Opinione scritta da Pietro La Barbera
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Top 50 Opinionisti -
Se nella musica l'originalità non è per forza di cose una componente fondamentale, la capacità compositiva resta comunque un aspetto imprescindibile. Parlando di un artista del calibro di Axel Rudi Pell, sappiamo bene quanto il chitarrista di Bochum sia da sempre ancorato ad una proposta decisamente ben definita, ma, con una presenza talmente costante sul mercato che forse ruba qualcosa proprio sotto il profilo qualitativo delle composizioni. La sensazione è che, a fronte di uscite troppo costanti, il chitarrista tedesco si sia un po' incartato, con lavori sempre meno incisivi rispetto al passato. " Into the Storm" non è necessariamente un brutto lavoro, sia chiaro, ma non è nemmeno un album di quelli che lasciano il segno. Stilisticamente suona come i suoi predecessori, traendo la propria linfa dagli amati Rainbow, dai Black Sabbath e dal Ronnie James Dio solista. L'ingresso del batterista Bobby Rondinelli è l'unica novità della line-up, con l'ex drummer di Black Sabbath e Rainbow che, nel complesso, si adatta bene alle varianti ritmiche dell'album. Introdotto da una bella copertina, memore dei Manilla Road, "Into the Storm" si apre con l'immancabile strumentale "The Inquisitorial Procedure": eccesso sinfonico che tuttavia non convince molto. Per trovare dei passaggi più convincenti devo attendere la doppietta "Long Way to Go" e "Burning Chains", tracce dotate di un contributo chitarristico assai pregevole, completate dal buon Gioeli, come sempre capace di esprimere delle vocals melodiche senza dimenticarsi di graffiare. La ballad "When Truth Hurts" mostra la particolare predilezione di Pell per questo genere di composizioni e, non mi stupisce affatto l'ottima riuscita. Con "Changing Times" la band spinge sull'accelleratore, dando vita ad un passaggio vicino al power metal degli anni d'oro, ma, i passaggi successivi non lasciano il segno, con la sola cover del pezzo "Hey Hey My My" di Neil Young a farsi apprezzare per la sua capacità di trasporto. La lunga title-track chiude l'ascolto ergendosi tra i momenti migliori dell'intero lavoro, con il bravo tastierista Ferdy Doernberg a catturare l'attenzione grazie ad un contributo assai apprezzabile. La sensazione complessiva è quella di un album fatto con tanto mestiere, ma privo di quella compattezza che in passato era stata alla base dell'opera di Pell; non mancano comunque dei pezzi di buona caratura, capaci di tenere alto il nome della band, per un risultato tutto sommato godibile.
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Una lunga storia quella dei Reaper, iniziata nel 1984 nella città tedesca di Kassel. Fondatori del progetto sono stati: il bassista Matthias Kraft, ed il cantante e chitarrista Daniel Zimmermann, membri ancora presenti in formazione. La band si è sempre identificata nel classico heavy metal di scuola teutonica, prendendo non pochi spunti da Grave Digger e Running Wild. Il nuovo album: "An Atheist Monument", pubblicato per la Massacre Records, ha visto l'ingresso nella line-up di due nuovi elementi: Benni Lodewig (chitarra) e Jan Breede (batteria). L'album celebra i 30 anni di carriera della band, ed è composto da ben 12 pezzi. Si parte con "Hetoimasia", aperta da un arpeggio oscuro ed inquietante che si tramuta in una traccia pesante dai connotati di un' anthem, ben rifinita da una melodia malvagia ed ossessiva. Il secondo pezzo è "Realm of Chaos", un heavy metal compatto con un chorus molto azzeccato; molto presente la lezione dei Grave Digger, sia nel cantato che nell'evoluzione stessa del pezzo. La successiva "Of Sheeps and Sheperds" è un heavy metal ritmato e pieno di buone melodie, ricco di dinamismo. "Horse Brigade" è maestosa e solenne, raggiungendo vette di grande intensità epica. "Hail the New Age" è un'altra traccia anthemica molto ben strutturata, seguita dall'eccellente "Voice Within", segnata da un riff decadente ed oscuro. "1943" è un pezzo che riprende in modo consistente il modello dei Grave Digger, con un riffing possente ed un compatto muro sonoro. Dinamica ed incisiva si rivela "Taste My Revenge", mentre "Ship of Fools" scivola via senza sussulti. "Fields of Joy" è la ri-registrazione di una traccia del passato, dotata di un riff ed un'evoluzione ritmica che sfocia nel thrash metal. La lunga e conclusiva "La Tristesse" trae linfa dal doom con l'aggiunta della voce femminile, rivelandosi uno dei pezzi migliori del lotto.
