Opinione scritta da Francesco Yggdrasill Fallico
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Ultimo aggiornamento: 11 Febbraio, 2023
Top 50 Opinionisti -
Il ritorno dei bresciani Fiume Nero celebra la seconda parte della trilogia dedicata a Lovecraft ed alle sue opere, ponendo in questo lavoro, già dalla front cover, l’attenzione in maniera marcata sullo scritto più celebre ovvero il “Necronomicon”. Proprio con il componimento composto dall’arabo pazzo si apre questo disco, in un crescendo di sonorità che, in poco più di otto minuti, tra drum machine, chitarre taglienti e un cantato/recitato in italiano, ci pongono dinnanzi a ciò che sin dagli inizi è il marchio di fabbrica del duo Enna Cancry e Simon Desecrator. La ricerca, innanzitutto tematica e successivamente sonora ha infatti da sempre caratterizzato la proposta della band che paga nei confronti del metal oscuro un tributo non banale e mai scontato, infischiandosene di comporre brani facilmente gestibili, ma, anzi, osando percorrere sentieri non facili e, proprio per questo, interessanti. Non è un album facile questo e non avrei neanche voluto che lo fosse, partendo dal presupposto che la musica estrema non può essere easy listening, ma vi assicuro che, calandovi nel viaggio in cui i Fiume Nero vogliono condurci, le sorprese non mancheranno. Le tracce si susseguono senza apparente continuità, ma alla fine dell’ascolto vi renderete conto dell’aura marcia di cui vi ritroverete coperti e farete ripartire l’ascolto, questa volta testi alla mano, per comprendere ancora di più la celebrazione che questi musicisti fanno, con un’attitudine diversa dal consueto. Nenie, tastiere, accelerazioni furiose e rallentamenti, umano e macchina che si alternano, gelo e nebbia, vita e morte, un gioco eterno di contrasti che ci riporta all’essenzialità delle cose e del metal più marcio, nell’attesa di completare questa oscura trilogia che spalancherà i cancelli della vostra anima.
Ultimo aggiornamento: 31 Dicembre, 2022
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Possente è il ritorno dei liguri Malignance che ci propongono 43 minuti di Black Metal battagliero, ma mai scialbo e poco ispirato. La follia sonora alla quale solitamente siamo abituati è qui sapientemente amalgamata da suoni che infarciscono il tutto di melodia ed atmosfera. Se il punto di partenza per il nostro Arioch è prevalentemente il Black svedese, personalmente ho trovato anche sonorità, anch’esse proveniente dalla meravigliosa terra scandinava, più vicine ai primi lavori di Naglfar e Ancient Wisdom. Ecco che, con questo bagaglio musicale, partendo dalla magica Lanterna, la nera realtà Malignance ci fa salpare verso lidi che toccano la parte più oscura della nostra anima, dove il tempo si dilata e abbiamo modo di conoscere storie di uomini e di eventi che, come noi, sanno essere codardi o eroi e che, spesso si cimentano con la morte. Epico, a tratti marziale, questo lavoro sa scuotere dal torpore in cui, troppo spesso, ci adagiamo, ed è, per quanto mi riguarda, l’ennesima dimostrazione di quanto viva e genuina sia la scena musicale proveniente dal nostro Paese, anche se non perdiamo mai occasione per autodenigrarci o, ancor peggio, per intraprendere inutili guerre fratricide frutto di mera invidia. Fate vostro questo lavoro e godete degli splendidi scenari nei quali sarete trasportati e vi assicuro che alla fine dell’ascolto, malgrado vi sembrerà di non esservi mai mossi, sentirete in bocca un gusto nuovo.
