Gabriele Boschi, violinista dei Winterage, è qui con noi di allaroundmetal.com per una chiacchierata sulla band e sul loro nuovo disco “Nekyia”
AAM: Ciao Gabriele e grazie di essere qui con noi di allaroundmetal.com. E’ la prima intervista con noi, per cui vi chiedo di presentare la band a chi ancora non conosce in maniera approfondita i Winterage.
GB: Ciao e grazie a voi! Siamo una band Symphonic Power Metal genovese nata nel lontano 2008, quando l’età media dei suoi componenti era di 17 anni. Inizialmente il gruppo era strumentale ed il violino sostituiva la voce, spesso duettando con la chitarra solista, ma per il debut album “The Harmonic Passage” del 2015 abbiamo deciso di inserire nell’organico anche un cantante: Daniele. Il sound della band è di stampo power metal, con influenze derivanti dalla musica classica ed operistica, irlandese, medioevale, ed ultimamente anche cinematica. Per i primi due album abbiamo inoltre registrato una vera orchestra sinfonica ed un coro lirico, per un totale di circa 40/50 musicisti coinvolti nel processo di incisione, al fine di ottenere un sound molto realistico; per l’ultimo album “Nekyia” invece, ci siamo affidati agli strumenti virtuali spesso utilizzati nella produzione delle colonne sonore, in favore di un sound più ampio e cinematico, diversamente ottenibile soltanto registrando grandissime orchestre ed avendo quindi a disposizione molto budget.
AAM: Tra il primo ed il secondo album ci sono stati diversi cambi nella band, ma questa volta invece la formazione è rimasta stabile. E’ scattata la giusta alchimia? E, secondo te, quanto può essere importante la coesione in un gruppo musicale?
GB: Dopo molti anni di attività, alcuni membri hanno capito che il power metal non era la loro strada ed hanno abbandonato il progetto. La formazione attuale funziona per diversi motivi che ora vi spiego estendendo la risposta ad un discorso più generale. La prima motivazione dipende dal fatto che suonare questo genere musicale molto di nicchia, richiede molta determinazione, poichè prima di vedere dei risultati di entità almeno pari all’impegno richiesto per portare avanti il progetto, ci vogliono molto tempo, energie e budget, tutte cose in cui bisogna impegnarsi in contemporanea al proprio lavoro ed alla vita personale. E’ fondamentale che ogni membro di una band abbia ben chiaro questo, lo metta in conto e, nonostante l’effort richiesto, ci metta sempre la passione e l’impegno per far crescere la band: è necessario che il desiderio di creare qualcosa di importante sia maggiore delle difficoltà che esso richiede, e spesso non è facile trovare persone così, per questo molte bands cambiano spesso formazione. Dato per scontato che ogni membro padroneggi magistralmente il proprio strumento, ed abbia le giuste doti musicali per creare, registrare e suonare dal vivo la musica che il gruppo propone, a mio parere sono necessarie altre due cose. La prima è il rapporto personale tra i membri: noi Winterage prima ancora che colleghi siamo amici, ciò garantisce il rispetto e l’aiuto reciproci, la goliardia (essenziale per bilanciare lo stress e per distrarsi), ed il desiderio di raggiungere un obiettivo comune, sentendosi supportati dall’impegno degli altri. La seconda è la distribuzione del lavoro, a seconda delle diverse skill extramusicali di ognuno: c’è chi si occupa del merchandise, chi dei socials, chi del comparto informatico come il sito internet ed emails, chi delle grafiche, chi della logistica, eccetera. Ognuno, a seconda delle proprie inclinazioni personali, si impegna oltre che musicalmente a portare avanti un comparto organizzativo e logistico necessario per far funzionare la grande macchina che è una band musicale. E’ scontato che tra i membri ci deve essere alchimia musicale, di gusto, scenica, ma soprattutto come dicevo prima, rispetto reciproco ed obiettivi comuni; una volta che questi punti sono saldi, tutto il lavoro è meno complicato.
AAM: Veniamo al vostro nuovo album “Nekyia”, vi siete resi conto che avete realizzato un disco superlativo? Quanto siete soddisfatti del lavoro fatto e c’è qualcosa che adesso, a mente fredda, avreste modificato?
