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Gianni Izzo

Gianni Izzo

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Per essere un lunedi, e per essere un lunedi particolarmente uggioso, l’Orion, il locale di Roma che ormai da anni ospita la stragrande maggioranza delle band metal e non, è inusitatamente pienotto, non possiamo certo dire di essere stretti come acciughine, ma è una piccola soddisfazione per me, che ho vissuto negli ultimi tempi anche serate semi deserte, nonostante bazzicassero nomi importanti sui palchi.

Quest’oggi non è così, e supponiamo che questo ormai sempre più raro fenomeno di aggregazione, sia facilmente attribuibile all'importanza della giornata, cioè il commiato (se vero o presunto ce lo dirà il tempo) dei Rhapsody (quelli con Luca Turilli e Fabio Lione insieme), dal proprio pubblico. Ma a precedere l’addio di Turilli ed i suoi, ai fans romani, ci sono due band.

SCARLET AURA

I primi a calcare le scene sono gli Scarlet Aura, band rumena dedita ad un Modern Rock/Metal, capitanata dalla bella, talentuosa, ed iper-biondissima Aura Danciulescu, che rappresenta un valore aggiunto, sia per come tiene il palco, sia per la sua voce da rockettara stile Doro Pesch. Ma purtroppo non basta lei a scaldare gli animi, forse non è la serata adatta a certe sonorità, più probabilmente le canzoni della band sono molto anonime, ed a parte qualche cavalcata metallica qui e li, non riescono proprio ad acchiappare i metalheads, che seguono gli Scarlet più per la singer, che per altro. Unico momento in cui il pubblico partecipa in modo più attivo è quando gli Scarlet Aura ricordano la compianta singer dei Cranberries, Dolores O’Riordan, proponendo una versione incattivita della celeberrima “Zombie”, ovviamente conosciuta e salutata con entusiasmo da tutti. Lo spettacolo finisce con un anthem metallico, ma vige nuovamente una certa indifferenza tra il pubblico. Diciamo che gli Scarlet Aura hanno si dei musicisti tecnicamente capaci, ed una super cantante, ma a livello di songwriting non riescono proprio a rimanere impressi. Rimandati alla prossima…

 

BEAST IN BLACK

Giusto il tempo di cambiare teli e stendardi, e smontare la prima delle tre batterie che capeggiano sul palco, che arriva la seconda band. I Beast In Black vengono dalla Finlandia, (ma il bravissimo cantante Yannis Papadopoulos è greco), e da poco hanno debuttato per la Nuclear Blast con il disco “Berserker”, ispirato all’omonimo personaggio dei fumetti.

I Beast In Black sono nati per opera dall’ex Battle Beast Anton Kabanen, che dopo lo split con la precedente band, da lui stesso fondata, si riprende la propria Bestia, il fumettoso Berserker, e ricomincia con un act che suona un buonissimo a tamarrissimo heavy/power contaminato da sinth e tastiere.

Potentissimi, bravi, goliardici, i Beast In Black, anch'essi ad occhio e croce, ancora sconosciuti ai più, come i precedenti Scarlet Aura, nel giro di una canzone fanno il botto, ed attirano a se l’orda di metalheads romani, come api al miele.

Judas Priest addicted, i BinB possono contare su una ricetta vincente molto semplice: ritornelli epici e graffianti che ti entrano subito in testa, ritmiche vivaci e dinamiche, ed un sound che ripesca un po’ di materiale, non solo dal metal anni ’80, ma anche (e qui so che i più true tra voi storceranno il naso, ma il risultato dal mio punto di vista è ottimo), anche dal pop e dalla dance di quegli anni. Confezionano però un prodotto estremamente moderno, orecchiabile senza essere stucchevole, e soprattutto, davvero coinvolgente.

La canzone più azzardata è sicuramente “Crazy, Mad, Insane”, dove voci robotiche e sinth retrò esplodono in ogni dove, tra chitarre, batteria martellante, ed i membri dei Beast che si presentano con occhialetti a led futuristici sui quali lampeggiano le tre parole del titolo. Alcune tracce rientrano più nell’heavy/power più antemico e tradizionale, ma dal buon tiro, anche se alcuni momenti sono palesemente ispiratiai Judas Priest come “Go To Hell”. Dopotutto i Beast In Black, non nascondono minimamente l’amore per la band di Halford, ne nelle sonorità, ne tanto meno nel cantato, e non è un caso che la loro esibizione venga introdotta dalle note di “Nightcrawler”.

