da sempre in formazione, Campitelli alle tastiere diverte e si diverte e Di Ascenzo picchia come un dannato alla batteria, nonostante un rullante non eccezionale (dal suono troppo secco e “poco metal”), ma bisogna fare di necessità virtù. Guaitoli poi è un mostro e si conferma come uno dei migliori e più versatili cantanti in assoluto presenti sulla scena italiana. Una dopo l’altra scorrono canzoni del nuovo album e pezzi estratti dal passato della band romana, sia dell’epoca in cui cantava Marco Palazzi che anche del periodo di Claudio Conti. Il top è stato alla conclusiva “The new kingdom”, quando si scherzava e ci si divertiva, ricordando la parodia pubblicata in rete, che ha contribuito a rendere unica questa canzone. Ma di canzoni eccezionali i Kaledon ne hanno scritte tante e, fra queste, ho avuto il piacere di ascoltare “Holy water”, “Surprise impact” e la splendida “The God beyond the man”. Sinceramente speravo di ascoltare anche la mitica “Mighty son of the great lord” (ricordo ancora il video in cui Tommy Nemesio aveva i capelli corti!), ma sarà per una prossima volta. In attesa del concerto del 12 ottobre a Roma, in cui i Kaledon festeggeranno il ventennale, mi sono goduto una gran bella serata, in compagnia di una band ormai di valore assoluto. La scaletta seguita è stata la seguente:
- Tenebrae venture sunt
- The beginning of the night
- Eyes without life
- The two bailouts
- The end of the green power
- The angry vengeance
- Into the fog
- Holy water
- Surprise impact
- The evil witch
- The God beyond the man
- In search of Kaledon
- The new kingdom
Peggio per chi non c’era!
Steve Vawamas e la nuova versione di "Metalmorphosis"
Mercoledì, 03 Gennaio 2018 19:10 Pubblicato in Interviste
Il 2017 per gli Athlantis di Steve Vawamas è stato un anno proficuo con ben due albums pubblicati; eccoci con il mitico bassista ligure per un piacevole scambio di idee sul mondo della musica odierna.
D.: Ciao Steve e benvenuto sulle pagine di allaroundmetal.com! Il 2017 è stato un anno decisamente intenso per gli Athlantis con la pubblicazione di ben due album! Ci eravamo lasciati a fine maggio che non sapevi se “Metalmorphosis” avrebbe mai visto la luce ed adesso eccoci qua proprio a parlare della sua pubblicazione. Cosa è successo da maggio ad ora che ha cambiato le carte in tavola?
R.: Prima di tutto saluto te e i lettori di Allaroundmetal.com….e buon 2018!
In pratica mi sono reso conto che nel 2017 erano passati esattamente 10 anni dalla registrazione di Metalmorphosis e, sinceramente, mi era insopportabile il pensiero che un album di buon livello e suonato da grandi musicisti stesse in un cassetto a marcire… quindi mi sono deciso… ho preso il toro per le corna… e ho deciso di ri-regiatrare l’album per intero con un nuovo cantante e, invece di aspettare la casa discografica proprietaria del master del 2007, pubblicare il nuovo master con la Diamonds Prod che ha creduto nel mio progetto sin dal primo momento… e cosi, ecco subito realizzato il nuovo ma vecchio Metalmorphosis
D.: A proposito, ma alla fine ci puoi raccontare cosa è successo 10 anni fa che ha impedito la pubblicazione del disco all’epoca?
R.: Purtroppo a questa domanda non so come risponderti… .bisognerebbe chiedere al discografico proprietario del vecchio master…. una situazione inspiegabile… .uno ti paga un master in uno studio… investe nella tua band… .ma tiene il tuo master nel cassetto per 10 anni… e se non mi fossi deciso a ri-registrarlo non penso sarebbe uscito neanche nei prossimi 10 anni!!!
D.: Ci sono diversi ospiti nel disco, ce ne vuoi parlare?
R.: Dunque, in questo album troviamo Tommy Talamanca chitarra e tastiera, Alessandro Bissa batteria, io al basso, Alessio Calandriello alla voce… come ospiti abbiamo Trevor (Sadist) Roberto Tiranti e alla chitarra Stefanio Galleano (Ruxt)
D.: Personalmente adoro “Angel of desire”, forse una delle ballad più belle che ho ascoltato in questi ultimi anni. Tu hai un pezzo preferito tra gli altri ed, in caso positivo, per quale motivo?
