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Sono passati esattamente dieci anni dal primo disco dei SOEN, quel piccolo gioiellino incompreso a nome Cognitive, ed altrettanti dieci anni da quando il sottoscritto li vide per la prima volta in un Alcatraz milanese semi deserto (un pubblico davvero misero, per di più fronte palco piccolo) di supporto ai Paradise Lost. All’epoca il bassista Steve Di Giorgio era già uscito dalla band ma il quintetto che si presentò sul palco non si fece abbattere ed offrì uno show raffinato e di classe nonostante gli oggettivi richiami ai Tool e Opeth (a parere personale non erano così preponderanti) dimostrando un potenziale che sarebbe poi esploso in futuro.

Si ritorna quindi sul luogo del delitto ma stavolta in quel di San Donà di Piave (Venezia) al Revolver Club in occasione del nuovo tour di supporto al “recente” disco Imperial in compagnia di due opening act ovvero Ocean Hoarse dalla Finlandia e i Lizzard dalla Francia.

Si arriva di buon ora davanti al locale. Ancora pochi gli spettatori ma aumenteranno considerevolmente nel corso della serata, segno che il combo svedese è sempre più amato e supportato. Tempo di mangiare un boccone che iniziano i primi ospiti.

Gli Ocean Hoarse da Helsinki salgono sul palco del Revoler Club presentandosi però un po’ come dei pesci fuor d’acqua in quanto il loro heavy metal robusto ed arrogante è decisamente lontano dal mood della serata ma il quartetto non si fa intimidire e spara sui presenti un sound che ricorda i Judas Priest del periodo più ruvido (Jugulator), il thrash metal ottantiano degli Exodus ed anche una certa impronta melodico/alternativa. Il vocalist Joonas Kosonen aizza subito i presenti con pose continue da metalhead e tonalità vocali al vetriolo. La band è tecnicamente preparata soprattutto nella sezione ritmica dove basso e batteria offrono spunti funambolici decisamente intriganti. L’impatto è sicuramente roccioso e devastante però i brani del debutto Dead Reckoning non si lasciano ricordare offrendo solo tanta potenza metal ma senza un riff, una melodia o un ritornello che riescano a rimanere impressi nell’ascoltatore. I pochi spettatori presenti paiono comunque gradire ma onestamente non c’è molto da dire sugli Ocean Hoarse, band purtroppo povera di idee e quelle poche buone paiono vecchie nonostante la veste moderna.

Tempo di un veloce cambio palco per accogliere il trio chiamato Lizzard che si rivelerà essere la rivelazione della serata (per quasi tutto il pubblico presente). Chi scrive già li conosceva e ritiene l’ultimo disco Eroded una delle perle del 2021 e non nega di essere stato presente unicamente per loro. I tre francesi hanno alle spalle diversi dischi di valore ed anche il sound oltre ad essere di qualità ha la sua particolarità. Inquadrare il genere non è semplice. L’art rock venato di prog, di metal e di alternative anni ‘90 è solo una parte della complessità sonora sprigionata dai Lizzard. Il lavoro di chitarra di Mathieu Ricou è delizia per le orecchie per dettagli e potenza sciorinando riffs e melodie assolutamente imprevedibili dimostrandosi come un piccolo genio artistico. La sezione ritmica ad opera del bassista William Knox e della minuta batterista Katy Elwell è puro estro e raffinatezza. Quest’ultima pesta davvero come un’indiavolata ma senza mai dimenticare il groove e l’eleganza incitando i presenti e ricevendo parecchi consensi dal numeroso pubblico che non smette mai di applaudire e discutere della band appena scoperta (molti andranno al loro merchandise durante la serata). Lo show scorre intenso, delizioso e pesca dai diversi dischi della band vincendo la serata a mani basse con buona pace degli estimatori degli headliner che sarebbero arrivati poco dopo.

L’attesa per i SOEN si fa sempre più febbrile fra il folto pubblico desideroso di vedere all’opera i propri beniamini che si presentano fieri e desiderosi di offrire uno show degno di nota fondato però su delle scelte prevedibili ma discutibili. La band, nonostante diversi cambi di formazione (i soli fissi sono il singer Joel Ekelöf ed il batterista ex-Opeth Martín López) è compatta, precisa e con un livello tecnico sempre più alto ed indiscutibile. Andando al nocciolo della questione bisogna analizzare sound e setlist. Quest’ultima è quasi totalmente devota agli ultimi due dischi in studio, gli acclamati Lotus (“Lunacy”, “Martyrs”, “Covenant”...) ed Imperial (“Monarch”, Deceiver”, “Lumerian”, “Modesty”…) proponendo solo un paio di brani dalla vecchia discografia ossia “Savia” da Cognitive e “Jinn” da Lykaia. Lo show ha quindi un’impronta prog metal decisamente marcata mantenendo allo stesso tempo le parti atmosferiche che risultano sicuramente più incisive. Viene a mancare però quella verve particolare nata fra il bellissimo Tellurian a l’incompreso apice Lykaia decidendo di porre l’accento su di un sound potente ed immediato, più di facile assimilazione. Sia chiaro, Lotus rimane un ottimo disco, oggettivamente forse il migliore dei SOEN, mentre il successivo Imperial è la sua naturale prosecuzione e dal vivo risalta ancora meglio nonostante dei suoni non così buoni come ci si sarebbe aspettati. Lo show è stato ottimo, con una band ben integrata che sa intrattenere al meglio specialmente grazie ad una sezione ritmica precisa e fantasiosa ed un Joel alla voce addirittura maturato ulteriormente oltre che una scaletta lunga con ben tre bis. In definitiva è stato uno show con luci ed ombre ma che non ha deluso la maggior parte del pubblico e questo è ciò che conta. Resta però l'amaro in bocca per aver considerato pochissimo i vecchi lavori.

Dopo aver salutato i Lizzard ci si è dovuti affrettare per rientrare, data l’ora tarda, con degli ottimi ricordi della serata.

Pubblicato in Live Report

È sempre bello poter intervistare una band giovane e raccogliere i pareri sulla scena musicale moderna. Per questo è stato un piacere intervistare Juuso Soinio dei Battle Beast, chitarrista tra i membri fondatori, al Circolo Colony lo scorso 8 marzo. Buona lettura!

D. Ciao Juuso e benvenuto su Allaroundmetal.com! La prima cosa che volevo chiederti è: come va il vostro tour da headliner? Vi trovate bene con i Majesty e i Gyze?
R. Assolutamente, è un tour molto duro per date e viaggio, ma abbiamo già diversi concerti in sold out... Una cosa davvero sorprendente per noi! Oltretutto stiamo trovando sempre nuovi fan, sempre più calorosi sia per i Majesty che i Gyze che... Beh, per noi! *ridiamo*
D. È bello vedervi headliner: la prima volta che vi ho visti eravate di spalla a Sabaton e Delain. Com'è, oggi, essere la band più attesa e come sta rispondendo il pubblico ai pezzi del nuovo disco?
R. In realtà questo è il nostro secondo tour da headliner, il primo lo abbiamo fatto con Unholy Savior, ma devo confessarti, che paragonato a quello, questo è molto meglio! Abbiamo un po' più di cianfrusaglie tecniche rispetto all'ultima volta, e anche il budget è più grosso. Tutte queste cose, inclusa la crew, sono molto meglio: sommato anche il fatto che molti show sono sold-out direi che per noi è tutto un buon segno.

D. Penso anche che molto sia dovuto a Bringer of Pain, che ho trovato un disco davvero eccellente sotto molti punti di vista. Cosa è cambiato per voi dopo l'ultimo album, oltre, ovviamente, al chitarrista solista?
R. Si, il nostro chitarrista è cambiato, ma anche il songwriting e tutta la struttura della band è cambiata: ognuno di noi ha fatto qualcosa per questo album, Janne, il nostro tastierista, ha finalmente aperto il suo studio personale dove registriamo le nostre cose, con una qualità molto alta perché ora è un vero professionista. Secondo me la produzione è migliorata parecchio rispetto ai nostri album precedenti: ognuno di noi è riuscito a mettere qualcosina in più di sé stesso. Non dovrei dirlo, ma in quando musicista sono felicissimo del nostro lavoro!
D. Penso anche io che il disco sia molto bello, soprattutto perché si sente come vi siate divertiti a scriverlo. Ma cosa ha portato in più Joona al sound dei Battle Beast?
R. Tantissimo. Penso che sia comunque la persona che ha più preparazione in termini tecnici dal punto di vista musicale. In Finlandia è addirittura diplomato in una delle migliori università su questo tema! Ne sa parecchio, ma ha anche una grande esperienza maturata insieme ai Brymir, l'altro gruppo che ha insieme a Janne. Quindi è un ottimo elemento sia per quanto riguarda la registrazione di un disco che per tutto il resto: sicuramente ci ha portato moltissima conoscenza e preparazione in tutti gli strumenti. Molte delle canzoni che ci sono sul disco nascono dai suoi riff, quindi penso che il suo ingresso nella band sia stato assolutamente positivo.

D. Un'altra cosa che ho notato di Bringer of Pain è che non vi vergognate assolutamente di essere pop: avete addirittura messo una canzone come Dancing With The Beast verso la fine del disco! Per questo volevo chiederti: pensi che a volte i metallari si prendano troppo sul serio con menate tipo "Aaaah il metal deve rimanere trve e poco contaminato"? *ridiamo*
R. Penso che in qualunque campo o ideologia alcune persone prendano le cose troppo seriamente. Noi invece pensiamo che sia meglio la via di mezzo, soprattutto nell'arte dove ci vuole sempre un riciclo di idee. Parlando appunto di Dancing with the Beast: ti assicuro che ci abbiamo pensato parecchio prima di decidere se metterla o meno, ma penso che alla fine abbiamo fatto bene perché come traccia ci sta benissimo. Insomma, mettendo solo pezzi metal durissimi gli altri non avrebbero svettato così... Con pezzi come King for a Day o come Dancing with the Beast almeno gli altri pezzi sembrano ancora più duri! *ridiamo* Quindi, in breve, se c'è gente che si prende troppo sul serio sono affari loro: noi facciamo così!
D. Avete rilasciato due video, uno di questi mi ha particolarmente colpito: ci parli di Familiar Hell e del perché l'avete resa in quel modo?
R. La canzone è scritta da Janne, e il testo è un po' politico... Nel senso che spesso capita che le persone camminino attraverso la loro vita con gli occhi chiusi, senza vedere cosa c'è all'esterno. Il senso è che la protagonista del video, prima di svegliarsi, vive la sua vita secondo degli standard a cui è attaccata e che le sembrano sicure: vive un familiar hell quando all'esterno potrebbe esserci un outer heaven. Poi il concetto è rimarcato da come molti si rifugino nella vita sui social. Alla fine del video la protagonista, che poi sarebbe Noora, rompe le catene e comincia una nuova vita.

