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16 Mag

Matteo Brigo, lo scienziato pazzo delle sei corde ai nostri microfoni! In evidenza

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Dopo il bellissimo "80s Movies" abbiamo intercettato il chitarrista padovano Matteo Brigo per una lunga e piacevole chiaccherata alla scoperta di cosa sta dietro il lavoro del nostro scienziato pazzo delle sei corde!

Ciao Matteo finalmente riusciamo a fare questa intervista. Sono trascorsi meno di due anni dal tuo primo disco solista ma sei già tornato con questo nuovo “80s movies”. Puoi raccontarci come sono nate le nuove composizioni? So che per trovare l'ispirazione ti sei recuperato una montagna di film degli anni 80....

Ciao a tutti! Si, esatto! Il motivo scatenante, o il flusso canalizzatore, è stato proprio il divertimento e l’entusiasmo provato nel realizzare il mio primo album, “It Works!”. Il costruire una storia così brillante e fumettosa mi ha davvero gasato e mi è sembrato perfettamente naturale portarne avanti il discorso, sia musicale che di concept. Stesa una bozza della trama, mi sono messo al lavoro sulle composizioni che, a differenza di “It Works!” nel quale c’era una parte del materiale anche composto molto tempo prima, per “80’s Movies” tutto si è svolto nella stessa “sessione compositiva” durata alcuni mesi. Sapevo già da prima della release del primo disco che un eventuale seguito sarebbe stato a tema “film anni ’80” e non c’è stato nessuno sforzo a riguardo… tutto è fluito in maniera spontanea e i pezzi si sono incastrati tra loro come in un puzzle. Ovviamente per calarmi nella parte e per essere fedele alle tematiche trattate mi sono visto tonnellate di film dell’epoca che, per fortuna, sono quasi tutti molto belli ed è una cosa che fatico veramente a capire visto l’impietoso paragone con il cinema attuale… ma questa è un’altra storia!

Entrambi i lavori sono stati accolti molto bene dagli addetti ai lavori e non solo. Ti saresti aspettato tutto questo all'inizio?

Sono molto combattuto a riguardo… da un lato credo molto in quello che faccio e sento che i miei dischi e miei pezzi sono davvero “speciali”, che hanno quella magia che ad altri manca. Dall’altro lato però ridimensiono tutto, e immagino che ogni musicista/compositore pensa o dovrebbe pensare la stessa cosa per il suo lavoro in quanto ci è coinvolto direttamente… e in sostanza quello che faccio sarebbe solo un onesto tentativo di dire la mia. Quindi ci sono questi due Mattei Brighi, uno consapevole e soddisfatto di aver fatto un bellissimo lavoro, l’altro che si stupisce moltissimo per ogni complimento perché non immagina nemmeno che quello che ha fatto possa piacere ad altri… è una situazione molto spesso imbarazzante, molto spiazzante.

Sei un grande appassionato degli anni 80, visto che hai anche una band in cui riproponi proprio le colonne sonore di quei film storici. Puoi raccontarci un po' come nasce questa tua passione? Quali sono i tre film che metteresti nel tuo podio degli 80s?

Si, ci sono alcuni film che non mi stanco mai di guardare… alcuni li vedo ancora adesso una volta all’anno fin da quando ero piccolo. Ho scoperto parlandone con amici che non sono il solo. Ci sono quindi questi racconti che ormai sono diventati parte di noi, ne conosciamo a memoria le sequenze, le battute e pur sapendo già tutto continuiamo a guardarli. Succede la stessa cosa con i dischi. Sceglierne tre è un affronto mica da ridere… sapendo di fare grandi torti e scontentandomi molto ci provo… metto di sicuro “Ritorno al Futuro” perché è stata un’ispirazione oltre che per il concept di questi dischi, anche di vita e per tutta una serie di motivi, affettivi e non. Proseguo con “Star Wars - L’impero colpisce ancora”, un super classico! Potrebbe essere quello che in questa classifica rappresenta tutto il filone sci-fi. Infine metterei di sicuro qualcosa con Schwarzenegger, “Terminator” sarebbe la scelta più logica e giusta, è una meraviglia di film che davvero si merita il top, però ora come ora gli preferisco proprio di una briciola “Atto di Forza” che è un po’ più ironico e fracassone. Però che fatica… sono perfettamente consapevole e impotente per le decine di film esclusi che avrebbero la stessa ragione di esserci dentro… c’è gente che arriverebbe alle mani se in una serata si dovesse stilare una classifica del genere in gruppo…

