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Opinione scritta da Federock

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Opinione inserita da Federock    10 Luglio, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

La prima cosa che mi ha colpito di questi 5 ragazzi sloveni Ransom Call è il loro packaging musicale: sleaze metal contaminato da horror punk, con liriche "orrorifiche". Già solo questo incuriosirebbe, ma non capita davvero tutti i giorni di ascoltare qualcosa di così interessante anche musicalmente;
sì, perchè vi devo dire che questo semplice demotape è ben fatto, minimale ma più interessante di molti dischi "patinati" con un' etichetta dietro che si sfinisce a spingere.
Qui sostanzialmente si sentono i primi Iron Maiden (senza assoli particolarmente tecnici), mischiati con del buon punk anni '70. La cosa in sé potrebbe far storcere subito il naso ad alcuni ma... ascoltare il risultato per credere!
La prima traccia "Freakshow" si presenta con un breve intro in buona atmosfera Halloween, condito da organo e urla horror; a questo punto i nostri 5 esplodono spediti come non avessero tempo da perdere, assestando un ritornello così orecchiabile e potente che ti potrebbe martellare il cervello per giorni; la voce del cantante si distingue subito perché è molto personale, anche se ricorda vagamente Alice Cooper. Bella anche la seconda traccia "Vicious Mind", canzone da pogo per eccellenza di questa demo. I 5 escono poi a cacciare zombies a coltellate in "Exorcist", e la loro proposta si chiude degnamente con "Cemetery Queen".
Questa demo è orecchiabile e potente, non stufa e non ha niente da invidiare a produzioni più grosse. E non c'è bisogno di aspettare con ansia che questi ragazzi maturino musicalmente, perché va già bene così. Ottimo!

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Opinione inserita da Federock    08 Luglio, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Carino questo disco degli Hangarvain! Fa l'amore con l'autoradio non appena lo si inserisce.
Magari non sempre si tratta di sesso entusiasmante, però piacevole sì. La produzione è di ottima fattura e la voce del cantante è particolare: 50% Scott Stapp dei Creed, 30% Lenny Kravitz e 20% Chris Cornell. Musicalmente, questa band è una gradevole miscela di Velvet Revolver e Audioslave, con un pizzico di Poison.
L'album parte forte e chiaro con "Through the space and time" coi suoi riff rocciosi e stradaioli molto Guns-N'-Roses vecchio stile; prosegue con la bella "Get On" e la dolce "Turning Back On My Way"; la quarta traccia "Free Bird" è una buona hit e uno se la immaginerebbe già come jingle pubblicitario; comunque, la canzone dell'album che spicca maggiormente è "Hesitation", con il suo duetto potente e orecchiabile.
Che dire, questo è un bel disco per correre on the road!

