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Opinione scritta da Corrado Franceschini

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    13 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 2025
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Gli emiliani Stranger Vision avevano già dimostrato di essere degli appassionati di letteratura con il secondo disco uscito nel 2022 intitolato “Wasteland”. In quel caso lo spunto era stato preso dal poema di Eliot “La Terra Desolata”; nei due anni successivi il gruppo si è concentrato su un progetto ben più ambizioso: un concept articolato in due fasi ispirato al Faust di Goethe. Nel 2024 è così uscito“Faust - Prelude to Darkness: act I”; un disco a 12 pezzi che si sviluppa attraverso i territori del Power-Prog e che esplora, se pur per brevi tratti, un Modern Metal arcigno. I punti di riferimento degli Stranger Vision rimangono quelli del passato: Blind Guardian; Dream Theater e, a mio avviso, i Savatage di “Streets: A Rock Opera”. Riccardo Toni (chitarre, tastiere e orchestrazioni) si è accollato un’enorme mole di lavoro e per questo ritengo sia in parte responsabile di un eccessivo “caricamento” del suono. Se non si ha una produzione come quella di dischi quali “When Dream and Day Unite”; “Images and Words” o dello stesso “Streets”; meglio non eccedere con orchestrazioni. Una cosa che mi ha lasciato perplesso è lo spazio lasciato fra un brano e l’altro: troppo secco e brusco; spero sia un errore nel Press Kit in mio possesso. Dopo aver elencato i punti che non mi hanno convinto passo alle note positive. I quattro componenti del gruppo riescono ad affrontare con perizia e cognizione di causa un genere come quello del Power-Progressive, che prevede un dinamismo sommato alla propensione per gli stacchi melodici. Bella la prova di James LaBrie che, con la sua voce, va ad impreziosire “Nothing Really Matters”: pezzo che vede un copioso uso delle tastiere e una giusta dose di chitarra al servizio di un ritmo pieno di stacchi e riprese (caratteristica comune ad altri brani). Promossa anche la prestazione di Angelica Patti in “Two Souls”. La cantante, dotata di una voce dal liricismo non esasperato, piazza prima la sua voce su un ritmo dettato dal piano e poi interagisce in buona maniera con Ivan Adami rafforzando il ritornello. Il brano passa agevolmente dal ritmo lento a quello sincopato; dal crescendo ai soli con le tastiere che hanno gioco facile e vincente. Voglio mettere in luce il fatto che in pezzi come “Dance of Darkness” e “Fly” sono presenti tratti con una certa enfasi epica. In cinque anni gli Stranger Vision hanno fatto molta strada ed hanno raggiunto un buon livello, ma hanno ancora tempo per diventare come i loro “maestri”. Rimango in attesa del secondo capitolo della saga, sperando in uno sviluppo migliore.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    25 Gennaio, 2025
Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 2025
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I finlandesi Fire Action si sono specializzati nella realizzazione di E.P.: in undici anni di attività ne hanno fatti uscire tre. Nel 2024 questa tendenza è cambiata. Il gruppo si è accasato con l’etichetta Steamhammer/SPV ed è uscito il primo full-length intitolato “Until the Heat Dies”. I Fire Action hanno preso spunto da un libro dello scrittore australiano Michael Robotham e raccontano di una città alle prese con qualcosa di pericoloso, dalla quale escono delle macchine che, invece di essere degli acchiappa fantasmi, sono degli ingegneri del fuoco alla ricerca di zombie (dovrei avere i testi per confermare il tutto, N.d.A.) La biografia categorizza la musica del quartetto come Heavy Metal: definizione alquanto generica. Entrando nello specifico posso dire che i pezzi hanno matrici diverse, accomunate molto spesso da tastiere o, comunque, orchestrazioni. Questa cosa sposta inevitabilmente