D. Dal tuo punto di vista come chitarrista, cosa è stato per voi avere firmato un contratto con la Nuclear Blast?
R. Questa è una bella domanda: con il mercato di oggi molti si affidano allo streaming e pubblicano loro stessi la loro musica, senza curarsi di avere un'etichetta, che diventano via via sempre più... Indefinite. Ma, per noi, come molte metal band, l'etichetta è importante per questioni come la stampa del disco, i contatti e l'organizzazione dei tour con le altre band... Ma soprattutto per il marketing per cui hanno un bel budget. Secondo me è su questo che avere l'etichetta è importante: i nostri canali di marketing sono piccolini, ma con loro ora ci conoscono in tutto il mondo! Dal punto di vista della produzione loro ci hanno semplicemente dato il budget e ci hanno detto "Fate un bel disco" *ridiamo* Alla fine gli abbiamo mandato il master ed eravamo tutti preoccupati... Quando ci hanno risposto "Bel lavoro" eravamo felicissimi. La NB si comporta molto bene con noi, ci aiuta a lavorare e ci lascia campo libero sul songwriting!
D. Ultima domanda: i Battle Beast sono una band "giovane", quale sarebbe il palco su cui più di tutti vorresti suonare?
R. Se ci penso così al volo l'unica cosa che mi viene in mente è la Wembley Arena di Londra! O il Rock in Rio... Sarebbe la cosa più bella che posso immaginarmi ora. Oh insomma, la più grande che ci sia! *ridiamo*
D. Ti ringrazio Juuso, spero che il vostro sogno di suonare in una arena gigante si possa avverare!
R. Ci spero anche io, grazie mille!

Potete leggere il report della serata a cura del nostro Federico cliccando qui.
Gallery fotografica del concerto cliccando qui.

Pubblicato in Interviste

Ivano Spiga: una passione "underground"

Mercoledì, 08 Marzo 2017 14:58

Crescere è una brutta storia: gli impegni lavorativi ti impediscono di coltivare le tue passioni, senti le responsabilità crescere e il mondo farsi sempre più soffocante... Per fortuna esiste la musica, ultimo momento di evasione rimastoci su questa brutta terra. Ivano Spiga, mastermind degli Holy Martyr, incarna perfettamente lo spirito di chi, nonostante tutto, porta avanti la sua passione mettendoci anima e cuore; per questo è stato un piacere intervistarlo via telefonica sull'ultima fatica della band: Darkness Shall Prevail, in uscita il 10 marzo per Dragonheart Records, della quale trovate qui la mia recensione.

D. Ciao Ivano e grazie per la telefonata. Sono un po' emozionato a telefonarti perché lo dico senza peli sulla lingua: gli Holy Martyr sono uno dei miei gruppi epic metal preferiti...
R. Ahahahah, mi ricordo che hai lasciato dei commenti anche sulla pagina facebook prima che uscisse il disco!
D. Ahahah ecco, speravo non ti ricordassi! *ridiamo* comunque, venendo all'intervista vera e propria... Ho ascoltato Darkness Shall Prevail e ti confesso che sono rimasto un po' spiazzato. Avevo capito che saresti tornato alle origini dell'epic metal con questo disco, però ero anche curioso di sapere come avresti coniugato questo stile con quello che siete stati prima. La prima domanda che ti faccio, quindi, è proprio questa: come mai hai deciso di tornare alle origini del sound degli Holy Martyr?
R. Beh, penso che non sarai l'unico a rimanere spiazzato, anche se spero alla fine ti sia piaciuto. In effetti, dopo Invincible sentire canzoni di questo tipo è un po' strano, persino io sono rimasto spiazzato in alcuni punti. Considera che comunque avevo altre idee prima di fare queste canzoni, più sullo stile dell'album precedente, non certamente così. Ad un certo punto, però, quando è venuta fuori Taur Nu Fuin mi sono ritrovato questa atmosfera cupa e ho deciso di buttarmi a capofitto in un concept su Tolkien, o almeno sulle sue tematiche secondarie. Quindi, per forza di cose, è subentrata una diversificazione rispetto ad Invincible che doveva adattarsi all'atmosfera dei suoi libri piuttosto che seguire la scia dei nostri vecchi dischi. Quindi, riascoltando magari anche le bozze, sono rimasto stupito confrontandole col nostro passato: "com'è possibile che siano così epic/doom?", non ho nemmeno ascoltato io questo tipo di musica per ispirarmi! Evidentemente, quando scrivi qualcosa di questo genere basandoti su Tolkien sei più portato verso questa direzione. Secondo me non siamo solo tornati alle nostre origini, ma siamo diventati anche molto più epic metal: fin'ora gli Holy Martyr sono sempre stati un misto di heavy e di epic, mentre qui siamo epic al 100%. Da una parte è una cosa che mi fa piacere: è stata una casualità e una cosa del tutto naturale.

D. Infatti la prima cosa che mi è venuta in mente vedendo la copertina sono stati i Cirit Ungol!
R. Ahah, in effetti si sente molto l'atmosfera di Cirith Ungol e Manilla Road, anche se mentre componevo l'album, come dicevo prima non li ho ascoltati! Insomma siamo diventati una sorta di gruppo con questa tendenza. È diverso dagli altri tre dischi, e al quarto possiamo permetterci di essere un po' diversi.
D. Come mai, dopo romani, spartani e samurai hai deciso di scrivere un concept su Tolkien?
R. La risposta è abbastanza semplice: sono sempre stato un suo fan, ero già un nerd nei primi anni 90! Mi è sempre piaciuta l'idea di fare qualcosa su di lui, anche se come ben saprai tra la fine anni 90' e l'inizio 2000 l'argomento era piuttosto banale o comunque inflazionato tra Blind Guardian e Peter Jackson. Per questo motivo, gli Holy Martyr più che parlare di fantasy si sono concentrati sulla storia vera e propria parlando di Romani e Greci. È stata una casualità che le cose siano andate così: stavo rileggendo i libri e giocando a un rts (gioco di strategia basato su visuale dall'alto dove si muovono truppe su un campo di battaglia nda.) dal titolo "The Battle for Middle-Earth". Mi sono detto: "Perché non provare a fare un pezzo?"... e poi ne è uscito un concept intero. Diciamo che secondo me è stata la scelta migliore e anche il momento giusto, visto che per fortuna i media e le persone non ne parlano più come prima. Quindi ho realizzato un piccolo desiderio e spero di averlo realizzato bene! Posso anche anticiparti, notizia di poco fa, che siamo stati invitati al Tolkien Day di Roma perché uno degli organizzatori è così entusiasta che ci vuole a tutti i costi durante la serata.
D. Compro già il biglietto! *ridiamo*
R. Ahahahah! Magari! Comunque siamo stati contentissimi di ricevere un invito così importante da una associazione così seria. Quindi penso che il disco sia piaciuto.



D. Sempre a proposito del concept: si tratta di una storia unica o sono episodi slegati del mondo di Tolkien?
R. Immagino che tu non abbia avuto modo di leggere i testi purtroppo... Comunque è molto meno confusionario questo che quello sui spartani. Si tratta di un concept cronologico e atmosferico: si parte con Númenor, l'isola dei Dúnedain che erano fedeli agli elfi, parlando di quanto fossero orgogliosi e decadenti. Da lì i numenoreani si spostano nella Terra di Mezzo e arriva l'oscurità, con la battaglia tra Sauron e l'Ultima Alleanza. Subito dopo c'è Dol Guldur, il primo luogo dove lo spirito dell'antagonista si rifugia dopo la caduta; si passa poi a Darkness Descend/Taur Nu Fuin, dove si parla della distruzione di Bosco Atro, poi Minas Morgul, il luogo dove grazie ai 9 dell'Anello Sauron si trasferisce, insieme al Re degli Stregoni di Angmar, con la canzone omonima. L'unica parentesi è quella di The Dwarrowdelf, dove si parla di Moria, tramite alcuni frasi specifiche... Che adesso non ricordo *ridiamo*: si parla di sale vuote infestate da orchi e troll, di qualcosa che un tempo era grande e che ora non lo è più. Ho voluto inserire quest'ultimo pezzo perché penso sia importante per comprendere appieno la corruzione del male... E poi non parlare dei nani in Tolkien è come la pizza senza la birra! *ridiamo* La traccia "particolare" è Born of Hope, che si ricollega alla prima canzone parlando di Arathorn II, il padre di Aragorn, e ai raminghi dunédain che stavano al nord. C'è su youtube un fan film dal titolo Born of Hope che parla proprio della sua morte avvenuta mentre il figlio stava nascendo: insomma si ricollega alla prima perché si parla sempre del cerchio della speranza in Tolkien, quando l'oscurità avvolge tutto: speranza, in questo caso, rappresentata dal figlio del Re. Quindi, se lo leggi con questa ottica il concept funziona benissimo, magari con le liriche si capisce meglio!
D. Tranquillo, avevo letto il Silmarillion anni fa quindi qualcosina me lo ricordo *ridiamo*. Quello che mi salta alla mente però è come tu ti sia concentrato più sull'aspetto del male in Tolkien che sul resto.
R. Si, il lato oscuro di Tolkien!

D. Venendo a cosa un po' più pratiche: come è stato lavorare con i vostri due nuovi acquisti, cioè Stefano Lepidi alla batteria e Paolo Roberto Simoni alla chitarra solista?
R. Stefano ci vide anni fa al Play it Loud, pensa che quando gli chiesi se voleva suonare con noi lui pensava di finire in una cover band degli Holy Martyr! *ridiamo* Comunque è stata la persona giusta al momento giusto: le canzoni e le liriche le ho scritte io, però l'influenza di Stefano si sente benissimo. Mentre Daniele Ferru era più dinamico, Stefano è più dritto e estroverso, gli piacciono i groove particolari, cosa che riesci a sentire in questo disco. Spesso e volentieri il drumming è elegante e particolareggiato: di sicuro la sua forza è meno heavy, ma ha dato qualcosa di più rispetto ai vecchi dischi. Paolo invece è riuscito a realizzare molti degli assoli del disco in pochissimo tempo: se ti soffermi e li senti ti accorgi che c'è qualcosa che nei precedenti dischi non trovavi... Sono quasi più "di classe", con uno stile più elegante. Questi due fattori, ma con un songwriting diverso, hanno creato un disco nuovo: si sente che siamo sempre noi, ma un po' diversi.
D. Sono d'accordo, anche perché penso che molte parti del disco siano quasi lirico/operistiche, soprattutto gli assoli.
R. Esatto! Oltretutto, non so se l'hai notato, ma Dol Guldur ha una parte centrale dichiaratamente ispirata a Morricone: sono cose in più che non ero mai riuscito ad inserire nei vecchi dischi. Te lo dico anche se non me l'hai chiesto perché ci tengo!

