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Opinione scritta da MASSIMO GIANGREGORIO

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    01 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 01 Febbraio, 2025
Top 50 Opinionisti  -  

Secondo voi, cosa escogiterebbero cinque amici di St. Louis (Missouri) con la passione per l'orrido, dei quali due (Matt e Doug) operano nel business delle onoranze funebri, incontrandosi dinanzi ad una birra in una tempestosa notte? Ma di fondare una band dedita all'horror metal! E come la chiamerebbero? Ma che domande...la fiaccolata (funebre, of course). Il loro omonimo album di debutto vede la luce (...si fa per dire...) nel 2020; nel 2022 è la volta di "Never Laugh When a Hearse Rolls By" ossia "Non ridere mai quando passa un carro funebre" (anche perchè avrebbe potuto toccare a te... e, comunque, occhio...) ed ora vengon fuori con questo "Children of the Night" che fa tanto Kiss, leggendario disco con il quale - però - ha in comune solo il titolo.
Da notare la presenza di Teddy "Zig Zag" Andreadis alle tastiere ad alla armonica. Teddy è il tastierista di Alice Cooper, Guns N' Roses, and Walter Trout, ed è attualmente nella band solista di Slash. Nel 1999, è stato eletto tastierista dell'anno nel L.A. Music Awards. E scusate se è poco...
Intanto, l'artwork di copertina ci propone un sempre intrigante duello tra licantropo e vampiro. La opening/title track è costituita dalla intro di rito, nella fattispecie davvero brividosa, coerentemente con il contesto che è chiamata a preludere, con delle atmosfere ancor più orride ordite da Teddy ed un coretto inquietantissimo.
La voce di Matt Engel - a tratti - ricalca quella di Tim Baker dei Cirith Ungol.
Dopo aver ascoltato il lupo mannaro esibirsi nel suo cavallo di battaglia ("Howl'n Wolf") ossia l'ululato, giunge una "Frankenstein On Death" che rievoca "The beautiful people" di sua stranezza Marilyn Manson.
"Haddonfield's Revenge" rievoca molto il motivetto di Venerdi 13 mentre è "I'm not dead...Yet!" a sorprendere con il suo bluesaccio alla ZZ Top (d'altronde aveva rappresentato il singolo, aperitivo rispetto a questa release dalla quale è stato estrapolato). E qui riaffiora lo humor nero che da sempre caratterizza i testi della band americana. Altra sorpresa (ma, questa volta, in negativo) di questo CD è il tentativo di ballad "I Call Her Mausoleum", davvero poco riuscita. Vabbè, piccolo neo in una produzione complessivamente ben oltre la sufficienza, che - considerando che i nostri cinque sono appena al terzo disco - fa ben sperare per il futuro e che si chiude degnamente con una "Danc'n with the Dead" che fa tanto Rocky Horror Picture Show, con tanto di cornamuse finali. Sipario e applausi!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    26 Gennaio, 2025
Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 2025
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Il primo singolo di questa band canadese risale addirittura al 1975, ma è dal 1984 che hanno cominciato a fare sul serio. E non si sono più fermati (eccezion fatta per due stop forzati durati quasi dieci anni l'uno). I mitici Venom, nel loro periodo aureo, solevano intitolare i loro live come assalti portati sui vari palchi disseminati nel globo terracqueo: quando è stata la volta del Canada, hanno pubblicato "Canadian Assault"; ebbene, i Sacrifice incarnano proprio questo concetto. Annihilator, Exciter, Anvil, sono solo alcune delle bands loro conterranee, ma con il quartetto del sacrificio siamo su livelli di potenza e violenza che vanno oltre ogni limite. Certamente arrivano, con questo loro sesto full-length (da qui il