Opinione scritta da Corrado Franceschini
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Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 2023
Top 10 opinionisti -
La band Star Rider nasce dall’incontro avvenuto in maniera fortuita fra Chainsaw Charly (chitarra) e Kim Saxx (voce). Dopo la stabilizzazione a quintetto, a novembre 2022 in concomitanza con il primo concerto tenuto a Lione, esce l’EP omonimo di quattro pezzi. Non vi è traccia di originalità in “Star Rider”, inoltre, in alcune fasi di questo debutto, ci si trova di fronte a una band piena di foga ma anche parzialmente inesperta. “Give Me Speed (Or Give Me Death)” è un Heavy veloce e potente che non convince a causa di un mixaggio deficitario. “Burning Star” sfrutta il riff nel coro di “Too Young To Fall In Love” dei Mötley Crüe, velocizzando il ritmo e presentando due chitarre che lavorano incessantemente. “Out Of The Cave” è puro Heavy Metal situato fra i classici Judas Priest e gli enfatici Running Wild: peccato che la prestazione del batterista Duncan Chamieh sia alquanto “disordinata”. “Too Fast To Die” è un pestone in piena velocità ed è molto simile a ciò che erano soliti proporre i nostri Fingernails oppure, per chi preferisce i paragoni con band estere, è un incrocio fra Exciter e Metallica del primo periodo. Il combo francese a mio avviso ha bisogno di maturare ancora un po’ e per questo, il disco non raggiunge la sufficienza. Se i cinque avranno la costanza di andare avanti, sono sicuro che potranno regalarci dei bei momenti.
Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 2023
Top 10 opinionisti -
Questa recensione è abbastanza particolare e vi spiego il perché. Nel 2019 i Power And Glory, progetto solista nato nel 2018 per volere del chitarrista argentino Herman Chaves, fanno uscire “The Last Rebel”. A febbraio 2022, con una formazione comprendente - oltre a Chaves - il batterista Manuel Sosa e il cantante Jorge Arca Goya, è uscito il secondo disco dal titolo “Road Werewolves”. Nel settembre 2022 l’etichetta Steel Shark Records ha fatto uscire una confezione con il secondo album più il primo lavoro come bonus CD; il tutto in edizione limitata a trecento copie. La musica di “The Last Rebel”: otto brani su nove sono strumentali, poggia su un solido Heavy Metal in cui la chitarra di Chaves imperversa in lungo e in largo sciorinando diverse tipologie di soli con un suono che somiglia a quello di Don Dokken, John Norum (vedi il brano “The Last Rebel”) o a quello delle asce dei Judas Priest, anche nel modo di composizione, come in “Power and Glory”, in cui ai 3:06, sembra di ascoltare “Hell Bent For Leather”. In “Shout”, pezzo che ricorda sia i Dokken che i W.A.S.P. e unico ad essere cantato (per motivi di diritti dovuti ad altri vocalists le altre tracce sono strumentali N.d.A.), possiamo ascoltare la voce femminile non proprio impeccabile di Romina Porcelli. Peccato perché la canzone ha delle potenzialità ed è accattivante. Dopo aver esaminato il bonus CD, passo all’ultimo lavoro “Road Werewolves”. C’è da dire che dal lato della precisione della batteria e della pulizia sonora ci sono dei notevoli miglioramenti che portano ad una buona resa. Dove non tutto fila liscio è quando in alcune fasi del disco si sovrappongono più chitarre: vi ricordo che sono tutte appannaggio di Chaves, e viene creato un riempimento nel ritmo che risulta invasivo. Nonostante ciò il disco risulta essere di buon gusto e appassionante. Oramai l’avrete capito: il genere è l’Heavy Metal classico pieno di carica, quello di nomi come Judas Priest e W.A.S.P. (questi ultimi sono stati debitamente “energizzati”). Si potrà obbiettare che i dieci brani non presentano segni di originalità, ma laddove molte band si trascinano stancamente, i Power And Glory iniettano linfa vitale dovuta alla loro voglia di suonare e di volere emergere. “Mayhem”, intro strumentale, è una deflagrazione di chitarra che ci porta a iniziare il viaggio. Inforcate la moto, accendetela, e correte a ritmo forsennato sulle note di “Freedom Rider”. Ho parlato di Heavy Metal classico ed una delle migliori testimonianze del genere è fornita da “No Guts No Glory”. La voce di Goya in questo caso è capace di raggiungere le più alte vette, quelle che solo Rob Halford sapeva toccare. Anche “Give Me Speed” segue le orme e le note, comprese quelle chitarristiche, dettate dal Sacerdote di Giuda. “Sharp As Steel” affida il suo destino a un ritmo medio e ad una chitarra che è padrona e sovrana. “Out Of Control” è figlia di un Power battente: fate conto di sentire i W.A.S.P. che hanno ingurgitato una scatola di bustine vitaminizzanti. “Born To Win” segue la scia musicale dettata dal brano precedente. In “Road Werewolves” torna a farci compagnia il sound dei Metal Gods per eccellenza anche se, mi preme dirlo, il coro che dovrebbe servire a far cantare il pubblico in concerto è mal strutturato e fiacco. “Street Metal” offre in dote una chitarra troppo tracotante: a mio avviso non c’era bisogno di esagerare così tanto. La conclusiva “Danger” è un Heavy in media cadenza dal titolo – anthem che si rifà ai… se avete letto sino ad ora ci potete arrivare da soli! Anche in questo caso le sovra incisioni delle chitarre da parte di Chaves sono particolarmente eccessive. Se avete bisogno di ritrovare la perduta giovinezza fatta di headbanging - per i più vecchi è consigliato battere il piede a tempo onde evitare cervicale acuta - “Road Werewolves” è il disco adatto allo scopo.