D. Immagino che sia stato emozionante riprendere in mano la penna per scrivere nuovamente musica per gli Holy Martyr!
R. Eheheh, certo! Diciamo che non mi sono mai fermato nello scrivere musica. Farlo però con questa ispirazione è stato emozionante... Mentre sentivo il mix finale mi sono quasi commosso! E poi dopo tanto tempo è una soddisfazione poter scrivere qualcosa di nuovo. Ora spero che venga accolto bene dai nostri fan... Prima di tutto faccio quello che piace a me, poi mi auguro che lo apprezzino anche gli altri!
D. Beh, ti posso assicurare che a me sta piacendo! *risate* È sicuramente un disco che va ascoltato più volte, mi viene in mente quando sentii per la prima volta i Candlemass o i Cirit Ungol: ci misi tempo ad entrare nel "mood". Se dovessi usare un aggettivo per descrivere Darkness Shall Prevail direi "solenne", perché molte atmosfere hanno proprio quel tiro... Poi non so cosa ne pensi tu!
R. Beh, solenne ed arcano allo stesso tempo... Se leggi le lyrics ti accorgi che pezzi come Witch King of Hangmar è un pezzo epic metal al contrario: di solito si parla di eroi buoni... Mentre qui parliamo dei cattivi! Non ci vedrei mai un gruppo come i Blind Guardian a fare una cosa del genere. Un tuo collega giornalista ci ha persino definiti "la risposta epic-doom" al power metal a tema Tolkien! Secondo me ci può stare...
D. Anche perché secondo me Darkness Shall Prevail dà un'altra chiave di lettura dell'universo tolkieniano, quella in cui bene e male sono due assoluti.
R. Leggendo i libri percepisco sempre questa cosa: Sai che vincerà sempre il bene, ma la descrizione del male è così assoluta e particolareggiata che a volte ti viene persino il dubbio che Tolkien patteggi per esso! Prendi solo la fine del Signore degli Anelli: Frodo riesce per caso a distruggere l'anello, nonostante la corruzione del male avesse già iniziato a distruggerlo da dentro. Sono sempre due poteri che vanno di pari passo e lasciano un senso di inquietudine nel lettore.

D. A quale episodio si ispira il disegno in copertina? E chi l'ha realizzato?
R. Allora, la copertina è stata disegnata da Camilla Palazzese, una disegnatrice abruzzese che ho tormentato per diversi mesi... *ridiamo* più che altro volevo che non ci fossero rimandi all'universo tolkieniano o a altri interpreti dell'opera dello scrittore. In realtà c'è un episodio di Tolkien a cui è vagamente ispirato: la distruzione del Regno di Arnor, che è ricollegata al Re Stregone di Angmar. Mi interessava questo evento perché quel regno, da cui poi provengono i raminghi, era uno degli ultimi bastioni di speranza nella Terra di Mezzo, per questo dà anche il nome all'album: Darkness Shall Prevail, prima o poi il buio trionferà. Fa proprio capire che in quel momento il male vince e non c'è luce. In Tolkien questa cosa è importantissima perché ti fa capire come i numenoreani finiro per diventare degli esiliati, come in quel periodo non ci fosse la speranza. Un'altra curiosità di questa copertina sono i personaggi con le corna: si tratta in realtà di maschere pagane della tradizione sarda provenienti dagli albori del tempo... Diciamo che è un omaggio alle nostre origini.

D. L'album è stato distribuito da Dragonheart Records, ma avete avuto anche un produttore o vi siete completamente autogestiti dietro al mixer?
R. Diciamo che ci abbiamo messo molto le mani. Il produttore è Andrea Maceroni, che abbiamo coinvolto durante le registrazioni che abbiamo effettuato a Rieti. Probabilmente è un bene, perché non è prodotto come gli altri: chitarre in primo piano, molto vintage, con un master non sparato come nelle produzioni moderne. C'è un fattore di attitudine molto anni 80'.
D. Uscirà anche in vinile, vero? *ridiamo*
R. Enrico Paoli mi ha appena scritto che è in stampa, uscirà magari un po' più tardi rispetto al cd!
D. Venendo a cose più terra terra: ho visto che terrete un unico show a maggio, all'Up the Hammers Festival. Ci sarà però la possibilità di rivedervi in giro per l'Italia?
R. Mi auguro di si! Se l'album è piaciuto tanto ai giornalisti che mi hanno intervistato mi auguro anche che la gente voglia rivederci dal vivo, quindi vediamo magari di appianare la distanza tra di noi, perché alcuni stanno nel centro Italia, altri a Milano. Mi auguro di suonare un po' ovunque, vorrei rivedere parecchi fan e capire come prendono i pezzi dal vivo!

D. Visto che mi piace fare spesso domande di carattere generale volevo chiederti questa cosa: spesso, nei post su facebook, definisci gli Holy Martyr una band "underground". Oggi, secondo te, che significato ha questa parola?
R. Beh, significa non essere gli Iron Maiden o i Metallica! *ridiamo* Quindi un piccolo gruppo che non vive di musica. Per me fare una demo non è diverso da fare un disco, è sempre una cosa che richiede moltissimi sacrifici. È vero, abbiamo tanti fan in giro per il mondo, però non siamo la band che vive di musica... È difficile se devi lavorare e hai poco tempo da dedicare alla band. Pensa che molti testi mi venivano al lavoro e dovevo scriverli prima che mi passasse l'ispirazione! Magari finivo addirittura di scrivere all'alba... Comunque questo per me è underground: suonare per passione senza guadagnare niente. È un'attitudine, come potevano essere gli Iron Maiden di The Soundhouse Tapes. Poi capita anche che una band underground, suonando più per passione, faccia le cose più semplici e quindi più immediate, risultando persino meglio di un gruppo famoso!

D. Abbiamo quasi finito: volevo riportarti una frase che mi disse Wolf Hoffmann degli Accept quando lo intervistai 3 anni fa. Alla domanda "Ascolti ancora qualcosa di metal?" lui mi rispose che non ascoltava più nulla dagli anni 80', anzi, solo musica classica. Cosa ne pensi di una cosa simile? I cambiamenti della scena influenzano anche un musicista come te o pensi di aver comunque mantenuto l'integrità della tua arte nonostante gli anni?
R. L'avevo detto anche ad inizio intervista: per questo disco non ho ascoltato nulla. Per un anno e mezzo abbondante non ho voluto né ascoltare né suonare niente. La maggior parte dell'ispirazione è venuta fuori proprio scremando tutto, rimanendo solo con la mia voglia di scrivere. Si beh, magari le influenze poi escono fuori perché ti arrivano dal passato, ma sono più tue perché non fai un copia-incolla. Al lavoro mi porto sempre l'mp3, anche a me piace la classica, della quale trovi molte influenze nei nostri dischi, soprattutto in questo: in The Dwarrodelf secondo me si sente molto. Comunque i miei generi preferiti restano sempre l'heavy metal e il prog anni 70'. Ultimamente comunque sto ascoltando solo Darkness Shall Prevail perché devo impararmi i pezzi, e poi alla fine è il mio genere di riferimento!

D. Per chiudere volevo chiederti se avete in mente qualche progetto particolare post-album, anche tu in primis come musicista.
R. Contando che ho fatto praticamente tutto da solo per questo disco non so quanto avrebbe senso un album solista! *ridiamo* Ti posso dire che ho molte idee che penso siano molto interessanti e che sono rimaste indietro. Insomma, spero di ricominciare a scrivere più spesso anche con questi riff che ho coltivato nel tempo. Vedremo un po' cosa succederà.
D. Comunque Darkness Shall Prevail mi sembra un ottimo punto di ripartenza dopo questi anni di silenzio.
R. Sicuramente, fermarmi per un po' mi ha fatto bene e sono contento che le persone colgano i risultati. Non dico che ho praticamente un altro disco già pronto ma quasi!
D. Eh, il problema è che si hanno sempre mille idee ma poco tempo! *ridiamo*
R. Esatto, hai colto lo spirito underground!

D. Siamo alla fine Ivano, grazie per questa intervista e speriamo di rivederci presto!
R. Grazie a te, speriamo a un live...
D. In caso facciamo un bel pulmino per il Tolkien Day a Roma! *ridiamo*
R. Ahahah, magari! Grazie mille a te!
D. Ciaoooo!

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Come avrete avuto modo di leggere nel live report, la data dei Grave Digger per me non è stata una iniezione di adrenalina solo per il concertone che il combo teutonico ha portato di fronte a un branco di crucchi sfasciati a birraccia. Infatti, nel pomeriggio di quel 27 gennaio, io e il mio amico Roberto di Metalforce abbiamo avuto modo di fare una intervista condivisa a colui che è la colonna portante degli scavatori: Chris Bolthendahl. Mi era già stato anticipato che tipo di personaggio mi sarei trovato davanti da racconti e aneddoti, ma devo dire che Chris è prima di tutto un grandissimo professionista, che non si è risparmiato anche qualche lingua avvelenata nei confronti di certi esimi colleghi...

Roberto: Ciao Chris, grazie per la disponibilità. Ho recensito il vostro ultimo album Healed by Metal e l’ho trovato fedele al vostro vecchio stile sia musicalmente che per le tematiche trattate. Cosa puoi dirci su questo vostro ritorno alle origini?
Chris: Ciao ragazzi! Cos’è una canzone dei Grave Digger? Un guitar work semplice e di impatto unito a un ritornello epico magari condito da cori trascinanti, ed è esattamente ciò cui abbiamo pensato nella realizzazione di questo album. Abbiamo scritto molti concept in passato e dopo lo speciale Exhumation ci siamo resi conto di quanto la nostra proposta si fosse man mano variegata nel tempo. Avevo in mente la semplicità che caratterizza i primi anni della nostra carriera e volevo tornare a esprimere questo concetto nel nuovo lavoro

Dario: Ascoltando l’album e vedendo l’attuale situazione della scena musicale si può dire che sia in atto una sorta di riscoperta delle sonorità heavy metal anni 80’. Cosa ne pensi? Ritieni che possa essere una buona occasione per far avvicinare ulteriormente le nuove generazioni a questo genere?
C: Sicuramente sì ma non è il nostro caso. Io ho sempre puntato a proporre la musica dei Grave Digger per quello che è: fornire all’ascoltatore una qualità sonora ottimale e dei brani di rilievo. Sarei contento se qualcuno dovesse avvicinarsi al metal vecchia scuola tramite “Healed by Metal” ma non ritengo sia il mio obbiettivo come musicista. Insomma, basta pensare alle varie band che hanno raggiunto l’apice negli anni 80’; spesso la semplicità era alla base del prodotto e anche questo ha permesso alle canzoni di invogliare gli ascoltatori a riprodurre più volte gli album o i singoli brani. Quindi direi che ora come allora il mio scopo è questo.

