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Opinione scritta da Celestial Dream

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Opinione inserita da Celestial Dream    10 Marzo, 2023
Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 2023
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Possiamo dire che i Narnia sono un'autentica sicurezza in ambito Power Metal? L'act svedese negli anni ha dato alle stampe dischi di ottima fattura, a dire il vero quasi migliorando col tempo visto che le ultime release si sono dimostrate forse ancor più solide che in passato (esemplare l'omonimo “Narnia” del 2016). Ora il gruppo Power/Heavy Metal neoclassico torna con un nuovo disco intitolato “Ghost Town”, un lavoro estremamente potente che colpisce con brani corposi e ricchi di energia. Chitarre possenti che già in partenza costruiscono un muro sonoro invalicabile dove l'ugola come sempre maestosa di mister Christian Liljegren (presente anche nelle sue altre band Divinefire, Golden Resurrection, Audiovision) è presente come nell'opener “Rebel”. I ritmi più elevati di “Thief” conquistano con coretti, tappeti di tastiera, riff infermabili e aperture melodiche ben assestate. Più classiche invece “Hold On” - splendido qui il lavoro alle sei corde del virtuoso chitarrista CJ Grimmark - la raffinata “Descension” e la stessa title-track, mid-tempo melodico, compatto e diretto; tutti brani di chiaro stampo neoclassico con le tastiere di Andreas "Habo" Johansson subito riconoscibili e melodie vocali eleganti che fanno presto breccia. Corrono rapide invece le più powereggianti “Glory Daze” e “Wake Up Call”, quest'ultima degna conclusione di un disco che si dimostra ricco di molti spunti. E ancora la rocciosa “Alive” mostra il lato più solido della band con la voce di Christian che si fa più ruvida senza dimenticare la dinamica e la ricca di pathos “Out of the Silence”.
Bombastico, potente, altamente melodico; dal 1996 i Narnia compongono dischi di indubbio valore e questo “Ghost Town” non delude affatto le aspettative. Acquisto obbligato!

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Opinione inserita da Celestial Dream    08 Marzo, 2023
Ultimo aggiornamento: 08 Marzo, 2023
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Arrivano dalla Svezia gli Steelwings, act tutt'altro che nuovo visto che fu fondato nel lontano 1982 realizzando negli anni successivi alcuni EP fino al debut album omonimo del 1989. Tornano nel 2007 per suonare dal vivo e da lì la fiamma che li porta nel 2019 a pubblicare “Back” - accolto positivamente sulle nostre pagine - fino ad arrivare ad oggi. Questo “Still Rising” si muove a cavallo tra Heavy Metal e Hard Rock suonando in maniera classica con forti influenze di stampo NWOBHM ma strizzando l'occhio anche verso gli Stati Uniti. L'energica opener “Hell Or High Water” accende subito il motore che alza le marce con l'Hard Rock frizzante di “Stand Up And Fight” che scorre via rapida e decisa. L'Hard Rock robusto di “Hey Hey” è chiaramente di scuola americana con il suo tocco Blues che si infittisce lungo l'ascolto, mentre convince la festaiola e rovente “Rock On” con un coretto altamente coinvolgente. Si corre rapidi con “Break Of Day” e dopo la possente “Rocket” si torna su sonorità maggiormente classiche con “My Rock'n Roll”, per chiudere infine con le note sognanti dell'elegante “Heat Of The Night”. Chitarre che si muovono dinamiche tra riff e assoli ben bilanciati, l'ugola piena di Tommy Söderström ed una passione che è piuttosto evidente durante l'ascolto. Che dire se non che gli Steelwings sono ciò che ogni amante delle sonorità più classiche tra anni '70 ed '80 possa volere?! “Still Rising” non inventa nulla, è fin troppo legato alle sonorità storiche ma è un disco che funziona dall'inizio alla fine, ascolto dopo ascolto. Bravi!