Ultimo aggiornamento: 04 Aprile, 2023
Top 10 opinionisti -
Vi siete appena svegliati e non avete voglia di affrontare la giornata che vi aspetta? Fate uno sforzo; alzatevi, andate allo stereo, e inserite nel lettore il CD “Electric Elite”. I Riot City gruppo nato nel 2011 a Calgary (Alberta, Canada), hanno il potere di dare una scossa alle vostre sopite membra e fornire una buona dose di energia e combattività. Il secondo album del quintetto poggia le basi sul Power e sullo Speed Metal, generi nei quali è assai arduo trovare forme di innovazione. Il gruppo però si fa apprezzare grazie a un’ottima perizia strumentale, alle chitarre che viaggiano bene sia all’unisono che nei soli e una voce da vero screamer come è quella di Jordan Jacobs. Basta l’apripista “Eye Of The Jaguar”, un “pestone” veloce con cambio alla Iron Maiden, per capire che la band non scherza affatto. “Beyond The Stars” è un frullato di Iron e Judas con soli di chitarre modello Running Wild. “Tyrant” è il tipico masso da una tonnellata che schiaccia inesorabilmente l’ascoltatore e poi lo finisce con un assalto Power rinforzato da cori enfatici. “Ghost Of Reality” è subdola, vi frega con il suo inizio che passa dal lento al medio e poi parte ad una velocità che arriva all’estremo. “Return Of The Force” possiede riff repentini, chitarre in fuga, voce che vola altissima e titolo cantato in coro. In questo caso voglio fare un plauso ai chitarristi Cale Savy e Roldan Reimer per l’eccellente lavoro svolto. “Paris Nights” vede l’alternarsi di ritmi a media velocità, con cavalcate supportate da una voce abbastanza versatile. “Lucky Diamond” non può non far pensare ancora una volta al gruppo di Steve Harris. La conclusiva “Severed Ties” è parzialmente diversa dal resto del disco dato che possiede una certa vena melodica e un uso delle chitarre in stile classico/barocco piazzate nella fase centrale. Se oltre ai gruppi che ho citato prima vi piacciono Raven, Accept, Exciter, Helloween, Dio e compagnia bella, “Electric Elite” merita di stare nel vostro scaffale dei CD’s.