R: Essendo che per il nuovo album avete deciso di puntare sulla semplicità tipica dei vostri primi lavori, credi vi capiterà mai di riproporre un concept particolare? Prima ad esempio si è ipotizzato come risulterebbe un album dei Grave Digger basato sulle tematiche di Lovecraft. *ridiamo*
C: Ahahah sarebbe sicuramente interessante. Comunque non saprei sinceramente, scrivere le canzoni di Return of the Reaper è stato abbastanza semplice così come del suo predecessore che era, come ricordate, un concept sulla mitologia greca. Dipende tutto dall’ispirazione del periodo in cui decidiamo di approcciarsi alla stesura del nuovo album. Ho qualche idea al momento ma, per ora, credo di poter dire che non va in quella direzione.

 

D: Parlando del tour. Ormai non vi fermate dallo scorso ottobre, ovvero da quando è iniziato il tour con i Blind Guardian. Come sta procedendo il tour di Healed by Metal?
C: Abbiamo molte date fissate sia in location singole che ai grandi festivals e, per come intendiamo noi l’identità di un musicista, credo che passare molto tempo in tour sia impegnativo ma nel contempo molto divertente e rilassante; anche perché permette di sfogare lo stress accumulato durante le registrazioni, che non rappresentano mai una fase semplice per i Grave Digger. Oltretutto mi piace sempre vedere come reagiscono i fan di vecchia data alle nuove canzoni e nel contempo come si comportano i nostri estimatori più recenti e giovani; fino ad ora devo dire che il risultato è stato più che positivo.

R: Siete sempre stati un gruppo da festival e nella vostra lunga carriera avete calcato i palchi di molti eventi importanti. Avete in programma di visitarne qualcuno anche quest’anno? E se dovessi citare la tua migliore esperienza a un festival quale citeresti?
C: Sì suoneremo di nuovo al Wacken open air, per il quale c’è in programma qualcosa di speciale, al Rock Hard festival sempre in Germania e al Battlefield metal festival nel vostro paese. Inoltre abbiamo anche un tour in Sudamerica previsto per la fine di marzo. Abbiamo davvero un bel calendario davanti! La miglior esibizione a un festival ritengo sia sicuramente quella tenutasi al Wacken open air nel 2010 per la riproposizione dell’intero album “Tunes of War”. Ci siamo divertiti, abbiamo avuto un bello special guest come i Van Canto e Hansi Kursch e tutto è andato esattamente nel modo giusto. Mi son sentito realizzato come poche volte nella mia carriera.

D: A tal proposito: riproporrete mai qualcosa di simile? Vuoi per un tour o per una singola data anche se non necessariamente in grande come a Wacken.
C: A dir la verità al prossimo Wacken come vi dicevo abbiamo in mente di proporre qualcosa di speciale: dal momento che è prevista una esibizione basata principalmente sulla nostra cosiddetta Medieval trilogy. A parte ciò per ora ci concentriamo sulla promozione del nostro nuovo album. Magari per i nostri quarant’anni di carriera penseremo a qualcos’altro di speciale per voi fan.

R: Negli ultimi anni i Grave Digger son stati una delle prime band a riprodurre un album iconico nella sua interezza in occasione di una data o di un intero tour. Oggi invece si può dire che sia quasi una moda basare un intero seppur breve periodo della propria carriera su un revival simile. Tu che ne pensi?
C: Sinceramente la ritengo un’operazione più che gradevole e trovo non ci sia niente di male poiché è un modo come un altro di fare un po’ di sano fan service e anche di rispolverare magari un album cui la band in questione è affezionata in particolar modo. Noi stessi in un futuro potremmo riprendere in considerazione una manovra simile; magari per l’album Heart of Darkness che è uno dei miei preferiti in assoluto.

D: Tornando al discorso del revival dell’heavy metal classico. Ultimamente è sempre più frequente imbattersi in giovani realtà dedite a un genere se non addirittura uno stile prettamente old school: quella che oggi viene etichettata come “new wave of traditional heavy metal” o “new wave of true metal”. Qual è la tua visione di queste nuove proposte?
C: Mah, alla fine è una scelta come un’altra per intraprendere una carriera musicale. Personalmente non ritengo di approvarla sempre perché comunque non bisogna dimenticarsi che siamo nel 2017 e non negli anni 70. Sicuramente a livello di songwriting anche tra queste giovani leve ci sono davvero degli ottimi musicisti che propongono il genere in modo impeccabile e adeguatamente modernizzato a livello di produzione pur rimanendo musicalmente old school e in linea con le proposte di quegli anni. Dall’altra parte però esiste chi per dimostrare chissà cosa ancora oggi ostenta un atteggiamento “vecchia scuola” tramite stili di registrazione obsoleti e per me fuori luogo, con dei suoni registrati a nastro o qualcosa di simile. Io personalmente, se devo ascoltarmi una band moderna, anche se magari old school come genere, mi aspetto una produzione adeguata e al passo coi tempi; a me piace molto anche il metodo digitale ma è indispensabile, è una questione soggettiva. Se loro vogliono definirsi “new wave of true metal” noi ci definiamo “new wave of old metal”. *ridiamo*

R: Secondo te cosa dovrebbe cambiare nella mentalità dei giovani musicisti e in generale nella scena metal mondiale per permettere al genere di avere un futuro roseo?
C: Quello che dovrebbe cambiare in generale nella mentalità degli esseri umani oggi giorno. Viviamo in un periodo difficile dove la gente è diventata egoista e pensa solo a imporre se stessa anche a discapito degli altri. Non è certo una novità ma anche con la questione del terrorismo e con le maggiori potenze del mondo sotto il comando di individui come Trump direi che raggiungiamo livelli non da poco. Per le giovani band vale la stessa cosa: pensare meno alla competizione e cercare di essere uniti nella diffusione del proprio genere musicale preferito, indipendentemente dal successo. Mentre le band più navigate dovrebbero fornire il buon esempio e diffondere musica di qualità nei limiti del possibile nonostante gli anni, senza adagiarsi troppo su quanto fatto in passato.

D: A proposito di giovani band: tu hai collaborato di recente con gli Orden Ogan nel brano Here at the End of the World. Cosa ne pensi di loro? Ti sei trovato bene?
C: Certo! Sono rimasto in contatto con loro dopo che ci avevano accompagnato nel tour di The Clans Will Rise Again e mi sono rivolto a loro anche per le backing vocals di Return of the Reaper. Sono davvero un’ottima band e delle persone molto gradevoli con cui spero di collaborare ancora in futuro.

R: I Grave Digger sono ritenuti una delle band principali dell’heavy metal teutonico. Si può dire che insieme ai Rage e i Running Wild rappresentiate una delle triadi più amate del vostro genere: anche loro di recente, con gli ultimi album, sono tornati su uno stile vecchia scuola e metal al cento per cento: i Rage con una proposta violenta e quasi thrash con The Devil Strikes Again e Rolf con un ritorno al suo stile caratteristico quale si è rivelato Rapid Foray. Che opinione hai tu su questi tuoi colleghi?
C: I Rage sono davvero una grande band ora come ai tempi; Peavy è una brava persona che inoltre ha comunque sempre seguito la sua passione mai persa per il genere che suona da più di trent’anni e per questo merita grande rispetto e credo, per citare ciò che dicevamo prima, possa essere un’ottima ispirazione per le nuove leve. Rolf invece ammetto che fatico a prenderlo sul serio ora come ora *scoppiamo tutti a ridere*. Per quanto ci sia indubbiamente qualità nel suo ultimo lavoro ritengo che abbia poco a che fare con l’heavy metal dal punto di vista soprattutto dell’attitudine e della passione; anche lui come altri è tornato sulle scene dopo aver annunciato ormai otto anni fa di voler smettere e dopo un periodo mediocre ha dato ai fan quello che volevano con canzoni gradevoli ma, per me, del tutto prive di quel fuoco interiore che dovrebbe caratterizzare un musicista heavy metal. Ribadisco, mia personalissima opinione.

D: Ricordo quando qualche anno fa in un vostro disco fu inserita una lunga intervista a proposito della storia dei Grave Digger. Avete in mente di riproporre qualcosa di simile magari in un libro o in un’altra intervista?
C: Ricordo che fu molto divertente poiché un tempo io e i ragazzi bevevamo molto e c’erano quindi molti aneddoti anche divertenti da raccontare *ridiamo*. Ti dirò che invece negli ultimi anni mi sono dedicato esclusivamente a produrre e realizzare musica e ho condotto una vita tutto sommato tranquilla quindi, sinceramente, in un’ipotetica biografia l’ultimo periodo si potrebbe riassumere in neanche dieci pagine *ridiamo*, d'altronde nel tempo libero gioco a golf e alleno la squadra di calcio di mio figlio...
D: Li motivi con le canzoni dei Grave Digger?? *ridiamo*
C: Ahahahah certo! Comunque per una biografia completa al momento non ci sono piani. Si vedrà in futuro.

R: Ricollegandoci a quanto detto prima. Cosa ne pensi di quest’altra moda diffusa tra le band più navigate che annunciano un ultimo tour con relativo scioglimento per poi fare prontamente dietrofront come fece appunto lo stesso Rolf a suo tempo?
C: C’è poco da dire sinceramente: il giorno che i Grave Digger annunceranno un ultimo tour sarà l’ultima volta che avrete occasione di vederli dal vivo. Non riesco proprio a prendere sul serio la scelta di certi musicisti che prima fiutano il guadagno facile annunciando un tour d’addio per poi accorgersi di avere il portafoglio vuoto e riformarsi prontamente *impossibile non ridere per il modo in cui lo ha detto*. Non ho interesse quindi nelle dichiarazioni di scioglimento dei vari Black Sabbath, Judas Priest, Scorpions eccetera. Attendo però con trepidazione di conoscere i piani per l’ultimo tour e successivo secondo ultimo tour dei Manowar; sarà senz’altro interessante *sarcasmo evidente, ridiamo*. Si spera che ad esempio i Twisted Sister terminato l’ultimo tour mantengano l’impegno come dichiarato. Lo dice il nome stesso ULTIMO tour *ridiamo ancora*.