“Under the moonlight
I follow their tracks
Carried by the lone wind,
Crying out my hex
My bones sparkle with a pale light
While
With fiery eyes I gaze inside the shadows”
Ultimo aggiornamento: 31 Dicembre, 2022
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Gradevole questo EP, prima autoprodotto e poi ristampato da Wormholedeath, degli Exist in Ruin, band proveniente dagli Stati Uniti. Musicalmente è un richiamo ad un certo Symphonic Black che negli anni ’90 che ha reso grandi band come i Dimmu Borgir, anche se le sonorità qui contenute sono varie e sfociano anche in suoni Metal più classici ed ottantiani. Il mastermind Teren, autore di tutti i brani ed esecutore di gran parte delle musiche qui contenute, si è avvalso della collaborazione di tanti artisti provenienti dal panorama musicale internazionale, soprattutto per quanto concerne l’aspetto vocale, restituendoci sei tracce che si susseguono molto piacevolmente, in un crescendo di sonorità e tematiche. Da quello che sono riuscito a comprendere ascoltando le tracce e non avendo modo di leggere i testi, c’è comunque un filo conduttore che ruota attorno a questo lavoro ed è il tema della persecuzione, vista attraverso varie chiavi di lettura. Un bel viaggio interiore, insomma, che arriva in un momento tanto pieno di incertezze e che, malgrado tutto, ci lascia intravedere una via di fuga che parte, come dal personaggio raffigurato in copertina, da una voglia di nascondere il proprio Io allo schifo che ci circonda. Per quanto mi riguarda, se queste sono le premesse, vale la pena credere che il full-length su cui Teren sta già lavorando sarà davvero una gran testimonianza di quanto viva sia ancora la scena estrema quando si abbellisce di melodia.
“Their weapons will not fall
Piles of bodies tower
Victory or death!
Over free men that won’t cower
Victory or death!
Free! Till their final hour
Victory or death!”
Ultimo aggiornamento: 15 Ottobre, 2022
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Il ritorno dei siciliani Malauriu passa attraverso la cover realizzata nuovamente da Azmeroth Szandor, mente degli Heretical, e ci restituisce un EP che riporta la band su sonorità tanto care a chi da tempo segue un certo tipo di Black, senza però disdegnare degli inserimenti innovativi e lisergici. Le quattro tracce qui contenute sono, infatti, un richiamo non meramente imitativo del Black Metal che fece grande la Norvegia negli anni ’90, ma ci danno la possibilità di scoprire, ancora una volta, la grandezza dei musicisti che prendono parte a questo lavoro e la loro capacità di tessere non solo furiose tracce, ma di inserire all’interno delle fughe ora Prog, ora marziali, ora Ambient. Voglio sottolinearvi una ricerca veramente accurata che la band compie sotto ogni fronte, musicale e culturale e questo è un punto in più che può portarci al rapporto con questa realtà, che, anche in questo caso, non disdegna di mostrarci quanto ogni singolo musicista abbia continuato a progredire nel suo percorso artistico. Tra l’altro questo progetto è da sempre caratterizzato dalla presenza di diversi artisti che si interfacciano e si intercambiano tra loro, anche a livello di strumenti, e riescono, in questo caso, a restituirci una carica primordiale pur essendo solo in tre. In questi quattro brani, come detto in apertura, ci sono numerosi inserimenti extra Black, con un artista del calibro di Felis Catus che, oltre a curare le varie voci e le chitarre, ci pone davanti a suoni tastieristici che spaziano in vari contesti musicali, portandoci in un viaggio sonoro ipnotico, nel quale siamo sapientemente condotti dai Nostri. La coppia Schizoid/Marbas ha tirato fuori delle idee che, in parte, mi riportano a quel “Presagi Di Morte” che amai in occasione della sua uscita e che qualcuno, insieme a tanto altro materiale, ha deciso di non far più tornare in casa mia (ma questa, purtroppo, è un’altra triste e squallida storia), quindi alla fase primordiale della band. Il primo stavolta al basso e chitarre ed il secondo alla batteria, hanno tirato fuori non un mero tributo ad un tempo passato, ma una sorta di naturale completamento a ciò che fu, in una fase molto particolare, l’urlo primordiale proveniente da una terra martoriata come la Sicilia, fase alla quale, in un secondo momento, hanno contribuito in maniera interessante anche loro. Questo lavoro farà bene a molti di voi, se saprete avvicinarvi ad esso con la curiosità giusta, privandovi di ogni pregiudizio che, puntualmente frena ogni cosa, perché ne uscirete sicuramente diversi e con la consapevolezza che nulla è mai scontato e banale in casa Malauriu, che tutto può sconvolgere se abbiam voglia di non spegnere la fiamma dentro di noi.
