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Opinione scritta da Ninni Cangiano

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    22 Marzo, 2025
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Mi ero imbattuto nei tedeschi Sculforge un paio d’anni fa, all’epoca del loro primo album dal titolo lunghissimo; li ritrovo in questo mese di marzo con il secondo album, ancora una volta con un titolo esagerato: “Cosmic crusade chronicles… Stories from the… errr… nevermind!”. Se però con il primo disco avevamo ben 26 tracce (per circa 70 minuti di durata), buona parte delle quali totalmente inutili, segno che la band era inesperta ed aveva semplicemente esagerato, questa volta abbiamo solo 11 canzoni per circa ¾ d’ora di durata totale. Un disco che, quindi, a parte il titolo, non ha particolari esagerazioni… almeno prima dell’ascolto… ad essere esagerato questa volta è il ritmo! Il batterista Chris Merzinsky pare abbia un motorino al posto delle gambe con cui lancia la doppia-cassa a velocità folli, quasi che la band volesse emulare i Dragonforce. Fa eccezione la sola “Edge of the universe”, ballad romantica, in cui compare il piano (credo suonato sempre da Merzinsky) e che fa tirare il fiato quasi a metà della tracklist. Il resto sono canzoni che si assomigliano bene o male tutte tra loro, con le chitarre a suonare scale velocissime in profusione, il basso del nuovo entrato Felix “The Kerninator” Kern un po’ troppo in sottofondo o, comunque, in secondo piano ed appunto, come detto, la batteria lanciata a mille all’ora. C’è poi il cantante Polly McSculwood che ha migliorato notevolmente la sua performance rispetto al passato, soprattutto per espressività e capacità interpretativa, pur rimanendo con un’ugola non particolarmente eccelsa. Ho ascoltato e riascoltato più volte questo disco, senza che mi lasciasse granché; a parte la citata ballad, infatti, le altre canzoni scorrono via senza infamia e senza lode, si lasciano ascoltare gradevolmente (a patto di essere fan di certo tipo di power metal ultra-veloce), ma non hanno quello spunto che possa distinguerle da quanto fatto in passato da tanti altri gruppi. Se amate i Dragonforce ed, in genere, questa particolare tipologia di power metal sparato a velocità elevate, allora anche questo nuovo disco degli Sculforge dal titolo lunghissimo potrà fare al caso vostro; in caso contrario c’è obiettivamente di meglio in giro. Sufficienza di stima, assegnata anche per gli evidenti miglioramenti rispetto al passato.

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    16 Marzo, 2025
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Gli Stainless arrivano da Portland in Oregon, dove si sono formati nel 2022. Questo “Nocturnal racer” è il loro EP di debutto, dotato di artwork alquanto discutibile, composto da sole 4 canzoni per poco più di ¼ d’ora di heavy/speed metal palesemente ispirato agli anni ’80. Già perché la band capitanata dall’affascinante ed aggressiva Larissa Cavacece strizza l’occhio alle sonorità della NWOBHM, ma senza dimenticare la lezione dell’hard rock e dello US-Metal. Nei testi, come spiegato dalla stessa band, si parla di “sesso, serpenti, motociclette, auto veloci, rock’n’roll, perseveranza, cattiveria ed heavy metal”, mentre la musica vede la chitarra dell’ottimo Jamie Byrum come strumento principale che macina riff ed assoli, con la batteria di Joe Sugar (nel frattempo uscito dalla band e sostituito da Terrica Jean Kleinknecht) che impone ritmi sempre veloci, come il buon vecchio speed metal richiede. La voce della Cavacece è ruvida e grintosa e lascia poco spazio alla melodia e non si perde in inutili gorgheggi o virtuosismi vari. La registrazione non è di quelle vintage (come purtroppo spesso accade in questo specifico settore), ma ben fatta ed al passo coi tempi, anche se avrei preferito più spazio per il basso di Mira Sonnleitner, che risulta un po’ troppo sacrificato in secondo piano. 4 canzoni sono pochine per un giudizio definitivo sul gruppo, soprattutto considerando che (come lezione dello speed metal impone) sono tutte di breve durata; la sola conclusiva “The evil lies” sfiora i 5 minuti e, tra l’altro, è quella più lenta e vicina all’hard rock. In questo poco tempo, ho comunque potuto apprezzare una band che bada al sodo, che ha energia in quantità e la traspone ottimamente nella propria musica; se amate le sonorità più “old-style” e lo speed metal, questo “Nocturnal racer” degli Stainless può sicuramente fare al caso vostro! Tenete d’occhio questa band, perché sono sicuro saprà fare ancora di meglio in futuro.