D: Per chiudere: ti capita mai di riuscire ad ascoltare qualcosa di nuovo della scena musicale?
C: Confesso che passando la maggior parte del mio tempo con la mia famiglia o facendo sport ho poco tempo per dedicarmi all’ascolto di nuove proposte. Però sicuramente tramite i tour e le esperienze live si entra in contatto con ottime band come ad esempio i Mystic Prophecy che ci stanno accompagnando ora o gli italiani White Skull con cui ci siamo esibiti nel tour di Return of the Reaper.

R: Per l’appunto, cosa ne pensi della scena metal italiana come artisti e pubblico?
C: Sicuramente avete ottime band e in generale il pubblico italiano ha uno spirito, una passione e una grinta davvero degno di nota. Ci divertiamo sempre a suonare in Italia e speriamo di intrattenere al meglio delle nostre capacità al Battlefield metal festival insieme ai Blind Guardian e, credo, gli Eluveitie che per me non fanno metal ma pazienza *ridiamo tanto*. Purtroppo credo che negli ultimi anni il supporto verso la musica metal sia un po’ diminuito in Italia, vuoi per la crisi o per qualsiasi motivo. Ma l’attitudine c’è ancora e spero possa risollevarsi in futuro. *vi risparmiamo la frecciatina su Berlusconi*

R&D: Vuoi dire qualcosa ai fan italiani?
C: Certo! Continuate a mettere passione nel vostro amore per la musica, ascoltate il nostro nuovo album e partecipate numerosi alla nostra data i primi di luglio al festival sopra citato. Grazie e a presto!

Qui potete leggere il live report della serata.

P.S. Mentre scendiamo Chris ci mostra il dvd del CAMINETTO che mettono sul televisore del tourbus per rilassarsi durante gli spostamenti. Inutile dire che anche qui ci facciamo grosse risate.

 

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The Last Tour @ Live Club (27/01/2017)

Martedì, 31 Gennaio 2017 15:52

Una serata di vecchio e nuovo heavy metal quella che si è svolta il 25 gennaio al Live Club di Trezzo. Il sottoscritto, per l'occasione, oltre a scrivere le righe che vi apprestate a leggere, ha anche intervistato il buon Chris Rörland, ascia solista dei Sabaton e fatto le foto durante il live. Insomma una giornata abbastanza impegnativa per questa tripletta iniziata con i tamarrissimi Twilight Force, sfociata negli storici Accept e finita con il "war metal" dei Sabaton.

La serata parte molto bene con i sopranominati Twilight Force, zarrissimo gruppo di gente vestita da elfo dedito a un power superbecero, il tutto, ovviamente, in senso buono. C'è persino chi è venuto solo per loro, cosa che non mi stupisce data la "stupidità" della proposta musicale.

I pezzi del nuovo Heroes of Mighty Magic (citazione non poco velata al famoso videogioco?) tirano un sacco e, nonostante siano letteralmente costretti a suonare a bordo palco, Chrileon e soci dimostrano di riuscire a tenere un pubblico che alle 19.30 è già numerosissimo. Con tanta gaiezza e buonumore, i Twilight Force riescono a far sorridere persino i metallari più musoni, dimostrando che il power metal ha ancora qualcosina da dire.

Inutile dire che il sottoscritto era al Live quasi unicamente per gli Accept. Dopo averli visti 2 anni fa sempre nello stesso luogo, ma da headliner, ero curioso di vedere se la nuova line-up avrebbe retto il confronto con i vecchi musicisti che ne hanno plasmato la storia.

C'è da dire che le mie aspettative non sono state per nulla deluse: Uwe Lulis e Christopher Williams reinterpretano perfettamente i pezzi sia dei nuovi album (aprono con Stampede e Stalingrad, e io già ero proiettato verso una dimensione fatta di corna e headbanging) che delle vecchie glorie. Quando partono London Leatherboys, Fast as a Shark, Princess of the Dawn e Metal Heart il Live è letteralmente in visibilio e c'è persino chi non disdegna i pezzi nuovi come Teutonic Terror.

Per motivi di tempo (i tedeschi hanno solo 1 ora per esibirsi) non ci sono intermezzi tra una canzone e l'altra: soltanto 60 minuti di buon vecchio heavy metal sparato in faccia. Inutile dire qualcosa su Wolf Hoffmann, che reputo essere uno dei migliori chitarristi di sempre, così come su Peter Baltes e l'ormai colonna portante Mark Tornillo, che come al solito si presenta con i suoi occhialetti da sole alla Ozzy Osbourne.

Non può mancare ovviamente Balls to the Wall in chiusura, con un live che esplode nel coro finale facendo la gioia dei fan più anziani di età. Continuo a sostenere che gli Accept siano di un altro pianeta e che vadano assolutamente visti dal vivo.

Setlist:

  1. Stampede
  2. Stalingrad
  3. Restless and Wild
  4. London Leatherboys
  5. Final Journey
  6. Princess of the Dawn
  7. Fast as a Shark
  8. Metal Heart
  9. Teutonic Terror
  10. Balls to the Wall

Quando è il momento degli headliner mi prendo un attimo per traslocare la mia roba, perché avevamo l'ordine tassativo di uscire dal pit dopo la sessione fotografica. I Sabaton irrompono sul palco con l'ormai conosciutissima Ghost Division, per poi suonare un po' di pezzi dall'ultima fatica The Last Stand.

Il morale del quintetto svedese è al top nonostante siano tutti mezzi influenzati e stanchi per un tour davvero mastodontico, così lo show si trasforma ogni tanto in cabaret, con il nuovo acquisto Tommy Johansson che studia e parla italiano. Non possono quindi mancare Swedish Pagans e Carolus Rex, per non parlare di una graditissima Union (Slopes of St. Benedict) direttamente da The Art of War.

Joackim e soci hanno sempre voglia di scherzare col pubblico, ma quando si tratta di tributare le vittime dell'Olocausto Nazista, dopo un divertente siparietto basato su una tastiera montata al volo sul palco e suonata da Tommy, la versione acustica di The Final Solution viene accolta con un boato dal Live Club, che la segue e la canta con grande trasporto.

Io sono lì più che altro per i vecchi pezzi, ma vengo accontentato anche con Resist and Bite e Night Witches, suonate l'una di fila all'altra. Il pubblico non dà nemmeno la possibilità di rientrare nel backstage agli svedesi, che così si lanciano sugli encores con Primo Victoria, la nuova Shiroyama e To Hell and Back, sancendo la fine dello show.

Ha fatto comunque molto piacere vedere molti giovani avvicinarsi per la prima volta alla musica degli Accept dopo essere stati in mezzo al pubblico aspettando i Sabaton, anche se personalmente ho preferito lo show dei tedeschi rispetto a quello degli svedesi. Comunque è stata una gran serata all'insegna dell'heavy metal: ora aspettiamo di vedere cosa succederà dopo questo The Last Tour.

Setlist:

  1. The March to War
  2. Ghost Division
  3. Sparta
  4. Blood of Bannockburn
  5. Swedish Pagans
  6. The Last Stand
  7. Carolus Rex
  8. Union (Slopes of St. Benedict)
  9. The Lion From the North
  10. The Lost Battalion
  11. Far from the Fame
  12. The Final Solution (Acoustic version)
  13. Resist and Bite
  14. Night Witches
  15. Winged Hussars

Encore:

  1. Primo Victoria
  2. Shiroyama
  3. To Hell and Back

Gallery completa qui.

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Faccia a faccia con le chitarre dei Saxon!

Martedì, 27 Dicembre 2016 21:02

Da live reporter ho incontrato un bel po' di artisti di buon livello, passando dal metal classico a quello estremo, ma mai mi era capitato di incontrare due vere leggende come Paul Quinn e Doug Scarrat così da vicino: le leggendarie asce dei Saxon. Grazie a Eagle Booking e KezzMe! ho avuto la possibilità di avere con loro una breve intervista durante la loro tappa al Live di Trezzo sull'Adda. Buona lettura!

D: Ciao Paul, ciao Doug, benvenuti sulla nostra webzine, è un piacere avervi qui! Come sta andando il tour di supporto a Battering Ram? A parte queste due date italiane siete accompagnati dalle Girlschool: si tratta di un tributo a Lemmy?
Paul: Certo, siccome eravamo tutti amici abbiamo deciso di fare insieme questo tour.
Doug: Ho perso il conto di quanti concerti abbiamo fatto da quando il disco è uscito... E siamo già al lavoro su nuovo materiale!

D: A tal proposito: come procedono i lavori? Ho letto che dovrebbe uscire in estate 2017.
Doug: Abbastanza bene, siamo molto avanti con i lavori!
Paul: Anche se in realtà non abbiamo ancora registrato nulla...

D: Lavorerete ancora con Andy Sneap?
Paul: Assolutamente, ormai è come se fosse il sesto membro dei Saxon... Senza contare che è sia produttore che musicista, quindi capisce bene quelli che possono essere i problemi legati alla scrittura di un riff. A volte ci ha persino dato delle dritte sulla batteria!

D: Proprio a proposito di come componete: dopo tutti questi anni di carriera come fate a far saltare fuori sempre riff graffianti ed efficaci?
Paul: In realtà prendo la chitarra e suono! Con tutti gli errori e le stonature del caso. A volte c'è del materiale che tiro fuori che potremmo definire... Neoclassico? *ridono*

D: So che nel nuovo disco ci sarà una canzone su Lemmy. Considerato come è stata questa annata per la nostra musica: come vi sentite?
Paul: Ti dirò, personalmente mi sento abbastanza sereno. Ogni morte è parte della vita, anche se come ben sappiamo Lemmy era amato da molti, non solo da noi cinque.
Doug: Anche se molti dei nostri idoli se ne sono andati, e mi vengono in mente in particolare David Bowie e Chris Squire, andiamo avanti suonando la musica che noi tutti amiamo. Forse è questo che tiene in vita la leggenda!

D: Cosa ne pensate dell'attuale crisi che la nostra musica sta vivendo? E di questo revival un po' blues di questi ultimi anni?
Paul: Sinceramente sono contento che queste sonorità stiano tornando di moda! *risate*
Doug: Penso che ogni genere musicale abbia una specie di ciclo vitale... Alla fine qualcos'altro esce dalle ceneri di quel che è stato prima. Molta della musica che conosciamo è nata copiando qualcos'altro, e questa non è necessariamente una brutta cosa. Penso che più che un morire... È un rinascere, uno spogliarsi di qualcosa che c'era prima per riavere qualcosa di nuovo. Non è necessariamente una copia e una cosa certa è che il rock e il metal non sono mai morti, hanno solo avuto degli alti e dei bassi.