L’entusiasmo esplode definitivamente però con “Blind And Frozen” dove sono ancora i sinth a fare la parte del leone, ed un ritornello che lo canti già al secondo giro per quanto rimane impresso, non riuscendo a capire se hai più voglia di pogare o metterti a ballare. L’apocalittica “End Of The World” mette fine ad un’esibizione sublime, che lascia i presenti carichi al massimo, mentre arrivano gli headliner. Promossi a pieni voti!

 

RHAPSODY REUNION

Ovviamente quella dei Rhapsody è un autocelebrazione con i fiocchi, come conviene in certi casi. E’ già a partire dall'epico narrato ispirato ai soliti trailer cinematografici che precede “In Tenebris”, ci si fomenta un po’ tutti. Con “Dawn Of Victory” poi si accendono le luci e l’Orion comincerà a cantare ogni singola parola di ogni canzone, per tutta la durata dell’esibizione della band.

I mattatori sono ovviamente Fabio Lione ed il buon Luca Turilli che, al solito, salta da una parte all'altra del palco con la sua chitarra. Sembra incredibile che questo stesso musicista continui a dire che con questo tour concluderà la sua esperienza da musicista metal, perché la sensazione è che all'alba dei cinquant'anni, il buon Turilli si diverta ancora come un ragazzino ad esibirsi in questi contesti, di fronte ai suoi fans.

Poi è vero, lo stesso Luca sono anni che dice di essere più autore che chitarrista, e di non avere più tempo da dedicare al suo strumento, ed infatti qualcuno dei suoi vecchi assoli iper veloci, li falla spesso, mangiandosi diverse note, ma nel complesso i Rhapsody fanno un’esibizione degna del loro marchio di fabbrica.

Fabio Lione è come il vino, sarà la quinta volta che lo vedo dal vivo, ed ogni volta la sua voce sembra migliorare. Ma il suo contributo non è solo legato al canto, interagisce spesso col pubblico e, visto che siamo di fronte ad un’elegia dei Rhapsody che furono, tra un brano ed un altro, il frontman racconta anche vari aneddoti della storia della band, dei loro incontri, in particolare quello molto sentito con il grande Christopher Lee, a cui dedicano “Riding The Winds Of Eternity”.

La scaletta è un ottimo greatest hits, che propone anche brani mai suonati prima, o suonati molto di rado. Ascoltare la suite “Symphony…” o “Beyond The Gates Of Infinity”, o ancora la geniale “The Wizard Last Rhymes” tratta dall’Ep “Rain Of Thousand Flames” di cui suoneranno anche la cattivissima title-track, mi ha fatto tornare davvero indietro nel tempo, quando mi approcciai per la prima volta a questa band, all'epoca ancora sconosciuta.

Fabio si prodiga anche con un pezzo decontestualizzato e inaspettato, la cover di Bocelli “Con te Partirò”, interpretata in modo magistrale, perché in fondo non esistono generi, ma solo musica.

Come al solito anche Alex Holzwarth e Dominique Leurquine, si ritagliano il loro spazio per dei bei assoli giocati sul botta e risposta con il pubblico. Tutto diviene pomposo, allegro, si scherza e si canta, tanto da salutare sul finale i più grandi alfieri del metal italiano, con un sorriso e non con una lacrima. Il “Farewell Tour” saluta Roma con il classicone “Emerald Sword”, boato finale, applausi...per l'ultima volta? Non so, alla fine anche Bruce Dickinson negli anni novanta provò a dire di non voler più suonare heavy metal, salvo poi rimangiarsi tutto e tornare con gli Iron Maiden, quindi io ci spero di rivederli tutti ancora, magari tra qualche anno, magari anche con Alex Staropoli, per un epico ritorno sulle scene. 

