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Opinione scritta da Celestial Dream

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Opinione inserita da Celestial Dream    23 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 23 Aprile, 2024
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Decisamente particolare la proposta dei Nubian Rose, band nata nel 2012 in Svezia e che ha debuttato con “Mountain” nello stesso anno, che suona un Melodic Rock dalle tinte Progressive con influenze futuristiche nei suoni e nella concezione. Troviamo la voce della brava Sofia Lilja come autentica protagonista dell'ascolto. A colpire è anche però una produzione dove le chitarre faticano ad emergere, per quanto siano tanti gli arrangiamenti, anche sinfonici, con utilizzo di synth a farla da padrone durante la decina di brani che compongono la tracklist. Brani che difficilmente cambiano sonorità, ma che seguono dal punto di vista musicale la strada sopra descritta con poche variazione. Ne esce un disco introverso che mostra passaggi intensi che si fanno apprezzare con la breve “Red Sky” o con l'introduzione affidata a “Memorial”, pezzi quasi acustici dove tastiere e voce disegnano buone melodie. La più energica “Desert Night” mostra il lato migliore della band, con un Heavy Rock accompagnato da arrangiamenti orientali che funziona piuttosto bene. Si alzano i ritmi con “Break Down the Walls”, anche se il brano risulta fin troppo lineare anche nelle linee vocali, mentre le divagazioni moderne di “Lost in the Mist”, con tastiere dai suoni futuristici e un approccio vocale moderno che si susseguono per quasi dieci (!) minuti di durata, risultano decisamente troppi. La compatta “Bright Light” prova a muoversi su sonorità più classiche e i riff di chitarra finalmente si fanno sentire con decisione e già questo basta a farci felici! Manca un pizzico di potenza e di pulizia nei suoni di “Amen”, disco prodotto e registrato da Pedro Ferreira ai suoi SpinRoad studio di Goteborg (famoso per aver lavorato su “Permission to Land” dei The Darkness). Ma in generale è anche il songwriting a non colpire più di tanto, nonostante il lungo tempo di lavorazione di queste composizioni (sono trascorsi dodici anni dalla precedente release!). Rimandati a settembre, come si diceva una volta!

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Opinione inserita da Celestial Dream    21 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 2024
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Bello, davvero bello questo ritorno degli Alicate a solo un anno di distanza dal precedente “Butterfly”, disco che ci aveva colpiti per una qualità nel songwriting davvero elevata. Stavolta la band fa ancora di meglio inanellando una serie di brani – dieci in totale – uno più bello dell'altro. Coordinate da fissare nel navigatore? Ovviamente Melodic Hard Rock ed AOR di quello raffinato, costruiti su melodie vocali calde ed intense. Il gruppo nato negli anni Ottanta grazie alla passione del chitarrista e cantante Jonas Erixon e del bassista Fredrik Ekberg, è riuscito a debuttare solamente nel 2009 con “World of Anger”, per poi proseguire la propria strada, una volta rotto il ghiaccio con “Free Falling” nel 2013 e successivamente col terzo disco intitolato “Unforgiven to Be Forgiven”. Le chitarre di Jonas Erixon sono dinamiche e si muovono con personalità aprendo la strada di “Are You Ready?”, opener ricca di adrenalina e ben giocata tra coretti e l'ugola graffiante dello stesso Jonas. Tastiere più presenti e ritmi più controllati nel mid-tempo “Under the Gun”, ma potremmo continuare citando l'ottimo Melodic Rock di “Heaven Tonight”, con melodie celestiali ed un pathos che avvolge fino ad un ritornello che ci riporta agli anni Ottanta, assieme all'intrigante “Big Time” e all'avvolgente “Dreaming”, ricordandoci colleghi storici come Skagarack e Treat. E come non menzionare le belle lente che impreziosiscono con classe questo disco? “Ride the Storm”, calda ed emozionate, e “You’re Gone”, quest'ultima davvero teatrale ed emozionante posta in chiusura con la voce calda del singer Jonas. Le massicce “Dangerous” e “Hold On” lasciano spazio alla turbolenta e possente “Count to Ten”, bella hit pronta a far breccia già dai primi passaggi e così il disco si chiude senza un attimo di titubanza ed indecisione. “Heaven Tonight” sembra letteralmente un vero intento per gli Alicate, che ci accompagnano nel paradiso del Melodic Rock con un lavoro davvero compatto che non presenta alcun brano debole, ma tante calde melodie proposte con passione e personalità, per quanto sia possibile ovviamente!