D: Quindi come vi ponete di fronte a quelle band di giovani che cercano a tutti i costi di imitare la produzione anni 80'? Non è un po' strana come cosa?
Paul: In realtà penso che sia una bella cosa provare ad avere una produzione un po' più "lo-fi". Non penso che ci sia nulla di sbagliato: alla fine ciò che conta, che la tua produzione sia in un modo o nell'altro, l'importante è che tu scriva una bella canzone. Se scrivi una bella canzone questa vince sempre. Pensiamo anche a gente tipo i Pink Floyd o gli Wishbone Ash: anche i loro primi dischi non avevano una produzione eccelsa, per essere gli anni 70', la loro musica è diventata immortale. Io, che ascolto molto prog, sono per esempio un fan dei Flower Kings, che hanno una superproduzione, ma scrivono sempre le canzoni giuste!
Doug: Vero, per esempio mi viene in mente che il primo album che mio foglio ebbe quando aveva 14 anni fu The Dark Side of the Moon. Nonostante la batteria avesse uno strano effetto, nonostante potessero esserci tutti gli errori del caso, sono dischi che hanno fatto la storia. E non importano le influenze e nemmeno quanto il suono sia curato all'interno di quei dischi. Io stesso, ultimamente, ho ricominciato ad ascoltare dei vecchi vinili degli anni 70' che avevo a casa e... Wow! Li ho trovati ancora perfetti sotto molti punti di vista.
Paul: Anche se la batteria ha quel sono ovattato e strano!

D: Ho visto i Saxon dal vivo parecchie volte e con molto piacere noto che vi piace suonare spesso Battalions of Steel, che è uno dei miei vostri pezzi preferiti nonostante arrivi da un album recente (Into the Labyrinth del 2009 nda). Come mai la suonate così spesso?
Paul: L'ultima volta che l'abbiamo suonata sono stato io stesso a chiedere agli altri di metterla! Io e Biff l'abbiamo scritta ricordandoci di una volta in cui eravamo in Francia a visitare le cattedrali: il suono delle campane era talmente assordante da coprire qualsiasi cosa. È lì che ho conosciuto la mia fidanzata di allora, per questo mi piace così tanto! *ridiamo*

D: Ok, siamo in chiusura e vi lascio con un ultima domanda: pensate ancora che il rock e il metal possano essere musiche di ribellione contro una società opprimente?
Paul: Penso che questi tipi di musica siano una sorta di evasione dalla realtà per le persone. Anzi, qualunque tipo di musica è ribellione ed evasione per chi la ascolta.
Doug: Tutto sommato non credo più che in realtà l'heavy metal rappresenti ancora quello che era una volta... Non saprei, sono successe tante cose. Credo che, alla fine, questa sia una domanda a cui dovrebbero rispondere dei fan, più che dei musicisti!
D: Grazie, vi ringrazio per il vostro tempo e... Ci vediamo durante il concerto!

Potete leggere qui il live report della serata.

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Summerfield Festival è un nome nuovo e poco familiare per molti.
O almeno, lo era fino a quest'estate: l'evento si svolge nella cornice dell'area feste di Cassano Magnago, sotto a un tendone gigante, dove street food, birra e bancarelle abbondano. Grazie a Hub Music Factory quest'anno si è svolta una vera e propria rinascita della cittadina varesotta, con una serie di concerti che passavano dai nostri compatrioti Folkstone fino al gruppo che ha suonato domenica 11 settembre: gli Hardcore Superstar. Non penso ci sia bisogno di fare troppe presentazioni per una band che è stata più volte definita come coloro che hanno fatto rinascere il glam metal a livello mondiale, nomea che li ha portati a esibirsi nei principali palchi della scena hard rock/metal e a riempire arene e quant'altro.

Proprio per questo, armato della mia "poderosa" reflex e di tanta voglia di saltare e cantare, mi sono diretto verso Cassano Magnago per dare una chance a un gruppo che prima non avevo mai ascoltato con tantissimo interesse. Arrivato mi dedico prima a intervistare gli Speed Stroke (non appena avrò finito metterò un link all'intervista) e a farmi un giro dell'arena, che è davvero ben organizzata e trattata come si deve.

Intorno alle 20.30 attaccano i The Sinatra's con il loro brutale nu-metal. Devo dire che non sono stati esattamente all'altezza dei gruppi successivi, anche se la grinta e l'impegno ce li hanno messi di brutto (ad un certo punto il cantante ha rotto l'asta del microfono!). Altro punto a loro sfavore sono stati i volumi eccessivamente alti che mi hanno quasi fatto saltare il timpano destro.

Di altra pasta invece sono stati i sopracitati Speed Stroke, che hanno presentato una scaletta molto eterogenea che è andata a coprire l'album omonimo e l'ultima fatica in studio dal titolo Fury (sempre del quale leggerete a breve la mia recensione). La presenza scenica di Jack, il singer, è davvero notevole, così come quelle di Niko, D.B. e Fungo.

Persino Andrew, nuovo acquisto della band, si sbraccia come un pazzo mentre suona la batteria! Così, uno dopo l'altro, i pezzi come Demon Alcohol, Speed Stroke of fire e l'attesissima Age of Rock'n Roll si abbattono sul pubblico che in attesa degli headliner inizia ad essere numerosissimo. Un bel concerto che fa davvero ben sperare per la scena italiana di questi ultimi anni.

Quando le luci calano sul palco degli Hardcore Superstar ovviamente la folla esplode in visibilio, così come le ovaie delle astanti che non aspettavano altro che il quartetto svedese. Irrompono sul palco con l'energia e la classe di Hello/Goodbye e già capisco a cosa sono andato incontro: faccio le foto fino a Liberation e poi mi accomodo vicino al mosh per godermi al meglio tutto il resto.

Fortunatamente hanno fatto una scaletta con più o meno tutte le canzoni che conoscevo del loro repertorio, tra cui Wild Boys, una scatenatissima Punk Rock Song e l'immancabile We Don't Celebrate Sunday (casualmente era proprio domenica).

Su Last Call for Alcohol non manca un siparietto comico a base di Jaegermaister, con tanto di batterista che per un attimo si ferma e molla la batteria a uno dei tecnici presenti per poter distribuire l'alcolico ai presenti.

Il pubblico è in visibilio e tra un crowd surfin' e un pogo arriva anche il momento di salutarci con Above the Law, sulla quale, oltre a chiederci di alzare il dito medio, la batteria di Magnus Adde viene praticamente smontata pezzo per pezzo fino al gran finale.

È stato davvero un concerto divertentissimo e ricco di energia positiva, per il quale è valsa la pena rientrare a casa a notte inoltrata! Ringrazio vivamente Hub Music Factory e Bagana Rock Agency per la possibilità offertaci.

Gallery completa dell'evento disponibile qui.

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Un gruppo che cavalca la cresta del momento, amato da molti, detestato da tanti.
Si può dire quello che si vuole dei Sabaton, ma un mesetto fa, quando ho incontrato il loro mitico frontman Joakim Brodén a Milano, le chiacchiere che abbiamo fatto non hanno riguardato solo loro quanto una visione generale sull'ambiente metal. E tra questo e altro battute, scherzi e altri aneddoti che il singer svedese ha voluto svelarmi, specialmente riguardo al loro ultimo album The Last Stand, di cui mi sto occupando per quanto riguarda la recensione.

Un ringraziamento speciale alla KezzMe music production. Buona lettura!



D: Ciao Joakim, sono molto contento di poterti intervistare! La prima volta che vi ho visti dal vivo è stato al Summer Breeze 2009 durante il tour di The Art of War, dopodiché avete calcato i palchi di tutto il mondo. La domanda è: quando vi vedremo suonare su una portaerei?" *risate* "No dai sto scherzando!
R: Ciao a tutti i lettori! Comunque spero presto e non scherzo! Il problema delle portaerei è che non tutte le nazioni ne hanno una, quindi la cosa più logica da fare sarebbe chiedere o a un commando americano o a uno inglese. Il fatto è che per salire su uno di quegli affari devi prima ricevere un addestramento specifico, che significa smettere di suonare per un po' e persino smettere di vedere le nostre famiglie per andare in un campo militare. Il che significa almeno 3 settimane solo dedicate a quello. Per cui non credo che sarà una cosa che faremo a breve!

D: A proposito di questo: prossimamente dove ci capiterà di vedere i Sabaton? Avete davvero calcato i palchi di mezzo mondo.
R: Beh, mi piacerebbe un sacco suonare con i Metallica, visto che non abbiamo mai suonato con loro. Insomma, siamo stati in tour con i Judas Priest, gli Iron Maiden, gli Scorpions... E tra l'altro i Metallica non li ho mai neanche visti dal vivo! Anche con gli AC/DC non sarebbe male... Ma in fondo lo show che vorrei davvero fare sarebbe suonare il 6 di giugno in una spiaggia della Normandia, la data dello sbarco. Sarebbe un evento unico: suonare i nostri pezzi su quella spiaggia con le persone dalla parte del mare, da dove arrivavano i soldati... Quello sarebbe il mio concerto dei sogni. Forse un giorno, chissà!

D: Siccome siamo in argomento: siete contenti del tour che state per intraprendere con gli Accept? Personalmente sono una band che ti piace?
R: Ammetto che mi sento un po' strano a parlarne: la mia testa è entusiasta di suonare con loro, ma il cuore mi dice "No no no tutto questo è sbagliatissimo essere headliner"! *risate*. Voglio dire: è uno dei miei gruppi preferiti di tutti i tempi e sono contento che continuino a pubblicare ottimi album. Ci sono molte band di quell'epoca che HANNO pubblicato grandi album: loro continuano a pubblicare ottima musica, tanti anni dopo! Penso che sia fantastico. Nel 2009 aprivamo al loro tour per Blood of the Nations, e io pensavo "Woah, sono tornati con un disco che è quasi al livello di Metal Heart!". Mi ricordo benissimo che ogni sera guardavamo ogni loro show, non come altre band che guardano l'headliner un paio di volte e basta.

 

D: Cambiamo argomento: a proposito del nuovo album, che significato ha il concetto dietro alle parole The last Stand?
R: Beh, il suo significato letterale! Puoi tentare un "ultimo slancio" per numerose ragioni. Ovviamente il concept dietro al disco tratta di battaglie vinte o perse in modo eroico contro un nemico numerosissimo. Ogni canzone sull'album rappresenta un ultimo atto di coraggio volto a spezzare un assedio o un'oppressione, oppure una difesa epica come in Winged Hussars, dove l'assedio di Vienna del 1683 fu vinto dagli assediati grazie agli ussari che erano in città. Per me conta il fatto che in questo disco abbiamo più di 2000 anni di storia: andiamo all'antica Grecia all'Europa, all'Asia, all'Africa, fino a andare nell'88 alla guerra afghano-sovietica. Forse The Last Stand lascia anche un altro messaggio: possiamo imparare solo una cosa dalla storia militare, cioè che l'umanità non impara mai dalla stessa, perché essa si ripete sempre.