 

 

Setlist:

In Tenebris

- Wisdom Of The Kings

- The Village Of Dwarves

- Power Of The Dragonflame

- Beyond The Gates Of Infinity

- Knitghtrider Of Doom

- Wings Of Destiny

- Riding The Winds Of Eternity

- Symphony Of Enchanted Lands

- Drum Solo

- Land Of Immortals

- The Wizard’s Last Rhymes

- Bass Solo

- Con Te Partirò (Cover Bocelli)

- Holy Thunderforce

 

Encore:

- Rain Of A Thousand Flames

- Lamento Eroico

- Emerald Sword

 

…And The Legends Ends…

Intervista: Exhume To Consume (Gianluca Lucarini)

Giovedì, 10 Agosto 2017 22:08 Pubblicato in Interviste

Solo qualche mese fa abbiamo parlato con il chitarrista Gianluca Lucarini, del progetto Rome In Monochrome. Nella chiacchierata di oggi invece siamo andati a “sviscerare” (mai termine fu più appropriato), tutti i retroscena dell’Ep Let The Slaughter Begin (di cui potete leggere la recensione fatta dal collega Daniele Ogre sul nostro portale ndr.) del suo progetto musicale più estremo: gli Exhume To Consume.

 

Ciao Gianluca eccoci di nuovo a chiacchierare insieme di musica. Ma questa volta non parleremo dei Rome In Monochrome, ma di un’altra tua creatura musicale, che ha un sound completamente diverso rispetto ai Rome. Ti va di dirci come sono nati gli Exhume To Consume e di presentarci i componenti della band? Ricordo che alcuni di loro già fanno parte dei Rome, giusto?

Ciao Gianni, ben trovato, e grazie di avermi di nuovo ospite qui a Allaroundmetal. Ho formato gli Exhume To Consume nel 2015, perché ho sentito il desiderio di ritornare a quello che è il mio background musicale, e quindi il death metal, pero’ con un progetto che fosse originale e contaminato. Ricordi bene! Alessio (chitarra) e Marco(basso), suonano con me anche nei Rome In Monochrome, ed oltre a me (chitarra), ci sono due nuovi membri nella band: Luis Maggio alla voce (Bloodtruth/Sudden Death), ed Andrea Pro (Sudden Death/Martyrium).

 

Immagino che il vostro moniker sia un omaggio ai primissimi Carcass. Visto che ci siamo, che ne pensi dello cambio di stile che ha avuto la band inglese rispetto ai suoi esordi? E del loro ritorno sulle scene, dopo così tanti anni da quel “Swansong”, che sembrò essere in tutto e per tutto il canto del cigno dei Carcass?

Il monicker è sicuramente un omaggio ai primi Carcass, che è la mia band preferita di sempre tra l’altro. Penso che il cambio di stile sia una cosa naturale per una band di tale caratura, le persone crescono, si evolvono, e trovo quindi normale l’approccio a sonorità diverse rispetto a quelle degli esordi. Sicuramente la reunion del combo inglese mi ha fatto un immenso piacere, e devo dire che il loro nuovo materiale non mi dispiace affatto.

 

A quali altri gruppi vi ispirate?

Le bands che sono per noi fonte d’ispirazione sono: Devourment, Internal Bleeding, Suffocation, primi Immolation, primi Pyrexia, Broken Hope, ed ovviamente Carcass.

 

Torniamo a noi. Parlaci del vostro Ep “Let The Slaughter Begin”. Chi è il compositore dei brani? Come nasce un pezzo degli Exhume To Consume? A cosa si ispirano i testi?

Io scrivo tutti brani, che poi in studio vengono riarrangiati insieme a tutta la band. Alcune volte invece, ci troviamo a jammare ed escono fuori dei riffs interessanti, che poi sviluppiamo e tramutiamo in un pezzo. Non abbiamo testi al momento, per questo ep d’esordio abbiamo preferito l’attitudine “no lyrics”, quindi solo “grunts and squeals”. Nel futuro chissà, visto anche l’ingresso di Luis nella band, magari si potrebbe occupare lui delle liriche.