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    16 Marzo, 2025
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Tornano a farsi sentire dopo diversi anni i piacentini Dark Horizon, con il loro sesto album da studio, intitolato “9 ways to salvation”, il primo senza lo storico cantante Roberto Quassolo. E’ anche l’album che vede il rientro dello storico batterista Marco Pelledri (uscito oltre 20 anni fa dopo il debut album “Son of Gods” del 2001) ma, inutile negarlo, la novità è principalmente il singer Giulio Garghentini, dotato di ugola differente ed, a quanto pare, anche più acuta del suo predecessore; per chi, come il sottoscritto, è affezionato al vecchio sound dei Dark Horizon, questa novità può anche essere difficile da accettare, ma è solare che il nuovo arrivato ha talento da vendere. Ciò che però mi ha sorpreso maggiormente è una sorta di scarsa compattezza nel songwriting, quasi che ci fossero due anime contrapposte all’interno del gruppo ad occuparsi della stesura dei pezzi: da un lato una parte più melodica e dai ritmi blandi, dall’altra un’anima più power, più energica, in cui la batteria ha ritmi brillanti e frizzanti. E questo dualismo si svilupperà per tutto l’album, con brani come “Crazy”, “Waiting”, “The spy” e “Nobody’s home” tosti e ricchi di energia; mentre, di contro, ci sono canzoni come “Parasite” (non condivido la scelta di realizzare un lyric video di questo brano, dato che ce ne sono altri molto migliori), la splendida “I won’t let you down”, “Redemption of tomorrow” (forse la meno ispirata della tracklist, quasi hard-rockeggiante), la ballad “Our star is born” e “The theater of appearance” (un po’ troppo ripetitiva) che hanno un approccio maggiormente melodico, con ritmiche lente ed un incedere alquanto poco power metal. Discorso a parte poi per la cover di “Precious” dei Depeche Mode, song alquanto avulsa dal contesto; diciamo che, se proprio si voleva coverizzare il gruppo di Dave Gahan e Martin Gore, si poteva scegliere qualcosa di più duro (“Blasphemous rumors”, “People are people”, ecc.). “9 ways to salvation” è quindi un album in cui coesistono anime differenti e, nelle sue 9 tracce originali (+ la cover), si dipana per 42 minuti esatti in maniera sicuramente elegante e piacevole da ascoltare; personalmente avrei preferito meno canzoni lente ed un approccio più tosto e più power metal, ma si tratta di gusti personali che, come sempre, sono chiaramente opinabili. Non ci troviamo davanti al miglior disco della lunga carriera dei Dark Horizon, ma comunque ad un album di buona qualità, sicuramente molto migliore delle tante immondizie musicali che ci ammorbano quotidianamente, anche nel metal!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    15 Marzo, 2025
Ultimo aggiornamento: 15 Marzo, 2025
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Gli Ardityon nascono nel 2018 per un’idea dell’ex-batterista dei Great Master, Denis Novello; dopo un primo album omonimo uscito nel 2019, la band si dedica alla realizzazione di alcune cover, prima di iniziare nel 2022 a comporre questo nuovo album, intitolato “Trenchslayer”, uscito a fine febbraio di quest’anno. Il sound della band è un piacevole power metal, con tematiche care a gruppi come i Sabaton (si parla di guerra e, non a caso, il nome del gruppo è ispirato ad un noto reparto d’assalto dell’esercito italiano) ed un sound che ricorda vagamente i Kaledon più melodici, anche per una certa somiglianza dell’ugola del singer Valeriano De Zordo con quella del mitico Marco Palazzi. Si inizia subito bene con “Subhuman world”, canzone power ricca di energia e rabbia, tanto che viene da dire “Finalmente un disco senza inutili intro e che va dritto al sodo!”