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Opinione inserita da Celestial Dream    21 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 2024
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Melodic Rock è solitamente sinonimo di Svezia, e invece questa volta no: questi piacevoli Neon Rider, che subito incuriosiscono l'ascolto con una copertina davvero avvincente e ricca di colori, arrivano dall'Argentina e debuttano con questo “Destination Unknown” sotto la sempre attenta etichetta tedesca Pride & Joy Music. Nascono nel 2020 dalla mente di Hernan Cattaneo e Marcos Nieva Green, e diventano presto una band vera e propria inserendo nella formazione Bruno Sangari alla voce, Daniel Bravo al basso e Pablo Ureta alla batteria. Tinte AOR e Melodic Rock che escono in partenza con “Neon Rider” e “Feel the Magic”, in cui tastiere spensierate accompagnano i brani e mostrando l'ugola un po' nasale ma capace di spingere verso note elevate di Bruno Sangari. Ma il disco in questione mostra anche un'altra faccia che spesso piace cavalcare al gruppo sudamericano, con divagazioni maggiormente Heavy che si presentano ben presto con la possente “Unleash the Fire”, tra echi di Riot e Maiden. E ci piacciono questi Neon Rider quando mettono mano al cambio scalando alle marce alte. Le chitarre sono rapide e disegnano un gran bel intermezzo strumentale. La successiva “I Lay My Life in Rock 'N Roll” è un mid-tempo roccioso in cui anche il buon cantante sudamericano mostra di essere a suo agio, virando su un cantato più ruvido e vibrante. E poi le note neoclassiche con ancora Bruno a mostrare un lato alla Jorn ed un tocco generale velato alla Masterplan di “Standing by the Edge”, tutti brani ben composti e suonati che forse mostrano maggior personalità rispetto al lato più melodico con il quale era iniziato l'ascolto. Qualche pezzo più spento o scontato arriva soprattutto nella fase centrale, con brani un po' spenti come “Surreal” e “My Time to Say Goodbye”, ed anche la lenta “ One and Only” non brilla certo di originalità. Per fortuna la chiusura arriva con l'elettrizzante power song “Riders of the Night” che si chiude con un coro di voci bianche. “Destination Unknown” è un disco che presenta buoni spunti ma ancora poco personale in alcuni momenti. Più che sufficiente certo, ma ancora un po' acerbo.

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Opinione inserita da Celestial Dream    21 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 2024
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I belgi Scavenger possono vantare una storia davvero affascinante; nascono negli anni Ottanta e pubblicano un disco a nome "Battlefields" (1985) rilasciato dalla Mausoleum Records, un lavoro diventato di culto. La band si scioglie subito dopo, quando l'etichetta deve affrontare pesanti problemi finanziari. Ora, a distanza di quarant'anni, il gruppo torna in pista con un nuovo disco di Heavy Metal fumante intitolato "Beyond the Bells" e con la formazione originaria. E tutti questi anni, ben quattro decadi, sembrano non essere trascorsi, se si misura l'energia che riescono a trasmettere queste nuove composizioni. Si corre rapidi durante un lavoro che unisce con tanta dedizione sonorità old school Speed Metal con un tocco Hard Rock e Classic Metal, impreziosite dall'ugola ruvida della cantante Tine Lucifera. Dopo un'inutile breve intro, parte a cannone “Black Witchery” con il motore degli Scavenger che alza i giri e colpisce con decisione. Echi di primi Warlock, Acid e Accept sono più che evidenti, ma i Nostri non hanno paura di gettare tutto il proprio sudore su composizioni sanguigne come “Nosferatu” o sui territori Speed/Thrash di “Crystal Light”, autentico pugno in faccia che non ammette indecisioni. Riff decisi ed assoli fumanti accompagnano la diretta e compatta “Watchout!”, che ricorda anche gli indimenticabili Attacker, eroi dello US Metal ottantiano tornati in pista anche loro in questi giorni, mentre i momenti più melodici vengono avvistati con “Hellfire”, che si muove con sicurezza tra riff energici e melodie stavolta più canticchiabili. Chi si ciba di riff fumanti, brani ricchi di adrenalina e carica esplosiva non può non dare una chance a questi Scavenger, band che torna giovane con un disco infuocato come “Beyond the Bells”.