In conclusione, "An Atheist Monument" è un disco compatto di Heavy Metal classico; si sente molto la lunga esperienza della band, specie nell'evoluzione delle tracce e nel rifferama puramente old school. L'album è un solido esempio di heavy metal tipicamente tedesco: un ritorno di spessore che celebra al meglio il trentennale dei Reaper.
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Attivi fin dal 2007, con un demo all'attivo, i peruviani Mandragora esordiscono con un ep pubblicato solo nel formato 7" intitolato "First Attack". Solo due le tracce: "Lady in Black" e "Snakebite"; materiale decisamente adatto agli appassionati di heavy/speed metal rigorosamente old school. La loro ricetta prevede delle sfuriate grezze e minimali, con la voce di Fátima "Natthammer" a tratti davvero feroce. I pezzi sono comunque gradevoli, ricordando qualche estratto dei "cult heroes" Acid. Duelli chitarristici, ritmiche telluriche, ed un piglio grezzo sono le basi predilette dalla band. Per il momento è comunque troppo poco: restiamo in attesa di un lavoro più corposo.
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"Under The Pentagram" è il secondo album per i tedeschi Skyconqueror, fautori di un rovente Heavy Metal rigorosamente old school. Il quartetto proveniente dalla Vestfalia, ci propone una sequenza di tracce forgiate nella lezione di maestri quali: Accept, Running Wild, Heavy Load, senza dimenticare l'ombra minacciosa dell'US Metal e l'immancabile NWOBHM. Come da buona tradizione dell'Heavy Metal teutonico, ogni pezzo possiede forti connotazioni anthemiche, ovviamente si tratta di un trionfo del già sentito, ma i ragazzi dimostrano di avere delle buone capacità compositive, elemento fondamentale per chi affronta un percorso stilistico di questo tipo. L'opener "Monolith" è un anthem che mi ha fatto subito venire in mente gli Shok Paris di "Go For The Throat", con una serie di riff abrasivi e buone linee melodiche. La successiva "Demon" è una bella cavalcata che, difficilmente non potrà non ricordare i primissimi Running Wild: ascoltare per credere! "The Sanctuary of '83" ha un sentore epico memore degli Heavy Load, mentre la successiva "Horsemen of the Grail" è una poderosa cavalcata costituita da riff incisivi, rifinita da un refrain ideale per essere proposto in sede live. "The Dusk" avanza lenta e maestosa, introdotta da un delicato arpeggio acustico, mettendo in bella mostra un bel lavoro di chitarra ed un ottima interpretazione vocale. La title-track è una tempesta d'acciaio che riesce a far convivere tentazioni US Metal ad un riffing targato Saxon, mentre "Fallen Rainbow Warrior" è una cavalcata che trae linfa dalla NWOBHM, venendo rifinita da una parte strumentale dove le chitarre si sfidano a duello. Le smitragliate chitarristiche tornano protagoniste in "Bells of Fate", pezzo costituito da un refrain di buon impatto. Un arpeggio in cui chitarra e basso si intrecciano, costituiscono la base dello strumentale "Through Different Eyes", pezzo carico di atmosfere dal sapore antico. L'assalto riprende con la terremotante "Running High", pezzo che nel riffing, fonde mirabilmente AC/DC ed Accept. L'album si chiude con "Blade of Black", traccia che mette in bella mostra la capacità di creare dei refrain di buon impatto, venendo rifinita da un buon assolo di chitarra. Al termine dell'ascolto posso affermare che, "Under The Pentagram" è un album che diverte, proponendo una miscela di Heavy Metal abrasivo e coinvolgente nelle sue diramazioni; non inventano nulla i nostri, ma la sensazione è che al quartetto tedesco questo non importi minimamente. L'album non è privo di difetti, uno dei quali è la mancanza di assoli più ispirati ed incisivi che, senza dubbio, avrebbero completato al meglio un lavoro comunque molto piacevole.