A partire dall’intro al disco (a proposito da dove lo avete preso quell’estratto?), passando per titoli come “Happy MILF” o “Hole You Can Eat” sembra che tutto il lavoro sia permeato da una sorta di humor nero o sbaglio?

No, non sbagli assolutamente, l’approccio che abbiamo è molto sarcastico, ed il black humor è il denominatore comune a tutti i nostri brani. L’intro all’inizio di “Bon Appetit”, così come i samples all’interno della canzone, sono presi da un cortometraggio horror, che racconta la storia di due becchini necrofagi.

 

Per quanto siate principalmente una brutal death metal band, i brani del disco hanno diverse contaminazioni, a partire da certi soli melodici, che nel genere sono elitari, fino ad arrivare a brani come “Hole You Can Eat” che ha delle sfumature industrial. La contaminazione è un qualcosa che ricercate?

La contaminazione è un elemento fondamentale per il sound degli Exhume To Consume, come ho detto in apertura d’intervista. L’originalità è la cosa alla quale ambisco. Vorrei che il nostro sound fosse così riconoscibile e personale, da diventare il nostro trademark. Non c’interessa suonare come altre 1000 bands che popolano la scena.

 

Chi è stato l’autore dell’artwork del disco?

L’artwork è stato realizzato dall’artista tedesco Bloodboy, che ha lavorato anche per Kreator, Heaven Shall Burn, Cataract, Kataklysm, Dying Fetus.

 

Avete in programma qualche serata per promuovere “Let The Slaughter Begin”?

Una volta rodata la nuova lineup, sicuramente faremo delle date live a supporto di “Let the slaughter begin”.

 

State per caso lavorando anche ad un full-lenght?

Non abbiamo ancora iniziato, ma a fine anno cominceremo ad arrangiare le idee per il nostro full lenght.

 

Come stai messo invece con i tuoi altri progetti: i Rome in Monochrome ed i Degenerhate?

Con i Rome In Monochrome, abbiamo finito di registrare il nostro full lenght d’esordio intitolato “Away from light”, e stiamo aspettando un’etichetta interessata a pubblicarlo, nel mentre facciamo qualche data in giro. Con i Degenerhate al momento siamo fermi, ma da Settembre inzierò a scrivere il nuovo album

 

Bene Gianluca, siamo arrivati al termine di questa breve chiacchierata. Come al solito, la parola va a te.

Grazie 1000 Gianni per la tua solita disponibiltà! Invito tutti i tuoi lettori a seguirci sulla nostra pagina Facebook: www.facebook.com/exhumetoconsumeofficial

Stay tuned ghouls!!!!!

Intervista: Rome In Monochrome (Gianluca Lucarini)

Sabato, 15 Aprile 2017 23:06 Pubblicato in Interviste

Di seguito potete leggervi la nostra chiacchierata insieme a Gianluca Lucarini, chitarrista e fondatore dei doomster capitolini: Rome In Monochrome

 

Ciao Gianluca, do il benvenuto a te ed ai Rome In Monochrome su Allaroundmetal.com.  Prima intervista quindi tocca che vi presentiate. Quando e come nasce la band Rome In Monochrome?

Gianluca: Ciao a te ed a tutti. Dunque, la band è nata del 2013 con l’idea di essere un mio progetto solista, che mi facesse distaccare dal sound molto estremo dei Degenerhate, la mia band principale: volevo che il tutto suonasse molto atmosferico ed oscuro, partendo da spunti doom ed anche drone. Quando ho coinvolto Valerio (il cantante, all’epoca anche chitarrista), che conoscevo già da tempo, il suo approccio molto influenzato dallo slowcore e dallo shoegaze ha cambiato presto le prospettive che avevo in testa. Mi ha proposto subito diversi pezzi ed ho capito che ci stavamo spostando dall’idea iniziale. Intorno a noi, dopo diversi avvicendamenti, è nata l’attuale formazione. 

 

Come avete scelto il vostro monicker e qual è il suo significato?

Gianluca: Il nome fu inventato da Max Varani, ex cantante dei Degenerhate: gli ho chiesto il permesso di usarlo perché mi è subito piaciuto e mi è sembrato adatto all’idea che avevo di questo progetto. Le coordinate sonore sono un po’ cambiate da quel momento ma il nome è rimasto adatto e credo ci calzi a pennello.

