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Opinione scritta da Celestial Dream

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Opinione inserita da Celestial Dream    28 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 29 Novembre, 2023
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L'etichetta tedesca High Roller Records ha sempre le mani ben in pasta quando si tratta di trovare band dedite al metallo più classico ed i Morax sono in arrivo dalla fredda Norvegia per consegnarci un lavoro che ben si muove tra Heavy e Doom Metal. “Rites and Curses” è un EP di soli cinque brani composti e suonati interamente dal polistrumentista Remi Andre Nygård. A seguito delle sue numerosi esperienze con molte altre band nel suo passato (come i thrashers Inculter), ha acquisito l'esperienza necessaria per dar vita a questo suo progetto seguendo una passione che lo accompagna da tempo, quella del Metal classico. Ne esce un disco oscuro ed introverso, costruito su riff incisivi e malinconici; echi di Satan, Mercyful Fate e In Solitude escono dallo stereo cavalcando le note sostenute dell'opener “Face the Reaper”, pezzo tagliente come un affilato rasoio, per poi passare alle note più epiche e drammatiche di “Be My Guillotine”. I brani scritti dal buon Remi sono possenti ed evocativi, ma non mancano di buoni spunti melodici capaci di attirare l'attenzione fin da subito. Coretti e riff di stampo maggiormente Hard Rock spingono la compatta “Yours Now”, e dopo la breve introduzione “Adoration” i titoli di coda possono partire, ma non prima delle note indiavolate ed esoteriche di “The Curse”, che tanto devono proprio ai Satan: una composizione dinamica che per sette minuti unisce esplosioni vigorose, arpeggi avvolgenti ed un ritornello ricco di pathos. Ventuno minuti di ottimo Heavy Metal oscuro che colpisce senza remore, presentandoci una band che in futuro potrà fare davvero bene, visto che il mastermind nordico è già al lavoro per dar vita ad un vero e proprio full-length. E noi non vediamo l'ora!

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Opinione inserita da Celestial Dream    28 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 28 Novembre, 2023
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Melodici e potenti i Bas As giungono al loro quarto disco in carriera e dimostrano di non essere dei novellini con un lavoro maturo come questo “Fight the Demons”, unendo diverse influenze ed ottenendo così un unico mix sonoro ricco di energia. Nati nel 2016 come BadAss e con la presenza anche del vocalist Titta Tani pubblicano il debutto “More Pain, More Gain”; in seguito la band ha continuato sulla propria strada con un nuovo monicker e alcuni cambi di line-up dando alla luce altri due lavori: "Midnight Course" e "Crucified Society". Il confermato bassista Alberto Rigoni (già incontrato col suo progetto solista e con Vivaldi Metal Project, oltre che essere ex membro dei TwinSpirits e molto altro) assieme al nuovo talentuoso cantante greco John Jeff Touch ed il batterista Marco Andreetto a completare la band, assieme al bravo chitarrista Alessio "Lex" Tricarico. Dopo un breve pezzo che pare introdurci in quello che sembra un concept, ci si può immergere con decisione nell'ascolto che parte a testa bassa con la diretta e ruvida “You Better Run”, prima che le note più melodiche di “The War Is On” colpiscano con un grande refrain ed il buon lavoro alla voce di John Jeff in versione Ronnie Romero. Emblematica la possente “Fight the Demons”, caratterizzata dalle urla aggressive del cantante ellenico, da passaggi Crossover alla Faith No More e momenti Prog di enorme impatto. La tracklist che incontriamo è davvero dinamica e unisce le note sofferte della Prog-oriented “Where Did the Love Go” - forti qui le influenze di Petrucci nel lungo solo di chitarra firmato dal sempre eccelso Alessio – e le sonorità moderne che accompagnano l'Hard Rock ruvido di “As I Walk Away”, prima di chiudere con la catchy song “The Answer”, altro pezzo che non manca di grinta, ma che si concede un ritornello decisamente più canticchiabile. Un lavoro molto eterogeneo che non rischia certo di annoiare. Al contempo, la sensazione è che le capacità tecniche dei Bad As possano dare frutti anche migliori rispetto a ciò che ascoltiamo in questo seppur valido “Fight the Demons”.