. Si prosegue sulla stessa scia con “Everything is lost” (scelta per un video) e con “Spirit of fire”, mentre è con “The livestock” che si affaccia qualche contaminazione thrash che rende il sound più grezzo. “Toxic show” torna a ricordare i Kaledon, soprattutto quelli più recenti (gli ultimi due album, per capirci), a cui segue la title-track, altra canzone bella tosta. Sulla stessa scia si proseguirà fino alla fine (fatta eccezione per la romantica ballad conclusiva "I'm with you", in cui si ascolta anche il pianoforte), per un full-length che fa della compattezza una delle sue armi vincenti, tanto che è stato sempre un piacere ascoltarlo e riascoltarlo per questa recensione. Andrea Colusso con la chitarra fa un gran lavoro, mentre il leader Novello si conferma batterista di qualità superiore alla media, imponendo ritmi sempre brillanti ed energia a profusione. Sul cantante non c’è molto da aggiungere, la sua espressività e versatilità sono decisamente evidenti e contribuisce non poco all’ottima riuscita dei pezzi che sono sempre convincenti e coinvolgenti. Difficile trovare difetti in questo “Trenchslayer” ma, del resto, è rilasciato dalla Underground Symphony, una label che da sempre è una garanzia e sinonimo di qualità fuori dal comune nel power metal. Segnatevi il nome degli Ardityon perché sono sicuro che sapranno ancora regalarci album di ottima qualità come questo!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    15 Marzo, 2025
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A distanza di 8 anni da “Maschere – A night at the theater”, eccoci a parlare di un nuovo live album dei Temperance, intitolato “From Hermitage to Europe”. In questi anni sono cambiate tantissime cose, in primis la formazione della band, dato che da tempo non c’è più Chiara Tricarico, ma ben tre voci con l’ultima entrata Kristin Starkey ad affiancare lo storico leader Marco Pastorino ed il mitico Michele Guaitoli; anche il ruolo di batterista è cambiato spesso nel corso degli anni ed adesso c’è l’ottimo Marco Sacchetto. La registrazione del live (semplicemente spettacolare!) è avvenuta in varie sessioni durante il tour dell’ultimo studio album “Hermitage – Daruma’s eyes pt. 2” ed il disco consta di 12 brani (cui si aggiunge l’intro) per una durata totale di poco inferiore ai 58 minuti. Certo, fa un po’ effetto ascoltare vecchi successi della band italiana cantati da Kristin e non da Alessia Scolletti e chi, come il sottoscritto, ha amato quel periodo del gruppo, potrà rimanere un po’ spiazzato ascoltando canzoni meravigliose come “The last hope in a world of hopes”, “Start another round”, “Diamanti” oppure “Of Jupiter and Moons” e “Pure life unfolds”, vista la notevole differenza di stile tra la vecchia cantante e la nuova (obiettivamente con impostazione più lirica e voce più profonda). Ma l’affascinante vocalist statunitense costituisce un quid pluris per i Temperance, per via di una maggiore versatilità e per quella che sembra (almeno stando ai video pubblicati) una migliore presenza scenica. La scaletta è naturalmente sbilanciata verso l’ultimo studio album, con ben 7 canzoni che ne sono estratte; i restanti (e già citati) 5 brani arrivano dagli altri album del “periodo Scolletti”. Mi sarebbe piaciuto ascoltare altro da “Viridian” (perché saltare la mitica “My demons can’t sleep”?), così come sarei curioso di ascoltare qualche vecchia traccia dei primi albums reinterpretata con le tre voci… ma si tratta di pareri e gusti prettamente personali, come sempre ampiamente opinabili in quanto tali. Ciò che invece non è opinabile, in quanto dato di fatto, è la qualità superiore della musica dei Temperance e della loro performance live (ho ascoltato un grandissimo Luca Negro al basso!), ormai un gruppo di livello internazionale che merita ogni rispetto e che mi auguro raccolga i consensi ed il successo che merita! E questo “From Hermitage to Europe” ne è un’ottima testimonianza.

