Opinione scritta da Corrado Franceschini
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Ultimo aggiornamento: 31 Luglio, 2023
Top 10 opinionisti -
Con un poco di fantasia potete pensare a “Morgöth Tales”, ultimo capitolo discografico dei Voivod, come alla colonna sonora per le versioni 2.0 di film come “Mad Max” o “Star Trek”. Per i quarant'anni di attività (io ne conto quarantuno N.d.A.) il quartetto canadese ci offre una raccolta “atipica” contenente nove versioni di vecchi pezzi rielaborati e riproposti dall’ultima formazione, più un brano nuovo - “Morgöth Tales”, appunto -. Viaggi ai confini dell’universo, neuroni impazziti, macchine che insidiano vite e cervelli degli umani, sprazzi di momentanea calma dovuti a soste in qualche angolino sperduto della galassia o, più probabilmente, a qualche sedativo iniettato. Tutto ciò viene riversato in una musica che, per larghi tratti, è schizoide e visionaria; una sorta di Pink Floyd sound degli anni 2000. Ci sono parecchi motivi per acquistare “Morgoth Tales”, primo fra tutti quello che nell’edizione Jewelcase in O card o in quella digitale, potete trovare un brano in più: la cover di “Home” dei Public Image LTD. In secondo luogo avete l’opportunità di recuperare quel “pestone” Speed/Thrash che è “Condemned To The Gallows”, presente in origine nella raccolta “Metal Massacre V” (1984). Ovviamente qui il brano è nella versione con formazione attuale. Se ancora non siete convinti della validità del disco vi posso dire che in “Rise” fa la sua comparsa l’ex bassista Eric Forrest e che in “Rebel Robot” c’è Jason Newsted. Mai come in questo caso è difficile estrapolare un brano che svetta sugli altri quindi, mi limiterò ad elencare quelli che più mi hanno colpito per un qualche motivo. “Macrosolutions To Megaproblems” è rappresentativa in tutto e per tutto della follia che ammanta il sound dei francofoni, qui riversata con contenuti dissonanti e schizoidi. In “Pre-Ignition” è possibile apprezzare il lavoro sopraffino fatto dal bassista Dominic “Rocky” Laroche. In “Fix My Heart”, invece, è il turno della chitarra di Daniel “Chewy” Mongrain di salire alla ribalta. Non mi resta che parlare del nuovo brano. “Morgöth Tales” segue le coordinate stilistiche segnate già da molto tempo; almeno sin dall’album “Killing Technology” (1987), e riesce a combinare fasi melodiche, con altre decisamente claustrofobiche emananti una sorta di angoscia. Il mio consiglio è quello di vedere il relativo video. Un clip così bello e coinvolgente, grazie anche alle trasformazioni animate “subite” dalle grafiche di Michael “Away” Langevin, è difficile da trovare in un settore come quello dell’Heavy Metal.
Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 2023
Top 10 opinionisti -
Gomme che mordono l’asfalto, il rombo dei Termignoni, lo stridio del Burnout ad un motoraduno. Questo evoca il nome Five Hundred Horse Power e l’iconografia adottata dalla band. In effetti, il legame dei cinque vicentini con il mondo dei Bikers è forte dato che il gruppo dopo il primo disco “Last Bullet”, uscito nel 2019, ha vinto il primo posto in un contest organizzato dai cremonesi Hunters Of Shadow. Guardando la foto dei cinque acclusa alla bio, poi, ho avuto l’impressione che almeno un paio di loro sono veri e propri motociclisti. Il secondo disco dei 500 HP, “Cluster”, contiene sette brani ed è uscito nel 2022 per Andromeda Relix. La band ci tiene a dire che nelle composizioni sono presenti i generi che hanno ispirato la cultura musicale del combo, e questo ci sta. Dove non mi ritrovo è nel riscontro oggettivo delle band che dovrebbero avere influenzato il percorso. Non ho trovato grandi tracce di Motorhead, Judas Priest, se pur nei 500 HP ci sono due chitarristi (Enzo e Diego), Twisted Sister o Anvil. Un poco più presente è lo spettro di Marilyn Manson dato l’utilizzo dei sintetizzatori, o il groove dei Pantera e dei Sepultura di “Territory”. L’unico pezzo che porta in dote il Rock sporco che ci si aspetta da un gruppo del genere è “Look Me And Fuck Me”: titolo anthemico ripetuto, abbinato ad un solo ben incastonato in un brano pieno di “morcia”. Per gli amanti delle chitarre down-tuned è consigliato l’ascolto di “Rage ‘22”, mentre gli appassionati di Thrash godranno come dei ricci con la fulminea e fulminante “Absolute Power”. Non poteva mancare un pezzo più lento e diluito: il suo titolo è “Burning Memories”. In questo caso si sentono benissimo i Metallica di “The Unforgiven” miscelati con i Lynyrd Skynyrd di “Simple Man”: niente di innovativo, ma il tutto è ben assemblato. Il consiglio che do ai Five Hundred Horse Power è quello di concentrarsi su un target più ristretto nel comporre i pezzi e di curare di più la produzione. Se un disco è grezzo non si scandalizza nessuno ma la precisione nei cambi, cosa che in alcuni frangenti di “Cluster” latita, è sempre un buon biglietto da visita. Respect!