GB: Grazie mille! Siamo consapevoli di aver fatto un ottimo lavoro di cui, forse per la prima volta, siamo totalmente soddisfatti. Nonostante il breve tempo di realizzazione sia musicale che produttiva (breve per l’impegno che un genere così denso richiede), non siamo mai scesi a compromessi in termini di qualità ad ogni livello produttivo, e questo alla fine ha pagato. Non che questo non sia avvenuto con gli scorsi album, ma negli anni siamo cresciuti molto, abbiamo una consapevolezza maggiore, ed aver seguito la produzione degli altri due album ci ha fatto capire molte cose che ora padroneggiamo molto meglio (ricordo che il primo album “The Harmonic Passage” è del 2015, in cui io avevo 23 anni!). Siamo soddisfatti a 360 gradi del risultato musicale, sonoro e di concept di “Nekyia”: per la prima volta questo album mi fa venire voglia di ascoltarlo ancora ed ancora, cosa che con gli scorsi non succedeva perché l’orecchio musicale va sempre a scovare le imperfezioni qui e lì, e spesso le trovavo, quindi preferivo non farmi del male haha!! Non dico che “Nekyia” sia un disco perfetto, ma per lo meno siamo ora approdati ad un livello in cui le critiche che gli si possono muovere sono esclusivamente di tipo musicale e di gusto soggettivo. Inoltre un altro valore che ha questo album è che è stato curato da noi quasi interamente: Gianmarco, il chitarrista, lavora al Fear Studio di Gabriele Ravaglia, dove abbiamo registrato la maggior parte degli strumenti, li abbiamo editati, fatti suonare a dovere e poi mixati: è stato un grande lavoro artigianale di squadra che abbiamo portato avanti unicamente noi con il supporto e la supervisione di Gabriele, non ci siamo affidati a sound-engineers o produttori esterni (a parte il mastering che è stato affidato a Jacob Hansen), questo per noi è motivo di grande soddisfazione!
AAM: Quale relazione ha l’artwork con i testi ed, a proposito, chi lo ha disegnato?
GB: L’artwork è stato magistralmente disegnato da Giannis Nakos aka Remedy Art Design (Kamelot, Amaranthe, Pyramaze, Evergrey, etc). Ci piaceva il suo stile un po’ più aggressivo rispetto alle nostre scorse copertine, perché volevamo comunicare il più possibile il cambio di sound che questo disco si porta dietro, ma senza esagerare per rimanere comunque nel contesto power metal. Penso che Giannis sia riuscito a rappresentare perfettamente il concept, tant’è che abbiamo approvato all’unanimità la sua primissima bozza! La “Nekyia” è un rituale dell’antica Grecia in cui chi lo praticava discendeva agli inferi per dialogare con gli spiriti e trarne consigli e suggerimenti; volevamo quindi un’ambientazione sotterranea un po’ astratta, oscura e rituale come il sound del disco, ma non troppo da sembrare maligna e vicina ad altri generi metal più spinti, visto anche che il messaggio finale del concept è positivo. Penso che si sia creato un ottimo sodalizio con Giannis, che nemmeno a farlo apposta è greco; è molto probabile che affideremo a lui le grafiche dei nostri prossimi lavori perché oltre che essere un bravissimo artista, è anche molto disponibile e gentile.
AAM: Parliamo dei testi, chi se ne occupa e di cosa si parla in “Nekyia”?
GB: Inizialmente ho proposto io ai ragazzi l’idea generale dell’album, con l’intenzione di collegare ad essa le singole canzoni. E’ piaciuta molto a tutti e così siamo partiti a comporre i brani e scrivere i relativi testi con questa idea di fondo. A seconda delle inclinazioni e gusti personali e del tempo a disposizione poi, io, Daniele e Gianmarco abbiamo scritto le lyrics delle canzoni, collegando le singole tematiche al concept della Nekyia di cui ho accennato prima. Vediamo quindi una discesa nell’oscurità degli inferi, ma così come fece C.G.Jung nel suo “Libro Rosso”, abbiamo voluto associare la Nekyia anche alla discesa dentro sé stessi, alla scoperta e all’accettazione dei lati più oscuri, primordiali, istintivi e meno morali che l’essere umano possiede, oltre che all’indagine del proprio inconscio. C’è dunque oscurità, ritualità, tribalità, ma non solo. L’obiettivo di questo viaggio è l’accettazione della totalità delle emozioni che l’essere umano può provare, perché è solo conoscendola ed accettandola come parte integrante del sé, che l’uomo può padroneggiare sé stesso e riemergere al mondo completo e libero. Tutti noi abbiamo attraversato momenti di profonda tristezza ed inquietudine, in quei momenti queste emozioni totalizzano la nostra realtà sostituendosi ad essa e ci sentiamo oppressi e persi. Il messaggio del nostro terzo album è quindi quello di conoscere, indagare ed affrontare anche questi aspetti della vita, saggiare come reagiamo ad essi, per poi uscirne più maturi. Ogni canzone quindi affronta questa macro-tematica in modo differente, soffermandosi su un aspetto particolare di essa: “Simurgh the Firebird” parla della leggenda narrata ne “La conferenza degli uccelli”, poema persiano del dodicesimo secolo di Farid al-Din 'Attar, in cui uno stormo di uccelli parte per un viaggio molto lungo attraverso sette valli (ognuna rappresentante allegoricamente un aspetto dell’animo umano) alla ricerca del loro capo; alla fine del viaggio scopriranno che sono loro i padroni di se stessi, perché consapevoli e maturi per aver affrontato e compreso la via che porta verso la conoscenza di sé. “La Fonte d’Essenza” invece presenta un luogo arcano in cui sgorga dalla terra un’acqua contenente tutte le emozioni che l’essere umano può provare: solo immergendosi nella più pura essenza di esse, potremo riemergere consapevoli di ciò che siamo e padroneggiare la nostra esperienza nel mondo, d’altronde esse sono immutate dall’inizio dei tempi. “The Cult of Hecate” parla della dea greca traghettatrice di anime, “Dark Enchantment” racconta la storia di un uomo in preda alla perdizione di sé stesso in un momento particolarmente buio della propria vita, come se si fosse inflitto un incantesimo maligno…potrei dilungarmi per altre dieci pagine a spiegare ogni brano, l’invito è di leggere le lyrics e scoprire voi stessi ogni sfaccettatura di questo album ricco di contenuti!
