Opinione scritta da Monica Meistro
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Top 50 Opinionisti -
Quando Vinnie Paul diede la notizia che i Damage Plan cessarono di esistere, a causa della morte del mai troppo compianto Dimebag Darrel, e che avesse messo in piedi una nuova band, gli Hellyeah appunto, insieme a Chad Gray dei Mudvayne e Tom Maxwell dei Nothingface, molti fan dei Pantera storcettero il naso; indubbiamente un grande nome del thrash metal unito a nomi della scena nu metal e crossover, per quanto dotatissimi, non sembrava certo essere un bel connubio, ma a partire dall'omonimo debut album, il buon drummer texano ha saputo creare per questo nuovo gruppo tutta la notorietà che merita.
Dopo "Hellyeah" infatti, i successivi "Stampede" e "Band of Brothers" hanno iniziato una parabola ascendente che ha fatto sparire ogni dubbio sulla loro credibilità, di cui "Blood for Blood" rappresenta un nuovo passo avanti. Il sound è massiccio e granitico come sempre, l'ingrediente principale resta quel groove fatto da mid tempo, stop and go e pennate in palm muting che rendono le canzoni degli Hellyeah orecchiabili ed adatte alle situazioni più festaiole che possiate immaginare. Già con la titletrack, messa nell'album come opener, il gruppo americano mette in chiaro le cose: non temono nulla e non guardano in faccia nessun ed il loro sangue per sangue altri non è che una maniera più decisa di applicare il concetto di "occhio per occhio". Il disco trascina canzone dopo canzone, spinto ovviamente dalle pelli di Vinnie Paul che non hanno sicuramente perso con gli anni il tiro che avevano all'epoca di "Cowboys From Hell" o "Far Beyond Driven", le accordature ribassate rendono ogni nota un vero e proprio macigno scagliato ad alta velocità giuù da un dirupo, destinato a schiacciare qualunque cosa trovi sul suo cammino. Per i Pantera non sembra esserci possibilità di ritorno (come dichiarato più volte dal loro ex drummer) ma certamente gli Hellyeah meritano di essere seguiti.
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Nati originariamente come one man band di Markov Soroka, dopo il successo del demo di debutto "Aura Titan", gli americani Eternium diventano una band a tutti gli effetti. Il loro è un black metal sinfonico ricco di atmosfera, creata dal lavoro a dir poco encomiabile delle tastiere di Chad Griffin, alle quali non mancano la potenza di una batteria precisa mitragliante, un basso imponente e delle chitarre taglienti a fare da contorno. Se volete avere un'idea di quello che ci propongono gli Eternium pensate ai Dimmu Borgir di "For All Tid", ai Mysticum ed ai norvegesi Odium, senza escludere ovviamente i grandi maestri del symphonic black come Emperor e Limbonic Art,
"Repelling A Solar Giant" è un disco che lascia parlare la propria musica, accompagnandoci in un'epica e travolgente "opera teatrale" black metal, dove la musica fa da perfetto palco scenico per delle liriche romantiche al limite dell'ossianesimo. Il maggior talento di questa band è nel saper mescolare alchemicamente parti di black metal gelido e tagliente in pieno stile norvegese a parti acustiche ed orchestrali ariose ed epiche,lasciando sempre il giusto spazio alle une o alle altre in base all'esigenza e creando delle soluzioni fresche ed originali. Rispetto alla prima demo gli Eternium hanno compiuto anche un enorme passo avanti a livello di produzione: l'album gode infatti di suoni decisamente meglio calibrati e bilanciati, tali da lasciare ad ogni strumento il giusto spazio senza che nessuno prevalga in maniera troppo eccessiva sugli altri.
Se siete amanti delle sonorità più sinfoniche della nera fiamma gli Eternium non possono assolutamente mancare nella vostra collezione.
Ultimo aggiornamento: 25 Marzo, 2014
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I Death Mechanism sono una delle band più interessanti del panorama thrash metal odierno, i più conosceranno Pozza e Manu per la loro militanza anche nei leggendari Bulldozer, ma anche la loro band madre è in grado di offrire un sound travolgente che non fa prigionieri. Anche se questi ragazzi sono giovanissimi, la loro musica ci arriva diretta dalla tradizione della vecchia scuola degli anni ottanta, pensate ai Kreator, ai Sodom, ai Desruction, ma anche agli Slayer (in particolare dell'era di "Show No Mercy"), agli Overkill ed agli Exodus; tradizione tedesca ed americana si fondono perfettamente in un miscuglio letale di velocità e potenza spaccaossa, ogni brano infatti è ideale per un pogo bello violento ed un circle pit che non lascia scampo. La batteria di Manu viaggia velocissima e precisissima e la chitarra di Pozza sfodera in ogni traccia riff taglientissimi sui quali si scaglia una voce al vetriolo molto simile a quella di Flegias dei Necrodeath. Potrà sembrare il solito album retrò per i nostalgici del thrash metal, ma ciò che rende "Twenty First Century" estremamente fresco è la produzione curata in ogni dettaglio, che fa suonare questo disco bello pieno di pacca, al pari delle ultime uscite dei Testament. I Death Mechanism sono quindi un altro dei tanti nomi del metal italiano da supportare e di cui andare fieri e che nulla hanno da invidiare alle bands estere!