titolo...), a rasentare gli eccelsi livelli dei mastodontici e compianti Slayer, quelli di "Raining Blood" tanto per intenderci... E scusate se è poco! Questa release non lascia a chi la ascolta nemmeno il tempo di pensare, di respirare, perchè lo azzanna immediatamente alla giugulare e non lo molla più, lasciandolo esanime solo dopo una gragnuola di pezzacci l'uno più ultra-violento dell'altro. Dalla opening track "Comatose" a quella finale "Trapped in a World" non avrete scampo nè requie: "Volume Six" è un disco thrash micidiale, per headbangers scafati e rotti a tutte le esperienze, da maneggiare con la stessa cura con la quale si maneggia un ordigno inesploso ma pronto a deflagrare non appena spingete il tasto "Play", investendovi con migliaia di schegge impazzite e letali. Il wall of sound creato dai nostri four horsemen è a tratti indescrivibile per quanto è iper-potente e massiccio. La pogata è irrefrenabile e garantita, così come l'headbanging sfrenato, fuori da ogni controllo. Non potete non avere questo disco!!!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    18 Gennaio, 2025
Ultimo aggiornamento: 18 Gennaio, 2025
Top 50 Opinionisti  -  

I più attenti di voi avranno notato il vuoto nello spazio dedicato alla descrizione dei componenti della band. C'è un motivo ben preciso: il moniker trae origine da quello di una loggia segreta fondata nel XIX secolo da Jean-Baptiste Jules Bernadotte, noto anche come Karl Johan il 14° di Svezia, che prima di salire al trono di Svezia, era maresciallo sotto Napoleone. Dopo l’incoronazione svedese, Karl Johan creò una loggia segreta per nobili scandinavi e della Germania settentrionale, potenti signori e futuri magnati industriali: la Loge du Grand Soleil, che per diversi anni tenne riunioni segrete nei castelli e nei manieri di tutta la Scandinavia.
I membri del Big Sun sono tutti discendenti diretti dell’apice assoluto del periodo d’oro della Loge du Grand Soleil, e sono ora pronti a elevare la visione della loggia di un ritorno della grande verità e della vera arte – nata nell’essenza della musica – sotto il nuovo nome della loggia Big Sun.
Ergo, nessun nome da indicare nella line up. Sappiamo solo che sono in tre, sono scandinavi e sono al loro album di debutto, prodotto da Tue Madsen, noto tecnico del suono e iperattivo produttore danese (2 Ton Predator, Exmortem, Jerkstore, etc.) che fu chitarrista prima dei Pixie Killers e poi dei Grope.
Nelle scarne note di presentazione, c'è scritto :"per fans di Ac/Dc, Mercyful Fate e Ghost"; ebbene, questo "Rito di Passaggio" possiede un cantato mooolto simile a quello di Sua Maestà King Diamond (anche se solo nella opening track), riffs semplici ma di presa immediata come quelli dei Titani australiani e delle strutture melodiche/compositive vicine a quelle della band del fantasma.
La opening track, manco a dirlo, è intitolata alla divinità adorata dal gruppo/setta ed è davvero intrigante e di grande atmosfera.
Ma si tratta di un brano "spurio", una anomalia presente nella track list di questo CD.
Difatti, giunge a sorprenderci il secondo pezzo "I was loving you", una vera perla di quello che è stato l'Adult Oriented Rock (AOR) di fattura sopraffina, quello - tanto per intenderci - di Winger, Ratt, Nightrider e compagnia bella. Ed è qui che scopriamo la vera anima musicale dei Big Sun. "Stronger than anyone" prosegue sulla scia, con tastiere in gran spolvero a far da contraltare a chitarrone da paura, ma sempre ben orecchiabili. A parte l'altrettanto anomalo intermezzo di "Ra Horaktus" il disco scivola via che è un piacere, in costante equilibrio tra grandeur del sound e godibilità melodica assoluta.