l’ago della bussola verso l’Hard Rock melodico, tranne che in alcuni casi. A conferma della mia tesi chiamo in causa il primo pezzo: “Storm of Memories”. Siamo di fronte a un brano che sembra uscito dalla penna della coppia Catley/Clarkin: un Hard stagno e melodico al tempo stesso. I ritornelli orecchiabili sono una delle peculiarità della band: un pezzo come “Hard Days, Long Nights”, lo testimonia ampiamente. La versatilità della proposta, unita ad un forte odore di già sentito, si palesa con “Dark Ages”. Sfido tutti voi a non etichettarla come clonata dallo stile inconfondibile di Ronnie James Dio anche se, va detto, l’atmosfera creata dalle tastiere di Claude Schnell era tutt’altra cosa. Se avete bisogno di una scossa, a darvela ci pensa “Incitament of insurrection”, si tratta di un pezzo che sfrutta i dettami tipici del Power Metal, con alternanza di break e scoppi nel ritmo. “Until the Heat Dies” è un disco piacevole, melodico al punto giusto e che non annoia. Se non cercate la novità a tutti i costi potrebbe fare al caso vostro.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    12 Gennaio, 2025
Ultimo aggiornamento: 12 Gennaio, 2025
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Chi conosce in maniera approfondita l’ambiente del Metal estremo sa di sicuro chi sono i Paganizer. Il loro chitarrista Rogga Johansson assieme al bassista Peter Svensson (Assassin’s Blade; Void Moon etc), ha formato nel 2019 i Gauntlet Rule con l’intento di allontanarsi dalle sonorità della band madre, per proporre Heavy Metal classico. Quello che in realtà emerge dall’ascolto di alcuni degli undici pezzi di “After the Kill” (secondo album del combo) è il fatto che i cinque svedesi hanno ben in mente gli stilemi del Power Metal battente e questo ne inficia in parte l’originalità. La differenza la fa il fatto che quando uno pensa che il brano sia uguale a tanti altri, arriva un guizzo che ne stravolge il corso. La voce di Teddy Moller non garantisce sempre la giusta spinta ma tutto sommato, visti i diversi generi presenti nel disco, va promossa. Qualche dubbio lo conservo sulle chitarre: un conto è fare soli alla Slayer che sono delle schegge impazzite, ma ben inserite nel contesto; un altro è fare delle sfuriate su scale serrate, che tendono a ripetersi come schema. Fortunatamente, come in parte detto, la varietà dei generi toccati dai nostri e un certo savoir-faire nella scrittura e nella composizione contribuiscono a migliorare la resa generale di “After the Kill”. Fra i pezzi migliori, non a caso, metto “Bite the Hand That Feels”. La voce dell’ospite Jacques Belanger (Assassin’s Blade; Kill ed ex Exciter) è aggressiva e regge bene il gioco agli strumentisti che passano da uno incipit simil-orientale, ad un ritmo che vira verso il Power-Speed. Nella norma il contenuto vocale apportato dalla nostra Federica “Sister” De Boni dei White Skull nell’eponima “After the Kill”. La sua ugola si inserisce in un contesto Power ora trascinato ora “compresso”, ma non mi sembra sia stata valorizzata a dovere. Gli otto minuti e mezzo della conclusiva “The Scythe” dimostrano la capacità del quintetto di saper comporre brani articolati, interessanti e con delle chitarre che, in questo caso, riescono a ritagliarsi il loro momento di gloria. Cito come esempio di brani che potevano avere miglior sorte “Exception to the Rule” e “Aeronauts”. La prima segue il solco tracciato dagli Iron Maiden, ma manca di mordente e di voce adeguata. La seconda, che è la traccia bonus del CD, non è brutta ma ha i volumi delle chitarre troppo alti rispetto ai rimanenti strumenti e alla voce. Sicuramente è stata messa come canzone extra per questo motivo. Do ad “After the Kill” la sufficienza. Cinque elementi di provata esperienza come quelli che compongono i Gauntlet Rule, possono fare di meglio.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    31 Dicembre, 2024
Ultimo aggiornamento: 31 Dicembre, 2024