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Opinione inserita da Celestial Dream    21 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 22 Novembre, 2023
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Quaranta minuti di Hard'n'Heavy classico e scoppiettante con i soliti bravi High Spirits, band che da anni porta avanti queste sonorità a testa alta con un sound che è subito riconoscibile grazie all'ugola pulita e vigorosa del cantante e mastermind Chris “Professor” Black che anche stavolta si è occupato di songwriting e di tutti gli strumenti presenti nel disco. La strada di “Safe on the Other Side” si apre sulle note scoppiettanti di “In the Moonlight”, spinta da chitarre che come al solito disegnano armonie dal forte impatto, portando avanti a testa alta la scuola della NWOBHM. I Praying Mantis, ad esempio, sono tra le principali influenze per riconoscere le coordinate sulle quali si muovono pezzi come l'intrigante “One Day Closer” e la conclusiva “Good Night”. Ma il disco ammette poche pause; la più rocciosa “Til The End of Time” strizza un po' l'occhio ai Saxon di “Denim and Leather”, mentre il rock spigoloso ed energico di “Anything You Need” viaggia spedito spinto dall'adrenalina che esplode dalle chitarre. E' lo stesso Chris a definire la propria proposta come 'High Energy Rock', fatto sta che gli High Spirits hanno sempre un impatto forte con i loro brani anche grazie a melodie semplici ma curate, dirette ma che non stancano.
Un riff continuo e vibrante accompagna i coretti della melodica “(There Will Be) Magic Tonight”, con la chitarra solista sempre presente a disegnare belle melodie. La più epica “Please Don't Leave Me Behind” lascia spazio alla cover rivista in versione maggiormente metallica di “Memories”, splendido pezzo contenuto nell'esordio degli Europe, portandoci così al termine di un ascolto compatto e appagante. I soliti High Spirits che non cambiano di una virgola la loro proposta ma si confermano autentici mattatori dell'Hard'n'Heavy dei giorni nostri.

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Opinione inserita da Celestial Dream    21 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 21 Novembre, 2023
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Power/Heavy sanguigno ma anche piuttosto pasticciato per i Reveal, che con “Still Alive” si ripresentano sul mercato con un approccio più potente. O almeno questo sarebbe il loro obiettivo; la band svedese mette sul piatto nove brani che fin da subito mostrano grosse lacune. A partire dalla produzione davvero poco curata e quasi fastidiosa all'ascolto. Sembra quasi che ci sia stato inviato un demo al quale manca ancora tutta la fase di mixaggio. Siamo nel 2023 ed è davvero difficile trovare un prodotto così grezzo da questo punto di vista. La stessa cosa va detta per gli arrangiamenti dei brani; il songwriting è abbastanza elementare ma potrebbe anche funzionare se supportato da una registrazione decente, ciò che ci gira attorno è davvero ben poca cosa. Tino Hevia, (Darksun, Nörthwind) deve aver deciso di pubblicare questo lavoro con gran fretta senza curare a dovere le composizioni, che già in partenza con “You're Still Alive” mostra tutte le lacune descritte poco sopra. La successiva “Page By Page” avrebbe del potenziale con un coretto piacevole e accelerazioni possenti, ma presentata in questo modo davvero si fatica ad apprezzare. Anche su “The Dragon Reborn”, power song con buoni spunti, le tastiere sovrastano tutto e la chitarra somiglia più al suono di un trattore datato che passa davanti casa. Inutile dire che anche la voce di Rob Lundgren è ingiudicabile colpa di un mix di suoni che creano un pastone sonoro difficile da decifrare (e da digerire!). Il disco continua ma è inutile perderci troppo tempo, qui siamo di fronte ad un lavoro che ha troppi problemi di fondo. La voglia di premere il tasto 'STOP' e di non perdere troppo tempo con questi brani è forte e il consiglio per i Reveal è di mettersi con calma per il prossimo disco presentandosi in una maniera più consona. Dopotutto ai giorni nostri non è così dispendioso ottenere un sound professionale.