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Opinione inserita da Celestial Dream    07 Marzo, 2023
Ultimo aggiornamento: 07 Marzo, 2023
Top 10 opinionisti  -  

Blue Ruin è il nome di questa band che, dedita ad un Hard Rock scoppiettante con influenze che vanno dal Punk al Glam, dà vita a questo “Hooligans Happy Hour”, disco davvero grintoso che mostra i muscoli fin dai primi momenti con “Awakened”, la quale apre le danze con energia spinta dal drumming martellante di Anna Monteith. Il quartetto totalmente femminile fondato in Nuova Zelanda nel 2015 ha grinta da vendere e lo dimostra con songs compatte che in genere si aggirano attorno ai tre minuti di durata, dove la voce ruvida e decisa di Charlotte Tybalt si muove con destrezza, come nella roboante title-track, brano da pogo con i suoi ritmi elevati. Rancid, Misfits e Steel Panther potrebbero essere presi come ispirazione dalle Blue Ruin che nei loro pezzi non brillano certo di genialità compositiva, ma puntano su carica ed energia che certamente sapranno amplificare in sede live. Ed il risultato non è affatto banale come si potrebbe erroneamente pensare. La lenta “Dracula (Out to Play)” è piena e possente ed appassiona, mentre i ritmi scoppiettanti di “These Things” - un po' alla Hell In The Club – mostrano anche alcune buone soluzioni alla chitarra. La grintosa “Sing To Me” lascia spazio al Punk Rock di “Huntress”, prima che la roboante “Still Not Asking for it” spinga sull'acceleratore per chiudere l'ascolto con le marce alte.
“Hooligans Happy Hour” è un lavoro sincero e ricco di carica che, senza troppi fronzoli, punta dritto all'obbiettivo: trasmettere energia. E dal vivo sarà divertimento assicurato!

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Opinione inserita da Celestial Dream    07 Marzo, 2023
Ultimo aggiornamento: 07 Marzo, 2023
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A volte non serve molto per produrre un disco piacevole; non è necessario correre veloci come la luce, inserire passaggi tritaossa o utilizzare orchestre, voci growl o tante altre cose. I Sonic Dynamite con questo loro debutto chiamato “Another World” mettono in campo una tracklist soddisfacente, grazie a brani per certi versi semplici e costruiti su melodie vocali accattivanti. Arrivano dalla Germania e, dopo dieci anni di attività, riescono ora a pubblicare un esordio che contiene il meglio delle composizioni fin qui scritte. La voce secca di Tobias Sascha Schmitt caratterizza molto le canzoni che presentano andature controllate con riff che si muovono decisi a cavallo tra l'Hard Rock ed il Metal più classico su un sound a tratti più moderno. Le radici teutoniche sono ovviamente ben riconoscibili ed in particolare anche una certa somiglianza con quell'Hard & Heavy scoppiettante dei primi favolosi Axxis. Brani come “Bread & Circuses” e la più frizzante “Preachers In Heaven”, senza dimenticare la solida e grintosa “In The Gardens Of Eternal Grace” mettono in luce le capacità del quartetto tedesco nel mettere in piedi brani a tratti possenti, altre volte più morbidi, ma sempre coinvolgenti e canticchiabili. Come nell'energica e rockeggiante “Rockin' Dynamite”, alla quale non manca certo vigore, per poi finire con la melodica “Monster Within” con i suoi coretti ben inseriti che scaldano facilmente l'atmosfera.
“Another World” non è un disco stellare, ma trasmette una passione che solo alcune bands ai primi passi riescono a fare; all'interno della tracklist troviamo una manciata di brani davvero riusciti che non possono che confermare la validità di questo esordio!