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    28 Febbraio, 2025
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Seguo i finlandesi Everlore sin dal loro ottimo debutto omonimo nel 2020, li ritrovo adesso con il secondo album intitolato “Hope and turmoil”, il primo con il nuovo cantante Arto Ala-Seppälä che ha preso il posto di Joonas Kunnela. Il nuovo full-length, dotato di piacevole artwork realizzato dall’artista sudafricano Heino Brand (chitarrista dei Brundarkh), è composto da 10 tracce per circa 52 minuti di durata totale. Il power metal del gruppo di Jyväskylä ha qualche lontano richiamo al folk ed al symphonic e ricorda non poco quanto realizzato dagli Spellblast nel loro primo meraviglioso album “Horns of silence”. Un disco insomma estremamente godibile e decisamente ben fatto e ben suonato, anche se qualcosa poteva essere rivisto; mi riferisco per esempio al cantato di “Kingdom of one”, in cui il singer cerca di raggiungere note un po’ troppo elevate, risultando poco efficace ed espressivo e rischiando di sembrare anche stridulo. A parte questi dettagli di poco conto, resta da dire che il disco è semplicemente strepitoso e le canzoni sono tutte di valore assoluto ed estremamente piacevoli da ascoltare; un esempio potrebbe essere la splendida “What once was” che da sola varrebbe l’acquisto del cd e che, nonostante un minutaggio elevato, mantiene sempre alto pathos ed atmosfere. Sulla stessa scia anche la suite conclusiva “Dreamless”, decisamente raffinata ed elegante, degno modo di suggellare un disco di qualità fuori dal comune. Quello che sorprende, infatti, è la compattezza ed il livello qualitativo ben superiore alla media. La musica degli Everlore ha la rara capacità di convincere sempre e conquistare l’ascoltatore, con melodie sempre azzeccate e coinvolgenti, oltre che di gran gusto. Sorprende tantissimo che una simile perla sia relegata all’autoproduzione e che nessuna label di valore si sia accorto del talento degli Everlore! Ma si sa, il music business ci sommerge di immondizie musicali e poi non si accorge di piccoli capolavori come questo “Hope and turmoil” che si candida autorevolmente ad essere tra i dischi migliori del 2025.

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    28 Febbraio, 2025
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Dopo 9 lunghi anni di silenzio ed una mezza rivoluzione nella line-up (sono entrati un nuovo cantante ed un nuovo chitarrista), tornano a farsi vivi gli svedesi Enbound, con un nuovo album, il terzo della loro carriera, intitolato “Set it free”. Il full-length è composto da 11 tracce per quasi 50 minuti di durata totale ed ha un artwork suggestivo realizzato dall’artista Thomas Ewerhard (Avantasia, Therion). Diciamo subito che se il disco fosse tutto come le prime tre canzoni, avremmo davanti una bomba di power metal! Purtroppo non è così e la band in buona parte della restante parte della tracklist sembra quasi tirare il fiato, soprattutto il batterista Mike (all’anagrafe Mikael Hörnqvist) che ogni tanto sembra limitarsi al compitino d’accompagnamento senza incidere più di tanto, come invece fa nei primi pezzi (le uniche eccezioni in tal senso sono costituite dalla durissima ottava traccia, “Extreme” e dalla decima “Overload”). Sarà che viene fuori la componente più melodica (da sempre marchio di fabbrica degli Enbound), sarà che il ritmo rallenta, fatto sta che avrei preferito maggiore compattezza e soprattutto pezzi più “cattivi”. Ciò non toglie comunque che abbiamo davanti canzoni di valore notevole ed il disco nella sua totalità è molto piacevole da ascoltare e ri-ascoltare; ogni volta che mi sono sparato in cuffia o nella radio della macchina questo disco, infatti, era sempre gradevole trascorrere il tempo con la musica di questo quartetto. Anche i brani più lenti, come la ballad “You never walk alone”, sono in grado di coinvolgere e convincere e questo accade solamente con i dischi di livello qualitativo superiore alla media e questo full-length lo è sicuramente. Tirando le somme, mi pare che questo come-back degli Enbound, intitolato “Set it free”, superi abbondantemente la prova e potrà sicuramente costituire un must per tutti coloro che sono appassionati del power metal nella sua versione più melodica.