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Opinione inserita da Celestial Dream    21 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 21 Novembre, 2023
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Dalla Grecia, per gli amanti del Metal sinfonico, ecco arrivare al debutto i Mystfall, gruppo interessante che si rifà prepotentemente a quello stile divenuto tanto in voga grazie a band come Epica, Within Temptation e Xandria, e lo fa grazie alla voce celestiale del soprano Marialena Trikoglou. Durante l'ascolto di “Celestial Vision” si verrà avvolti da sonorità gotiche con orchestrazioni bombastiche e arrangiamenti rivolti alla musica classica con melodie vocali drammatiche e malinconiche che viaggiano sulle note alte che escono dall'ugola della brava cantante greca. Tutto perfetto per certi versi ma, come succede spesso quando incontriamo queste sonorità, è la personalità a tratti a mancare ma ciò viene ben bilanciato da una produzione perfetta e da un songwriting graffiante. Ritmi medio-alti e suoni possenti aprono la via con la title-track che esplode dopo la solita ed immancabile breve intro mentre accelerazioni, voci oscure e cori rotondi caratterizzano la successiva “Centuries”. La lenta e orchestrale “Silence” è certamente tra i momenti da ricordare lungo l'ascolto e potrebbe provocare la pelle d'oca a qualche ascoltatore. Ma se la prima parte del disco risulta fin troppo canonica – vedi “Endless” - è nel finale che troviamo i momenti migliori; prima con le atmosfere oscure che avvolgono la più intricata e complessa “The Balance of Time”, pezzo che tra cori possenti e voci growl mostra tutte le influenze verso la band di Simone Simons lasciando il segno tra riffoni potenti e orchestrazioni prorompenti. Infine è la più ariosa e rhapsodiana “Freedom Path” a chiudere la tracklist con un bel refrain da cantare e le chitarre di Panagiotis Leontaritis che viaggiano con maestria. La scena Symphonic/Gothic Metal – come detto sopra – è stata fin troppo trafficata negli ultimi anni, ma i greci Mystfall riescono a colpire con un prodotto altamente professionale come questo loro esordio intitolato “Celestial Vision”. Promossi con la sensazione che potranno solamente migliorare in futuro!

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Opinione inserita da Celestial Dream    18 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 20 Novembre, 2023
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Ivory da Torino, da non confondere con l'omonima band che avevamo recensito anni fa dalla Bielorussia. Un artwork ed un monicker che ci fanno pensare ad un disco Power/Prog Metal, ma appena diamo via all'ascolto notiamo diverse influenze, tuttavia con radici ben solidificate all'interno della classica scena Hard Rock. Chitarre dinamiche che si muovono con destrezza e l'ugola ruvida e subito riconoscibile di Davide Dell'Orto, frontman dei Drakkar che sostituisce in questo disco Roby Bruccoleri e prima ancora Ivan Giannini, altre vecchie conoscenze del Power Metal tricolore. Una storia quindi lunga quella degli Ivory che inizia negli anni '90, ma i tanti cambi di line up hanno minato la carriera di una formazione che è riuscita comunque nel tempo a dare alle stampe alcuni dischi interessanti come "Time For Revenge" nel 2008 - con sonorità maggiormente Progressive -, e poi con la svolta Hard Rock di "A Moment, A Place And A Reason" nel 2014. Nove brani per un disco che mostra composizioni complesse, riprendendo sonorità Prog che ricordano act italiani come gli Athena, ma altrettanto melodiche; ciò si nota subito, non tanto nel brano iniziale “On The Edge Of Insanity”, che punta maggiormente su ritmi controllati e riff corposi sui quali può muoversi con equilibrio l'ugola possente di Davide, piuttosto con la strumentale “Odd Rails”, dove la chitarra di Salvo Vecchio può disegnare melodie ancestrali, e sulla dinamica “Liquid World Crunch”, dove il bravo chitarrista può dar sfoggio della sua tecnica omaggiando Paul Gilbert. Quest'ultimo pezzo grazie anche ad un ottimo refrain ed al lavoro della sessione ritmica col basso estroso di Luca Bernazzi ed il drumming preciso di Claudio Rostagno si fa presto riconoscere come autentica hit all'interno della tracklist. La raffinata ballata “Feeding My Soul” si muove attraverso sonorità intense aiutandosi con coretti ben assestati a dar man forte alla voce qui più delicata di Davide, mentre la vigorosa “Walking Straight” colpisce con scariche di metallo spinta da riff corposi e powereggianti. Un buon ritorno per gli Ivory, che mostrano tecnica e abilità lungo quaranta minuti di buona musica alla quale manca ancora qualcosa per decollare del tutto. Ma mantenendo la formazione unita e lavorando insieme potranno certamente elevare la loro proposta già nel prossimo futuro, ci contiamo!