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Se parliamo di musica irlandese in generale, i nomi che mi vengono in mente sono quelli degli U2, di Enya e dei Clannad. Se invece entriamo nel campo specifico della musica “dura” i primi che mi sovvengono sono quelli dei Thin Lizzy del compianto Phil Lynott e dei Death/Grind Abaddon Incarnate. I Deithesis si sono formati nella nazione della birra Guinness, più precisamente a Louth, nel 2020. I cinque componenti del gruppo vengono tutti da pregresse esperienze perciò non possono essere considerati dei novellini. Il disco d’esordio dal titolo “Equilibrium” era stato pubblicato nel 2023 in maniera indipendente e se fate una rapida ricerca, trovate i video su Youtube. Nel 2024, firmato il contratto con Sliptrick Records, eccolo riproposto tale e quale. Se la vita è un ciclo, lo è anche la musica. I Deithesis hanno trovato la quadratura del cerchio intrecciando il suono duro e cupo dei Black Sabbath, con l’energia primigenia della NWOBHM e gli arpeggi melodici dei Metallica senza mai arrivare a velocità veramente estreme. La voce di Allan Clarke non è il top: è comunque caratteristica, evocativa, e ben si adatta ai generi adottati. Le chitarre della coppia Duffy – Rankin si dividono agevolmente le partiture ma, nei soli, hanno suscitato in me qualche perplessità. Positivo l’apporto ritmico di basso e batteria che formano una degna sezione ritmica semplice, ma efficace. Il lavoro di mix e mastering mostra qualche piccola “falla”nei volumi ma sono sicuro che, chi è cresciuto con i dischi degli anni ottanta, sarà disposto a passar sopra a questo minimo inconveniente. Nonostante la mia analisi possa far pensare il contrario, i pezzi sono gradevoli da ascoltare grazie ai cambi, ai rientri e ai ritornelli che si susseguono. I brani che hanno suscitato in me maggior interesse sono: “Unseen”, “Virtue” e “Once Forsaken”. Se devo puntare il dito verso un ritmo più “pimpante”, indico l’unico pezzo che ricorda veramente il Thrash: “Beckon Tragedy”. Mi auguro che con il prossimo disco i Deithesis riescano a sfondare ma, per farlo veramente, dovranno usare maggior accortezza in fase di registrazione ed avere ancor più intesa. Per ora il voto si assesta su un sette scarso.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    16 Dicembre, 2024
Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 2024
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Nel 1980 alcuni dei gruppi che avevano contribuito a formare il movimento NWOBHM, raccoglievano i frutti di un duro lavoro. Proprio in quell’anno dalle ceneri di Ethel The Frog, band dedita ad un Hard Rock a tratti stemperato, nascevano i Salem. I Salem, pur essendo ben noti fra gli appassionati della scena metal degli anni ottanta, non sono mai riusciti a sfondare realmente sia in Inghilterra che nel nostro paese. Hanno comunque avuto una tenacia che ha permesso loro di arrivare - fra uno scioglimento e una reunion – ai giorni nostri. A poca distanza dal 2017, anno dell’ultimo scioglimento, i membri originali Simon Saxby (voce) e Adrian Jenkinson (basso) aggiungono UK al nome e riprendono il loro cammino. “Outer Limits”, secondo album con il nuovo moniker, è un concept album ispirato ad un evento storico: l’Hull Fair ovvero la più grande fiera di viaggi in Europa tenutasi nel 1279. L’aspetto positivo del disco è che, nonostante i brani siano uniti da un filo comune nella storia, risultano musicalmente diversi l’uno dall’altro e, quindi, non annoiano. Fanno eccezione le tracce uno e dodici che, in pratica, sono due brevi intro e outro strumentali. Nel mio tabellino dell’ascolto, curiosamente, i brani più intriganti risultano essere quelli con numero pari: il secondo, il quarto eccetera. L’Hard'n'heavy del quartetto non perde mai di vista una certa componente melodica tranne che nei soli di chitarra che, a mio avviso, sono troppo basati su scale veloci e abbastanza monotone. Fa eccezione “Meteorite”: un Metal tambureggiante con stacchi Hard dal solo aggressivo e ben strutturato. Se volete apprezzare al meglio la varietà della struttura compositiva dei quattro inglesi, puntate sull'eponima “Outer Limits”. Se invece cercate le ritmiche dal tono più leggero, potete ripiegare su “Overrider”. Se non conoscete ancora i Salem UK, date loro fiducia e fate sì che si godano un poco di quel successo che è mancato loro nel lontano passato.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    06 Dicembre, 2024