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Opinione inserita da Federock    29 Mag, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Questo lavoro di Michael Schenker & Friends intitolato "Blood Of The Sun" rappresenta una selezione di alcuni grandi pezzi rock del passato, riarrangiati e ricantati da alcuni special guests.
L'album si apre ruspante con la cover di "Out In The Fields" di Gary Moore & Phil Lynott, che vede come protagonista in questo caso mr. Gary Barden, membro ufficiale della band di Schenker: la song suona effettivamente molto simile all'originale, senza aggiungere granché, però è di una energia irresistibile; la stessa cosa accade con "Save Yourself", potentissima come nell'originale (targato MSG), e che vede alla voce Robin McAuley.
"Doctor Doctor" è ottima anche se suonata in tonalità più bassa rispetto a quella degli UFO: una scelta stilistica pensata sicuramente non per facilitare il talento messo in campo qui da Schenker: un certo Jeff Scott Soto.
"War Pigs" dei Black Sabbath è modernizzata qui da Tim Ripper Owens, che ogni tanto non resiste a cacciarci dentro qualche "falsettato" vocalizzo urlante metal. C'è un' altra cosa che comunque grida nel pezzo: la chitarra di Schenker, che sembra voler dire la sua per tutto il tempo.. e a tratti è quasi disturbante! tuttavia, aggiunge qualcosa di diverso dall'originale, così come anche certe soluzioni ai tamburi, che imbastiscono ulteriore ritmo al pezzo.
Uno dei pezzi più hard rock in assoluto dei Rush (molto-AC/DC) è "Finding My Way", che qui diviene pane per i canini affilati di Sebastian Bach; curiosamente, in quest'ultimo caso, si è preferito adeguare la produzione con la veste originale dell'epoca ( anni '70), confezionando il tutto con buona salsa retrò.
In "All Shook Up" Elvis Presley viene temporaneamente sostituito da un dio dell'Olimpo Metal, un certo Joe Lynn Turner. Con rispetto parlando, non serve dire che la versione qui proposta è così potente ed efficace che potrebbe spingere Elvis nella tomba a quei tipici movimenti muscolari che si fanno quando si dorme, come scosse elettriche; non è nemmeno necessario aggiungere che tutta la "dolcezza" della versione originale è stata stravolta a colpi di ascia elettrica da Schenker!
Poi arriviamo in picchiata a "Blood Of The Sun", cover di un vecchio pezzo dei Mountain, con un Leslie West rispolverato e pronto a colpire dalle vette più alte.
"Money" è proprio quella dei Pink Floyd, con un Tommy Shaw (ex Styx) e la solita chitarra di Schenker, che non si diverte se non vivacizza un po' il tutto.
"I'm Not Talking" è un rock & roll che proviene dai The Yardbirds e vede qui un duo Schenker & Mark Slaughter divertirsi più che mai!
In "Hair Of The Dog" ascoltiamo un Paul Di' Anno appena uscito da un pub cantarci a toni alti ciò che era stato già "coverizzato" nel 1993 dalle Pistole-E-Rose: l'arrangiamento di questa song è bellissimo, stracolmo di energia, peccato solo che la resa vocale tradisca chiaramente il motivo per cui il cantante a suo tempo sia stato allontanato dai Maiden.
Con "I Don't Live Today" si ripropone il classico di Jimi Hendrix con il solito stile Schenker, e non è esente da questo modus operandi neanche il conclusivo blues-ettone "Politician" dei Cream.
Semmai ce ne fosse stato bisogno, l'album si chiude definitivamente con due versioni strumentali di "Doctor Doctor" e "War Pigs".
Riassumendo, quest'ultimo lavoro di Michael Schenker (& Friends) ci ripropone in chiave maestosa ed impetuosa una scelta di grandi classici rock degli ultimi 40 anni. Se siete grossi fans del plettro tedesco di Schenker e alla ricerca di nuove versioni di vecchie perle, possibilmente condite con pepe ed in grande stile, con questo disco siete nel posto giusto! Divertitevi!

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Opinione inserita da Federock    18 Mag, 2014
Ultimo aggiornamento: 18 Mag, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Uno sbadiglio. Questa è la reazione istintiva ai 34 minuti di disco proposto dagli italiani The Sunburst, che può riassumersi in... tanta noia!
Infatti, questo loro primo full-lenght - "Tear Off The Darkness" - non propone nulla che non si sia già sentito altrove e, cosa più importante, non sa coinvolgere: si tratta nello specifico di un mix di canzoni senza capo né coda, che ricorda vagamente i progetti solisti di James LaBrie (ma magari ci fosse una sola canzone all'altezza del paragone!) e qualche eco Skid-Row.
Questo disco è deludente, perché manca un' idea anche solo vagamente originale; tuttavia, si salva in parte grazie alla produzione (ottima), al fatto che questi quattro ragazzi se la cavano sicuramente bene con i loro strumenti ed anche per la bella voce del cantante. Purtroppo questi lati positivi non sono sufficienti a salvare il disco. Speriamo che, in un prossimo lavoro, queste qualità possano essere sfruttate meglio con una proposta più personale e coinvolgente.

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Opinione inserita da Federock    07 Mag, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Questo primo LP dei Valley Of The Sun rimbomba nella mia stanza con la sicurezza e maturità di chi ha le idee chiare su ciò che vuole proporre, e devo ammettere di essermi lasciato prendere a schiaffi volentieri dalla loro vena alternative così convincente!
"Electric Talons Of The Thunderhawk" si apre battendo le mani attorno al fuoco con il blues di "Worn Teeth". Si riparte all'attacco con "As Earth And Moon", sei minuti molto Queens-Of-The-Stone-Age. La terza traccia "Maya" è un bel pezzo, potente, probabilmente il migliore dell'album: è orecchiabile al punto giusto e potrebbe benissimo essere scambiato per uno dei migliori pezzi dei tedeschi Beatsteaks.
"Nomads" ha un bel ritmo e "Lazer Vision Intermission" sa di trip alla Stone-Temple-Pilots.
"The Message Is Get Down" è un altro buon pezzo che si lancia senza paura nell'hard rock più sfrenato.
La produzione dell'album è davvero buona; l'impressione è che la band abbia voglia di sperimentare, ricercando un proprio sound, senza accontentarsi facilmente.
Questo è un disco che "urla", consigliato a chi ama i Soundgarden alla follia, ma anche a chi è alla ricerca di qualcosa che vada oltre.