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Opinione inserita da Celestial Dream    18 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 20 Novembre, 2023
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Melodic Metal con suoni pieni, un tocco moderno e la voce ricca di personalità da parte della brava Anette Johansson; gli Zhiva tornano in pista dopo essere stati attivi per alcuni anni e aver pubblicato tre dischi a nome Shiva. Non sappiamo bene il motivo di questo cambiamento, fatto sta che oggi si ripresentano offrendoci un lavoro, intitolato “Into The Eye Of The Storm” a distanza di quattordici anni dall'ultimo “The Curse Of The Gift”, ricco di buoni spunti ma al quale forse manca qualcosa per essere davvero eccelso. Colpisce subito in partenza la ritmata “Breaking The Chains”, anthem semplice ma canticchiabile fin dai primi passaggi, dove notiamo un approccio più pieno ed aggressivo da parte della frontgirl scandinava. Riff possenti suonati dalla coppia Patrik Svärd - Mats Edström che non si fanno attendere e creano un solido muro sonoro nella successiva “Step Into The Fire”, pezzo da headbanging che viaggia su ritmi medio-alti prima di piazzare un buon refrain. Le atmosfere oscure del mid-tempo “Into The Eye Of The Storm” lasciano spazio alla più spensierata “Autumn Sky”, con il pianoforte di Thomas Olsén ad accompagnare la voce di Annette che si fa più celestiale ricordando un pizzico il sound di qualche gruppo nordico come i Nightwish durante i loro pezzi più easy-listening ("Nemo"?). Sonorità drammatiche circondano la lenta “Beyond Forever” e se le note epiche di “Nothing Will Ever Remain” molto - e forse troppo - devono ai Kamelot di “Halo”, fa certamente meglio la melodica “Last Tears” prima di chiudere sulle note dell'ulteriore ballata inserita nella tracklist che risponde al nome di “Undeniable”. Gli Zhiva hanno potenzialità, come dimostrato in passato, e si affidano alla personalità della brava cantante Annette, ma si giocano le migliori cartucce ad inizio del disco lasciando ad un certo punto l'ascolto un po' privo di mordente. Bentornati, ma dal prossimo lavoro ci si attende maggior e più distribuita qualità.

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Opinione inserita da Celestial Dream    16 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 2023
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Un vero e proprio terremoto quello accaduto agli Eldritch solamente un anno fa, con la dipartita dello storico cantante e fondatore della band Terence Holler. Ma il gruppo capitanato dal talentuoso chitarrista Eugene Simone non ha esitato molto e con il nuovo frontman Alex Jarusso, è pronta ad aprire un nuovo capitolo della propria storia con “Innervoid”, tredicesimo loro album. L'Heavy/Progressive Metal band toscana ha scritto pagine di storia del nostro movimento e non ha certo bisogno di molte presentazioni e a dire il vero, eravamo certi che si sarebbero fatti trovare pronti anche stavolta! La partenza di classica scuola Power/Prog di “Handful of Sand (Right or Wrong)” colpisce con riff possenti e con un intervallo strumentale da manuale; la chitarra di Eugene disegna un assolo di gran tecnica e gusto ed il genio di Oleg Smirnoff si presenta subito con esplosivi passaggi di tastiere. La voce di Alex fa subito colpo; il suo è un approccio più powereggiante per certi versi, sicuramente più classico, ma dopotutto l'ugola del suo predecessore è sempre stata molto personale ed inimitabile. La sensazione è che il nuovo singer si sia già ben amalgamato all'interno del sound Eldritch. Le solite melodie malinconiche colpiscono aiutate da accelerazioni esaltanti ed improvvise durante “Born on Cold Ash”, altro gran pezzo che lascia poi spazio alla rotonda power ballad “Wings of Emptiness”, prima che le raffinate melodie di “From the Scars” appassionino fin dai primi ascolti. Le melodie intense e canticchiabili di “Black Bedlam” mostrano la capacità della band nel bilanciare linee vocali catchy a musiche grintose ed aggressive, esplodendo con vigore e preparando il terreno per la chiusura affidata alla potente e dinamica “Forgotten Disciple”, in cui l'ugola di Alex diventa ruvida ricordando colleghi internazionali con Ronnie Romero e Russell Allen. Nessun cambio sostanziale nel sound degli Eldritch, che forse per questo “Innervoid” giocano su melodie vocali più tradizionali e meno ricercate, ma la strada più melodica era iniziata già da tempo per il gruppo toscano che qui si concede passaggi decisamente più possenti rispetto alle ultime release. Tirando le somme, promossi come sempre. E ci mancherebbe!