 

Quali sono i musicisti/band che vi ispirano?

Gianluca: Come ho detto, l’approccio iniziale era molto legato al doom, quindi forse senza Anathema, Paradise Lost, Katatonia e My Dying Bride questa band non esisterebbe: abbiamo però da subito arricchito il tutto con influenze provenienti da altri generi, slowcore, shoegaze e post rock su tutti. In generale sia ispirati da tutta la musica malinconica ed introspettiva: ognuno di noi ha gusti diversi. In ogni caso la mia band preferita, assieme ai Carcass, sono senz’altro gli Smiths.

 

Come nasce un brano dei RIM? Collaborate insieme fin da subito alla stesura del testo e della musica o c’è uno o più songwriters tra voi, e solo in un secondo momento vi riunite per confrontarvi?

Gianluca: In linea di massima le strutture sono costruite da Valerio, che ha scritto anche tutti i testi ad eccezione di uno per il quale abbiamo collaborato. Diciamo che in linea di principio è lui che dà la forma di base al brano, che poi, in sala prove o spesso anche a casa, in acustico, viene arricchito dai contributi di tutti noi e prende il suo aspetto definitivo. Questa, ovviamente, non è una regola ed infatti in un paio di casi i pezzi sono nati da spunti o strutture provenienti da me e da Alessio (Reggi, chitarra): in ogni caso, la costruzione dell’arrangiamento finale ci coinvolge tutti. 

 

Come siete entrati in contatto con la Wintersleep Records?

Gianluca: Nel modo più semplice possibile: è la mia etichetta!

 

Parliamo dell’Ep “Karma Anubis”. Ci spieghi la scelta di questo titolo ed il suo significato?

Gianluca: Valerio lavora spesso per immagini forti e con grandi contrasti. Il titolo ed il testo del pezzo mi sono piaciuti subito per questa negatività senza mediazioni. L’immagine è piaciuta a tutti ed abbiamo pensato che potesse intitolare tutto l’ep.

 

Come è nato l’artwork dell’Ep? Chi è l’autore?

Gianluca: L’autrice è un’artista greca che ci chiama Nicky Pi: ho visto io l’immagine sulla sua pagina Facebook e mi è sembrata subito adatta alla nostra musica. Ci sembra di vedere anche una citazione della locandina della prima stagione di True Detective ma non abbiamo chiesto conferma a Nicky, che nel frattempo è diventata nostra amica, nel timore di scoprire che non sia vero!

 

Nel disco sono contenuti 3 pezzi. C’è stata un’idea precisa dietro la scelta di incidere proprio queste tracce o sono semplicemente stati i primi 3 brani che avete composto come band?

Gianluca: Un po’ entrambe le cose: in ogni caso, ci è sembrato che l’ep fosse equilibrato con questi tre brani, quindi l’abbiamo “chiuso” così.

 

Avete girato anche un video per la title-track dell’Ep. Ci parlate di come è stato realizzato?

Gianluca: L’ha realizzato il nostro amico Massimiliano Francardi/Papero Diabolico Produzioni, in uno splendido palazzo antico della campagna romana, abbandonato da tempo.  Il risultato ci piace molto, è valsa la pena di prendere tutto quel freddo!

 

Al momento state lavorando sul vostro primo full-lenght intitolato “Away From Light”. Cosa ci dobbiamo aspettare a livello di songwriting? C’è già una data di uscita del disco?

Gianluca: A livello di songwriting è sicuramente molto più compatto dell’ep, la formazione è rimasta la stessa per diverso tempo e sicuramente si sente, come si sente anche parecchio che Valerio, in fase di scrittura, aveva già abbandonato la chitarra per concentrarsi solo sulla voce: le melodie sono molto forti ed incisive. E’ un disco compatto, potente ma anche delicato: è piuttosto vario e ci piace molto proprio per questi contrasti. Non sappiamo ancora quando uscirà, quando avremo il master pronto ci guarderemo seriamente intorno: dipende anche da quante e quali proposte discografiche ci arriveranno.

 

Avete già in programma anche dei live per presentare il nuovo lavoro?