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Opinione inserita da Celestial Dream    21 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 2024
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Dopo diversi anni di assenza, tornano a farsi sentire i brindisini Perseus, band pugliese dedita ad un Power Metal di stampo europeo piuttosto classico (seguendo in particolare le sonorità "made in Italy"), che aveva debuttato nel 2013 con "The Mystic Hands of Fate", per poi rimettersi in gioco tre anni più tardi con "A Tale Whispered in the Night”. Un silenzio di otto anni quindi che sembra aver contribuito nel curare a dovere le nuove composizioni che suonano ispirate, mentre il supporto dell'esperta etichetta inglese Escape Music è un ottimo biglietto da visita. Inoltre va segnalato che praticamente in ogni pezzo che compone la tracklist di “Into the Silence” troviamo un ospite diverso ad alternarsi alla voce, una selezione di alcuni tra i migliori cantanti della scena italiana. Ospiti di un certo livello che riescono, in alcuni momenti - ma non sempre - a dare un buon contributo duettando con il cantante Antonio Abate. Un disco che prende certamente ispirazione dalle bands che oramai un quarto di secolo fa hanno gettato le basi di queste sonorità come Labyrinth, Kamelot, Stratovarius e Vision Divine e che, dopo una brevissima intro - forse a dire il vero anche un po' inutile - si apre la via con la dirompente “Into the Silence”, brano in classico stile Power Metal dai ritmi elevati dove può destreggiarsi l'ugola d'oro di Roberto Tiranti (Labyrinth), anche se il suo impatto vocale non rimane troppo impresso e la sensazione è che si potesse sfruttare meglio il suo infinito talento. Certamente più convincente sotto ogni punto di vista è “Strange House”, ottima power song dove Wild Steel (Shadows Of Steel) fa la sua comparsa. Ed il tocco folk di “The Kingdom” sembra funzionare piuttosto bene con Francesco Cavalieri (Wind Rose) alla voce. Affascinante il duetto con Claudia Beltrame (Degrees of Truth) nella melodica “The Picture of My Time”, pezzo raffinato e ben giocato sulle due voci che si intrecciano mostrando ottime e sognanti melodie. Tra i momenti migliori del disco certamente figura “Defenders of Light”, brano sostenuto che corre veloce ed appassiona tra tastiere e chitarre che sfociano su linee vocali formidabili, dove spicca l'ottimo lavoro di Antonio che trova un perfetto equilibrio con Marco Pastorino (Temperance), riportandoci ai tempi d'oro del Power Metal tricolore e a band come Projecto e Wonderland. Superlativo anche l'assolo di chitarra che esplode con vigore lasciando il segno. Altro momento di assoluto interesse arriva con “Il Labirinto delle Ombre”, brano cantato completamente in italiano, un pezzo teatrale ben interpretato da Antonio Abate. L'altra lenta del disco è l'intensa “I Believe in Love” con l'ingresso di Anja Irullo (Elegy of Madness) e, dopo la possente “Warrior” con cori pieni e possenti a dare carica assieme a Damna (Elvenking), dilettandosi su testi in italiano fino ad un refrain ricco di adrenalina, arriva la chiusura con la tumultuosa “Cruel Game”, una cavalcata ricca di potenza con la quale si chiude l'ascolto. Gli amanti del genere potranno apprezzare un lavoro come “Into the Silence”, ricco di brani possenti ma anche di passaggi più melodici ed emozionanti. Si poteva a tratti utilizzare con maggior maestria il potenziale dei tanti ospiti presenti, ma certamente i Perseus piazzano un bel colpo che farà la felicità di chi ascolta ancora con piacere il Power Metal melodico di stampo tricolore!