Anche dal punto di vista musicale il tuo background arriva da quella decade. Quali sono i chitarristi che ti hanno influenzato di più? Trovi ancora dei musicisti attuali capaci di esaltarti o i vari Steve Vai, John Petrucci, Malmsteen e Van Halen rimangono inimitabili?

Il trittico Vai, Satriani, Malmsteen rimane probabilmente il mio apice personale a livello chitarristico. Dopo questi aggiungerei in ordine random Marty Friedman, Vinnie Moore, Van Halen, Paul Gilbert e a seguire tutta la schiera della scena di quell’epoca d’oro. Il periodo attuale è molto più complicato e così come è difficile per me trovare musica contemporanea che riesca ad amare come quella passata, così succede anche per i chitarristi. C’è da dire che sicuramente il livello tecnico si è alzato. Credo che il ruolo del chitarrista sia profondamente diverso rispetto ad allora. Oggi probabilmente la musica ha meno importanza… L’internet è pieno di chitarristi eccezionali, probabilmente più forti di quelli dell’epoca che però fanno cose diverse tipo lezioni, cover, dimostrazioni di strumenti ed effetti, improvvisazioni, vlog ecc… L’aspetto musicale inedito è passato in secondo piano. Manca quindi la possibilità di sentire una nuova “Surfing with the Alien” perché il mercato non lo richiede, piuttosto richiede che il bravo chitarrista suoni “Surfing with the Alien” in un video meglio di Satriani. Questa è la mia impressione e ne sono un po’ dispiaciuto perché a me, in barba al mercato e le sue spietate leggi, piace sentire musica nuova, progetti che possano essere interessanti e che possano arricchire il mondo musicale. Esistono eroi moderni che nonostante ciò cercano ancora di dare più luce alla “composizione” tipo Nick Johnston, che si barcamena tra questi due mondi risultando credibile in entrambi. Personalmente ho amato anche il disco “Drift Stage vol. 1” di Myrone, poi Jake Guy è eccezionale, anche Kristian Larsen potrebbe sorprendere in futuro… in Italia invece secondo me il top è Daniele Gottardo.

Ci puoi raccontare qualcosa sui musicisti che ti hanno aiutato in questo progetto?

Volentierissimo! Dopotutto è grazie a loro se adesso siamo qui! La squadra è quasi la stessa del disco precedente. Tutti tra l’altro grandi amanti dei film anni ’80! Parto dal bassista, Luca Serasin che per me è un compagno di mille avventure e mille gruppi, tra cui i Maieutica, fino a qualche tempo fa il nostro gruppo principale e ora in stand-by. In questo disco ha fatto un lavoro superbo, ancor più del disco precedente, ha osato di più con un gusto e una classe eccezionali e il risultato è fenomenale. Alla batteria ritroviamo Alessandro Arcolin, il meno metallone/rockettaro della combriccola anche se la sua versatilità e padronanza dello strumento lo rendono a suo agio in ogni contesto. Personalmente trovo che proprio questa sua imprevedibilità e “follia” diano il tocco di classe al disco e si sposino alla grandissima con l’ironia della musica, superstereo davvero, le sue idee sono state stellari! Alle tastiere la new entry, Filippo Galvanelli, già tastierista degli A Tear Beyond, che si è occupato di tutte le parti di piano, tastiera e orchestrazioni (mentre i suoni 8 bit sparsi per il disco sono stati programmati da me). Filippo ha dato una solennità ed una profondità pazzesche alle sue parti. Mi vengono in mente “I Want to Believe” o “Loom” dove ha preso le mie idee e le ha riarrangiate, ricostruite ed evolute con una sapienza da maestro Jedi. Ha fatto un lavoro portentoso! Mi sento di menzionare anche Alex De Rosso che ha registrato il disco e che, come sempre, è riuscito a fare la differenza con la sua precisione, meticolosità e professionalità. E infine Flaminia Spinelli per la copertina e le sezioni grafiche sempre eccezionali!