R.: “Angel of desire” è proprio suonata da Stefano Galleano capo fondatore dei Ruxt dove milito in pieno… questo pezzo è uno che in fase compositiva sentivo molto e Stefano è riuscito a soddisfare le mie esigenze su tutti i fronti realizzativi… un pezzo che a me piace molto è “Resurrection”, molto significativo per quello che narra…. la rinascita ad uno stato di benessere con noi stessi e nei confronti di tutti coloro che ci circondano!!!
D.: Di cosa parlano i testi di “Metalmorphosis”?
R.: Cerco di riassumere il concetto….. per non dilungarmi troppo e non rompere il lettore….
Dunque…. questo album parla dei vari aspetti della follia… nei vari modi e motivi nei quali essa si manifesta….
L’amore perduto, la solitudine, gli incubi, nell’album sono presenti i vari stati d’animo peggiori che un uomo possa subire dal comportamento incondizionato della propria mente…. stati d’animo che inducono il personaggio in questione… Delian…. fino a condurlo al suicidio per raggiungere la pace interiore e la pace con ciò che lo circonda…. stati d’animo…. voler fuggire da tentazioni malate… solo la morte può far raggiungere il paradiso tanto ambìto da tutti noi… la pace, la serenità con noi stessi e con il mondo
D.: Personalmente adoro il sound di questo disco, molto più che non le vostre più recenti produzioni; nel prossimo lavoro degli Athlantis ci sarà spazio per questo sound più canonicamente power? A proposito, hai già composto qualche nuovo pezzo?
R.: Questa è una bella domanda…. Sai, io sono in continua fase compositiva…. ogni volta che mi metto a lavorare su un disco nuovo, non mi siedo li nel mio studio con l’intento di voler fare un disco power, hard rock, oppure heavy… io tiro giù sensazioni… quello che sento dentro…. la mia musica nasce cosi… viene da dentro e, tra un riff, o un giro di basso, o una melodia, esce quello che sarà un pezzo definitivo… i miei pezzi nascono cosi… poi vengono impreziositi dai vari musicisti che ne faranno parte…. come ti dicevo prima, sono sempre in fase compositiva…. avrei dischi pronti per altre 4 o 5 uscite….
D.: Che differenze ci sono, se ce ne sono, tra la copertina di questa edizione e quella che doveva esserci 10 anni fa?
R.: Allora: la copertina del vecchio album doveva essere la figura rappresentata nel quadro di questa copertina…… quadro che io ho in casa mia…. non potendo farla uscire come doveva essere, ma volendo comunque dare un senso a quella immagine del quadro, ho pensato di mettere me in copertina che ammiro il quadro in questione…. quindi sono riuscito a dare lo stesso un senso e richiamare quel che doveva essere in principio
D.: A proposito di artwork, ho notato che l’hai realizzato proprio tu. Adesso disegni anche copertine? Non è che ci diventi come Felipe Machado Franco che suona e soprattutto disegna un po’ per tutti?
R.: Non ho disegnato proprio niente, anche perché sono veramente un cane a disegnare… è semplicemente una foto di me stesso davanti al quadro….. niente di straordinario…..ahahahah!
D.: Ho notato che ci sono delle differenze nelle formazioni che hanno registrato i due dischi del 2017, quale dobbiamo tenere come attuale line-up degli Athlantis?
R.: Penso che gli Athlantis non avranno mai una line up fissa….. certo, alcuni musicisti si ripetono, perché con loro si lavora in armonia e serenità… ma la mia intenzione è quella di sperimentare sempre musicisti nuovi… nuove esperienze… la musica è condivisione ed è bello condividere le proprie idee con altri musicisti che mettono il loro saper suonare a disposizione, dando cosi vita a nuove emozioni…
D.: Cosa dobbiamo aspettarci nel 2018 da Steve Vawamas, tra le sue tante collaborazioni e progetti musicali?