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Opinione inserita da Celestial Dream    06 Marzo, 2023
Ultimo aggiornamento: 06 Marzo, 2023
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Una band fondata nel 1980 ad Amburgo che oggi arriva a pubblicare un nuovo album in studio intitolato “Where Will You Go”. I Bad Sister negli anni hanno suonato centinaia di show infuocando i locali tedeschi e nel 1989 hanno debuttato con “Heartbreaker”. Ma a seguito del secondo disco "Out Of The Business“ del 1991, nonostante un discreto successo, della band si sono perse le tracce. Torna oggi con una tracklist corposa composta da tredici brani, tutti supportati da melodie intense ben interpretate dall'ugola calda della brava cantante Andrea Löhndorf. Tappeti di tastiere che ci riportano alle classiche sonorità ottantiane con l'opener “Lose Or Win” e poi via con il tocco Funky di “Bright Lights” e la ballatona lineare ma comunque piacevole “Could It Be Love”. Nessun pezzo che entrerà nella storia del genere o che si farà ricordare per anni, ma una raccolta di canzoni ben composte come la quadrata “You're Gone”, con chitarre più solide, e la frizzante “Fair Enough”, che corre rapida diventando presto tra i brani più coinvolgenti del disco. Il Rock'n'Roll di “She Doesn't Love You” è diretto e coinvolgente ed il lavoro alle chitarre del bravo Sven Lange viene esaltato dagli assoli ben piazzati qua e là ed in special modo durante la scoppiettante “Some Hallelujahs”. “Where Will You Go” è un disco piacevole che forse si dilunga pure troppo e al quale manca certamente un pizzico di brio e genialità. Non certo una di quelle uscite discografiche da avere a tutti i costi ma più indirizzata verso i veri cultori di queste sonorità.

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Opinione inserita da Celestial Dream    27 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 27 Febbraio, 2023
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Il ritorno dei Delain era atteso da tutti gli appassionati del Metal melodico e sinfonico ed il gruppo olandese piazza una release degna della propria carriera con questo nuovo “Dark Waters”. Orfano della carismatica cantante Charlotte Wessels ma con l'innesto della new entry Diana Leah, il mastermind Martijn Westerholt si dimostra ispirato e piazza alcuni brani degni di nota – vedi “The Quest and The Curse” e “Beneath” -, capaci di catturare con melodie davvero affascinanti ed arrangiati con cura e talento. Songs tutt'altro che banali che si muovono in perfetto equilibrio tra riff potenti, orchestrazioni mai troppo invadenti, linee vocali accattivanti ed un sound dal tocco moderno. La nuova singer Diana mostra di saperci fare e solo il tempo ci dirà se saprà tener testa e non far rimpiangere – soprattutto in sede live – la bravissima Charlotte. A darle una mano in alcuni pezzi troviamo anche la voce maschile di Paolo Ribaldini (attuale vocalist degli Skiltron). Cori angelici aprono la via della solare ed al contempo solenne “Mirror of Night”, la quale lascia presto spazio all'attacco moderno e pop di “Moth to a Flame”. E se la seconda parte della tracklist sembra far calare un po' l'attenzione, mettendo un po' a rischio il voto finale (devo dire che le 4 stelle che trovate nella valutazione sono forse un pelino generose), le conclusive “Invictus” con la presenza dello special guest Marko Hietala ed “Underland”, sinfoniche e dirette, riescono a convincere rialzando le quotazioni di un lavoro che rischia poco, ma che riesce a regalare momenti di buona musica.
C'erano alcuni dubbi sulla carriera dei Delain dopo i cambi di formazione, ma questo “Dark Waters” fa tirare un sospiro di sollievo a tutti i seguaci della band olandese!