D: Ho notato che in Blood of Bannockburn vi siete fatti influenzare molto da un bell'hard rock potente alla Rainbow/Deep Purple.
R: Assolutamente si! I Rainbow sono il mio gruppo preferito di tutti i tempi, non è strano che ci siamo fatti influenzare. Ultimamente sono io a occuparmi delle tastiere, pensa che il primo strumento che abbia mai suonato è stato l'organo Hammond. Nei Sabaton abbiamo una regola: ogni canzone che facciamo deve essere bella, divertente ed aspirare ad essere uno dei nostri classici. Dopo tanto tempo a suonare insieme ci siamo accorti che non importa in che direzione va la nostra musica: se andiamo verso l'hard rock, thrash metal o heavy... Prendi solo le differenze tra pezzi come The Final Solution o Cliffs of Gallipoli. Quindi, tutto ciò che c'è tra l'hard rock e il death metal può essere Sabaton.

D: Tra l'altro, visto che parliamo di death metal: com'è stato lavorare con Peter Tagtgren?
R: Ormai è tanti anni che ci conosciamo: io e Peter, prima di essere musicisti che lavorano insieme, siamo anche grandi amici. Metallizer e Primo Victoria sono stati registrati e prodotti insieme a suo fratello Tommy, mentre Peter si presentava ogni tanto in studio e ci dava qualche consiglio su come potevamo migliorare i pezzi, cose del tipo "Aggiungi quel compressore lì e sistema quel pedale là". Con Tommy abbiamo lavorato fino a The Art of War, dove Peter, poi, ha curato il missaggio. Avremmo voluto lavorare con loro anche per Coat of Arms ma alla fine non potemmo perché Peter andò in tour. La prima volta che siamo riusciti a lavorare dall'inizio alla fine con lui è stato per Carolous Rex.

D: Molte persone, tra l'altro, sostengono che sia il vostro album migliore.
R: Mah, forse buono ma non è il mio preferito, ha delle buone canzoni ma altre che a riascoltarle non mi convincono del tutto! *risate*

D: Organizzerete ancora un Sabaton Open Air?
R: Si, e sarà molto divertente. Anche quest'anno presenteremo lì il nuovo album e ne approfitteremo per chiamare un po' di amici e band giovani a suonare. La cosa che più mi piace, comunque, è vedere anche vecchi amici o band con cui non suoniamo da un po', senza contare che ci permette di chiamare nomi grossi come i Saxon. Sai cosa? Sinceramente ce ne freghiamo anche se rientriamo a malapena nei costi con i biglietti: abbiamo messo i Crimson Glory, il loro unico live in Svezia di quest'anno, pagandogli aereo dagli USA e tutto quanto. Siamo pazzi? Si, perché alla fine per noi non resta nulla, ma l'importante, nei Sabaton Open Air, è divertirsi. L'altro obiettivo è essere diversi da un festival grosso: prendiamo per esempio il Wacken, dove l'anno scorso abbiamo suonato una specie di best-of davanti a 70000 persone. Nel nostro festival vengono un sacco di persone che hanno visto decine di nostri concerti, per questo faremo una setlist con pezzi come Wolfpack, che non suoniamo mai dal vivo. Wacken è molto bello, ma se il pubblico non conosce una canzone se ne va a bersi la birra.

D: Mi ricordo l'anno scorso... Beh nessuno poteva andarsene comunque per colpa del fango! *risate* Senza contare che ho visto il 50% del vostro concerto perché il restante l'ho passato a sollevare gente che faceva crowd surfing...
R: Me lo ricordo benissimo, pioveva gente! No no, al Sabaton Open Air sono tutti molto più tranquilli.

D: A proposito della produzione del disco, una domanda che vorrei farti più in generale... Cosa ne pensi di quelle band che adottano uno stile appositamente anni 80' per i loro dischi?
R: Dipende sempre dal contesto in cui fai una cosa del genere. Personalmente a me non piacciono le produzioni anni 80' con quei suoni molto da garage... Molto meglio ispirarsi a BELLE produzioni anni 80', per esempio Operation Mindcrime che era dell'88 e aveva una produzione meravigliosa, oppure Metal Heart. Sono cresciuto con quei suoni un po' riverberati, però penso anche a quelle band che nell'84 facevano dischi con un budget molto ridotto. Non si può dire nulla ovviamente: con i pochi mezzi a disposizione era ciò che si poteva fare. Ma perché TU, OGGI, devi fare un disco con una produzione che già negli anni 80' era un compromesso?? Potresti farlo con un bel sound, e addirittura con i mezzi di oggi hai delle facilitazioni mostruose: basti pensare a certe app per iphone o semplicemente a un pc collegato a un mixer. Quindi: perché diamine devi fare un disco che suona male?" *risate*
D: Tra l'altro basti pensare a band come gli Accept e i Metal Church che con i nuovi dischi si sono davvero rinnovati, anche nella produzione.
R: Appunto, come dicevamo prima Blood of the Nations è un album di vero heavy metal con una produzione meravigliosa.

D: Rimaniamo un po' sul generale: ho sentito molte definizioni per il genere che fate... Che comunque secondo me resta molto vario. Cosa ne pensi di certe etichette che la gente dà ai Sabaton?
R: Beh, fondamentalmente, se sentiamo i primi dischi, eravamo davvero una band power metal, anche se negli anni abbiamo perso molto di quell'attitudine... Sostanzialmente, quando qualcuno mi chiede che genere facciamo, io rispondo heavy metal. Anche perché se rispondessi qualcos'altro probabilmente la gente penserebbe a altre cose: con power metal si immaginerebbero spade e draghi, voce acuta! Sarebbe una cosa completamente diversa da quello che siamo. Alla fine penso che abbiamo molto più in comune con band come Accept e Judas Priest che con altri... Comunque la gente può darci l'etichetta che vuole, anche "Epic symphonic metal from Scandinavia in the dark": per me è ok! *risate* Ma sostanzialmente noi suoniamo heavy metal.

D: A proposito di quello che dicevamo prima, non avete mai pensato di prendere un tastierista in formazione?
R: L'abbiamo fatto! Il nostro piano iniziale era avere un tastierista in formazione: Daniel Mÿhr, purtroppo, si era tirato indietro all'ultimo dopo averci aiutati a comporre The Art of War. A quel punto non avevamo altra scelta se non usare le basi, ma personalmente non importa se abbiamo quelle o un tastierista vero sul palco. Il problema è che per suonare dal vivo la nostra musica ce ne vorrebbero almeno due! Il che vorrebbe dire pagarli, senza contare che è difficilissimo sincronizzare alcuni nostri pezzi. Saremo sempre schiavi delle basi, ma per ora questa soluzione mi va bene... A meno di non organizzare un super concerto con effetti pirotecnici e riprenderlo dal vivo, magari suonando Cliffs of Gallipoli e The Hammer Has Fallen. Sfortunatamente quando porti dei lanciafiamme collegati con uno strumento, non puoi assolutamente sbagliare, sennò si vede subito!

D: Che mi dici dei tuoi vecchi compagni di band? Siete ancora in contatto anche con il loro progetto Civil War?
R: Si, siamo assolutamene in ottimi rapporti. Qualche mese fa siamo andati a vedere i Twisted Sister insieme, c'eravamo io, Daniel (ex tastierista) e Rikard (ex batterista) allo Sweden Rock. Siamo ancora amici, ma ovviamente non riusciamo a sentirci sempre... Non sento neanche mia madre per mesi a volte! *risate* anche se sarebbe bello fare un tour insieme. Quando capita che siamo magari vicini a suonare organizziamo, ma non è facile restare in contatto. Le uniche persone con cui mi sento regolarmente sono mia moglie e gli altri della band... Sai, fare duecento date all'anno è davvero faticoso. Finisci per avere tanti amici stretti, ma non riesci mai a parlare con gli altri conoscenti, che ormai per me si riducono a "quel ragazzo di Milano", "quell'altro di Londra"... È bello avere conoscenze in tutto il mondo, purtroppo però tanti miei amici li ho persi di vista: prendi solo quelli con cui andavo a scuola 15 anni fa! Ora c'è chi fa l'avvocato, chi l'ingegniere, chi ha famiglia... E io faccio la rockstar!

D: Dopo un carrarmato sul palco cosa dobbiamo aspettarci dai vostri prossimi live?
R: Due carrarmati sul palco! *risate*
D: Magari con uno che si muove e spara??
R: Si si e non scherzo! Vogliamo provare a portare degli show veramente grossi con video e effetti pirotecnici e ci stiamo chiedendo come fare. Vorremmo un format che possa essere esportato in qualunque paese, però ci sono troppe regole diverse: un gas che non va bene là, un lanciafiamme che non va bene là. Senza contare che in alcuni paesi non c'è abbastanza potenza per poter portare uno show completo con un pannello gigante a led. Altro problema è che a volte ci presentano delle location BELLISSIME, ma che sono troppo delicate per poterci fare uno show completo. Magari ci portano in un teatro col palco di legno e le quinte: niente lanciafiamme! *risate* Quindi stiamo cercando di progettare una produzione grossa e adattabile. Forse la più pazza che abbiamo mai provato a fare. Per ora non dò certezze, sapremo tutto a dicembre.

D: Immagino che siate già anche in contatto con gli organizzatori per i prossimi festival.
R: Si, qualche offerta ci è già arrivata, ma le vedremo con il nostro management dopo aver chiuso il tour di Heroes e inizieremo con quello di The Last Stand.
D: Spero tornerete al Rock Fest, è stato molto bello!
R: A me interesserebbe molto, ero andato a vedere gli Scorpions e mi è piaciuto come lavoravano.