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    23 Febbraio, 2025
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Sono passati ben 9 anni dall’ultimo “Veni vidi vici” (disco che segnò un passo falso), ma i Twins Crew (band dei gemelli Janglöv) sono finalmente tornati; il nuovo disco, il quarto della loro carriera si chiama “Chapter IV” (che fantasia!), è composto da 8 brani per la durata totale di circa 40 minuti: è anche l’ultimo disco registrato dal vecchio batterista Uno Eriksson, al posto del quale è entrato in formazione tale Fredrik Nörgaard Graff, alla prima esperienza nota. Si parte con “Choose your God”, mid-tempo cadenzato alla Hammerfall/Manowar, brano tosto, ma alquanto scontato. Fortunatamente la band piazza subito dopo la canzone migliore del disco (non a caso scelta per la realizzazione di un video), quella “Never stop believing” che da sola vale l’acquisto del cd, dotata di un assolo di chitarra tra i migliori ascoltati di recente, song veloce con la batteria sparata a mille, ispirata alla scuola classica del power metal scandinavo di gente come Stratovarius & C. Dopo questo pezzo, tutti gli altri rimarranno un gradino sotto, anche se parliamo comunque di tracce estremamente godibili e piacevoli da ascoltare e riascoltare, come ad esempio la successiva “Living in a dream”, brano frizzante, con un buon lavoro del batterista con la doppia-cassa. I Twins Crew sembrano aver fatto tesoro dell’errore del precedente disco ed aumentano sensibilmente il ritmo; ecco che, oltre alle già citate tracce, abbiamo altre canzoni frizzanti come “Warrior of north” (altro pezzo che ricorda gli Hammerfall), l’orecchiabilissima e ruffiana “Order 69” e la conclusiva “Fighting for the world”. Rientra, invece, tra i brani più pesanti e cadenzati “Fire”, in cui il coro è ripetuto un po’ troppe volte; naturalmente non manca nemmeno la ballad, individuabile nella sesta traccia “Without you”; abbastanza canonica ed ideale per momenti romantici. Tutto sommato, comunque, ho ascoltato e riascoltato sempre con piacere questo “Chapter IV”, probabilmente il miglior disco della carriera dei Twins Crew; adesso speriamo di non dover attendere altri 9 anni…

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    22 Febbraio, 2025
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Qualche giorno fa stavo ascoltando “La promessa cremisi” quando ho avuto modo di sentire un vecchio amico che non sentivo da tempo, scoprendo che sta attraversando un periodo molto difficile della sua esistenza… in queste occasioni, quando la vita ti presenta il conto da pagare, credo che la musica sia un’ottima valvola di sfogo, una panacea per i nostri mali e per il nostro morale… non posso che dedicare a lui questa recensione, sperando di avere presto buone notizie!