Gianluca: Si, stiamo da tempo eseguendo i brani di Away from light dal vivo. I prossimi appuntamenti sono il 14 aprile al Contestaccio, il 20 aprile al Qube in apertura ai Novembre ed il 29 aprile al The Southern Storm Festival di Catania con Onslaught, Hour of Penance, The Foreshadowing e Gravestone. Abbiamo anche un’apparizione in radio già fissata a maggio ed un festival a luglio. Ci diamo da fare, insomma.

 

Aldilà dei Rome In Monochrome avete in piedi altri progetti musicali?

Gianluca: Io suono nei Degenerhate (grindcore) e negli Exhume to Consume (brutal/slam/death) con Marco “K” Paparella (che nei RiM suona la chitarra ed il violino ed in queste due band suona il basso); negli Exhume ci sono anche Alessio Reggi alla chitarra e Flavio Castagnoli alla batteria (stessi ruoli nei RiM). Valerio canta (o meglio cantava, sono fermi da un po’) con il gruppo synthpop ALFSS e fa delle cose da solo a nome Winter Industry; i suoi progetti si aprono e si chiudono con grande facilità perciò non mi stupirei se stesse facendo qualcosa che ancora non so.  

 

Per ora è tutto, un saluto ed un in bocca al lupo da parte mia e dello staff di Allaroundmetal.com. Ovviamente l’ultima parola va a te…

Gianluca: Join the cult of the absence of color.

Sonisphere 2016@Rock In Roma

Mercoledì, 27 Luglio 2016 22:16 Pubblicato in Live Report

Superato il traffico verso la capitale, gli schifosi parcheggiatori abusivi, gli ancor più schifosi bagarini, la mia giornata al Sonisphere di Roma è iniziata verso le 16, giusto in tempo per godermi i Sabaton.

Dispiace essermi perso gli A Perfect Day di Andrea Cantarelli (Labyrinth), un po’ meno il palese (almeno secondo il mio punto di vista...se va be...) nepotismo Maideniano che si è presentato quest’oggi nelle vesti dei Wild Lies, nei quali troviamo il figlio di Adrian Smith, e dei The Raven Age del figlio di Steve Harris.

Non mi permetto di esprimere giudizi sulla loro prestazione dal vivo perché di fatto non li ho visti. Ma posso descrivere brevemente il loro stile musicale, da equiparare alla bene e meglio a quello dei Bullet For My Valentine (quest'oggi per fortuna assenti), riassunto in hard rock/metal modernista estremamente melodico e dal piglio adolescenziale, che sta a questa giornata di musica, più o meno come Lauren Harris stava a quella dell’ultima visita degli Irons a Roma; di base non c’entrava niente, ma almeno Lauren era ed è una bella figliuola, quindi se tanto mi da tanto, avrei votato sicuramente per lei, se avessi potuto scegliere quale dei figli dai nomi noti avere al Sonisphere.  

Ma passiamo oltre. Al netto di una locazione non eccelsa per un concerto metal, come quella dell’Ippodromo romano, e al netto di bagarini etc. devo dire che invece l’organizazzione dell’evento è stata diretta nel migliore dei modi, un ringraziamento particolare va alle ragazze della sezione accrediti, che sono riuscite ad essere puntuali, veloci, nonché gentili nel risolvere in breve tempo il problema per il mio nominativo mancante

 

 

SABATON

L’ippodromo delle Capanelle alle 16 è già gremito di gente, ben più numerosa di ogni mia più rosea aspettativa, rispetto al triste andazzo degli ultimi concerti a cui sono stato.

Dal lato loro i Sabaton si presentano agguerriti (ci mancherebbe altro, visti i loro concept a suon di guerre), calcano l’enorme palco con maestria, Joakim Broden interagisce spesso con i presenti, ed in generale la band è perfetta da ogni punto di vista. In un’ora gli svedesi scelgono di intrattenere il pubblico romano (e non), andando a pescare tra i migliori brani della propria discografia. Immancabili infatti le epiche “Ghost Division” e “Carolus Rex”, la folkettara “Swedish Pagans”, la martellante “Night Witches”.