“…put a spell on your soul, unleashing true uncompromised darkness…”
Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 2022
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Tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio abbiamo assistito all’esplosione dell’amore (non sempre così veritiero e viscerale) nei confronti di certi suoni sinfonici, sia in ambito Power che in ambito Black, con il conseguente ed inevitabile nascere di un’infinità di proposte musicali. Ecco che gli svedesi Zornheym tornano con il loro sound a cavallo tra questi due generi, ormai solo apparentemente così distanti tra loro, riportandoci indietro di diversi anni, attraverso queste brevi ed incisive cavalcate di metallo, ora classico, ora estremo, ma sempre infarcito di quella componente cinematografica tanto cara anche ai nostrani Rhapsody Of Fire. Che dire ai puristi dei due generi sopra citati? Se pensate di approcciarvi a questo lavoro con i preconcetti del caso, vi chiedo di starne alla larga, se invece volete godervi un po’ di Metal ben suonato e composto, con parti più riflessive e con qualche momento epico e battagliero… beh questo full-length fa al caso vostro. Ancora una volta la struttura melodica creata da Tomas Nilsson si rivela essere accattivante ed in grado di portarci attraverso questi 40 minuti, pur non facendoci gridare al miracolo, senza farci mai annoiare, complice anche una gradevole prova d’armi della formazione al completo, con un Bender sempre preciso e puntuale anche nei cambi di registro. Cori, orchestrazioni (con archi veri e musicisti reali!), intermezzi, soste e ripartenze, tutto ciò che vi aspettate e che, in fondo desiderate, lo troverete senza problemi in questo album. Concedetevi un tuffo nel vostro intimo più profondo, ancora una volta, lasciandovi trasportare attraverso ciò che accade nel manicomio di Zornheim, consci del fatto che, prima o poi, tutti ne andremo a far parte.
“…stay away, dont’ want to be free!!!”
Ultimo aggiornamento: 21 Agosto, 2022
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Con un imperdonabile ritardo propongo alla vostra attenzione questo terzo lavoro dei norvegesi Nifrost, "Orkja", nuovamente dato alle stampe dalla Dusktone. Musicalmente, la band di Jølster ci restituisce delle sonorità di tipica matrice norvegese che, a chi ha qualche inverno alle spalle come me, riportano alla mente certi lavori di fine anni ’90, provenienti dai meravigliosi paesaggi scandinavi. Così, quindi, le sfuriate Black si intersecano con innesti Folk, mid-tempos ed una follia sonora mai fine a sé stessa; sin dall’opener “Nauden” è palese in me l’attesa per quei cori, per quei passaggi chitarristici che hanno segnato tante opere provenienti dalle lande nordiche, ed è così che, nei 220 secondi di “Orkja Brotna”, arrivano quelle voci epiche, piene di tradizione, che tanti anni fa mi fecero innamorare di realtà come Ulver o Vintersorg. La melodia, però, continuerà a lasciare preponderante spazio alla ferocia, con un crescendo di violenza non solo sonora, ma anche lirica, con uno screaming che diventerà sempre più irrequieto e glaciale man mano che ci si inoltra nella seconda parte di questo album che, in poco meno di 40 minuti, è stato capace di ruotare attorno ad un nuovo concept che gioca tra l’alternanza di vecchio e nuovo, passato e futuro, morte e rinascita. Sezione ritmica ben presente, chitarre sapientemente amalgamate ed una voce in grado di produrre variazioni, accompagnando il tutto con testi in madre lingua. Grazie per aver cancellato, in un periodo così buio per me, la stanchezza degli ultimi anni ed avermi riportato a quella genuinità di mezza vita fa, in quel mondo pieno di aspettative che, giorno dopo giorno, ti faceva scoprire quanto melodia e rabbia, Folk e Black, se sapientemente dosati, potevano parlare direttamente alla tua anima.