AAM: Come nasce un pezzo dei Winterage? E’ un lavoro di squadra o c’è qualcuno tra voi che fa tutto?
GB: Come dicevo prima, il processo di songwriting di Nekyia si è volto relativamente in poco tempo, e lo abbiamo portato avanti scrivendo i brani a distanza. Ho composto principalmente io il materiale armonico e melodico, proponendolo poi ai ragazzi e discutendone assieme: spesso arrivavo con delle idee sui ritornelli, riff o melodie, ed insieme li abbiamo adattati assecondando il gusto e le esigenze di tutti, lavorando in sincronia soprattutto sulle strutture dei brani, in modo che fossero serrate ma non banali: questo penso sia un altro punto solido di questo album. Gianmarco ha apportato un grandissimo input per quanto riguarda i riff e i soli di chitarra e Daniele ha proposto variazioni melodiche che meglio funzionavano per la sua vocalità, oltre al ritornello de “La Fonte d’Essenza” che è stato scritto da lui per dare spazio anche alla sua vocalità lirica. Una volta sistemate anche le ritmiche, in accordo con Luca e Matteo (batteria e basso), ognuno ha studiato per proprio conto le parti ed io ho iniziato il processo di orchestrazione, che mi ha impegnato due mesi interi.
AAM: Avete realizzato due video estratti dall’album. Per quale motivo avete scelto proprio “Simurgh the Firebird” e “The Cult of Hecate” e cosa ci racconti a proposito delle registrazioni? C’è magari qualche episodio simpatico che ti va di raccontarci?
GB: Abbiamo scelto quei brani perché presentandoli come singoli prima della release del disco, a nostro parere davano fin da subito un’idea del nuovo sound oscuro e estremamente sinfonico che l’album propone. Sono due brani diversi l’uno dall’altro, che mettono in luce tutti gli aspetti che il nostro sound può vantare: velocità, tecnicismi strumentali, melodie cantabili, armonie ricercate ed orchestrazioni bombastiche. Le registrazioni in realtà non hanno impegnato unicamente il Fear Studio di Gabriele Ravaglia: il basso ed i cori lirici sono stati registrati al Nadir Music Studio di Tommy Talamanca (Sadist), le voci presso il Luke Studio di Luca Ghiglino e la produzione delle orchestre si è svolta nel mio studio personale; l’utilizzo di più sedi ci ha permesso di portare avanti le diverse fasi della realizzazione dell’album nello stesso momento. Episodi simpatici ora come ora non me ne vengono in mente, abbiamo davvero lavorato con ritmi serrati cercando di limitare il più possibile gli errori e le distrazioni haha!
AAM: Quanto sono importanti per voi costumi e trucchi scenici?
GB: Il look è imprescindibile al giorno d’oggi! E’ importante avere una propria identità anche visiva che si leghi al sound della band per creare un immaginario unico, in cui lo spettatore possa immergersi ed in modo che quando vede una foto della band possa dire “Guarda, sono i …!”. Purtroppo però, soprattutto nell’ultimo periodo, questo aspetto sta acquisendo sempre più rilevanza all’interno del power metal, al punto da mettere in secondo piano la musica. Penso che per una band il fine primario sia fare arte, creare musica con dedizione per dire qualcosa, promuovere degli ideali o semplicemente dire la propria su determinati aspetti della vita. Sempre più spesso invece vedo realtà in cui la musica è scontata e banale, e si punta tutto sull’immagine, curandola esageratamente per attirare attenzione, ma il messaggio finale è povero e sciapo. E’ importantissimo avere una propria identità anche visiva, ma credo che sia essenziale che il pubblico sappia distinguere chi fa arte da chi fa mero intrattenimento.