A volte molti ascoltatori vengono impauriti dal fatto di trovarsi di fronte ad un disco totalmente strumentale, succede anche al sottoscritto. La tua bravura però è proprio quella di rendere questi brani molto godibili trovando un ottimo mix tra tecnica e melodia e con un pizzico di ironia. Insomma è questa la ricetta dello scienziato pazzo di cui parla il disco?

Ti ringrazio davvero per queste parole. La volontà di questo progetto è proprio quella di dare la priorità alla musica. Da fan dei dischi strumentali mi accorgo di quanto spesso sia facile cadere in un concentrato di sleghi e smitragliate ad esclusivo uso di smanettoni e fanatici dello strumento. Fin dall’inizio ho volutamente cercato di evitare questo tipo di attitudine, di concentrarmi sulla musica e di trovare un equilibrio tra i temi musicali e i tecnicismi tipici del genere. Ecco anche il perché del concept e di tutti gli elementi di contorno come copertina cartoonosa, l’ironia, i video ecc… mi piace pensare al progetto come ad un qualcosa con un significato, un universo che si possa reggere al di là dello strumento e che possa piacere anche a un non musicista. Ogni volta che infatti un non chitarrista mi dice di apprezzare quello che faccio per me è un “epic win”!

 

Puoi raccontarci come è nata questa tua passione per le sei corde?

È stato tutto molto inaspettato… in prima gioventù non ho mai amato molto la musica in senso convenzionale. Nel senso che impazzivo per le colonne sonore di videogiochi, film e cartoni ma non per cantanti o gruppi. Poi verso la fine delle elementari è scoccata una scintilla e in prima media ho provato ad andare ad una lezione di chitarra. E da lì non mi son più fermato. C’era questo mondo misterioso tutto da scoprire con il quale potevo creare altri mondi misteriosi tutti da scoprire. Alla fine, nonostante le ore dedicateci, scopri che quello che hai scoperto porta a nuovi misteri ed enigmi, e così via all’infinito. Si è sempre inadeguati, insomma! Però è anche un po’ questo il bello… lavorando sul rapporto con lo strumento lavori anche sul rapporto che hai con te stesso e, se lo fai con sincerità e onestà, puoi imparare cose universali che vanno al di là anche della musica e diventare un’anima migliore. Penso questo sia l’apice poetico dell’intervista.

Facciamo un gioco. Ti squilla il telefono ed è una band leggendaria che ti chiede di andare a suonare la chitarra per loro. Chi vorresti che fosse dall'altra parte della cornetta?

Wow! Qui è dura… direi i Manowar! Hanno un repertorio meraviglioso, un impatto scenico da paura, uno dei migliori cantanti della storia, un bassista mattacchione inoltre i loro pezzi sono divertentissimi da suonare! E soprattutto non dovrei fare i conti con chitarristi che non potrei mai nemmeno immaginare di sostituire… come potrei prendere il posto di Van Halen nei Van Halen o di Nuno Bettencourt negli Extreme? Troppa pressione! Nono! Manowar, ignoranza a manetta e pugni uniti al cielo!

So che trasmetti la tua passione anche ai ragazzi più giovani. Qual è la richiesta più strana che ti hanno fatto? Magari insegnargli gli accordi di un pezzo di Gigi D'Alessio o qualcosa del genere?