“Folk og fe røymde til fjellet
Med flaumen i helane
I håp om å leve”
Ultimo aggiornamento: 28 Marzo, 2022
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Marziale come pochi questo lavoro dei norvegesi Ulvehyrde, pubblicato lo scorso anno dalla Dusktone. Le otto tracce qui contenute sono legate da un filo conduttore che è quello di ripercorrere la “storia nera” della Norvegia, attraverso alcune figure molto particolari che si sono avvicendate nel corso dei secoli e che sono fortemente legate all’essenza di morte. Guidati da Sorath Northgrove, artefice della storica “Obscure Epitaph”, ‘zine dedicata al Metal più estremo, (e qui mi si aprono i ricordi da adolescente che, nei primi anni liceali, aveva scoperto ed amato il Black scandinavo, fatto di demo e ‘zine marcissime), la band ci presenta un Black cadenzato, ma fiero, libero dalle sfuriate, ma con un’altrettanto nera coltre che riveste ogni singola nota di questo lavoro. Il già citato vocalist ha assunto la figura del boia, predicatore di fatti indicibili ed esecutore del gesto estremo di giustizia, circondato da altrettanto marce figure, ultimi tra gli ultimi i Nattmen, sempre pronti a sorreggere il cantato con un tappeto sonoro sempre puntuale e preciso, accompagnato anche da una produzione, curata da Malphas (Carpathian Forest e Vulture Lord, insieme a Sorath e Uruz), che esalta ogni singolo strumento e rende il tutto facilmente fruibile all’ascolto. Musicalmente, in più passaggi, mi hanno ricordato l’Atmospheric Black degli Ancient Wisdom, one man band svedese creata negli anni ’90 da Marcus E. Norman, tornata dopo tantissimi anni di silenzio a pubblicare, ancora una volta per la nostrana Avantgarde Music. Gli spunti sono davvero ottimi ed in questi quaranta minuti sono sapientemente sparsi ed esplicati, senza mai annoiare nell’ascolto e, complice una serie d’ascolti ripetuti ed attenti come si faceva una volta, immergersi nel mondo dei Lupi norvegesi non sarà un’impresa ardua, ma anzi, riporterà alla mente tanti ricordi di un tempo che fu. Mi avete toccato l’anima nera, miei cari Ulvehyrde! A presto per un nuovo ed altrettanto intenso funerale da tributare ad ogni intima e travagliata esistenza.
Ultimo aggiornamento: 23 Gennaio, 2022
Top 50 Opinionisti -
Ho scoperto questa bellissima realtà solo nel 2020 con il precedente “La Tavola Osca”, che inaugurava una saga dedicata ai Sanniti, dopo i primi cinque lavori che avevano rivolto l’attenzione ai sei elementi (oltre a Terra, Acqua, Fuoco ed Aria, venne tributato il binomio Spirito / Misteri). Come il precedente lavoro, anche questo è stato pubblicato dalla Antiq Records ed è formato da due lunghissime tracce che spaziano tra sfuriate Black, tanta epicità e virtuosismi classici. Il mastermind Vittorio Sabelli, autore di tutti i testi e delle musiche è un geniale polistrumentista che ha saputo unire la follia sonora del Black Metal con l’unicità di uno strumento come il clarinetto! Ecco che persino il Jazz entra a far parte della magia che, solitamente, siamo abituati a sentire attraverso un certo tipo di Black Metal, pronto a tessere delle atmosfere uniche, capace di rapirmi, senza esitazione e portarmi attraverso un viaggio storico, ma anche personale. Qui, partendo dall’atroce umiliazione patita dall’esercito romano in occasione dell'evento storico citato nel titolo (vi risparmio sia la lezione, sia una banale trascrizione da qualunque sito e vi invito ad approfondire questo spaccato storico fondamentale), il nostro Eurynomos (vi ricorda qualcosa?) ci fa fare i conti con quelle che possono essere le nostre cadute personali, le nostre pagine nere, le volte in cui ci siam dovuti arrendere con vergogna. Credetemi, non è un lavoro sicuramente facile, come non lo era il suo predecessore, ma, senza esitazione, questi due capitoli sono diventati parte della mia Top Ten di lavori pubblicati durante i due anni trascorsi e, anche stavolta, arrivo a dare il massimo dei voti a questo capolavoro, senza che io sia stato ricoperto da favori o da mille copie promozionali, rilegate in pelle umana. Chi vi parla, tramite queste pagine, sta solo cercando di farvi capire che si può riconoscere il merito ad un artista, senza un secondo fine, senza dover cercare o aver ottenuto un personale tornaconto. Sono felice che, la cartella digitale con questo lavoro, sia toccata a me, anche se priva dei testi che comunque, essendo declamati in italiano, sono facilmente comprensibili e completano maggiormente la bellezza e la grandezza di questa Opera figlia della nostra Cultura!
Fiero di credere che questo album meriti di esser conosciuto anche fuori dai nostri confini nazionali e che, finalmente, tutti quelli che osannano i prodotti provenienti dall’estero, capiscano quanta ricchezza abbiamo in casa nostra!
Onore al nostro Syrinx!!!