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Opinione inserita da Federock    30 Aprile, 2014
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Che cosa sarebbe successo se nei primi anni '80 gli Scorpions e gli Iron Maiden si fossero ritrovati a bere in un pub, e tra un bicchiere e l'altro avessero deciso di creare un progetto basato sulle loro b-sides?
Stilisticamente, questo terzo disco del compositore Chris Black avrebbe potuto esserne il risultato: "You Are Here" di High Spirits è, infatti, un disco leggero, composto da nove tracce veloci ed immediate, ovvero pochi accordi che trascinano idee semplici e spontanee.
La produzione è minimale, senza pretese: potrebbe tranquillamente essere scambiata per un demo dei primi Iron Maiden.
Non aiuta nemmeno l'immagine del progetto, a cui sembra non si sia prestata la dovuta attenzione.
Musicalmente il disco si apre con la bella "When The Lights Go Down", che promette fin da subito quale sarà il sound che sentiremo nel resto del disco; le altre tracce si susseguono una dopo l'altra, e risulterebbe difficile distinguerle tra loro, almeno finché non arriviamo a "The Last Night", con il suo bel ritornello orecchiabile che ti rimbalza in testa.
Il cantante ha una voce pulita che si sposa bene con la scelta degli arrangiamenti. L'ascolto globale risulta piacevole, anche se mancano le idee che possano rendere quest'album indimenticabile; un EP con una miglior cura dell'immagine sarebbe stata senz'altro la scelta più azzeccata.

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Opinione inserita da Federock    17 Aprile, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Vento del nord. Attraverso la nebbia avanzano cinque cavalieri armati di lancia, scudi e spada: si tratta dei francesi My Doppelgänger.
Ma questo non è il solito disco power metal.
Infatti, l'idea di questo progetto nasce da Alex, chitarrista dei più noti Lonewolf, che ha deciso di costituire una band che possa esplorare il metal anni '80-'90 in lungo e in largo, senza pregiudizi, per dare luogo ad un sound molto personale.
E direi che con questo disco "God is a lie" l'impresa gli è davvero riuscita!
Armati di un'ottima produzione e sulla cornice dell' eterna lotta tra il bene e il male, questi cinque ragazzi convincono, soprattutto grazie alla forza delle loro idee, il gran divertimento a suonare e il loro impavido sperimentare: gli arrangiamenti disegnano maestose cavalcate epiche, mentre le melodie sono potenti e orecchiabili al punto giusto.
Il disco si apre con lo screaming affilato di "Somewhere in my head", con la sua melodia di respiro Blind Guardian, salvo poi irrompere improvvisamente sulla scena un Hetfield incazzato che prende a pugni gli Uriah Heep. Vocalmente, i My Doppelgänger dimostrano di tenere ad utilizzare tutte le risorse a loro disposizione: "98%" ruggisce, fluendo in un crescendo alternative metal indimenticabile nel ritornello, con un' alternata seconda voce in screaming che non ha paura di farsi ascoltare.
La "Balada triste" del disco ha uno stile unico, che si colloca tra le splendide ballad a cui ci hanno abituato gli Stratovarius e una "Wasting love" dei Maiden, senza smettere di ricercare un sound proprio; in ogni caso, il doppio pedale di Tonio dimostra di essere una mitragliatrice che non si esime dal colpire neanche sulle tracce più lente.
"The Cossacks" è un capolavoro: un brano potentissimo, che si fa strada tra la nebbia della vallata, cavalcando un ritornello di stampo medievale.
Il disco prosegue a mani nude assetato di sangue con "The Hunter", e la title-track "God is a lie" ha tutte le carte in regola per divenire il loro cavallo di battaglia, assieme alla traccia conclusiva "Fallen Angel".
Complimenti.