Sì, è vero: direte voi che vi è una certa incoerenza tra i propositi sbandierati dal tre del Grande Sole, basati sul più puro esoterismo, e la loro proposta concreta a livello di release, ma tant'è.... Un gran disco è sempre e comunque un gran disco, a prescindere da tutto il contorno.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    04 Gennaio, 2025
Ultimo aggiornamento: 04 Gennaio, 2025
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Per chi bazzica la scena doom e dintorni - tanto a livello nazionale che internazionale - questo monicker dirà tantissimo. Ragassuoli, questa è gente che ha cominciato a diffondere il verbo doom nel lontano 1987 partendo dalla città di Giulietta, per poi diffondersi come una macchia venefica. E ciò, nonostante abbia subìto uno stop forzato piuttosto serio; risorti dalle ceneri di Black Hole e Sacrilege (omonimi della fantastica band francese) realizzarono il demo "The Lord Of Evil"; dopo altri due demos "Sacred and Profane" targato 1992 e "Mental Walls" del 1994, si sono sciolti, per poi auto-rigenerarsi (come ogni creatura maligna che si rispetti) nel 2012, dando "vita" (...parola grossa...) a "Crawling Out of the Crypt", loro primo full-length, nel 2014, seguito dallo split "Dies Funeris / Farewell to Blind Men" nel 2016. L'anno dopo pubblicarono il loro secondo album, "Claws". A sette anni di distanza, preceduto da un singolo da esso estrapolato, ecco questo ultimo LP (of course, in ordine di tempo) "Path to Oblivion".
Da una band che si chiama epitaffio, ossia la iscrizione presente su una lapide, non è che ci si possa aspettare un suono diverso da un doom senza compromessi, integralista, senza "se" e senza "ma". E questo cd mantiene in pieno ciò che promette! Una sequenza di pezzacci funerei degni della migliore tradizione dei capostipiti del genere: Black Sabbath su tutti, ma anche Saint Vitus e i primi (pesaresi) Death SS (la voce di Ricky è l'esatta via di mezzo tra quella di Scott "Wino" Weinrich e Sanctis Gorham), gli inevitabili Candlemass e - anche se un po' di striscio - Trouble. Altrettanto immancabile la intro spettrale (che è anche la title-track) che prelude ad un "Embraced by Worms" davvero di livello. Dopo esserci fatti abbracciare dai vermi (dei quali siamo ineluttabilmente destinati a divenire cibo) in quanto "Condemned to Flesh", ossia condannati alla carne, diventiamo preda di un "Nameless Demon", di un demone senza nome, generato da una sinistra creatura rinata nella blasfemia ("She's reborn in Blasphemy") mentre delle voci oltre i muri ("Voices Behind the Wall") ci sussurrano che stiamo per entrare nel regno del sonno (eterno, ovviamente - "Kingdom Of Slumber") in quanto caduti in disgrazia ("Fall from Grace"). Un album bellissimo, variegato pur restando nell'alveo del doom composto e suonato con grande mestiere e maestria da chi dimostra di sapere davvero di cosa stiamo parlando e che certamente saprà dire la sua per molto tempo ancora. Anzi, fino alla stessa notte dei tempi dalla quale proviene.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    16 Dicembre, 2024
Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 2024
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Quest'ultima uscita dei torinesi Ponte del Diavolo altro non è che la raccolta dei brani che componevano i loro EP che hanno preceduto l’ottimo full-length di debutto “Fire Blades from the Tomb” che ho avuto il piacere di recensire all’epoca.
I tre EP in questione sono “Mystery of Mystery” del 2020, “Sancta Menstruis” e “Ave Scintilla!” del 2022. Ottima idea, perché ritengo quanto mai giusto che coloro che hanno ascoltato il precedente album abbiano l’opportunità di dare un assaggio a ciò che la band piemontese ha prodotto prima. Anche perché si tratta di pezzi di notevole entità nell’ambito dell’Occult Metal. Né ci si poteva aspettare altro da un gruppo che proviene da una delle città più esoteriche del mondo (rammenterete il fatto che Torino forma il famigerato triangolo della magia nera insieme a Londra e San Francisco).
Già la intro “Mystery of Mystery”, con lo speech di Gustavo Rol (uno dei più grandi esoteristi italiani) ci ammanta nel fascinoso sound della band sabauda, in cui troneggia il singing di Erba del Diavolo, a mio modesto parere l’erede della mitica Siouxie Sioux dei Siouxie and the Banshees che chi ha dei trascorsi dark wave ricorderà senz’altro.
Tutti i brani di questa raccolta sono di assoluto livello, proponendo un metal di derivazione occultistica alquanto colto e raffinato, anche laddove le atmosfere si fanno brividose, come nel caso di “13”. Balza immediatamente all’orecchio dell’ascoltatore il fatto che – dietro ciò che i Ponte del Diavolo propongono - c’è della ricerca seria e non votata ad alcun compromesso.