Ultimo aggiornamento: 22 Novembre, 2021
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Una delle recensioni più difficili che mi sia mai capitata questa della quale mi appresto a darvi il mio feedback. Amo visceralmente, sin dai loro esordi, le band dalle quali questi due immensi artisti provengono, rispettivamente Enslaved e Wardruna, e seguo le loro evoluzioni sempre col massimo interesse. Questo progetto che vede Ivar ed Einar unirsi a celebrare la grandezza della madrepatria Norvegia, con le sue radici più profonde ed ancestrali, arriva a questo nuovo EP dopo due full-length e una serie di partecipazioni ad eventi, e ci propone due tracce molto particolari.
In apertura c’è una versione in stile acustico, con testo in norvegese, di un vecchio classico degli Enslaved, “Return To Yggdrasill”, tratto dall’album “Isa” del 2004, qui riproposto in chiave decisamente diversa, sia dall’originale, sia dalla splendida versione che proprio il duo Bjørnson/Selvik aveva presentato qualche anno fa. La differenza è data dalla parte centrale del pezzo, diventato “Heim Til Yggdrasil”, che ad un certo punto viene disturbata da una base quasi remix che proprio non riesco a digerire e che, per quanto mi riguarda, ruba parte della magia che, invece era presente nella versione acustica che potete ascoltare anche nel canale ufficiale degli Enslaved. Questo mezzo passo falso, per quanto comunque reputi questa traccia molto interessante, unito anche alla scarsa durata dell’EP, è la motivazione di quel 3/5 che troverete come valutazione (e non è certamente una stroncatura!!!). La title-track invece ci dà modo di assaporare quella che è la matrice essenziale di questo progetto, con l’inserimento di super ospiti tra cui Grutle degli Enslaved e Lindy-Fay Hella, concentrando in poco più di quattro minuti, l’amore viscerale per la propria terra e per le origini, ora storiche, ora culturali, di un popolo che nel corso dei secoli ha saputo mantenere vivo il legame con un tempo che fu, senza, per questo, risultare anacronistico e banale. Un intersecarsi di percussioni e strumenti acustici, con il canto epico ad abbracciarci e condurci in mondi lontani, con la grazia che solo pochi hanno.
Poco meno di 10 minuti in versione digitale e vinile colorato, con una front cover che, in maniera tribal ci restituisce l’Albero della Vita. Se siete degli accaniti collectors fatevi avanti ed acquistatelo, io rimango nell’attesa di un nuovo full. Nel frattempo: SKÅL!!!
Ultimo aggiornamento: 25 Ottobre, 2021
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Sesto lavoro per questa band dalla caratura internazionale, formata da personaggi della scena europea e sudamericana, con una proposta musicale che, pur partendo da classici canoni Black Metal, giunge al produrre un album farcito di suoni e colori decisamente non consueti. Durante i 45 minuti di durata, infatti, non è raro imbattersi in sonorità e parti vocali che richiamano un certo tipo di dark ottantiano, amalgamate in maniera interessante dalla band e rette dal nuovo ingresso in formazione nelle vesti di cantante. Al microfono troviamo Martyn Lucifer dei romagnoli Hortus Animae che, in questo lavoro, spazia attraverso il suo registro vocale, venendo fuori dai classici screams e difendendosi sapientemente tra cantato pulito e spoken words. Questo non è sicuramente uno di quegli album che ami al primo ascolto, ma va assaporato passo dopo passo, con la mente sgombra da pregiudizi, per poterne cogliere le caratteristiche peculiari. Per quanto mi riguarda, le parti più darkeggianti sono quelle che ho apprezzato di più, sorrette anche da un buon lavoro tastieristico, mentre non sempre le parti Black, con venature Pagan, risultano esser coinvolgenti, rischiando, talvolta, di risultare una sorta di rispolvero forzato di ciò che trent’anni fa rese celebri diverse realtà del panorama estremo scandinavo. Se non vi piacciono le cose scontate, sono certo che questo album finirà nelle vostre case e sarete in diversi ad apprezzare questo nuovo corso della band che, in nome della musica, è in grado di superare ogni barriera geografica, regalandoci, in un'epoca in cui tutto è ormai patinato, una personale visione di un genere estremo che cerca, dopo tantissimi anni di vita, di uscire dallo stato di stasi nella quale versa ormai da troppi anni.
“…idols collapsed beyond any persistence, from their ashes we rise, the pagan resistance…”
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