Ultimo aggiornamento: 25 Marzo, 2014
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La furia che sprigiona questo album degli Hecate devasterà sicuramente tutti gli impianti stereo da cui verrà fatto uscire. Lo stile di questa band laziale richiama in maniera molto marcata la potenza death metal dei Cannibal Corpse, influenza molto presente per questi ragazzi: songwriting dinamico e coinvolgente, suoni granitici e tecnica all'apice sono le tre componenti essenziali di "Ultima Specie". La scelta dell'italiano non entusiasma per un genere estremo come il loro, ma la schiettezza ed il nichilismo dei testi rende ancora più sfrontata e diretta la mazzata che gli Hecate tirano con il loro sound. La produzione del disco è iper calibrata e moderna, la batteria è secca e fredda, con il rullante che trapana crani ad ogni colpo e la cassa è calda e piena, per creare il giusto ingranaggio ritmico; il basso è equalizzato in modo da uscire con un unico e poderoso monolite, per sostenere tutti i passaggi creati da Marco dietro le pelli. Per le chitarre forse sarebbe stato meglio aggiungere un tocco in più per la spinta finale, ma va comunque detto che le sei corde di questo disco sono graffianti quanto delle motoseghe ma, al tempo stesso, precise quanto un bisturi chirurgico; la voce ovviamente si lancia su un growl gutturale e chiuso, discepolo di maestri quali George Fisher e Glen Benton. Se siete amanti del death metal di matrice americana, gli Hecate fanno sicuramente al caso vostro.
Ultimo aggiornamento: 25 Marzo, 2014
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Sicuramente i Phobic Pleasure non hanno paura di attuare molteplici sperimentazioni in ambito musicale; sulla loro pagina facebook si definiscono infatti come "i Darkthrone intenti ad abusare dei King Crimson", come concetto ci siamo, ma il risultato finale purtroppo risulta un miscuglio di influenze ed idee che non sempre si articolano bene fra loro. Già dalla opener si sente che il livello tecnico del gruppo è notevolmente alto, ma nell'arco di un minuto su sette di canzone la batteria effettua diversi cambi e stop and go, il che rende abbastanza difficile seguirne lo svolgimento. L'impatto è decisamente d'effetto, la furia che scatenano i Phobic Pleasure ricorda i Napalm Death ed i Cripple Bastards, un grindcore tecnicissimo che sicuramente sbalordirà gli amanti del genere, ma che si pone come decisamente troppo complicato per le orecchie non avulse a tali sonorità. A rendere difficoltoso lo scorrimento di vari brani sono i numerosissimi inserti, che spaziano dagli effetti tecnologici semi industrial, a degli inserti di sassofono ed ai parlati; decisamente ben strutturati sono i riff di chitarra, che nell'insieme ricordano sonorità a metà fra il thrash metal ed il death metal tecnico, ma purtroppo ogni passaggio si esaurisce prima ancora di essere pienamente apprezzato. Di sicuro i Phobic Pleasure non hanno paura di essere irriverenti nelle liriche (il ritornello di "Big Bamboo", giusto per citarne uno, non ha bisogno di chiarimenti ulteriori) e, come accennato poc'anzi, sono musicisti di notevole livello, ma in "Castigat Ridendo Mores" hanno inserito decisamente troppa roba per un album solo. Auspichiamoci che nella prossima uscita mirino ad una maggiore linearità compositiva.
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I Ragestorm sono una band death metal proveniente da Aosta che dopo alcuni EP giunge alla pubblicazione del primo full lenght. Il loro è un metal estremo decisamente modern oriented, che guarda a gruppi come In Flames, Soilwork e Dark Tranquillity come fonti di ispirazione principali e fa del dinamismo l'elemento caratterizzante del proprio songwriting. Le canzoni possiedono un tiro decisamente travolgente ed un groove molto ben architettato ed articolato; elementi ritmici come stop and go, cambi di tempo e raddoppi di cassa fanno si che la struttura ritmica della batteria di Bunna, assieme al basso di Kolla, sia solida e ben salda in ogni passaggio. Le chitarre di Tele e Rufio godono di suoni taglientissimi, granitiche ed incalzanti nelle parti ritmiche e limpidissime negli assoli e nelle parti in pulito. La proposta dei valdostani quindi si presenta decisamente interessante per tutti gli amanti delle sonorità più nuove ed ispirate dalla corrente melodic death metal svedese, pur non tralasciando spunti più thrash e death metal vecchio stile ed idee più sperimentali; in questo senso troviamo “ Hari Seldon's Speech”, una traccia industrial ricca di campionamenti elettronici, forse un po' dissonante col resto dell'album, ma va riconosciuto ai Ragestorm il merito di non tralasciare anche questi frangenti per arricchire il loro sound. Altri brani come “Moloch”, “Acid Tears” e “ Soldiers Of A Lost War”, per citare alcuni esempi, sono vere e proprie sferzate di un death metal decisamente fresco ed originale, che consente a questa frangia del metal estremo di evolversi e rinnovarsi; non resta che aspettare il loro prossimo lavoro, vivamente consigliati.