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Opinione inserita da Federock    15 Aprile, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Per tutti quelli che credevano che l'ambiente alternative metal fosse ormai saturo di bands come Drowning Pool o Godsmack, una piacevole sorpresa li attende: i Red Tide Rising.
Originari di Denver, infatti, questa band combina l'aggressività dei gruppi sopraccitati con la spinta melodica degli Evanescence.
L'ultimo album in studio - "The rising" - ci accoglie con una bella intro strumentale, che fluisce nella potente melodia di "2:13". Nonostante il suo look un po' da punkster, sin da subito colpisce la voce della band - Matthew Whiteman - con il suo cantato basso e malinconico, che dona un tocco di freschezza al sound complessivo, avvicinandosi molto a quello dei nostrani Lacuna Coil.
Si prosegue a discreta velocità, arrivando al brano da headbanging per eccellenza: "Break Away". Tra la buona selezione di riff oscuri trovano posto anche le atmosfere un po' acide di "Misery". In "Vicious Circle" Whiteman fa sentire a tutti i puristi del genere che non è solo in grado di cantare alla Dave Gahan, ma anche di eseguire all'occorrenza il growl.
Infine, l'album si chiude tra gli inserimenti elettronici della title-track "The Rising".
Dopo un primo ascolto, appare chiaro che l'unico difetto di questo lavoro in studio è rappresentato dalla sua eccessiva lunghezza rispetto alla proposta effettiva. Tuttavia, la produzione risulta di buona fattura, le personalità dei componenti spiccano vivaci e, anche se non ci sono vere perle rare che emergono, i brani sanno farsi ascoltare.

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Opinione inserita da Federock    10 Aprile, 2014
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Prendete la cantante degli Hammerbox. Prendete l'energia e le risatine beffarde dei Poison. Prendete la voglia di creare ritornelli da stadio. Ora fondete tutto insieme in un caldo abbraccio sleaze glam. Ed ecco a voi servito il disco "Wicked Temptation" dei Vanity BLVD, quartetto svedese capeggiato dalla cantante carismatica Anna Savage.
L'opener "Dirty Rat" è una kick-ass song ed è forse il miglior brano dell'intero album: un incontro sul ring tra i Motley Crue e gli Skid Row, con un'ispirazione da "Youth Gone Wild" per veri intenditori. Si prosegue con la seconda traccia "Miss Dangerous" che, con le sue atmosfere un po' night club, si impasta di blues nel ritornello ricordandoci vagamente "All in the name of rock & roll" dei Motley Crue, riesumata per il nostro piacere.
L'impressione che ricaviamo, subito dopo aver ascoltato queste prime due tracce, è che questi Vanity BLVD siano una band che sa il fatto suo: una voce potente e melodica che dirige un gruppo dal bel sound compatto, a cui si aggiungono ottimi assoli di chitarra da headbanging, tipici del genere. Tutto ciò non deluderà certamente le aspettative dei patiti dello sleaze glam; anzi, qui siamo di fronte ad una band che dal vivo promette faville pirotecniche ed un fan sfegatato dei Motley Crue, che voglia ascoltare l'ennesima band emula del genere, troverà sicuramente in questo disco una bella cintura borchiata per i suoi denti.
Con "Do Or Die" le atmosfere si fanno molto più rocciose e questa è un'altra piccola gemma dell'album; purtroppo, da questo momento in poi, inizia ad insinuarsi il sospetto che il disco voglia procedere riproponendo ossessivamente le idee delle prime tracce ed effettivamente questo è proprio ciò che accade. Fortunatamente, l'unico tentativo degno di nota in cui la band riesce a divincolarsi da questo circolo vizioso, si trova tra i brani finali, nella buona ballad "Falling Down".
L'album è ben suonato, orecchiabile, potente e possiede alle spalle un'ottima produzione, che si staglia a metà strada tra la ricreazione dell'ambient sleaze glam anni '80 e un sound più massiccio vicino ai giorni nostri; tuttavia, dal punto di vista compositivo, sembra in generale mancare quel tocco di originalità necessaria che possa aggiungere qualcosa alla già corposa lista di hits hard-rock degli anni '80.

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