Ultimo aggiornamento: 18 Agosto, 2014
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Giacomo Castellano e Gianni Rojatti, due chitarristi con un ricco bagaglio di esperienze, uniti da questo nuovo progetto denominato Racer Cafè. Giacomo Castellano ha prestato la sua chitarra in numerose produzioni pop-rock italiane ed internazionali; Gianni Rojatti vanta collaborazioni con artisti del calibro di Paul Gilbert e Pat Torpey dei Mr Big. Una base che rende piuttosto interessante questo ep omonimo. Il lavoro è interamente strumentale, avvalendosi della sezione ritmica composta da: Erik Tulissio alla batteria, e Dado Neri al basso. Le quattro tracce proposte si snodano attraverso una base puramente metal, ricche di sfumature che non esitano ad avventurarsi in territori pog, post grunge, e nu metal. L'opener "Cafè Indiano" si presenta con tutta la pesantezza del metal attuale; il pezzo è costituito da riff incisivi ed assoli vagamente melodici, mantenendo dall'inizio alla fine una carica davvero distruttiva. La successiva "Artifackt" non perde una briciola di potenza, ma riesce nell'intento di far confluire elementi progressive; il solismo melodico riesce a catturare l'attenzione rendendo il tutto più appena più fruibile. "Sagatava" è una traccia piuttosto bizzarra, anche grazie all'utilizzo di suoni elettronici, snodandosi attraverso partiture "nervose" e serrate, con la sezione ritmica impegnata in numerosi cambi di tempo. Si chiude con "The Core", pezzo letteralmente governato dal bassista Dado Neri, sulle cui peripezie si staglia il solismo dei due principali protagonisti, questa volta con un lavoro complessivamente di più facile presa. Virtuosismi, shred, riff d'impatto, soprattutto tante idee; un ascolto piacevole, ricco di prospettive, capace di evadere dall'egocentrismo tipico del genere, spostando il tiro verso composizioni ricche di vitalità e ricerca. Racer Cafè risulta essere un lavoro complesso ed articolato, uno di quei lavori di ardua fruibilità, ma assolutamente convincente e meritevole di essere scoperto.
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I Desolation Angels appartengono alla nutrita schiera di eroi di culto della NWOBHM, con tanta gavetta sulle spalle accompagnata da altrettanta sfortuna. La band londinese registrò il primo demo nel 1981, pubblicando solo nel 1983 il primo singolo autoprodotto: "Valhalla/Boadicea". Purtroppo, il fallimento della Bullet, etichetta che avrebbe dovuto licenziare il primo LP, finì per danneggiare ulteriormente la band, il cui esordio omonimo vide la luce solo nel 1986 quando ormai la stessa NWOBHM aveva esaurito la propria spinta. Il loro stile fondeva mirabilmente i Black Sabbath più oscuri con la lezione dei Judas Priest di "Sad Wings Of Destiny", attraverso composizioni cupe e minacciose capaci di arrivare ai confini con il doom. Ogni traccia dell'album è caratterizzata da un riffing piuttosto pesante, accompagnato da liriche che pescano a piene mani dall'occulto e l'horror; le vocals sgraziate di Dave Wall, e la produzione non all'altezza, si rivelano essere gli unici punti deboli di un lavoro altrimenti ricco di idee e personalità. L'indifferenza che accompagnò l'album, spinse ad una decisione parecchio azzardata, quella di trasferirsi a Los Angeles! La band decise di ammorbidire il proprio sound, realizzando il secondo album solo nel 1991 con l'appropriato titolo di: "When The Flame Still Burns". L'Ep "English Bastards" fu l'ultima testimonianza della band prima di calare il sipario nel 1994. Del 2008 è la pubblicazione dell'esaustivo box antologico "Feels Like Thunder" (Miskatonic