Ultimo aggiornamento: 30 Luglio, 2013
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Ventuno anni sono passati da quel 5 ottobre del 1992, giorno in cui il giovane Peter Tägtgren, per mezzo di un'altrettanto giovane Nuclear Blast, dava alla luce un'album che sarà e rimane a tutt'oggi uno degli album che funziona da punto di partenza per la corrente dello Swedish death metal ovvero “Penetralia”. Accorpato al secondo album degli Hypocrisy “Osculum Obscenum”, questa re-release ha un che di nostalgico ed arriva in un momento storico-musicale, che nonostante oggi ci si trovi immersi costantemente in musica fatta per vendere dischi, ci riporta a quelle che sono le radici del vero metal, nello specifico death metal.
Arricchiti di tracce bonus live e rimasterizzati, entrambi gli album hanno decisamente guadagnato in qualità di suono e nitidezza ed ancora di più si può apprezzare la capacità di Tägtgren a livello sia strumentale che compositivo, inoltre si può notare come, con il susseguirsi degli anni e degli album, lui stesso sia cresciuto tecnicamente e musicalmente. Chi ama il genere non potrà fare a meno di soffermarsi su “Burn by the Cross”, “Impotent God” oppure “Necronomicon”, pezzi taglienti più di un rasoio e pensati apposta per far massacrare i metalheads nel mosh violento.
Concludendo, pur preferendo i lavori più recenti, bisognerebbe sicuramente possedere questi due capisaldi dell'extreme e l'uscita di questa raccolta mi sembra un buon motivo per chi non li avesse, di uscire a procurarseli, ascoltare questi due album e ritrovare il “true deathster” che è in lui (o lei).
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Colpo grosso per la Punishment 18 Records, che si è assicurata questo debut album che potrà sembrare un lavoro scontato ed ovvio, ma per me è un devastante concentrato di thrash metal in un perfetto stile a metà tra gli Slayer e gli Overkill. Sto parlando di “Mindless” dei nostrani Coma che dopo gli innumerevoli cambi di formazione hanno raggiunto la stabilità per sfornare questo album. Le strutture ritmiche sono devastanti, ben costruite ed eseguite in modo impeccabile da Michele Sanna che dimostra di essere una vera macchina da guerra dietro le pelli, mentre i riff di chitarra e basso sono originali e di sicuro impatto; per quanto riguarda la voce invece si innesta su un'impostazione graffiante che va a completare l'opera in maniera perfetta.
Quasi impossibile per me stilare una classifica dei brani migliori, quello che è certo è che uno dopo l'altro i pezzi che compongono questo album possono far andare in overdose da headbang tutti gli appassionati di thrash metal puro e schietto.
E' sicuramente un album che non deve mancare nella collezione dei thrashers vecchio stile o comunque coloro che come me sono affezionati alle atmosfere degli anni ottanta.
Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 2013
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Sono passati 32 anni da quando il signor Tom Angelripper ha fondato i suoi Sodom, eppure, a sentire questo loro nuovo lavoro, non ne sembra passato nemmeno uno. Non solo ascoltare “Epitome of Torture” è stato come fare un salto indietro nel tempo, ma è anche la prova tangibile che il thrash con la T maiuscola, quello che ti fa venire fame di mosh e sete di birra (tedesca ovviamente) non è morto.
La mia attesa quindi non è stata delusa; questo album è infatti un mix del vecchio “grezzume” anni '80 e di quel tocco di sperimentazione che avevamo già un po' sentito in “In War and Pieces”, completato perfettamente da una ottima produzione.
Come già anticipato, il riffing è quello tipico dei ruggenti anni del thrash, supportato da un Markus Freinwald di sorprendente energia. Su tutte spiccano senz'altro l'auto celebrativa S.O.D.O.M. che sarà sicuramente un pezzo vincente soprattutto in sede live e “Tracing the Victim” che secondo me, insieme alla title track, sono i pezzi migliori dell'album.
In conclusione non posso far altro che scalpitare fino a settembre quando potrò vedere con i miei occhi come questi rinnovati Sodom funzionano on stage.
Ultimo aggiornamento: 25 Marzo, 2013
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Notevole la prova dei teutonici Led Astray che con questo loro secondo album ci danno prova che esiste ancora qualcuno che ha voglia di sperimentare e mischiare i diversi stili di metal in circolazione. Partendo da un tappeto di blast beat e grindcore, Boxhammer e soci costruiscono un death metal “a modo loro”, sfruttando a pieno la divisione delle voci ed i riff delle chitarre.
Nonostante però tutto questo sia ammirevole, magistralmente pensato ed eseguito, ogni brano mi lascia una leggera sensazione di déjà-vu e sinceramente, in alcuni casi, si percepisce una sorta di conformismo al genere un po' troppo eccessivo.
Vale la pena di citare “Story of a Modern Gladiator”, “Black Blood” e “Demon” che, a parer mio, sono le tracce meglio riuscite e più rappresentative dell’album, segno che comunque questi ragazzi sono sulla buona strada.
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