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Opinione inserita da Celestial Dream    13 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 2024
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"Between the Shadows" è il titolo del nuovo lavoro firmato King Zebra, band che arriva dalla Svizzera cercando di colpire con un sound a metà strada tra un tocco retrò stile anni '80, anche un pizzico sci-fi, e sonorità più moderne. Un Hard Rock melodico molto catchy e spensierato sulla scia degli ultimi Treat e Vega, ma che cade spesso – o meglio precipita - su territori scontati, come si evince fin da subito con l'opener “Starlight”. Il gruppo mostra poca inventiva e si affida a coretti e melodie zuccherose, ma che risultano già in partenza molto scolastiche. L'ascolto si salva con un paio di pezzi più avvincenti come “Children of the Night”, dove si fanno sentire riff di chitarra abbastanza decisi, o la componente sci-fi che si esalta sulle note spensierate di “Dina”. Ma il songwriting del quintetto d'Oltralpe finisce spesso sul ricadere in canzoni scontate e banali; “With You Forever” ricorda qualcosa dei The Nightflight Orchestra - ma osserva col binocolo la classe dell'act nordico - e la successiva “Love Me Tonight” è di una noia mortale e non basta qualche coretto per risollevare un brano insipido. Così come accade nel finale con i cori che si ripropongono per accompagnare una banalissima - quasi sconcertante - “Restless Revolution”. Non ci siamo proprio; non capiamo se i King Zebra cercano la canzonetta facile per far breccia nel pubblico attuale seguendo un sound che va un po' di moda ultimamente o se proprio hanno dei grossi limiti di songwriting. Fatto sta che questo “Between the Shadows” è un disco da lasciare sullo scaffale, perché in questo genere c'è molto di meglio in giro!

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Opinione inserita da Celestial Dream    12 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 12 Aprile, 2024
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Tornano gli Opera Magna con un full-length nuovo di zecca. Diciamocelo chiaramente: sono pochissime le band che sono riuscite a suonare Symphonic Power Metal sulla scia dei nostri grandi Rhapsody con la qualità del gruppo spagnolo, che dopo aver debuttato rompendo il ghiaccio con “El Ultimo Caballero” nel 2006 e aver mostrato la propria classe con “Poe”, si è dedicata ad alcuni EP che sono poi stati racchiusi nel recente “Of Love and Other Demons”, nella versione in inglese. Con questo nuovo “Heroica” il gruppo torna a suonare la propria musica in lingua madre, senza nessun stravolgimento ma accompagnando gli appassionati tra le raffinate sonorità neoclassiche e sinfoniche che dopo l'introduzione orchestrale di “Obertura 1895” si scatenano con la power song dai ritmi sostenuti di “El Momento Y La Eternidad”, con clavicembali ad esplodere accompagnando le chitarre di Javier Nula, prima di mostrare il lato più elegante e controllato con “Volver”. Si torna a pestare sull'acceleratore ed il bravo José Broseta può alzare i decibel del proprio cantato nell'appassionante e tumultuosa “La Muerte de un Poeta”, e se la parentesi con la teatrale “Aquello Que Importa” non riesce ad emozionare come dovrebbe, ci pensa la title-track tra cori ed arrangiamenti orchestrali ad alzare il livello di pathos. Le chitarre si lanciano in assoli vorticosi con la batteria di Adrián Perales a spingere senza sosta. Le influenze Folk di “Historia” ricordano qualcosa dei Nightwish, ma appassionano con un ritornello favoloso in stile Mago de Oz ed un incedere ricco di carica. La lenta - a mo' di filastrocca - “La Mitad del Cielo” è uno struggente intermezzo di un minuto e mezzo interpretato alla grande da Broseta e che apre la via alla trionfante “Hannibal Ad Portas” ed alla rapidissima “Que el Amor, la Vida y la Muerte Así Te Encuentres”, che oltre a poter vantare uno dei titoli più lunghi della storia (non conosce i Tetragrammaton evidentemente, n.d.r.), corre su ritmi sostenuti cavalcando le classiche sonorità Power. Ci pensa la lenta e malinconica “Si Este Mundo Ya No Es Nuestro” a far partire i titoli di coda. Un'altra prova di classe per gli Opera Magna; la band valenciana dimostra di essere al top quando si parla di Power Metal sinfonico, ma in questo “Heroica” sono spesso i momenti più controllati a restare impressi maggiormente, segno della maturità compositiva del quintetto iberico!