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Mi sono occupato dei Loculo nel 2013 recensendo il loro secondo album dal titolo “Star Thrash” (voto: 3/5). Da allora a oggi il gruppo genovese ha dovuto far fronte a diversi cambi di formazione e difficoltà ma è riuscito a pubblicare l’EP a quattro pezzi “Full Metal Racket” (2020) e il recente “Artificial Ignorance” (2024). Lo stile del disegno di copertina: due cyborg o cyber-mummie, che porgono boccali di birra a un Thrasher, mi ha ricordato alcuni fumetti della Chaos! Comics (Detonator, The Undertaker etc). Parlando dell’aspetto musicale la scelta di registrare il disco nel proprio studio e di auto prodursi mostra alcune lacune, ma questo è un particolare che interessa i puristi. Chi ascolta Old School Metal da sempre ed è abituato a produzioni grezze può soprassedere. Rispetto al passato ho percepito nel sound dei Loculo un’aura più maligna e violenta. Si nota una consapevolezza del fatto che le persone sono sempre più schiacciate, rinunciatarie ed asservite all’uso della tecnologia in tutti i campi. L’unica scappatoia a questa situazione sembra essere l’alcol in tutte le sue derivazioni: leggete i testi di “Alcoholic Survivors” e “Camatti” (un amaro delle cinque terre) e mi darete ragione. Il percorso sonoro intrapreso dal gruppo ha come punto di riferimento band quali Possessed e Destruction e di conseguenza, si sviluppa attraverso generi quali Speed e Thrash con una voce, quella di Teo, che è adatta anche all’ambito Black Metal. Se vi piacciono i “pestoni” alla Destruction vi consiglio di ascoltare proprio “Alcoholic Survivors”. Se vi gustano le corse a perdifiato e i soli a scheggia lapidari (a volte li ho trovati poco tecnici N.d.A.) c’è “The Thoughtless Man”. Che dire poi della doppietta violentissima costituita da “A.I. (Artificial Intelligence)” e “Digital Holocaust”? Che provocerà in voi nevrosi e che vi condurrà alla distruzione. Bella anche “War of Desolation”: un brano dove dosi massicce di malignità “cozzano” contro soli lancinanti, e si stemperano in un arpeggio di chitarra a sfumare e risalire. Detto che “Interlude (Man and Machines) ” è un racconto narrato dalla voce di Angelex degli Expiatoria dal titolo quanto mai indicativo, vi invito a supportare i Loculo andandoli a vedere nel piccolo tour che inizierà nel 2025: tour che li vedrà toccare anche alcune località del centro Italia.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    20 Novembre, 2024
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Il Covid ha condizionato pesantemente la vita delle persone e la pandemia ha creato scompiglio in ogni settore. I tedeschi Paragon durante quel periodo, hanno preso una sbandata che ha minato il loro percorso ma Martin Christian: chitarrista e unico membro originale rimasto della formazione del 1990, ha saputo ricompattare la band ed è riuscito a dare un seguito al disco del 2019 “Controlled Demolition”. I dieci pezzi di “Metalation” (su disco in vinile sono nove N.d.A.) toccano diversi generi di Metal: dal Power, al classico, allo Speed. Ci sono poi alcuni momenti più tranquilli dove fanno la loro comparsa chitarre acustiche, o dove la musica vira verso toni epici. Come potete leggere c’è modo di accontentare più tipi di ascoltatori ma ci tengo a fare un paio di precisazioni. In primo luogo la scelta operata dai Paragon di voler