Ed anche quando si va di blast drumming (come nella migliore tradizione black metal, specie di matrice scandinava) il risultato è sempre molto particolare, perché centellinato a dovere in un contesto che rievoca le atmosfere tipiche dei riti occulti (vedi “Un bacio a mezzanotte”, che di romantico ha solo il titolo...) ; ed anche allorquando il sound si fa più sperimentale (“III”) nulla può darsi per scontato, né tantomeno di “già sentito”.
Insomma, questa è una release che dimostra come il loro album edito in questo anno che volge al termine sia stata una gradita conferma di quanto già realizzato dalla band della città della Mole.

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2.5
Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    08 Dicembre, 2024
Ultimo aggiornamento: 08 Dicembre, 2024
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Devo dire che questo EP degli Aivvass intitolato "Occult rites II" è uno dei dischi più strani che abbia mai ascoltato in ben 45 anni di "militanza" in ambito rock e metal. Di loro si sa solo che provengono dalla Germania e che sono in cinque (la formazione, infatti, non è stata resa nota). Certo, leggendo la track list del loro EP di esordio ("Occult rites I"), balza immediatamente all'occhio che i titoli sono - nell'ordine - Aivvass, Satana, Bafometto e Lucifero: tutto molto eloquente. Effettivamente i nostri cinque tedeschi sono dediti ad un folk-doom metal del tutto particolare: già la opening track di questo secondo EP, "Crucifixion" è a dir poco spiazzante, con i suoi accordi di chitarra classica in stile Woodstock, che ti fa immaginare più le colline britanniche che riti occulti. La successiva "Witchcraft" è una lunga litania nera che ti fa ritenere di presenziare ad una cerimonia occultistica (anche grazie a degli inserti di speech, peraltro presenti anche in altri brani), mentre "Cremation of care", con i suoi immancabili accordi di chitarra acustica, mi ha ricordato quelle messe domenicali cattoliche con quei canti tipici che stridono fortemente con i contenuti (o almeno, con quelli attesi alla luce dell'artworking e delle tematiche trattate...). La traccia che chiude l'EP ("The Goul") è una cover dei mitici Pentagram, con la voce che sembra provenire direttamente dall'oltretomba ma che - alla fine - si rivela essere il pezzo più "godibile" dell'opera dei teutonici.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    30 Novembre, 2024
Ultimo aggiornamento: 30 Novembre, 2024
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La Finlandia viene da anni ritenuta la nazione in cui si vive meglio e si è più felici. Eppure vi traggono origine una frangia di bands di blackster mica da ridere! Ma soprattutto, si tratta di bands di black metal (tipicamente scandinavo nei suoi canoni e nei suoi dettami) dalla spiccata vocazione anti-cristiana ed anti-clericale. Tant'evvero che la band dal monicker forse più blasfemo in assoluto (Impaled Nazarene) è spuntata fuori proprio dal paese finnico. Sembra quasi che - sotto questo punto di vista - ci sia quasi una gara con le bands di quella Polonia che dette i natali a Papa Woytila. Ebbene, il quartetto anti-papa spunta anch'esso da una località dal nome impronunciabile (Oulu, Pohjois-Pohjanmaa peraltro la stessa degli Impaled Nazarene) nel lontano 2004. Giunta al settimo full-length, li avevo già recensiti con il precedente "Rex Mundi" ed in quella sede avevo avuto modo di apprezzare il loro Progressive/Gothic/Industrial Metal dedito a tematiche mitologiche, storiche, religiose ed occultistiche. In questo loro ultimo CD intitolato alle porte della Morte (non a caso pubblicato da una casa discografica di moribondi...) i nostri nordici cercano di dare un po' più di risalto al fattore melodico, con maggiori aperture che conferiscano alle composizioni un tratto meno cupo e claustrofobico abbinato a ritmiche più variegate, rendendo più imprevedibile l'evolversi della struttura degli otto pezzi che compongono questa loro ultima fatica. Al tirar delle somme, dopo l'ascolto dell'album, devo dire che l'esperimento è riuscito solo in parte. Forgiare dei brani con linee melodiche ben delineate, ma con un tappeto di blast-drumming non l'ho trovato particolarmente entusiasmante. Questa loro direzione intrapresa mi ha riportato alla mente quella che è stata l'evoluzione musicale dei canadesi VoiVod. Loro hanno finito per diventare, con il passare delle releases, un oggetto indefinito, una sorta di ibrido che alla fine non accontenta nè i fans della prima ora che quelli di più recente formazione. Spero di sbagliarmi, ma mi sa che gli Antipope hanno intrapreso la medesima china, con risultati che non possono certamente pronosticarsi, ma che dubito fortemente che saranno diversi da quelli dell'altra band citata. Resta comunque il fatto che hanno operato una scelta innegabilmente coraggiosa che, in quanto tale, va senz'altro premiata. Cosa che, nel mio piccolo, faccio attraverso il voto di incoraggiamento che attribuisco a "Doors of The Dead".