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Opinione inserita da Celestial Dream    11 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 2024
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Secondo lavoro per gli indiani About Us, band poliedrica a dir poco che miscela influenze ed ottimi spunti che passano agevolmente - forse anche troppo – da sonorità AOR e Melodic Rock a momenti più Heavy e moderni, questi ultimi molto più frequenti in questo nuovo lavoro. "Take a Piece" è quindi un disco molto dinamico, capace di catturare con le raffinate melodie dell'opener “Come To You” la quale sembra dare il benvenuto ad un classico disco di Rock radiofonico, salvo lasciar subito spazio ai riff potenti e graffianti di “Endure”, dove compare un cantato scream di stampo Modern Metal che prende foga spinto da riff rabbiosi. Un'aggressività sonora che si ripresenta subito dopo sui ritmi scoppiettanti di “Legion”, grazie anche all'ugola versatile di Sochan Kikon; un brano che scorre su assoli di chitarra ben congeniati, arrangiamenti sinfonici ed un gran bel refrain. Il sestetto orientale colpisce con le melodie avvolgenti di “Fire with Fire” e dopo la parentesi catchy di “Evh”, dove si torna a solcare il sound ottantiano di Survivor e Bad Company, si torna a pestare con la possente power song “Reels for Eternity”. Un paio di brani forse meno riusciti come “Far Away” e “Hope”, fin troppo moderne, ma nel finale si torna a pestare con le influenze quasi Metalcore di “Beautiful Misery” e poi la conclusiva “Fortitude”, con di nuovo un cantato aggressivo e un bel incedere che si aprono su un ritornello canticchiabile. Un approccio quindi più potente per gli About Us che stavolta tirano fuori le unghie e graffiano lungo una tracklist che potrebbe far storcere il naso a qualcuno e certamente mischia molto le carte in tavola senza seguire un genere preciso. Pregio o difetto? Dipende dai punti di vista, quel che è certo è che la band non ha paura di osare e secondo noi porta a casa un lavoro di qualità.