registrare da soli chitarre, basso e batteria e di voler affidare la produzione a Piet Sielck (Iron Savior) e Jan Bunning, bassista del gruppo, non è stata molto felice: penalizza soprattutto i brani più veloci. In secondo luogo, chi possiede decine di C.D. e ha nella discografia i lavori di Judas Priest, Metallica, Grave Digger o Mercyful Fate, potrebbe trovare inutile l’acquisto di “Metalation” visti i clichè in esso contenuti. Che i Judas Priest siano un palese riferimento per il gruppo tedesco è certificato da “Slenderman” un pezzo che, proprio a causa della sua “clonazione” dagli originali parametri della band di Halford, mi ha soddisfatto solo parzialmente. Vi suggerisco l’ascolto di “Beyond The Horizon” che, con la sua cadenza a la Ronnie James Dio, e i soli riusciti e bilanciati - nel disco non è una cosa scontata - colpisce in pieno il bersaglio. Pollice su anche per “My Asylum” che parte con una chitarra densa di melodia adagiata su un movimento lento, e poi trova la forza per deflagrare e lasciare il posto a due chitarre che lavorano bene sia in tandem che nei rispettivi soli. Voto positivo anche per la bonus track “Hellgore”. In questo caso le cose interessanti sono parecchie: ritmi serratissimi, ritornello aggressivo, stop con chitarre melodiose e ripartenza violenta sino al termine. “Metalation” rilascia una buona dose di energia e non è mai monotono però, da un gruppo esperto e blasonato come i Paragon, mi aspettavo un lavoro più curato nei dettagli.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    09 Novembre, 2024
Ultimo aggiornamento: 09 Novembre, 2024
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Chiamo a raccolta gli appassionati dell’Heavy Metal duro, puro e classico degli anni ottanta perché saranno quelli che trarranno maggior giovamento dall’ascolto delle tredici tracce (dieci su vinile N.d.A.) di “Metal Merchants”. I MIndless Sinner hanno alle spalle una carriera lunga e travagliata. Nati nel 1981 a Linkoping (Svezia) con il nome Purple Haze, lo cambiano nel 1982 in Genocide e poi, nel 1983, passano al più originale Mindless Sinner. Dopo uno stop durato dal 1990 al 2015 la formazione, con due membri originali rimasti ed opportunamente rinnovata, è tornata a fare concerti e produrre dischi. Spesso chi è rimasto ancorato saldamente agli anni ottanta, non ha bisogno di grandi innovazioni e di un suono contaminato da altri sottogeneri del metal. I nostri cinque svedesi in “Metal Merchants” puntano proprio su questo. Una voce dai toni alti ma non stridenti; una coppia di chitarre in grado sia di interagire in tandem che produrre buoni soli e una sezione ritmica che è sempre in linea producono una musica frizzante che, vista l’epoca in cui è nato il gruppo, si può considerare come fonte d’ispirazione per molti di quelli che sono venuti dopo o che appartenevano alla coeva NWOBHM. Cito fra i tanti Diamond Head, Saxon, Judas Priest, Iron Maiden, ma anche Queensryche, Metal Church, Michael Schenker e molti altri. Non pensate ad una produzione grezza e “datata” come spesso accade per dischi di questo tipo. I suoni sono resi in maniera attuale e in più, mix e mastering sono di ottima fattura. Come detto manca una buona dose di originalità ma, di fronte a musicisti preparati e a canzoni ben strutturate, poco importa. La mia sintetica guida all’ascolto propone “Speed Demon” che è foriera di un ardore giovanile come quello evocato da Exciter e Saxon ed è fornita di soli in stile Judas Priest. Continuo con “Hedonia” che si abbevera alla fonte dei Metal Church e di Dio, per poi virare repentinamente verso un Metal melodico sulla scia dei Dokken. Proseguo con l’Heavy atletico di “Let’s Go Crazy”, pezzo dal solo tagliente, e finisco con “My Hometown” che miscela cavalcate a ritmi smorzati e alternati. “Metal Merchants” è un disco adatto a battere i piedi a tempo e a muovere la vostra lunga capigliatura (sempre che l’età lo consenta).