D: Ok, siamo all'ultima domanda: come vedi il futuro dell'heavy metal dopo la scomparsa dei suoi più grandi rappresentanti come Dio e Lemmy?
R: Incerto. Incerto perché vedo che tutta l'industria musicale è basata sui cosiddetti "Big dragons", come AC/DC e Maiden. Ehi, io non voglio giudicarli perché fanno ancora degli ottimi show, ma nessuno nel business ha ancora capito che loro non ci saranno per sempre. Non voglio buttarla sul pessimismo, ma questa è la realtà. Se ci sono soldi facili da fare su questi nomi allora è ovvio che continueranno a suonare solo loro... E forse anche i Rammstein. Nessuno però aveva mai pensato, prima che la gente iniziasse a morire, come poteva essere il futuro. Pensa solo a chi ha una arena per grossi concerti e parla con un grande distributore come Live Nation: "Ehi ragazzi, avete pensato al futuro? Chi diavolo suonerà qui quando gli Iron Maiden smetteranno di farlo?", forse solo i Metallica che sono ancora giovani. Prova però a pensare tra 50 anni: nessuna di queste band sarà più attiva e nessuno, probabilmente, potrà sostituirle. Le grandi agenzie devono cominciare a investire per il futuro e non a fare solo soldi facili coi grossi nomi: è il business stesso ad essere malato. Anche se noi Sabaton non saremo mai un gruppo da arena a me va bene così, ma pensa cosa succederà quando non ci saranno più gruppi in grado di richiamare tanto pubblico: sarà l'inizio della fine. L'unica attenzione che i media dedicano all'heavy metal è proprio verso questi grossi nomi del passato: nessuna televisione farà mai un servizio su band che chiamano meno di 20000 persone.
D: Speriamo che il business si renda conto di questa cosa e cominci a investire anche sulle nuove generazioni.
R: Il fatto è che dovrebbero avere una visione più di insieme, mentre molti sono solo degli egoisti che pensano a loro stessi. Molti si arrabbieranno leggendo questo, ma devi sapere che i nomi grossi dell'organizzazione musicale sono persone che hanno scoperto band negli anni 80' e non cercano più nessuno per sostenerlo e incoraggiarlo, guardando solo la loro gallina dalle uova d'oro. Quando questi grossi nomi cominceranno a ritirarsi dovrà esserci per forza un ricambio generazionale, altrimenti che fine faranno le persone interessate a scoprire nuova musica? Come si potrà costruire nuovo pubblico?? Quindi... È tempo di silurare un po' di vecchiacci!" *risate*

D: Grazie mille Joakim, vuoi salutare i nostri lettori?
R: Grazie ragazzi, ci vediamo presto durante il tour di The Last Stand!

Pubblicato in Interviste

Ci sono personaggi di una caratura tale che non ti aspetteresti di avere la possibilità di intervistarli, un giorno. Invece, grazie alla KezzMe! e alla SPV/Steamhammer, lo scorso sabato al Circolo Colony mi è stata offerta la possibilità di intervistare nientemeno che Steve Lips, lo storico front-man degli Anvil. Una chiacchierata (purtroppo veloce dovuta a problemi di orario) che è passata dall'ultimo album fino a discorsi più complessi sul nostro mitico heavy metal.

Buona lettura!

D: Ciao Steve e benvenuto su Allaroundmetal! Prima di iniziare volevo dirti che Anvil is Anvil mi è piaciuto veramente molto, ritengo che sia davvero un ottimo disco. La prima domanda infatti è: perché proprio Anvil is Anvil?

Steve: Perché l'abbiamo chiamato così? Perché è esattamente ciò che è! Noi Anvil siamo ciò che siamo e ciò che vogliamo essere: non ci interessa cambiare, gli Anvil sono gli Anvil, punto e basta.

D: Come la stessa copertina con l'incudine riflessa nello specchio!

Steve: Esatto! Gli Anvil sono gli Anvil, ecco ciò che siamo.

D: Quanto tempo ci è voluto prima che il disco vedesse la luce?

Steve: A dire la verità non ci abbiamo messo né più né meno del tempo che impieghiamo di solito a scrivere un disco... Anzi, credo che questo disco sia stato uno di quelli con i tempi più serrati tra scrittura e tour! Appena abbiamo finito di registrarlo avevamo già la testa "on the road" per l'Europa!

D: Con questo disco siete alla terza prova in studio con la SPV/Steamhammer, come va la collaborazione?

Steve: Penso che siano davvero una grande etichetta: sanno ciò che fanno e sono davvero ben organizzati, è un piacere essere parte di questa famiglia.

D: Sempre a proposito dell'etichetta: come va il tour con U.D.O.?

Steve: Ci stiamo divertendo. Devo ammettere che in 39 anni è forse uno dei tour migliori che abbiamo mai fatto: tutte le date sono praticamente sold-out: tre mesi davanti a arene e locali pieni! Fottutamente grandioso!

D: Anche stasera mi sa che farete un bel pienone, non ho mai visto tutta questa gente al Colony... Tornando alle domande: mi sono piaciuti molto i testi delle canzoni del nuovo disco, specialmente Forgive don't Forget. Che concept c'è dietro alla canzone?

Steve: Forgive don't Forget è nata quando io e Robb abbiamo visitato Auschwitz, il campo di sterminio. Ci siamo andati proprio perché il papà di Robb è sopravvissuto a quell'inferno: se non fosse sfuggito non ci sarebbero stati nemmeno gli Anvil! Vedere quel posto è stato veramente drammatico, ma abbiamo pensato che ormai il passato è passato: i campi di sterminio non hanno più nulla a che fare con ciò che la Germania è oggi e gli stessi tedeschi. Pensaci: anche gli ultimi aguzzini probabilmente stanno morendo. Nessuno oggi è colpevole per quegli errori fatti nel passato: ciònonostante la gente spesso pensa ai tedeschi come un popolo di nazisti, come se avessero ancora una brutta reputazione. È assurdo generalizzare in questo modo, nessuno in Germania è nazista solo perché nato in quella terra! Per questo ho deciso di mettere il mio ragionamento in una canzone degli Anvil. Anche perché fin dagli inizi abbiamo sempre avuto contatti con questa terra: se non ci fosse stata la Germania probabilmente gli Anvil non sarebbero quello che sono oggi! Per cui è una cosa ironica, capisci? Se il padre di Robb non fosse sopravvissuto io non suonerei con lui, e contemporaneamente un sacco di persone che collaborano con la nostra crew sono tedesche! Ma loro sono le nuove generazioni: non hanno nulla a che fare con i nazisti. Quello che volevo dire, proprio a loro, era "Io vi perdono", perché non avete nulla da spartire con chi vi ha preceduto, ma nessuno di noi deve dimenticare quello che è successo: Forgive, don't Forget, perché dobbiamo impedire che una cosa del genere accada a qualche altro popolo. Non solo, è anche un messaggio di speranza: in questo momento ebrei e tedeschi possono fare amicizia, passando sopra al loro passato, perché il resto del mondo non dovrebbe imparare da loro? Ecco perché è nata questa canzone.

D: Rimanendo proprio in questa terra: come è stato lavorare con Martin Pfeiffer?

Steve: Fantastico, davvero fantastico. È forse uno dei più bravi ingegnieri del suono con cui abbia mai avuto a che fare: non l'ho mai contraddetto neanche una volta in fase di registrazione! Non abbiamo avuto nessun problema a lavorare con lui, ci siamo trovati bene fin da subito e penso che i suoni di Anvil is Anvil siano tra i migliori che abbiamo mai avuto.

D: Penso che uno dei momenti migliori del disco sia proprio l'opener Daggers and Rum: è divertente, catchy e ha un ottimo tiro. Ho sentito anche che avete chiamato i fan da tutta Europa per cantare il coro iniziale e finale!

Steve: Certo, e saranno anche qui stasera! Quasi quasi li facciamo salire sul palco a cantarlo dal vivo ahahahahah! Mi hai dato un'ottima idea, mi si è accesa una lampadina in testa! Pensa che erano venuti fino in Germania a cantare all'inizio delle registrazioni. Oggi siamo stati a pranzo con loro, dopo li faccio cercare e glielo dico *risate*

D: Aspetterò con ansia il momento! Passando ad altri argomenti: ho letto che avete fatto un Cameo nella serie Sons of Anarchy, come è successo?

Steve: Ahahahah, è una storia divertente! Katey Sagal (Gemma nella serie) e Kurt Sutter (il regista) anni fa incontrarono per strada Sasha Gervasi, il regista del documentario sugli Anvil. Siccome conoscevano il film e lo amavano molto, in breve tempo sono diventati amici e così Kurt ha avuto l'idea di metterci nello show a suonare Slip Kid dei Who. E così, nel primo episodio della seconda stagione ci siamo noi che suoniamo il pezzo, con alla voce Franky Perez, il cantante della band solista di Slash. Tra l'altro fa troppo ridere perché l'abbiamo proprio risuonata dal vivo senza playback! Hai presente la canzone no? Nanananana... *canta*


D: Ahahahah fantastico! Un'altra domanda: ti capita mai di ascoltare qualche cd metal nuovo che esce?

Steve: In realtà non ascolto più niente di nuovo... Ormai è tutto troppo lontano dalle mie corde. C'è una band inglese che ci supporta molto, si chiamano Dandera e sono molto bravi. Ascolto loro, ma all'infuori di questo detesto le band che hanno successo oggi, con quel cantato growl terrificante *risate*

D: Pensa, è la stessa cosa che mi rispose Wolf Hoffmann degli Accept quando lo intervistai! Comunque, siccome siamo stretti coi tempi, ti faccio l'ultima domanda: dopo la fine di due icone dell'heavy metal come Ronnie James Dio e Lemmy, pensi che noi metallari stiamo lentamente estinguendoci o può esserci qualcosa in futuro?

Steve: Nessuno può prenderne il posto: quando sei morto è finita. Davvero. Nessuno sostituirà Lemmy, nessuno sostituirà Dio, nessuno sostituirà me! *ride* D'altronde chi pensi possa prenderne il posto? Specialmente tutto ciò che arriva dagli eighties: nessuno sarà più capace di registrare i dischi che sono nati in quegli anni. Oggi, chi può dare un'impronta marcata e individuale come quella di quei dischi, se tutti cantano con quell'orrendo growl? Hai bisogno di avere un sound, uno stile, di essere unico! E quando muori nessuno può sostituirti: possono nascere band con un sound simile ma nessuno avrà mai quella particolarità. Ehi, Dio è morto ormai da parecchio e non ho sentito nulla che suonasse anche solo a quel livello. Nessuno sostituirà Elvis, nessuno sostituirà Bethooven, nessuno sostituirà Hendrix, nessuno sostituirà Benny Goodman, nessuno Michelangelo, nessuno Rhandy Rhoads! Parliamo di artisti amico! Quindi, se mi chiedi se ci sarà mai qualcuno a portare avanti l'heavy metal: solo con l'originalità. Quello che dico alle band che parlano con me: fallo, ma sii sicuro che stai facendo qualcosa di veramente originale e personale, perché se stai facendo qualcosa di conformato alle idee degli altri... Non stai facendo niente! Devi essere unico, farlo come nessun altro lo fa, e anche originale. Questo è tutto.

D: Grazie mille per questa bella chiacchierata Steve... Avrei solo un'ultima domanda...

Steve: Dimmi pure!

D: Possiamo farci una foto assieme?

Detto fatto...

Pubblicato in Interviste

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