Ultimo aggiornamento: 29 Marzo, 2023
Top 10 opinionisti -
Non si può certo dire che i Bad Bones siano una band prolifica in fatto di album, dato che in sedici anni (2007 - 2023) ne hanno rilasciati sei però, ogni volta che ne esce uno, il gruppo di Cuneo si imbarca in un lungo tour portando in giro la propria musica e la voglia di suonare dal vivo. Guidati dal veterano Steve Balocco (basso) i Bad Bones consolidano la fratellanza nel nome del Rock reintegrando in formazione il chitarrista/cantante Mekk Borra e mantenendo saldo Lele Balocco alla batteria. Ho scritto il termine generico Rock perché negli otto pezzi di “Hasta el Final!”, album dedicato alla memoria di Andrea “Benny” Bernini - figura conosciutissima in ambito Metal come organizzatore di concerti e grande appassionato di musica - è difficile trovare uno stile dominante. “Bandits”, primo pezzo e primo singolo, parte da un incipit con basso accordato in stile New Wave, passa allo Speed e va con un break a più chitarre alla maniera degli Iron Maiden. “Behind The Liar’s Eyes” segue i dettami dell’Hard Rock, incapsulando un solo che si sposa bene con la melodia. Con “Rattlesnake” la band torna al sempiterno amore: lo Street/Hard Rock americano. Fate mente locale e immaginate un film per teenagers di quelli che spopolano in America: “Wanderers & Saints” sarebbe giusta parte integrante della colonna sonora. Il brano è fra i meglio riusciti, ma il solo di chitarra a scale mostra uno schema troppo ripetuto all’interno del disco. “Sand On My Teeth” mi è parsa un poco sguaiata e fiacca. In “Libertad” ho trovato una leggerezza che va dal suono americano a… Ligabue. A mio avviso il produttore Riccardo Paravicini, già al lavoro con Niccolò Fabi, Max Gazzè, Levante e Marlene Kuntz, ci ha messo lo zampino facendo girare il potenziometro sul soft. “To Kill Somebody” è un Punk n’ Roll bello carico, e riporta la band su strade più consone. “Home” è un bel Hard Rock “ignorante” sorretto da una chitarra valida e diversa dai soliti canoni; a completare il tutto troviamo un ritornello vincente e facilmente memorizzabile. Si chiude così un CD ben più che sufficiente, ma dall’andamento sinusoidale.
Ultimo aggiornamento: 15 Marzo, 2023
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Nati nel 2013 per volere del cantante e chitarrista Simone Tepedino, i Binge Drinkers da Vignola (MO) sono passati da un suono ispirato al Thrash a una miscela fatta di Grunge, Southern e Blues espressa nell’EP del 2019 “A Rock ‘n’ Roll Odyssey”. A novembre del 2022 il trio ha fatto uscire l’EP autoprodotto “Muerte – An Apology of V Acts”, contenente cinque brani. Trovo per certi versi coraggiosa la scelta dei Binge Drinkers di far uscire un concept che analizza la visione della morte secondo la cultura spagnola, usando testi che alternano proprio la lingua spagnola con quella inglese all’interno dello stesso pezzo. La metamorfosi del terzetto in campo musicale si è compiuta di nuovo. Niente Southern né Blues questa volta, bensì melodie tipiche del flamenco andaluso, mischiate con fasi legate all’Hard Rock, ai Metallica e agli Iron Maiden. La strumentale “Act I – Ouverture: a Las Cinco de La Tarde” inizia con un malinconico flamenco che vira verso una galoppata gitana dai tratti ascrivibili alla Vergine di Ferro, con divagazioni sul tema fornite dalle chitarre (sovra incise). “Act II – Death In the Afternoon” batte i sentieri dell’Hard Rock alternando cadenze e ritmi serrati. “Act III – Cult” passa da una fase massiccia, a un break stile Metallica con successiva partenza veloce e chitarre che l’accompagnano fino alla fine. “Act IV – The Dance of Tragedy” è la canzone che ho trovato più strutturalmente dotata. Da un momento che ricorda “Innuendo” dei Queen, si approda a ritmi Hard Rock in grado di spiazzare piacevolmente l’ascoltatore; anche in questo caso, in un frangente, si può apprezzare la presenza del Metallica sound. “Act V – Sangre” possiede un ritmo parzialmente oscuro adagiato su una cadenza media ma, anche in questo caso, i tre amigos non rinunciano a una fuga in velocità. Se devo muovere un appunto ai Binge Drinkers lo rivolgo, cosa già evidenziata in un mio precedente live report, alla voce di Simone. Con un concept di tale portata e con una lingua come lo spagnolo, ci voleva un cantato evocativo e avvolgente che rendesse al meglio il pathos di un argomento così ferale come quello scelto. Purtroppo la voce risulta inadeguata per larghi tratti ed è un peccato visto che il resto è più che sufficientemente valido.
Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 2023
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Il secondo disco dei piemontesi Flying Disk, “Urgency”, uscito nel 2018, mi aveva convinto grazie alla sapiente miscela di generi diversi che il gruppo aveva saputo incasellare negli otto brani, riuscendo a creare un lavoro vario e interessante. A quattro anni di distanza, a ottobre 2022, è uscito l’EP di quattro pezzi “In The Heart Of The City”, pubblicato come coproduzione fra quattro etichette, sia in streaming che su vinile. Nel caso del recente EP viene ovviamente a mancare l’”effetto sorpresa”. Ciò che non manca, grazie alla registrazione effettuata nello studio del bassista Francesco Martinat - sostituto di Luca Mauro - e al mastering a cura di Jonathan Nunez dei Torche, svolto al Sound Artillery Studio di Miami, è un suono che mantiene una compattezza e un equilibrio ottimi. Si parte con “Wasted”, pezzo che ondeggia fra Wave, Punk e Alternative. Con “Sunrise” ci inoltriamo in un terreno desertico al suono di una musica dai dettami Grunge/Stoner, con la chitarra di Simone Calvo che entra a gamba tesa a spezzare il ritmo. “Tell Me Of The Sun” sa di Punk moderno alternato a un refolo di Marlene Kuntz e vive di stop n’go inframmezzati da uno stacco di basso che porta a un Rock grezzo. “Connections” ci fa ripiombare in pieno deserto oppure, se preferite, in un’assolata città del Messico all’ora della siesta, dove persino le foglie si trascinano stancamente. Il supporto musicale è garantito da un suono che si avvicina a quello dei Kyuss. In poco più di dodici minuti i Flying Disk si confermano dei buoni “creatori” ed esecutori musicali. I primi mesi del 2023 vedono i Flying Disk in tour un po’ in tutto il Nord Italia: il mio consiglio è quello di andare a supportarli: non ve ne pentirete.
Ultimo aggiornamento: 04 Marzo, 2023
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Gli Angel Blade si formano a Dresda nel 2019. Nel 2021 la formazione passa da tre a cinque elementi, muta il nome in Acid Blade e pochi mesi dopo entra nel roster dell’etichetta Personal Records. A dicembre 2022 è uscito il disco di debutto intitolato ”Power Dive” contenente otto pezzi, che si prefigge lo scopo di riportare in auge il suono dell’Heavy Metal di fine anni ’70, inizi ’80. Avete il vostro vecchio chiodo nell’armadio e il bracciale di borchie, probabilmente arrugginito, nel cassetto? Tirateli fuori, indossateli e cominciate a pensare a una delle decine di band “perdenti” della N.W.O.B.H.M, quelle surclassate da Iron Maiden, Saxon, Angelwitch eccetera. Gli Acid Blade riescono a ricreare le atmosfere tipiche del periodo che ho citato prendendo come punto di riferimento gli Iron Maiden, ma non riescono a convincere a pieno. In primo luogo ci sono alcuni cambi di tempo dove manca la coesione fra gli strumenti e, in secondo luogo, la produzione non è sempre al top. A mio avviso il gruppo dovrebbe trovare un produttore dall’orecchio allenato, in grado di guidare e incanalare l’energia profusa nei giusti binari. L’unico pezzo avulso dal contesto Hard & Heavy è l’iniziale “Hot Blood On The Loose”, brano che segue le coordinate sonore dello Speed Metal. La forte impronta della Vergine di Ferro è ben presente in brani come “Power Dive” dove viene miscelata con influssi di AC/DC e Judas Priest, sia nel crescendo e nelle cavalcate di “Into The Light”. C’è spazio anche per l’Hard & Heavy parzialmente oscuro del brano “The Tomb Of Khentika Ikheki”, così come trovano posto pezzi cadenzati, vedi “Moonless Night” e “Harpy On The Wing”. Proprio quest’ultima, fra cavalcate, pezzi stoppati e movenze lente, mostra sia la creatività che il limite dei cinque tedeschi. Detto che delle due chitarre una mi è sembrata decisamente più “sul pezzo” dell’altra, e che la voce rasenta a tratti la monotonia. Vi invito all’acquisto di “Power Dive” solo se il vostro cuore, i vostri gusti e il vostro cervello, sono rimasti fermi agli anni sopra citati e non avete ascoltato altro negli ultimi quaranta anni.
Nota: nel frattempo, a gennaio 2023, il batterista Eric Nukem è stato rimpiazzato da Jonny Astus (Prowler, Tension etc).
Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 2023
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Il treno dei Motörhead è in qualche scalo ferroviario su un binario morto, da parecchi anni. A ognuno di noi, però, rimangono vividi i ricordi di tutti i posti dove ci ha portato. “Bad Magic”: album uscito nel 2015, non ha suscitato il clamore di “Ace Of Spades” o la curiosità di un disco come “Orgasmatron”, ma è importante lo stesso visto che ha sancito i quarant'anni di attività del gruppo di Lemmy e, allo stesso tempo, è uscito in un periodo nel quale il mitico bassista era alle prese con dei problemi di salute. Le etichette hanno trovato il modo di arginare la crisi del mercato discografico usando degli appetibili “stratagemmi”. Nel caso della riedizione di "Bad Magic", ovvero “Bad Magic: Seriously Bad Magic”, il box completo ha una tavola Ouija graficamente fantastica ma che, in mani non esperte, potrebbe causare guai seri a chi la usa. Per il resto le edizioni sono molteplici e ognuno potrà scegliere quella che ritiene migliore e più adatta al proprio portafoglio. La versione base del disco, quella in mio possesso, contiene due CD. Il primo è quello normale con l’aggiunta di “Heroes” e di due outtakes dalle sessioni di registrazione: “Bullet In Your Brain” e “Greedy Bastards”. All’epoca avevo dato a “Bad Magic” il voto 3.5/5 e, se volete, potete trovare la recensione negli archivi di Allaroundmetal. Oggi mi soffermerò sul resto. “Heroes”, cover di David Bowie, oramai l’avrete ascoltata tutti e da molto tempo. La versione che ne avevano fatto i Motörhead risulta più “elettrificata” dell’originale quindi, meno pindarica. “Bullet in Your Brain” è un classico tempo standard veloce e con cambi che, sinceramente, apporta poco al lotto. Riguardo a “Greedy Bastards” vi posso dire che la potete comparare tranquillamente con “Till The End”: traccia nove di "Bad Magic". Possiede le stesse coordinate di brani come “Don’t Let Daddy Kiss Me” e “Lost In The Ozone” ("Bastards" – 1993). Da questo si può capire come mai non è stata inserita nella prima edizione di “Bad Magic”: sarebbe stata una sorta di doppione. Passiamo al secondo CD della confezione che è decisamente più interessante. D’accordo, siamo sempre di fronte a una performance live, in questo caso tenuta il 24 luglio 2015 al Fuji Rock Festival – Sayonara Folks! tenutosi a Yuzawa in Giappone, ma per lo meno non è il solito concerto presente su altre piattaforme. La forma del terzetto? Sostanzialmente buona anche se non mancano alcuni svarioni: vedi il finale di “Metropolis” dove la band si disunisce o l’instabilità iniziale di “Ace Of Spades”. Bellissime e con un bel suono “We Are Motörhead” e "Damage Case". Alquanto “schizzata” “Over The Top”. Dura come un macigno “The Chase is Better Than The Catch”. Solare e briosa “Going To Brazil”. Se poi ci vogliamo soffermare sui singoli elementi abbiamo “String Theory”: un solo di chitarra poggiato su tastiere dal tenore Rock e Blues ad opera di Phil Campbell, e “Doctor Rock” dove sugli scudi sale Mikkey Dee che percuote tutto il battibile con energia, dando tempo a Phil e a Lemmy di tirar fiato. Il resto è di buon livello ed eseguito con buona tecnica. Che altro vi devo dire, che da vecchio Motörheadbanger (#1063) rimpiango la mancanza di Lemmy e compagnia? Scontato! Vi dico di salire su quel treno fermo e fare un viaggio nei vostri ricordi.