Foundation), comprendente tutta la loro produzione, ad eccezione del primo album, i cui pezzi sono presenti solo nella versione demo. Dopo anni di silenzio i Desolation Angels sono tornati registrando con una formazione rinnovata l'Ep "Sweeter The Meat". A mantenere ben saldo il legame con il passato troviamo le due asce originali: Robin Brancher e Keith Sharp, accompagnati dalla voce di Ian Curly Davies, e dalla sezione ritmica composta da: Clive Pearson (basso), e Chris Takka (batteria). La curiosità era davvero molta, soprattutto ben ripagata: le cinque tracce dell'Ep esprimono sensazioni molto positive, garantendo quel genuino legame con la NWOBHM, che, solo chi è stato musicista in quegli anni riesce a rendere credibile. La registrazione in presa diretta si rivela una mossa vincente rendendo trascinante l'ascolto, come dimostrato ampiamente dalla title-track; il pezzo si snoda dinamico mettendo in evidenza un efficace lavoro chitarristico di purissima estrazione british, sempre ben supportato da un lavoro ritmico solido e potente. "Sweeter The Meat" si rivela un anthem trascinante, nella quale si mette subito in risalto una convincente performance da parte del bravo cantante Ian. La successiva "Metal Man" profuma di Iron Maiden e Saxon, mantenendo i lineamenti di un anthem grazie a delle ottime linee melodiche, impreziosite da una pregevole sequenza di assoli. "Medusa" è una bella traccia di hard rock granitico, reso convincente da un crescendo maestoso memore dei grandi maestri britannici. "Archangel" è senza dubbio la mia traccia preferita, mettendo in bella mostra un refrain epico, ideale per essere cantato in sede live. Le ritmiche serrate fanno da devastante tappeto per l'eccellente lavoro chitarristico, ben capace di risvegliare antiche sensazioni. Il lavoro si chiude con "Set Your Spirit Free", brano trascinante in grado di riportarci indietro nel tempo, reso vincente da un ritornello "in your face" al quale è difficile resistere. Con questo Ep i Desolation Angels dimostrano di avere ancora molto da dire. Il bagaglio di eperienza del duo Brancher/Sharp è ben supportato dai nuovi arrivati, così non ci resta che goderci queste cinque affascinanti tracce in attesa di un nuovo album. Bentornati!
Ultimo aggiornamento: 12 Luglio, 2014
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In attesa di un nuovo album, dopo il deludente "The Black Light Bacchanalia", i Virgin Steele tornano prepotentemente sotto i riflettori, grazie ad una lussuosa opera di ristampa che prende in esame una fase molto significativa nella carriera della band. Infatti, dopo la pubblicazione di dischi fondamentali come: "Guardians Of The Flame", "Noble Savage", ed "Age Of Consent", capaci di delineare l'epic metal degli anni '80, arrivò un periodo di sbandamento, seguito dalla pubblicazione di "Life Among The Ruins", album rilasciato nel 1993, ma sorprendentemente più vicino alla proposta dei Withesnake che a quanto prodotto in precedenza. Il passaggio successivo è rappresentato da un ritorno prepotente verso sonorità epiche e maestose, grazie alla pubblicazione di "The Marriage Of Heaven And Hell", imponente lavoro diviso in due parti, rilasciato nel biennio '94/95, seguito da "Invictus" del 1998; entrambi i capitoli sono i protagonisti dell'opera di ristampa messa in atto dalla SPV. "The Marriage Of Heaven And Hell" rappresenta uno dei vertici artistici della band, proponendo una sequenza di tracce da antologia, dove DeFeis può sfoggiare tutto il suo amore per la cultura classica, riuscendo a bilanciare alla perfezione tutte le variegate espressioni musicali proposte