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Opinione inserita da Celestial Dream    15 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 2023
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Diciamo la verità, i Crom ci erano piaciuti parecchio già con il loro precedente lavoro quel “When Northmen Die” che nel 2017 riuscì ad attirare le attenzioni di molti appassionati. E il ritorno – che si è fatto attendere ben sei anni – non lascia assolutamente delusi e ci ripresenta una massiccia dose di epicità! Power, Heavy, Folk, Viking... sono tutti stili che trovano spazio all'interno della musica composta da Walter “Crom” Grosse (in passato anche nei black metallers tedeschi Dark Fortress) e nei dodici nuovi brani che fanno parte della tracklist di “The Era Of Darkness”, un disco coinvolgente ed epico, formato da melodie capaci di catturare fin dai primi passaggi sia dal punto di vista vocale che strumentale. La passione del songwriter nordico verso quel sound battagliero alla Bathory è evidente in molti passaggi a partire dall'apertura affidata alla dinamica ”Into The Glory Land”, che alterna momenti più ragionati a qualche esplosione metallica, il tutto confezionato in maniera impeccabile da cori e ritornelli canticchiabili. E ancora con “Heart Of The Lion” che si muove su territori maggiormente powereggianti e diretti. Cori possenti si alzano per abbracciare l'epico incedere dell'inno “Higher Ground” e la successiva “In Your Eyes” con la sua partenza a mo' di ballata che poi esplode, trasformandosi in pezzo possente con il suo crescendo finale. La veloce e diretta “Riding Into The Sun” arriva subito alla testa (e che assolo di chitarra sparato a tutta velocità!) assieme alla tiratissima e dalle chiare influenze Viking Metal “Bridge To Paradise”, prima che “When Will The Wounds Ever Heal” ci trascini attorno al fuoco di ritorno da una giornata di battaglia, per gli ultimi boccali di birra prima del riposo. Le note malinconiche di “A New Star” ci accompagnano verso il finale con la voglia di ripremere il tasto play. Metal anthems ai quali è difficile resistere all'interno di un disco che, pur con qualche passaggio meno incisivo, riesce a mantenere quasi sempre elevato il livello di coinvolgimento. Una conferma tutt'altro che scontata per il progetto Crom!

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Opinione inserita da Celestial Dream    13 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 2023
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Quarantacinque minuti di Heavy/Power fumante per il debutto possente firmato Hammerstar. La band americana mostra una carica notevole capace di esplodere immediatamente dalle casse con la valorosa opener “Heart of Stone”, nella quale l'ugola vibrante del singer Quimby Lewis (SkullView) può scorrere con vigore, danzando sui riff dinamici e graffianti suonati dalle chitarre di Johnny Frankenshred, mente e songwriter principale della band. I suoi assoli scorrono impetuosi e oscuri aprendo la via alla diretta “Power of Metal”, brano che colpisce a testa bassa, scorrendo rapida. La massiccia “Burned Alive” viaggia spinta dalle note rapide delle sei corde di Johnny, lasciando spazio alla rocciosa “Soul Reaper”, dove sfumature Thrash si adagiano perfettamente su sonorità Heavy che scorrono con decisione. Chitarre impenetrabili che costruiscono mattone su mattone un muro sonoro invalicabile durante la tenebrosa “Rise Above the Skies”. Il finale regala ancora qualche momento di esaltazione: prima con i ritmi scroscianti e battaglieri di “Divide and Conquer” e successivamente cavalcando l'onda della coinvolgente “Hymn of the Viking” con i suoi cambi di ritmo incandescenti. Se l'US Heavy di Jag Panzer, Metal Church, Fifth Angel e Jack Starr's Burning Starr vi appassiona, allora dovreste dare una chance agli Hammerstar, band che esordisce con un lavoro omonimo altamente classico, ma certamente infuocato!