Ultimo aggiornamento: 04 Febbraio, 2023
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La splendida copertina di “A New Tomorrow” disegnata da Umberto Stagni, raffigura i precedenti artwork racchiusi in delle carte da gioco “manipolate” dal nuovo cantante dei Rain Maurizio Malaguti, mentre gli altri musicisti sono agli angoli. La band felsinea capitanata da Amos “The Snake” Amorati, continua a macinare chilometri esibendosi in tutto il Nord Italia, nonostante gli innumerevoli cambi di formazione intercorsi in quarantadue anni di attività. Credo che proprio l’inserimento di Maurizio “Evil Mala” Malaguti, autore di tutti i testi, sia in larga parte il fattore responsabile del parziale, ma deciso, cambio di rotta sonoro dei Rain. Non solo Heavy Metal, quindi, ma un pot-pourri di generi che, per come conoscevo la band, mi ha spiazzato e, in molti casi, avvinto. “A New Tomorrow” palesa un ritmo nerboruto ma ha al suo interno una caratteristica comune a molti altri brani del disco: una fase meno dura e densa di melodia. “Down In Hell” possiede un suono veramente potente al servizio di quello che ho chiamato "Grunge attualizzato". In questo caso la sorpresa è costituita da una cadenza oscura seguita da un’apertura moderna. “New Sin” è un Heavy classico con contaminazioni veloci. “Double Game” è un connubio di Hard Rock, Grunge e Red Hot Chili Peppers con un solo di chitarra a scale ben riuscito. “Master Of Lovers” passa dall’Hard Rock veloce dal gusto americano, sino ai ritmi usati dai Metallica nei periodi risalenti a “Load” e album successivi; il solo scatenato è un valore aggiunto che contribuisce a porre la canzone fra le migliori del lotto. “Never Alone” possiede un suono duro e sporco che si interseca con cadenze e semi velocità. “Loveself” lascia ampio spazio ad un certo tipo di melodia, soprattutto nella fase voce/chitarra. “All You Can Hate” mostra tutta la voglia dei Rain di esplorare un nuovo corso. Prendete una cadenza semi pindarica alla Sentenced (quelli di “Killing Me, Killing You”), aggiungete una fase in cui la chitarra è divisa e ben udibile negli altoparlanti, transitate brevemente per il ritmo spumeggiante dei Porno For Pyros e approdate ad un finale stile The Sisters Of Mercy. Questo “nuovo sound”, peraltro ben prodotto, mi spinge a dire che siamo di fronte ad un ottimo brano. “Peace Sells”, cover del brano dei Megadeth, è veramente strana; per certi versi stravolta. Se non fosse un pezzo così famoso, stentereste a riconoscerlo. “Evil Me” fa della sua velocità un punto di forza e mostra ancora una volta delle chitarre in gran spolvero. “Revolver” è un pezzo fra velocità e spezzature del ritmo e arriva a chiudere un album che, per quanto atipico, lascia soddisfatti. Il suono dei Rain, a parte alcune eccezioni, si è spostato verso la sponda americana del Metal: non quella Thrash o Glam bensì quella Alternative. Se volete supportare la band vi consiglio l’acquisto del cofanetto in edizione speciale, con CD e puzzle da 384 pezzi.
Ultimo aggiornamento: 08 Gennaio, 2023
Top 10 opinionisti -
Logo della band che nei caratteri ricorda quello dei Motorhead, titolo del disco che si rifà palesemente a “New Hope For The Wretched” dei Plasmatics (1980) e copertina che segue i dettami del Thrash anni ’80: queste sono le caratteristiche con le quali si presentano i Traitor. Il combo americano, nato nel 2012 a Philadelphia, Pennsylvania, ha rilasciato nel 2014 l’EP di debutto “Delaware Destroyers”. Nel 2018 lo stesso lavoro è stato ristampato su cassetta con il titolo "Traitor", e con l’aggiunta di due nuove canzoni. In questo “Last Hope For The Wretched” i Traitor si cimentano con generi che vanno dall’Heavy Metal tradizionale allo Speed/Thrash Metal e lo fanno alternando nei nove brani le voci di Greg Lundmark (gruff vocals) e Joe Rado (Death/Thrash vocals). A parte questa scelta abbastanza originale, nelle musiche e nei testi non si nota una gran fantasia. I quattro componenti mostrano comunque di avere qualche buona intuizione che andrà sfruttata meglio in futuro. Per darvi un’idea di ciò che andrete ad ascoltare vi dico che l’iniziale “Sintroducer/Take Över” è un classico dello Speed Metal con breaks, e soli di chitarre a scale. Se vi mancano i ritmi musicali rocciosi che erano caratteristici dei Judas Priest degli anni d’oro “Baptized In Fire”, grazie anche all’uso delle chitarre, vi farà tornare indietro nel tempo. “Under Attack” è un ginepraio di cambi di ritmo che denotano una buona capacità compositiva e strumentale da parte dei Traitor. “Raise The Black” ha nel nome il suo destino. Il pezzo possiede un che di malvagio ed è rafforzato da fasi in calando e in crescendo che ricordano gli Immortal del periodo più “epico”. “Luxury”, con i suoi riff stile Judas Priest/Iron Maiden e la sua imponente mole di chitarre, è l’esempio di ciò che ho scritto poche righe sopra: buone intuizioni da incasellare in maniera migliore. “Last Hope For The Wretched” va poco oltre la sufficienza dato che c’è un discreto margine di miglioramento sia per ciò che riguarda i soli, soprattutto da parte di una delle due chitarre, sia per l’uso delle voci. Vedremo se nel prossimo disco i Traitor saranno in grado di sorprenderci.
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