R.: Sicuramente un nuovo Athlantis… sono già al lavoro… un nuovo Ruxt…… e anche li siamo già al lavoro…. e che lavoro… pensa è già pronto il terzo disco e già stiamo lavorando al quarto… ma non voglio essere io ad anticipare… lascio a Galleano questo compito…. poi forse i Mastercastle si metteranno al lavoro…. ma vediamo… carne al fuoco noi siamo sempre lì a metterla….
D.: Nella scorsa intervista ci avevi parlato di un tuo studio musicale personale, come procedono le cose?
R.: …Ho intrapreso questa nuova esperienza… e direi che i primi risultati iniziano a vedersi… tra demo di bands e dischi tipo Athlantis e Ruxt, sto iniziando ad entrare anche io in questo mondo maledetto che non ti fa fare più vita sociale…. ma una costante dedizione alla tua passione… la musica
D.: Sei sulla scena metal italiana da tantissimi anni, se un giovane bassista ti chiedesse un consiglio, cosa ti sentiresti di suggerirgli?
R.: Sai, io sono anche un insegnante e consigli ai miei allievi ne do tanti…. ma, fra tutti,quello che mi sentirei di dire a tutti i musicisti è questo: mettevi a fare musica propria, piantatela di fare cover di Vasco o di Ligabue o qualsiasi altra band…. se. da un lato. fare cover aiuta a studiare e ampliare la tecnica, la musica propria aiuta ad aprire la mente a mettere le proprie emozioni nero su bianco…quando suoni in una tribute band… non sei un musicista… sei un esecutore…. un musicista è colui che crea musica, non che riproduce ciò che ha creato un altro….
D.: La prima band con cui ti ho conosciuto come musicista ha il nome di “Shadows of Steel”, sei ancora in contatto con loro? Ci sarà mai la possibilità di un tuo ritorno, magari anche solo per una data live?
R.: Sono in contatto con tutti gli Shadows of Steel…. il primo amore non si scorda mai…. figuriamoci chi ne ha fatto parte…. io ho tanti progetti e mi bastano….. comunque se nel caso loro avessero bisogno di me… ci andrei volentieri…. perche no!!! La band adesso ha trovato un giusto equilibrio….. auguro loro tanta fortuna……
D.: Insegni musica in due diverse scuole private, secondo te cosa si potrebbe fare in Italia per migliorare la nostra cultura musicale, specie nel settore pubblico?
R.: Mi tocca essere ripetitivo……. finché siamo fossilizzati a fare cover o tributi…. avremo pochi musicisti e tanti esecutori…. la gente va ad ascoltare una band tributo…1….2….3… alla quarta si è già rotta le palle e allora perde interesse a seguire la musica…. questo è il mio parere nessuno me ne voglia…. nuove idee portano a nuove scoperte… e nuove scoperte e nuove idee portano a più interesse…. qui i locali chiudono… chiudono perché la gente non va a sentire gruppi…. perché i gruppi propongono sempre la solita cosa….. vogliamo mettere tributi a Vasco? Agli Iron Maiden? Agli AC/DC? Non ci sono più posti dove andare a suonare…. a suonare la tua arte, non quella di un altro…. e poi in Italia dobbiamo dare più spazio alla musica vera… purtroppo noi abbiamo un solo evento musicale che è Sanremo….. questa la dice tutta…. no? Questo porta a far si che nel settore pubblico… nelle scuole obbligatorie la lezione di musica è un’ora di ricreazione o un’ora per poter far casino… un po’ come l’ora di religione… quando ero alle medie io… il prof mi disse “ti do la possibilità di imparare a suonar la chitarra”…. io ero al settimo cielo…… adesso le cose non vanno cosi!!! Mia figlia suonava la diamonica…. fino a pochi anni fa… quindi…
D.: Credo di essermi dilungato anche troppo. Concludo ringraziandoti per la disponibilità e, come al solito, lasciandoti uno spazio libero a tua disposizione per aggiungere un tuo messaggio ai lettori di allaroundmetal.com
R.: Grazie a voi che mi date come sempre la possibilità di dire la mia…. per il supporto che date ai musicisti underground… che supportate la scena metal italiana e non…. ringrazio coloro che hanno avuto la pazienza di leggere tutto quello che ho scritto…. grazie di cuore per il supporto agli Athlantis e a tutte le band di cui faccio parte…. Stay Metal……..morphosis!!!!!