“Triumviro” è il debut album dei The 7th Guild, gruppo nato per iniziativa di Tomi Fooler (Skeletoon) che ha chiamato attorno a sé niente meno che Ivan Giannini (Derdian) e Giacomo Voli (Rhapsody of Fire) per un trio di voci semplicemente stratosferico! Ma non finisce qui, a suonare ci hanno pensato Michael Ehré (Gamma Ray - batteria), Simone Mularoni (DGM – chitarra), Francesco Ferraro (Freedom Call - basso), Daniele Mazza (Ancient Bards - orchestrazioni) ed Alessio Lucatti (Vision Divine - tastiere); il Mularoni si è anche occupato della produzione nei suoi Domination Studio. Quando metti assieme tre voci incredibili come Tomi, Ivan e Giacomo il risultato è pressoché garantito, ma serve anche la musica ed il power metal di queste 9 canzoni (finalmente un disco senza inutili intro!) è di quelli fuori misura, di livello qualitativo assolutamente elevato, pressoché perfetto, senza una nota fuori posto e che si ascolta e si riascolta sempre con immenso piacere! Se poi ci aggiungete anche qualche parte sinfonica (come nella già citata “La promessa cremisi”), allora capirete il motivo della votazione massima. Naturalmente le fonti d’ispirazione sono le bands in cui i tre cantanti militano (o hanno militato), ecco quindi che l’opener ricorda un po’ gli ultimi Skeletoon, mentre la dolcissima “Glorious” fa pensare ai migliori Vision Divine, così come la più volte citata quarta traccia o la successiva “In nomine patris” che sono una sorta di tributo ai Rhapsody; ma un vero e proprio tributo lo troviamo in chiusura dell’album ed è quella “Faity tale” che credo voglia omaggiare il mai troppo compianto Andre Matos, dato che è un pezzo del primo fantastico album dei suoi Shaman. I testi spaziano tra parti in inglese ed altre in italiano, dando un tocco di fascino in più. Inutile prolungarsi ulteriormente, se non l’avete ancora compreso questo “Triumviro” è certamente uno dei migliori debut album ascoltati negli ultimi anni e non temo smentite quando affermo che molto probabilmente abbiamo già a fine febbraio il disco del 2025! Che bomba!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    16 Febbraio, 2025
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Avevo conosciuto gli spagnoli Injector nel dicembre 2020, all’epoca del loro terzo album "Hunt of the rawhead", rimanendone favorevolmente impressionato, anche se con qualche perplessità. Li ritrovo esattamente 4 anni dopo, a dicembre 2024, con questo nuovo “Endless scorn”, disco composto da 10 tracce (compresa la solita inutilissima intro), per la durata totale di circa ¾ d’ora, con un nuovo batterista chiamato Juanjo Beast (non è noto il nome vero). Rispetto al precedente full-length non è cambiato sostanzialmente niente, il thrash al limite dello speed è ancora ben presente, con le due chitarre cariche di groove a ricamare muri di riff ed assoli ed il basso ottimo protagonista alla pari degli altri strumenti ed esaltato da una registrazione fatta come si deve. Restano anche le perplessità sulle prestazioni canore dei due fondatori della band, il chitarrista Dani MVN (all’anagrafe Daniel Martinez De Velasco Nieto) ed il bassista Mafy (alias Jose Angel Ayala Lopez) che urlano in tutto il disco senza soluzione di continuità ed hanno un approccio davvero estremo ed esagerato (non a caso, il pezzo migliore è la strumentale “The end of eternity”, unica traccia non rovinata dai due), anche quando forse ogni tanto ci vorrebbe un atteggiamento più melodico e meno aggressivo (ad esempio in “Crawling one”, o in “Drag me to the void”). Fortunatamente rimane anche qualche richiamo al prog/thrash, con qualche passaggio maggiormente intricato ed anche più affascinante e convincente (come, ad esempio, in “The executioner's song”), anche se, come già evidenziato nella recensione del precedente disco, avrei maggiormente accentuato questa particolarità al fine di essere un minimo meno derivativo. Già perché il secondo problema, dopo le due voci non convincenti, sta nel fatto che il thrash degli spagnoli richiama un po’ troppo quanto fatto negli anni ’80/primi ‘90 da gruppi della mitica Bay-Area, in particolar modo i Megadeth (ditemi un po’ se “Drag me to the void” non vi ricorda “Mary Jane”, soprattutto nell’attacco…), ma anche i Testament nel riffing delle due chitarre e gli Annihilator (la strumentale “The end of eternity”, starebbe benissimo nell’album “King of the kill”). A parte questo lavoro, sicuramente abile, di copia/incolla, resta da dire comunque che ancora una volta gli Injector, con questo “Endless scorn”, sfornano un disco di buona qualità, in grado di raccogliere il gradimento dei thrashers meno giovani e che può certamente centrare una piena sufficienza.

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