in passato. Il primo CD, contenente la prima parte del concept, si apre con la leggendaria "I Will Come For You", manifesto stesso della musica dei Virgin Steele; pezzo capace di regalare brividi con il suo incedere solenne e fiero, spezzato da una sezione centrale melodica, fortemente impregnata di romanticismo. L'incalzante "Weeping Of The Spirits" viene seguita dalla magistrale "Blood And Gasoline", contenente un eccellente lavoro di chitarra solista. La potenza epica di "Self Crucifixion" lascia spazio all'incedere lento e solenne di "Last Supper", pezzo attraversato da un sentore sinistro, con il piano a regalare atmosfere drammatiche; il pezzo contiene una citazione del musical "Jesus Christ Superstar". Atmosfere ovattate e drammatiche sono alla base di passaggi come lo strumentale "Warrior's Lament", e le sottili e malinconiche "Forever Will I Roam" e "House of Dust", in mezzo alle quali spicca l'acciaio nobile e fiero di "I Wake Up Screaming", contenente un altro assolo di grande impatto. Le splendide parti vocali di "Life Among The Ruins" precedono la title-track, che riprende il motivo della parte centrale di "I Will Come For You". A chiudere il primo CD ci pensano le tracce bonus: "Angela’s Castle" e "The Sword Of Damocles", con la prima, strumentale, a fare da apripista per la seconda, in grado di suscitare solo in parte l'impatto epico del titolo. Il secondo CD contiene la seconda parte del concept, addirittura leggermente superiore alla prima, anche grazie ad una prestazione vocale di alta caratura, sostenuta da una travolgente "grandeur sinfonica". In apertura troviamo la leggendaria "A Symphony of Steele", imperiosa traccia arricchita da splendide aperture tastieristiche, sulle quali si stagliano fiere le vocals di un DeFeis nelle vesti di un leone indomabile. Il copione non cambia nella successiva "Crown Of Glory (Unscarred)", pezzo battagliero aperto da atmosfere sognanti. Allo strumentale "From Chaos to Creation" segue "Twilight Of The Gods", pezzo che sembra un tributo ai Judas Priest. L'imperdibile riff di Pursino nella granitica "Rising Unchained" tiene alta la guardia, con la pseudo-ballad "Transfiguration" ad evidenziare lo stato di grazia del singer. La successiva "Prometheus The Fallen One" è un piccolo capolavoro, con le sue incredibili parti vocali a impreziosire un pezzo evocativo ricco di atmosfere sognanti. "Emalaith" rappresenta la parte più sofferta e sinfonica dei Virgin Steele, con il leader DeFeis a penetrare ancora una volta il cuore dell'ascoltatore. "Strawgirl" completa un trio leggendario, consegnandoci una ballad di classe semplicemente imperdibile. La furiosa "Devil/Angel", con una sezione ritmica devastante, prepara il terreno all'intensa "Unholy Water", pezzo sostenuto da un grande lavoro chitarristico da parte di Edward Pursino. La trionfale "Victory Is Mine" anticipa la conclusiva "The Marriage Of heaven And Hell (revisited)", pezzo acustico che lega efficacemente i due capitoli di una saga leggendaria. Le tracce bonus del secondo CD propongono: la trascurabile "A Greater Burning Of Innocence", e le versioni live di "Life Among The Ruins" e "I Wake Up Screaming", la cui buona resa sonora non potrà non soddisfare. In attesa di un nuovo album, la ristampa di "The Marriage Of Heaven And Hell", appare un operazione graditissima, anche alla luce dei problemi di distribuzione che, in passato avevano messo a dura prova la reperibilità degli album dei Virgin Steele. Le tracce bonus non rappresentano nulla di prezioso per chi già possiede entrambi gli album, ma in fondo cos'altro potrebbe arricchire un capolavoro?