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    21 Ottobre, 2024
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Gabriele Bellini è una presenza costante all’interno del panorama Hard & Heavy italiano. Ogni anno il maestro trova il modo di far uscire un CD sia esso un lavoro solista; una raccolta, o un disco degli Hyaena. Naturalmente il 2024 non fa eccezione anche se “Urla – 30 anniversario Demo Live 94 Raw Edition”, è un disco particolare. Si tratta di un CD inserito in una confezione in cartoncino rigido, contenente cinque pezzi suonati in presa diretta durante la primavera del 1994. Lo stesso Bellini lo definisce come demo incompiuto, tanto schietto quanto magico: un’asserzione sulla quale concordo. Il disegno in copertina fa riferimento al CD “Scene” (Pick Up Records – 1995) e tre pezzi: “Scene”; “Luminescente Aria” e “Angeli” sono presenti, sicuramente in versione diversa, anche su quel disco. Se stessi parlando di cinque brani da studio, non esiterei a definirli dei piccoli capolavori ai quali i testi in italiano donano un valore aggiunto. Purtroppo le versioni “grezze” dal vivo hanno parecchi limiti. Con un campionario di suoni inerente all’Hard & Progressive con puntate nell’Heavy Metal, e con due tastiere, è richiesta una nitidezza del suono per poter goderne al meglio. Il cantato di Biagio Volandri Verdolini ha delle potenzialità e si sente ma, in questo caso, la prestazione non è delle migliori. Gli Hyaena del periodo in esame hanno una grande versatilità e lo dimostrano a suon di composizioni complesse nelle quali trovano spazio innumerevoli cambi. “Luminescente Aria” coniuga l’Hard, con il Progressive rafforzato dall’uso delle tastiere. “Scene” assembla melodia e tratti veloci. “Notturno” è nervosa, oscura e con un ritmo controtempo che va a sfociare in una fase finale in piena libertà. “Urla” è una sorta di manifesto futurista che unisce Hard imperioso, urgenza Punk & Thrash e ritmi claustrofobici. “Angeli” passa da una chitarra iniziale in stile Flamenco, a una scatenata nel solo; nel mezzo ci sono fasi epiche, oscure e angoscianti, tenute assieme dall’immancabile tessuto Hard e Progressive. Questo disco potrebbe essere interessante per chi è cresciuto con gruppi come The Trip o P.F.M. (quella dei primi album) ma è adatto anche a chi apprezza sonorità più dure. Spero che Gabriele abbia la voglia e la possibilità di ripescare e pubblicare questi cinque brani in versione studio, per dar loro maggiore lustro. Sarebbe un peccato lasciarli cadere nel dimenticatoio o darli in pasto ad un pubblico risicato.

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Opinione inserita da Corrado Franceschini    11 Ottobre, 2024
Ultimo aggiornamento: 16 Ottobre, 2024
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Da un paio di mesi fra le mie recensioni, trovano spazio quelle di gruppi che sono spariti dalla circolazione parecchi anni fa e poi, come per magia, ricompaiono: i Pyracanda sono uno di questi gruppi. Nati nel 1987 e con un background fortemente ancorato al sound dei Metallica, i tedeschi rilasciano due dischi - “Two Sides of a Coin” (1990) e “Thorns” (1992) -, poi si volatilizzano fino alla reunion del 2020. Oggi, con una formazione parzialmente cambiata e a 32 anni dall’ultimo disco, esce “Losing Faith”. Se stessi parlando dell’ultimo lavoro dei Metallica, festeggerei il ritorno della band americana ai fasti dei primi tre dischi. I Pyracanda hanno in comune con il gruppo di Hetfield e Co. il modo di comporre e molte delle ritmiche tanto che almeno sei brani su dieci, ne seguono le orme: basta ascoltare “Hellfire” e “Misanthrope” per rendersene conto. Ovviamente non ci sono le chitarre caratteristiche del duo Hetfield/Hammett e i soli dei teutonici ne risentono, ma il risultato finale è più che convincente. Come ulteriori band di riferimento si sentono Laaz Rockit e simili che spiccano durante l’ascolto della prima oscura, poi dinamica, “Don’t Wait For”. Uno dei pezzi migliori del lotto è “History Twister”: in questo caso la velocità del pezzo richiama alla mente i Nuclear Assault. Del tutto atipica per i generi proposti è “We Are More” che può essere vista come un Hard Rock in versione 2.0 dei Deep Purple. Le ultime due canzoni, se pur ben strutturate, hanno attutito un poco il mio entusiasmo ma il giudizio su “Losing Faith” rimane più che positivo. A volte chi ha oltre cinquanta anni, soffre di nostalgia e tornerebbe volentieri a tempi più spensierati quando Speed e Thrash la facevano da padroni. I Pyracanda ve ne danno l’opportunità.

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