Argh! Proprio adesso che mi ero lanciato con i Manowar! Ahahah! Sinceramente… a lezione cerco di ascoltare tutto quello che mi chiedono senza preconcetti. In fondo si tratta di gusti personali e chi sono io per imporre i miei? Gigi D’Alessio non me l’hanno mai chiesto per ora, immagino però magari possa essere anche bravo nel suo genere, per quanto lontano dal mio. Ultimamente andava molto di moda il rap, J Ax e Fedez, personaggi del genere che alla fine hanno motivetti abbastanza orecchiabili che venivano sparati 24 ore su 24 traviando le giovani menti e allontanandole dal ben più sano metallo. Mi sono passato credo tutte le hit e i tormentoni del momento e, se dovessi proprio scegliere, direi che sono stato in seria difficoltà proprio in quest’ultimo periodo con alcuni pezzi trap che faccio davvero fatica a capire. Di solito cerco sempre di trovare del bello in quello che ascolto a prescindere dal genere e, spesso, mi accorgo giocandoci con i ragazzi, di quanto siamo tutti influenzati da preconcetti… nel senso, prendi una canzone di un gruppo che detesti, scollegala dal suo contesto, dalle un arrangiamento diverso e un’intenzione diversa e diventa tutta un’altra cosa. Il problema quindi, la maggior parte delle volte, sono le personalità o i limiti dei cantanti o delle band a farci detestare la loro musica, non la musica in sé che di suo non è né buona né cattiva.

Pensi di potare questo tuo progetto strumentale anche dal vivo?

Sarebbe l’over the top! Purtroppo alcuni ostacoli si frappongono in questo cammino. Questo tipo di musica non ha proprio l’appeal commerciale del momento, è un progetto strumentale, di nicchia per quanto trasversale e irresistibile e in un momento di crisi di musica live direi che si parte leggermente azzoppati. Inoltre vorrei comunque cercare il più possibile di portarlo veramente live, con una band e questo richiede prove, più esigenze sia economiche che logistiche. Tutta una serie di questioni che, al momento, mettono in difficoltà. Probabilmente piccoli eventi verranno creati, vediamo cosa salta fuori dal cilindro! Penso che qualcosa succederà… bisogna solo capire come e quando…

So anche che ti occupi anche di musicoterapia in centri per disabili e mi sembra una cosa interessantissima. Puoi spiegarci di cosa si tratta?

Si, da diversi anni mi occupo di queste cose anche se ultimamente ho molto ridotto le attività per dedicarmi più all’insegnamento. È complicatissimo da spiegare in poche parole. Diversi anni fa ho fatto alcuni corsi di formazione in musica indiana. Secondo la storia e la tradizione dell’India tutta la teoria musicale e, di conseguenza, la musica può essere in funzione del benessere della persona e, se usata con saggezza, può portare benefici di tipo terapeutico in campo psicologico ed emotivo. Al contrario della nostra tradizione che si è sviluppata soprattutto sull’armonia e sull’estetica, la musica indiana si è sviluppata soprattutto sulla melodia e l’improvvisazione generando centinaia di scale musicali, ognuna con una sua funzione pratica e quotidiana. È proprio una diversa filosofia di vita. È stato molto interessante studiare questi argomenti. Questa è comunque un’introduzione molto molto riduttiva della questione dalla quale sono partito per affrontare il discorso anche a livello pratico.

Bene, grazie del tempo che ci hai dedicato. Cosa dobbiamo aspettarci da Matteo Brigo nel prossimo futuro? Non è che per il prossimo disco solista ti concentrerai sui cartoni animati?

Chi lo sa? Eh eh! Può anche darsi perché il mondo del cartoon è molto interessante, pure musicalmente ci sono davvero delle chicche tutte da scoprire. Ad ogni modo… in teoria so già come potrebbe proseguire la storia, le tematiche e la musica della prossima uscita… e anche di quella dopo ancora. Il problema è che bisogna crearla… questo richiede tempo, duro lavoro, dedizione e tanta ossessione! Spero di riuscire presto a lavorare a qualcosa di nuovo anche se in questo tipo di mondo non ci sono leggi, regole o rapporti di causa-effetto… per cui autocitandomi “Who Knows?”. Comunque, se vi è piaciuto quello che faccio consiglio di seguirmi nei vari social in quanto il progetto prosegue con videoclip e sorpresine di vario tipo e, quando sarà ora, vedremo di tornare alla carica anche con nuova buona musica! Grazie davvero a te, Federico, e a tutto lo staff di Allaroundmetal per lo spazio che mi avete dedicato e a tutti voi per aver letto queste righe! Turtle Power!

Ultima modifica il Giovedì, 17 Maggio 2018 11:30
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