Simpatica poi l’interpretazione di una parte di “Winds Of Change” degli Scorpions, cantata dal chitarrista,  che fa da intro all’ottima “To Hell And Back”.  Il finale poi non poteva che appartenere alla hit “Primo Victoria”.

Ovviamente c’è stato anche tempo per presentare “The Lost Battalion”, il primo accattivante singolo estratto dal nuovo album in uscita del gruppo.

Diciamolo, Joakim non sarà mai ricordato per la sua ugola, ma lui, come l’intera band, hanno dimostrato di saper fare il proprio, e di saperlo fare nel migliore dei modi.   

 

Setlist

The March To War

Ghost Division

Far From The Fame

Carolus Rex

Swedish Pagans

Resist And Bite

The Lost Battalion

To Hell And Back

The Art Of War

Night Witches

Primo Victoria

 

SAXON

A seguire un pezzo di storia del metal inglese prende vita.

E’ indubbio che a livello di performance, Biff Byford ed i suoi Saxon siano stati i migliori in assoluto quest’oggi. La timbrica di Biff è perfettamente amalgamata ai pezzi, nessun calo, nessuna stonatura (tenetelo presente questo continuando a leggere!).

E’ indubbio anche che Nigel Glockler nonostante sia del '53 e sembri un pensionato vestito per carnevale, suoni la batteria con più precisione e con più fiato di molti suoi giovani colleghi. Una vera e propria furia durante “Heavy Metal Thunder”, brano dedicato quest’oggi allo scomparso Lemmy.

I Saxon sono stati semplicemente trascinanti, tanto da portare più di una volta al pogo i ragazzi accorsi al Sonisphere, che, bontà loro, hanno creato di volta in volta “tempeste di polvere” che ricadevano sul sottoscritto (vi ho già detto di quanto consideri l’ippodromo un brutto luogo dove ospitare concerti?).

La setlist dei Saxon si è divisa tra brani storici: “Princess Of The Night”, “Wheels Of Steel”, “Denim And Leather”, e ovviamente quelli più recenti come l’opener “Battering Ram”, passando per la famosa hit degli anni '90 "Dogs Of War".

In breve i signori della NWOBHM sono riusciti ad attirare l'attenzione su di se anche da parte dei più giovani, molti dei quali sottolineavano di non conoscerne un brano o di aver sentito giusto qualcosa su youtube prima di venire al concerto. Buon per loro, si sono goduti l'essenza stessa dell'Heavy Metal. 

L'ora di spettacolo finisce tra applausi entusiastici.

 

Setlist

Battering Ram

Motorcycle Man

Sacrifice

Power And The Glory

20,000 Ft

Dogs Of War

Heavy Metal Thunder

Crusader

Princess Of The Night

Wheels Of Steel

747 (Strangers In The Night)

Denim And Leather

 

ANTHRAX

Il tempo di un panino e dall'essenza della storia dell'heavy inglese, si passa ad uno dei grandi pilastri del thrash metal statunitense. Arrivano gli Anthrax di Scott Ian e del suo buffo pizzetto, che ormai vive di vita propria.

Per i thrashers tornati finalmente alla ribalta con l’ultimo esplosivo album “Four Kings”, cominciano però una serie di problemi non meglio specificati. Di fatto la band che avrebbe dovuto presentare il repertorio più duro della giornata, è sembrato il gruppo meno aggressivo: volumi insolitamente bassi ed un Belladonna a corrente alternata, che comincia bene la sua performance canora con “You Gotta Believe” e di fatto scompare già durante le strofe di “Caught In A Mosh”.

Si continuerà così fino alla fine di un'esibizione non certo degna del pesante moniker che tiranneggia sul telo del palco.

Tirando le somme, promuovo la setlist (ottima!), così come la performance di Frank Bello al basso, impeccabile con il suo strumento, e unico membro del gruppo, insieme a Scott Ian, che cerca di tirare le redini di uno spettacolo che è sembrato un po' freddo ed impersonale, con le movenze del singer fin troppo forzate e Donais alla chitarra che sembrava stesse facendo un favore al mondo per stare li sopra...