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Opinione inserita da Celestial Dream    13 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 2023
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Mikael Erlandsson deve essersi rimboccato le maniche negli ultimi tempi; non siamo a conoscenza delle sue vicissitudini personali, ma sta di fatto che i brani contenuti in questo nuovo album firmato Autumn's Child possiedono un'ispirazione molto più fresca rispetto al recente passato. Le sue releases sono state fin troppo fitte negli anni, soprattutto nell'era Last Autumn's Dream dove, a distanza di dodici mesi o meno, veniva ogni volta dato alla luce un nuovo full-length. Ma anche con la sua nuova avventura il biondo singer e compositore svedese non si è certo fermato; ha debuttato nel 2019 con l'esordio omonimo prima di tornare nel 2020 con “Angel’s Gate” e lo scorso anno con “Zenit”. “Starflower”, riesce a regalare melodie immediate e ariose, tipiche del compositore scandinavo, ma con una varietà degna di nota e senza cadere troppo nella banalità come, ahimè, a volte è successo. Brani come la scoppiettante opener “Gamechanger” e la tirata e melodica “Welcome To The Show” mostrano il lato più immediato e grintoso del sound firmato Erlandsson. Se “Aphrodite’s Eyes” è un altro pezzo di indubbio valore, capace di attirare l'attenzione grazie ad ottime melodie e al lavoro eccelso alla chitarra di un mai domo Pontus Åkesson (gran protagonista durante tutto il disco!), i classici momenti drammatici e malinconici ai quali il biondo songwriter ci ha spesso abituati arrivano con la ballata “Opera”, dove l'ugola di Michael può far vedere il suo lato più caldo ed intenso, e nel finale con l'altra lenta del disco, la sofferta “Love From Tokyo”. Le atmosfere ottantiane di “Karenina” lasciano spazio alla spensierata “1995” e poi all'elegante “Dorian Gray”, song questa che entra di diritto tra i momenti più riusciti dell'intera tracklist, grazie ad un pathos davvero notevole che echeggia attraverso melodie avvolgenti. Un bel ritorno in grado di appassionare questo “Starflower”, disco che ci riporta in sintonia con la passione dirompente di Michael Erlandsson e della sua musica firmata Autumn’s Child.

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Opinione inserita da Celestial Dream    08 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 08 Febbraio, 2023
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Quattro musicisti con le spalle larghe e tanta esperienza sul groppone che si sono uniti per formare questi Reign Of Glory e dar vita al debutto “All Will Bow”, un disco che certamente si muove su coordinate classiche all'interno della scena americana. Insomma rimandi a Riot ed Armored Saint possono venir fuori senza alcun dubbio durante l'ascolto di questo bell'esordio. Al microfono la voce di Robyn Kyle Basauri (Red Sea, Die Happy, Joshua) che torna sulle scene dopo diversi anni di assenza. Vicino a lui il bassista Roger Dale Martin (Vengeance Rising, Once Dead, Die Happy, Triple Ace Band), il chitarrista Nick Layton (FireWolfe, Q5) ed infine il batterista Jim Chaffin (The Crucified, Deliverance, The Blamed). “All Will Bow" è un lavoro pensato per gli amanti delle sonorità più classiche ed ottantiane quindi se si è alla ricerca di cose nuove ed innovative, è meglio lasciar perdere. Il quartetto in arrivo dal Tennessee costruisce i propri pezzi su riff solidi, ritmi spesso controllati e melodie incisive ben interpretate dall'ugola classica del frontman di Nashville. L'Heavy più tradizionale scorre con decisione sulle note dell'opener “Forever and Ever”, la quale esplode su ritmiche sostenute seminando esaltazione grazie ad un coretto molto 80's, si alterna ai passaggi maggiormente Hard'n'Heavy di “Rise of Aslan” - con un tocco più che marcato verso le sonorità tanto care a Ronnie James Dio - e della successiva “Samson’s Kryptonite” che sembra prendere in prestito qualche lezione di Southern Rock dai Lynkin Skynryd a dimostrazione della varietà che questo disco, con sapienza, riesce a presentare. “Welcome to Reality” ci accompagna attraverso un sound caro ai primissimi Riot, mentre l'elegante ballata “Love Came to Die” esce a testa alta con un bel refrain prima che le più classiche “Call Down the Thunder” e “Last Daze” prendano il proscenio. L'epico incedere di “1000 Years” mostra l'ugola più vibrante e ruvida di Robyn mentre le chitarre di Nick Laydon regalano un breve assolo ed una montagna di riff degni di nota. Infine ci pensa la massiccia “Writing on the Wall” a dare il via ai titoli di coda. Una seconda parte che forse non riesce ad essere incisiva quanto la prima, ma nel complesso un lavoro davvero puro e cristallino, che sarà in grado di appassionare i seguaci del sound più classico. I Reign Of Glory fanno sul serio!

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