AAM: Avete in programma qualche data live per promuovere l’album ed, in caso affermativo, puoi svelarci qualcosa? Ci sarà insomma la possibilità di vedere i Winterage dal vivo?
GB: Nel corso dell’estate 2023 abbiamo portato in giro per l’Italia il nuovo album, esibendoci in festivals sia metal che celtici. I nostri prossimi appuntamenti live prevedono il Metal Valley di Rossiglione fissato per l’1 settembre, ed un mini-tour inglese con i compagni di label Fellowship ed i Sellsword: il 22 settembre saremo a Manchester, il 23 a York ed il 24 a Leeds, non vediamo l’ora di partire!
AAM: Avete mai pensato ad una ristampa del vostro primo EP omonimo? Credo che in molti sarebbero curiosi di poterlo ascoltare o acquistare…
GB: Attualmente lo abbiamo tolto dal commercio perché non rappresenta più lo standard qualitativo della band: si pensi che è del 2011, lo abbiamo registrato quando non eravamo nemmeno ventenni! Magari in futuro potremmo pensare di riprendere i brani e re-inciderlo, chi lo sa. Ad ora non rientra nei nostri piani futuri, abbiamo ancora tanta musica nuova da scrivere!
AAM: Ora qualche domanda che mi piace sempre porre alla prima intervista per allaroundmetal.com. Vorrei ad esempio sapere quali sono stati i musicisti e le bands che ti hanno ispirato e ti hanno portato ad imparare a suonare il tuo strumento.
GB: E’ fuor di dubbio che le influenze del nostro sound sono fortemente riconoscibili: tutti noi siamo cresciuti ascoltando i brani di: Rhapsody of Fire, Nightwish, Sonata Arctica, Symphony X, Stratovarius, etc. Queste, assieme ad innumerevoli altre bands e compositori, hanno forgiato la nostra sensibilità musicale che traspare dagli album dei Winterage. Personalmente, sono cresciuto in un ambiente ricco di musica classica, entrambi i miei genitori suonano uno strumento d’orchestra e per questo motivo ho iniziato lo studio del violino all’età di 8 anni. Le ore passate in prova ed in concerto nelle numerose orchestre in cui ho suonato negli ultimi 15 anni, mi hanno dato la possibilità di conoscere nel dettaglio gli strumenti e la sonorità orchestrale, facendoli miei e permettendomi di riproporli all’interno del sound della band: spesso infatti facciamo uso di citazioni del repertorio “classico” (anche se sarebbe più giusto dire romantico), ri-arrangiando qualche estratto sinfonico o operistico, in versione metal. Sono due ambiti apparentemente distanti, ma in realtà molto simili in termini di armonie, melodie e ritmi: nell’ultimo album infatti, all’interno del brano “Metamorphosis, a Macabre Ritual” ho ripreso buona parte della “Danza Macabra”, poema sinfonico del compositore ottocentesco Camille Saint-Saëns, aggiungendo alla sua partitura (spero mi perdoni!) la band metal; negli scorsi album invece abbiamo citato compositori come P.I.Tchaikovsky, A.Dvořák e G.Verdi. Inoltre fin dal primo disco abbiamo inserito all’interno del nostro sound anche una importante componente folkloristica, scrivendo o citando reel, gighe e polke provenienti dal quel genere musicale (principalmente quello irlandese), rivisitandolo nel nostro stile ed utilizzando in studio di registrazione anche strumenti tradizionali come uillean pipes, banjo, tin whistle, etc.
AAM: Indicami tre dischi che sono stati fondamentali per la tua crescita artistica.
GB: Rhapsody of Fire - “Symphony of Enchanted Lands II”; Nightwish - “Imaginaerum”; Sonata Arctica - “Ecliptica”
AAM: Se avessimo la sfera di cristallo, cosa vedremmo nel futuro dei Winterage?
GB: Non so dirti come sarà la curva di crescita della band, di sicuro noi continueremo a battere il ferro finché è caldo! Dopo gli ultimi concerti estivi di settembre, inizieremo a scrivere brani nuovi, ma non solo! Restate aggiornati.
AAM: Credo di essermi dilungato anche troppo, concludo ringraziandoti ancora per la tua disponibilità e lascio, come consuetudine, uno spazio finale per un tuo messaggio o saluto ai fans ed ai lettori di allaroundmetal.com.
GB: Grazie mille per le domande molto interessanti! Voglio ringraziare chi si è spinto fino qui nella lettura di questa intervista e tutti coloro che ascoltano ed apprezzano la nostra musica: cercate di essere curiosi e di andare a fondo nelle tematiche delle vostre bands preferite con gli ascolti e la lettura delle lyrics, scoprirete mondi di cui non immaginavate l’esistenza! Stay winter