Da che dipenda tutto questo non lo so, ma certo gli Anthrax sono sembrati un gruppo un po' spaccato.

 

Setlist

You Gotta Believe

Caught In A Mosh

Got The Time

Madhouse

Fight’em ‘Til You Can’t

Evil Twin

Antisocial

Breathing Lightning

Indians

 

IRON MAIDEN

Il tramonto arriva e porta con se molte altre migliaia di persone, che riempiono i pochi spazi vuoti che c’erano fino ad ora. Al crepuscolo il palco si scopre in tutta la sua maestosità. Quando comincia in playback “Doctor Doctor”, viene salutata dai presenti con grande ovazione: è arrivato il momento degli Iron Maiden che aprono con la bella “If Eternity Should Fail”, tratta dal loro ultimo disco.

Lo show degli Iron Maiden è, come ci si aspettava, uno spettacolo senza eguali: luci, fuochi, scenografia superlativa, il gigante Eddie che cerca di eliminare simpaticamente i suoi 6 padri musicisti, il suo testone che prende vita alle spalle del gruppo durante il finale del brano “Iron Maiden”.

I 5 strumentisti sono ancora delle macchine da guerra, e mi fa piacere sottolinearlo, non solo precisi nell'esecuzione, ma veri e propri atleti, non si fermano un attimo per due ore di musica, e per quel che riguarda la parte musicale, gli Irons non sbagliano una virgola. I brani del nuovo album rendono molto di più dal vivo, a dimostrazione che la produzione in studio dovrebbe levare le ancore dal proprio "stantio fuori tempo targato Harris", e modernizzarsi a livello di potenza sonora. La setlist godrà ovviamente anche dei classici intramontabili dei nostri: da "The Number Of The Beast" a "Fear Of The Dark", da "Powerslave" alle chicche "Wasted Years" e "Children Of The Damned".   

Anche il buon singer Bruce Dickinson dimostra ancora una volta di essere un grande intrattenitore, fisicamente sembra si sia ripreso alla grande da radio e chemio, anche lui si fa i suoi bei chilometri di corsa. Inoltre scherza con il pubblico, gioca con scimmiotti pupazzo, esalta i presenti con discorsi sulla fratellanza che fanno da intro all’ottima “Blood Brothers”, e sulla funesta nascita e l’ovvia caduta degli imperi, che prologano “The Book Of Souls”.

Bruce incanta…ma ecco…non canta, o quasi.

Purtroppo da questo punto di vista lo sentiamo inciampare parecchie volte, soprattutto sugli acuti.

Grandi difficoltà sui brani più vecchi, di “The Trooper” ne sentiamo la metà, idem per la difficile “Halloweed Be Thy Name”. Sui nuovi pezzi va meglio, ma di fatto è la prima volta che Bruce non è pienamente all'altezza della sue leggendaria prestazioni canore, e un po’ fa male constatarlo.

Forse è stata solo una serata no, ma è anche vero che forse abbassare un po’ la tonalità dei pezzi invece di cercare di farli come quando si aveva 30 anni, non sarebbe malaccio come idea, contando che la prestazione in generale ne gioverebbe non poco. Dopotutto immagino che “Wasted Years” sia stata rallentata per agevolare Nicko, ma il risultato è stato comunque buono. 

Dovere di cronaca far presente la defaillance canora di Bruce, ma detto questo, a somme fatte, lo spettacolo è riuscito lo stesso, il piccolo fan mattacchione che è in me, che ha cominciato ad ascoltare metal proprio grazie agli Irons ha versato nonostante tutto lacrime di gioia.

E vi assicuro che vedere gli Irons ancora così coinvolti e scattanti come adolescenti, fa bene al cuore (Belladonna in confronto è sembrato per atteggiamento un loro nonno lontano).

 

Setlist

If Eternity Should Fail

Speed Of Light

Children Of The Damned

Tears Of A Clown

The Red And The Black

The Trooper

Powerslave

Death Of Glory

The Book Of Souls

Hallowed Be Thy Name

Fear Of The Dark

Iron Maiden

 

ENCORE:

The Number Of The Beast

Blood Brothers

Wasted Years

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Ruinforge: Un esordio esplosivo
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