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    16 Novembre, 2024
Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 2024
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Sesto full-length per il duo del Castello, una coppia resa coesa dalla comune passione per l'occultismo. Una malsana passione che - dal 2009 - unisce questa strana coppia mista USA/Canada e che è rimasta fedele a sè stessa e coerente con i propri principi. Intendiamoci, i Castle non hanno nulla a che fare con il doom/sludge. Certamente, nel loro sound delle venature e delle sfumature doom innegabilmente ci sono; ma si tratta solo di questo, quanto basta per proporre un horror-hard rock un po' sabbathiano e sinistro. Le ritmiche non sono mortifere, le linee melodiche non sono oscure e tetre, ma si sente lontano un miglio che di dark gli autori di questo "Evil Remains" ne masticano da parecchio, eccome! La opening track dedicata alla Regina della Morte rende subito l'idea di quanto finora scritto. Altrettanto dicasi per la seguente traccia, inneggiante all'indiscusso Prinicipe della Notte, Nosferatu. Molto suggestiva ed efficace, poi, è l'alternanza al singing tra Mat ed Elizabeth, presente in alcuni brani, entrambi in grado di conferire una buona dose di pathos agli otto pezzi che compongono questo album molto convincente. "Deja Voodoo" (ganzo il gioco di parole) ha un riff seventhy azzeccatissimo per render un incubo in musica. Tocca poi alla title-track, anch'essa semplice ma di presa diretta, con tanto di cadenzone centrale. Con "Black Spell" si dà una accelerata, una sferzata di energia mica da ridere, corrosiva al punto giusto: quanto basta per pogare zombificati. Dopo la maledizione nera, si torna ad atmosfere più dannate e profonde con "100 eyes" del quale la nostra strana coppia ha realizzato un video intrigantissimo; atmosfere che si fanno più incandescenti con il crescendo della seconda metà del pezzo. Il brano finale è "Cold Grave", che sembra scritta da un necrofilo e che chiude in bellezza questo capitolo della saga del Castello infestato che - ne sono certo - farà parlare di sè ancora per molto.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    19 Ottobre, 2024
Ultimo aggiornamento: 19 Ottobre, 2024
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Londra è da sempre la culla del metallo pesante, capitale di quella Terra d'Albione che costituisce la Patria indiscussa dell'Heavy Metal in tutte le sue declinazioni. Sono passati ormai quasi 50 anni da quando la New Wave Of British Heavy Metal irruppe sulla scena musicale, cambiandola per sempre. Nulla è stato più come prima dal 1978 in poi, senza tema di smentita. E la cosa più grandiosa è che non sembra che - ancora per molto tempo ancora - il nostro beneamato genere musicale sia destinato al tramonto. Ciò grazie alle bands di ogni dove del globo terracqueo che continuano imperterrite ad alimentarne il Sacro Fuoco. Ennesima prova ne sia questa band londinese, formatasi nel 2000 e che, senza frapporre indugi, già nello stesso anno esordì con l'EP "Sacrifice Doth Call". L'anno dopo ha preso parte allo split record "Iron and Hell Vol. I"; lo scorso anno è stata la volta del demo "Eternal Hammerer", che ha fatto da preludio a questo debut album "Wielder Of Steel". Quello propugnato dal quartetto inglese è un epic davvero ispiratissimo e cattivissimo. Poche note della opening track "Eternal Hammerer" (vedi demo di cui sopra) e ti senti già gettato in mezzo ad un campo di battaglia, dove regna il "mors tua, vita mea" (perchè, nella vita di tutti i giorni com'è...?). Ne avverti