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Richiamare l'attenzione suonando Heavy Metal nei primi anni '90 era affare assai complicato nei paesi anglosassoni, figuriamoci per una band italiana! I Crazy Rain provengono proprio da quegli anni, periodo in cui imperversava un po' ovunque il fenomeno grunge; la band riuscì comunque a pubblicare due lavori, gettando poi la spugna a tempo indeterminato. Nati nel 1988, i Crazy Rain pubblicarono il loro esordio nel 1990: "Breeze Of The Wind", seguito nel 1994 dall'Lp "Scream And Shout", tornando di recente con una line-up rinnovata e la pubblicazione di questo "Life Illusion". Il background dei nostri è certamente un aspetto non secondario, emergendo in modo assolutamente convincente grazie a composizioni mature, arricchite da una preparazione tecnica di pregevole fattura. Risalta l'ottima interazione tra le due chitarre, capaci di offrire sempre delle tessiture coinvolgenti, sulle quali si esalta la bella voce, potente e melodica, di Giacomo Gianfranchi, spesso coadiuvato nei cori da voci femminili. L'opener "Fallen Rain" è già un ottimo biglietto da visita, proponendo atmosfere orientaleggianti cariche di potenza, dalle quali emerge prepotente l'influenza dei Queensrÿche; intensa la prova del singer, eccellente l'assolo di chitarra. Le ritmiche robuste e l'incedere altero spadroneggiano nelle successive: "2067 (Height The Light)" e "Rise Again", pezzi dotati di chorus di buon impatto e riff granitici. In "The Twilight" i Crazy Rain propongono una traccia dai tratti decisamente epici, impreziosita da una bella parte centrale strumentale con l'immancabile assolo. "Escape From Death" è un pezzo granitico, costruito su un riffone debitore dei Judas Priest; la successiva title-track alterna efficacemente intensi passaggi acustici a cavalcate scolpite nell'acciaio. "Nobody Lies" è un pezzo coinvolgente, grazie anche ad un chorus solenne e di buona presa. "Front The Door" mette in mostra il lato passionale della band, con una prestazione vocale superba da parte del bravissimo Gianfranchi; l'assolo di chitarra finale è semplicemente da brividi. "Wait For Change" è diretta ed incisiva, seguita dai lineamenti progressive della breve "After The Rain". L'ascolto si conclude con "Time Of The Faith", bonus track decisamente di alto livello, finale epico di un lavoro decisamente riuscito. Diciamolo subito: i Crazy Rain non inventano nulla, ma, "Life Illusion" è un album di Heavy Metal suonato con passione sincera e genuina. Voce e chitarre sono di alto livello, con una particolare menzione per il solismo adrenalinico e mai banale di Emiliano Galli; la rinnovata sezione ritmica si rivela decisamente all'altezza, con poche concessioni al virtuosismo, ma preferendo costruire un muro sonoro senza cedimenti. Un ritorno convinto che profuma di rivincita.
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In Svezia, come del resto in tutti i paesi scandinavi, generi come lo street metal ed il glam, hanno saputo resistere nel tempo continuando a sfornare spesso delle ottime formazioni. I Blister Brigade, giunti al loro esordio, vanno ad incanalarsi proprio in questo filone, dimostrandosi piuttosto abili nel mescolare tutta l'influenza dei Guns N' Roses e dei Mötley Crüe con le caratteristiche tipiche dei Motörhead. Una produzione capace di bilanciare efficacemente suoni moderni a sfumature vintage completa ottimamente il mosaico, regalandoci un album derivativo fino in fondo, ma, accompagnato da una buona capacità compositiva, elemento questo, non certo trascurabile di questi tempi. "To Serve and Punish" è un album che offre molte buone ragioni per essere soddisfacente; basterebbe ascoltare l'opener "Riotchild", ben capace di riportare alla memoria i Mötley Crüe di "Dr. Feelgood" in un riuscito contrasto con le espressioni più attuali; il pezzo si snoda con perizia attraverso un lavoro chitarristico martellante ed un chorus molto catchy, con il buon Gustav Lund a dimostrarsi un abile cantante ed un buon chitarrista solista. "The Punishment" e l'esaltante "Left Hand Pain", possiedono il tipico groove dei Motörhead nelle ritmiche, con evidenti rimandi ai Guns N' Roses nelle partiture di chitarra; tra le due spicca la riuscitissima pseudo-ballad "Rock'N'Roll Grave", pezzo coinvolgente ed al tempo stesso acido e penetrante. Le successive "Down In Pieces" e "Like A Drug" sono molto dirette ed aggressive, mostrando l'animo più tipicamente metal dei Blister Brigade. I nostri sono perfino ingannevoli nell'apertura blueseggiante di "Dead Street March", pezzo che confluisce in un altra mazzata senza pietà. La veloce "Devastating Smile" evidenzia un attitudine punk, seguita dallo speed senza tregua di "Along Came The Haters". "Sad To The Bone" è una ballad semi-acustica molto pregevole, calda e profonda, dotata di un crescendo dall'impatto emozionale. Si chiude con l'ottima "Goodbye Ragdoll", brano dotato di un buon groove ed un chorus coinvolgente, contenente peraltro un ottimo assolo di chitarra. In conclusione, "To Serve and Punish" risulta davvero un ottimo album, molto dinamico e ricco di idee, giocato sul buon impatto melodico ed un espressione potente ed attuale. Questi ragazzi hanno messo in evidenza delle basi davvero convincenti, creando un lavoro compatto e privo di cedimenti, pescando a piene mani dal passato, ma ricordandosi di vivere nel presente.