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Opinione inserita da Celestial Dream    06 Novembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 06 Novembre, 2023
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E' un Hard Rock melodico ma bello rotondo e potente che sconfina talvolta verso il Power Metal quello proposto dai Domino Drive, band svedese fondata nel 2019 ma che pone le sue radici alcuni anni prima, quando il cantante e tastierista Sebastian Okupski assieme all'amico batterista Alvaro Svanerö lavoravano a delle composizioni. Ma solamente con l'incontro del chitarrista Philip Borg e del batterista Jonas Söder, quest'ultimo impegnato anche nella scrittura dei testi, si è deciso di creare una vera e propria band iniziando così l'attività con l'intento di registrare un disco. Ed un cantante di professione è entrato in formazione poco dopo con Jonas Tyskhagen, buon talento al microfono e già attivo nelle scene con i Winding Road. Un sound pieno, dicevamo, ed è proprio quello che si ascolta grazie a tastiere sempre ben presenti ma non troppo espansive ad accompagnare le chitarre, il tutto ben bilanciato da una produzione pulita e limpida ma possente. E brani come “Never Give Up”, gran bella hit con un coro che affonda con pressione, e la più melodica “Hollywood Nights” convincono già dai primissimi ascolti. Se la partenza di “What About Us?” sa di già sentito, c'è da dire che poi il brano si sviluppa assai bene con un ritornello catchy che si stampa in testa e ottimi spunti alla chitarra da parte del talentuoso Borg e poi coretti che ancora una volta aggiungono pathos ad un pezzo davvero esplosivo. Il Melodic Hard Rock più classico che si fonde con l'AOR ottantiano è riconoscibile nella raffinata e melodica “Maria Dolorosa”, mentre con la title-track le tastiere diventano più maestose, innalzando i ritmi di un pezzo maggiormente epicheggiante che conquista con il suo incedere fino ad un ritornello da dieci e lode. Cori epici ed un'andatura Hard'n'Heavy alla Ronnie James Dio confezionano invece un altro pezzo protagonista della tracklist come “The Jester King”. C'è da limare qualche passaggio qua e là per rendere i brani più lineari, ma questo debutto è davvero esplosivo e non potrà che girare parecchio all'interno di molti stereo degli appassionati. Domino Drive, una nuova bomba melodica in arrivo dalla solita Svezia!

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Opinione inserita da Celestial Dream    24 Ottobre, 2023
Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 2023
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I madrileni Slowburn ci presentano un buon Heavy Metal fiammante con questo loro secondo disco in studio intitolato "Fire Starter". Un lavoro che dimostra di possedere un buon tiro viaggiando sulle strade sicure dell'Heavy Metal di stampo maggiormente US, ma con qualche divagazione Progressive e Hard Rock che alla fine dei conti sembra funzionare abbastanza bene. Una line-up valida, a partire dall'ugola ruvida ma con una buona estensione di Guillermo Muñoz che va ad accompagnare il riffing potente e dinamico di Miguel Coello. I pezzi più 'in your face' come la diretta “On Fire” e la priesteniana “Psycho War” colpiscono fin da subito con coretti possenti e ritmi medio-alti, ma apprezziamo le divagazioni più ricercate che incontriamo ad esempio nella più intricata “I'm Revenge”, in cui sono influenze Progressive a fondersi con un sound più classico assieme a linee vocali ben congeniate. Le più ruvide e compatte “Exiled” e “The Beast” graffiano viaggiando su riff esaltanti, prima di lasciar spazio all'ottantiana “Two Years”, che scorre veloce ricordando alcune tumultuose canzoni firmate Tank, mentre il tocco più melodico esce sulla distanza con il coretto più raffinato di “Falling”, prima di chiudere il disco con la maggiormente solida “The Price of Liberty”. La band fondata dal bassista Jorge Serrano 'Serra' dimostra di possedere delle ottime potenzialità, già in parte utilizzate con questo buon “Fire Starter”, lavoro abbastanza dinamico che colpisce dopo qualche ascolto. Ma crediamo che il gruppo madrileno, partendo da ciò che di buono ha fatto qui, possa ulteriormente migliorare già nel prossimo futuro!

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