persino gli odori, i rumori, gli umori anche se sai che l'imperativo è sopravvivere, combattere o perire. Non a caso hanno scelto come monicker il mitico carro a due ruote utilizzato in battaglia in antichità, una sorta di discendente della biga del Romano Impero. La formula è (come si conviene) semplice ma efficace: un sound iper-massiccio ed altisonante, ultra-heavy con abbondanti accelerate, tutto di pregevolissima fattura (che non è poco di questi tempi, vista la pletora di gruppi che affollano il metalrama mondiale...). Certo, se proprio devo trovare un punto debole, io avrei optato ed opterei per un vocalist diverso; si, lo so che di Eric Adams non ne nascono ogni giorno, ma per me è lui l'incarnazione del vocalist di una band di Epic Metal che si elevi una spanna sopra le altre. Ma, a parte questo piccolo appunto, i Phaeton se la giocano molto bene con tantissimi altri gruppi del settore, al quale danno un contributo non indifferente con questo loro full-length.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    12 Ottobre, 2024
Ultimo aggiornamento: 12 Ottobre, 2024
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Eh, si sa. Quando ci sono di mezzo i Nasty Savage tutto diventa un po' malato. Gli artefici di pezzi indimenticabili come "Phsycopath", che hanno sempre flirtato con le malattie mentali, dopo un bel po' di anni (l'ultimo full-length risale al 2004, e si intitolava - guarda un po' - "Phsyco Phsyco"...) magari trascorsi in qualche camera imbottita, tornano i nostri cinque gladiatori della Florida, dalla quale hanno iniziato a combattere fin dal lontano 1983. Ci riecheggiano ancora pezzi formidabili come "Gladiator", la succitata "Phsycopath" e, soprattutto, il mega-riffone di "Asmodeus" facenti parte del mitico album di esordio omonimo. Nella line-up attuale ci sono ancora i due fondatori Nasty Ronnie e James Cocker, che dettero forma e vita a Brandon (Florida) ad un progetto di musica tosta sì, ma che desse modo di manifestare la follia che da sempre serpeggia nelle loro menti malsane. La loro insana vena compositiva è fluita senza problemi dal 1983 al 1989, anno di uscita di "Penetration Point"; poi, l'oblìo. Dei Nasty Savage si persero le tracce misteriosamente fino al 2004 allorquando è stato pubblicato il sopraccitato "Phsyco Phsyco". E poi, di nuovo più nulla per ben 20 anni. Ma ora, finalmente, questo "Jeopardy Room" rompe il silenzio e segna il loro ritorno in grande stile! Ma la nota più lieta è che - tutto questo tempo - sembra non essere mai passato. I brani di questa loro ultima fatica ce li restituiscono in gran spolvero, con pezzaccioni come "Brain Washer" e "Schizoid Platform" a sugellare il come-back della band convenzionata con i centri di igiene mentale di tutto il mondo. Anzi, il drumming di James è vieppiù dinamico ed al limite del blast (vedasi "Brain Washer"), cosa incredibile per un membro fondatore che dovrebbe avere la sua veneranda età. Per non parlare degli arpeggi introduttivi di "Southern Fried Homicide" e "Aztec Elegance" (una spanna sopra gli altri brani), tanto ammalianti quanto inquietanti. Anche la voce semi-narrante di Nasty (al secolo Ronnie Galletti, patitissimo di wrestling) è rimasta intatta nel tempo, sempre cattivissima e ispirata. "Blood Syndicate" è semplicemente devastante (tra un mugolìo e l'altro). Il duo di asce Pete/Dave è affilatissimo come un bisturi in mano ad un sadico. Idem dicasi per "The 6th finger" in puro Slayer style, con il basso di Kyle sugli scudi. Tremate tremate, i Nasty Savage son tornati!

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