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Opinione inserita da Celestial Dream    08 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 08 Aprile, 2024
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E' stata davvero lunga l'attesa dopo quel gran bel disco che fu “Shehili” dato alle stampe nel 2019; i tunisini Myrath però non si sono mai messi fretta nel produrre nuova musica e forse ciò è anche parte del segreto della loro costante qualità. Il Power/Progressive Metal dalle tinte arabeggianti ha reso fin da subito il gruppo nordafricano altamente interessante e stavolta, pur forse lasciando da parte qualche atmosfera tradizionale, il gruppo riesce a confezionare un disco che ascolto dopo ascolto saprà conquistarvi. Almeno così è successo a noi! Difficile trovare momenti di noia all'interno di una tracklist che piazza tante composizioni ricche di pathos. Il sound dei Myrath si è commercializzato? No, piuttosto si è reso più diretto ed immediato, con brani che spesso si mantengono sotto i cinque minuti di durata. Meno fronzoli, questo apparentemente sì, anche se poi gli arrangiamenti che accompagnano ogni brano sono tutt'altro che banali. Così come la cura dei suoni, dei cori, delle melodie vocali e delle parti strumentali. Stiamo parlando di una band dal talento superiore e brani come la tumultuosa “Let It Go”, che colpisce con un refrain tutto da cantare, e l'elegante incedere della meravigliosa “Words Are Failing” sono esempi di quanto affermato. Ma la stessa opener che nei suoi quattro minuti scarsi mostra tante sfaccettature. L'orchestrale “Into the Light” conquista con un break centrale di rara bellezza prima di esplodere su un ritornello raffinato, per poi tuffarsi sulle sonorità arabeggianti di “Child of Prophecy”, con il suo incedere ricco di personalità. Certo forse un paio di pezzi meno riusciti li incontriamo con “The Empire”, alla quale sembra mancare il guizzo vincente, o con l'esperimento piu moderno di “Candles Cry”, riuscito fino ad un certo punto. “Heroes” invece esalta con un riffing continuo e melodie vocali appassionanti che esplodono su un gran ritornello, per poi finire sulle note teatrali di “Carry On”. “Karma” ha fatto storcere il naso a qualche ascoltatore, ma l'impressione è che forse ci si è accontentati di qualche ascolto superficiale. Questo è un disco capace di conquistare e di continuare a presentarsi girando in testa per giorni e settimane. La sensazione è che anche questa volta i Myrath abbiano date alle stampe uno dei migliori dischi dell'anno, almeno in ambito Melodic Power Metal con uno stile, il loro, che rimane unico ed inconfondibile!

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Opinione inserita da Celestial Dream    06 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 06 Aprile, 2024
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Impresa non facile catalogare questo “Dark of the Night”, disco dei Lokheira, band che nasce nel 2022 dalla passione musicale della cantante Irene Mavroudis e del bassista George Mavroudis. La sua voce si unisce ad un growl pieno e aggressivo all'interno di sonorità gotiche, a tratti moderne, con chitarre pesanti che fanno il loro ingresso in alcuni momenti con echi di Black Sabbath e Pantera. Ma è la registrazione per prima a dare un cattivo presentimento fin dall'inizio, inoltre l'ugola di Irene spesso – ed in particolare quando deve prendere le note più alte - sembra andare fuori giri e stonare un po' e questo è evidente fin dalla partenza con “In the Dark of the Night”. Oltre a questi difetti piuttosto pesanti, anche il songwriting risulta troppo confusionario; questo mix di musica aggressiva - a tratti al limite del Thrash/Death - con sonorità Gothic fa fatica a trovare un equilibrio accettabile. Prendiamo “Battle of the Hot Gates (Gluttony)” ad esempio, con i suoi riff possenti che sono accompagnati da orchestrazioni sinfoniche e poi linee vocali che non riescono ad appassionare, ma che anzi risultano fredde e distaccate per poi perdersi su arpeggi che ci portano ad influenze malinconiche alla The Gathering. Pezzi che si dilungano per anche sette minuti senza alcun momento in grado di attirare l'attenzione, come succede nella sconclusionata “Undying Hubris (Pride)”, durante la quale ci si perde facilmente desiderando di premere il tasto 'next'. Questo nonostante, ad esempio, le chitarre siano suonate davvero bene; il lavoro di Rob Ramaglino è ciò che si salva durante l'ascolto tra riff e assoli ben congeniati. Qualche influenza psichedelica tra le note di “Wasting Away (Wrath)” funziona il giusto, prima di rituffarsi nei riff granitici della conclusiva “Malignancy (Envy)” con le due voci ancora pronte ad alternarsi stavolta forse con un impatto maggiore. Ciò non basta per portare a galla un prodotto deficitario che ci mostra una band che ancora deve trovare una strada. C'è da migliorare sotto ogni aspetto per i Lokheria, ma abbiamo già trovato in passato gruppi in grado di risollevarsi dopo una brutta partenza. Speriamo sia questo il caso anche per il terzetto ellenico.

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