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ArrJam - "Session One": con un nome ed un titolo così programmatici non ci si poteva certo aspettare un album "ordinario", infatti non lo è affatto! La band, progetto del bassista Daz, si propone con l'intento di non incanalarsi in una proposta ben precisa, cercando nella contaminazione l'essenza stessa della propria musica, in un progetto "aperto" a qualsiasi musicista esterno pronto ad offrire la propria collaborazione in una vera e propria jam session. Un idea bizzarra, al tempo stesso originale che, nel caso di questo primo lavoro (autoprodotto) funziona piuttosto bene. "Session One" esprime un caleidoscopio di influenze che svariano dall'hard rock al funk, passando per sfumature jazz, fusion e psichedelia; certamente l'album necessita più ascolti e di un approccio "open minded", aspetto da non trascurare, pur non tralasciando la presenza di pezzi di maggiore fruibilità. La band riesce comunque a trasmettere la sensazione di saper combinare efficacemente così tante varianti stilistiche, aspetto che, viste le premesse, potrebbe essere considerato in partenza un punto debole. L'opener strumentale "Ali" risalta immediatamente nel suo sviluppo multiforme, passando dall'hard rock più puro, al funk, senza mai perdere in efficacia; emergono prepotenti le ottime linee di basso ed un lavoro di batteria molto fantasioso, con la chitarra a disegnare linee soliste molto godibili. "Highway 49" è davvero un bel pezzo, carico di melodia, groove, e imprevedibilità. A seguire, la lunga "Out Of Control", composizione che alterna l'aggressività della prima parte, ad un percorso acustico nella seconda. Lo strumentale "Dark Fusion" è un viaggio carico di espressività tanto coinvolgente che, personalmente, colloco tra i momenti migliori in assoluto. L'isrionica "Very Nice" denota qualche difetto nella pronuncia del cantato del pur bravo Got, ma nel complesso riesce a coinvolgere a dovere. La poesia recitata di "Vorrei" anticipa un nuovo appagante percorso strumentale: "Welcome To The Cocaine", mentre, la successiva "Smashing On The Wall" si riproduce in un suggestivo hard rock dal tocco elegante, ben rifinito da un gustoso lavoro chitarristico. "Incomplete" è un altro pezzo strumentale, eclettico e dai connotati stravaganti; il pezzo, guidato dall'incedere vertiginoso del basso, regala interessanti spunti compositivi, passando da linee melodiche travolgenti e dinamiche a momenti atmosferici ed introspettivi, con le svariate soluzioni ritmiche a donare un ulteriore tocco di imprevedibilità. A chiudere l'album la divertente, quanto demenziale, "Screaming For". "Session One" è uno dei lavori più imprevedibili, coinvolgenti ed originali ascoltati dal sottoscritto negli ultimi anni. Non fosse per la pronuncia dell'inglese, davvero molto deficitaria, sarebbe un album di cui potersi vantare all'estero! Ad ogni modo, questo è un progetto da scoprire senza esitazione: qui c'è di tutto, tranne la noia!
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