Ultimo aggiornamento: 09 Luglio, 2023
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Quanto è rimasto ai giorni nostri dell’eredità musicale lasciata dai gruppi Progressive Rock degli anni ’70 e ’80? Ascoltando i Dark Ages si può dire: tutto. “Between Us”, quinto disco della band veronese, ha una doppia valenza: quella rievocativa e quella “educativa”. Rievocativa perché chi ha vissuto l’epopea degli anni d’oro, oppure l’ha recuperata nel tempo, può ritrovare nelle otto tracce del CD tutte le atmosfere che facevano da sfondo a un genere che, soprattutto in Italia, seppe dar sfoggio di creatività. “Educativa” perché tutte le generazioni successive potranno abbeverarsi ad una fonte zampillante partiture complesse, fughe, e quant’altro, fino ad arrivare al Prog Metal. I Dark Ages sono maestri nel creare concept album di buon livello ma, per loro ammissione, con “Between Us” ne hanno creato uno lasciando gli ascoltatori liberi da vincoli su cosa e come pensare. Un tratto d’unione musicale comunque c’è e dallo incipit iniziale di “Pristine Eyes” ci accompagnerà, se pur per brevi tratti, almeno fino alla quinta traccia (“Our Lonely Shelter”). Il mio foglio degli appunti - ne uso sempre uno quando ascolto un disco da recensire - è pieno di nomi di gruppi che hanno fatto la storia del Progressive, dell’Hard Rock e persino del Power/Prog (Dream Theater). Se questa circostanza vi induce a pensare ad una mera copia vi sbagliate. Siamo di fronte ad un lavoro da ascoltare fino in fondo per la perizia con la quale sono stati assemblati e suonati i pezzi. Proprio per questo è difficile estrapolarne solo uno. A dettar legge, come nel disco precedente “A Closer Look” (Andromeda Relix – 2017), è la coppia formata da Simone Calciolari (chitarre) e Angela Busato (tastiere, flauto e cori) ma i tre membri rimanenti hanno i loro spazi, piccoli o grandi che siano, per mettersi in evidenza. Mi preme dire che, rispetto al disco precedente, ho trovato più consono al genere, ed evocativo, il cantato di Roberto Roverselli. Come detto è difficile estrapolare un brano dal contesto ma, per avere un’idea più precisa su ciò che vi aspetta, potete ascoltare quello che reputo un poco come il compendio di tutto; la conclusiva e lunghissima (12:11) “There Is No End”. Se non vi basta potreste provare la complessa “The Villain King” nella quale troverete controtempi mischiati con un suono duro e con tratti Epic/Progressive. Non siete ancora convinti della bontà del disco? L’impulso decisivo all’acquisto potrebbe darvelo “The Great Escape”: chitarra iniziale clonata da Satriani, fase propulsiva tipo Locanda delle Fate (vecchio gruppo Progressive italiano N.d.A.) e vari tipi di aperture coniugate a tocchi di tastiere e ad una chitarra scatenata. “Between Us” è un disco entusiasmante per gli ascoltatori del Progressive, sia quelli più cervellotici, che i più semplici. Chi invece ama ritmiche lineari e cori da cantare a squarciagola, oppure predilige l’oscurità riversata in musica, può volgere le orecchie altrove.
Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 2023
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Se siete degli appassionati di chitarra e leggete le mie recensioni, conoscete sicuramente Gabriele Bellini. A tutti gli atri posso dire che Gabriele, polistrumentista eclettico e musicalmente “irrequieto”, vanta una lunghissima carriera divisa fra dischi con gruppi e collaborazioni. In più, dal 2006, Bellini ha iniziato una prolifica attività come solista. L’album “Motus” viene definito nella bio come quello della maturità, ma sono sicuro che la ricerca di contaminazioni diverse, non abbandonerà mai il nostro artista. Si parla spesso della chitarra come il prolungamento degli arti del musicista. Nel caso di “Motus”, visti i sentimenti contrastanti suscitati dai riff, parlerei anche di cuore. La delicatezza iniziale di “Veritas Filia Temporis” si trasforma dopo alcuni secondi in un brano dal tono epico. Il pezzo ci trascina in un gorgo profondo grazie anche all’accompagnamento della voce di Daniel Melani, che passa da toni normali a toni alti. Grande spiegamento di chitarre al servizio di un ritmo duro, ipnotico e visionario: queste sono le caratteristiche di “Inverso”. “Metaverse” ci porta in un mondo fatto di vecchi modem, byte e tecnologia. Le chitarre si intrecciano ed intersecano, e vanno a formare riff che somigliano ad una fitta rete di cavi. Inaspettata la fase Prog/Heavy e i seguenti controtempi. Immaginatevi nei locali de La Rambla di Barcellona: con “Afterall” uscirete da una cantina dove si suona Free Jazz moderno ed entrerete in una cervecerìa dove si suona un flamenco con chitarra arrembante. “Resilient” è un brano arrabbiato in cui la voce di Edoardo Peruzzi suggella un patto con il Grunge e la Psichedelia: band di riferimento Kyuss, Soundgarden e Monster Magnet. “V.O.R. (Voice of Rebellion)” è nervosa, dal ritmo spezzato, e batte le strade dell’Heavy Metal. In “Rockdown” viene accarezzato, grazie anche all’ausilio della voce di Lorenzo Masi, un territorio fatto di crocevia fra i Marlene Kuntz, i Negrita e i Maneskin. “Air On The G String” la conoscete bene: era la sigla di Superquark. In questo caso il pezzo (andate a leggere la sua storia fra una rilettura di A. Wilhelmj e la versione di J.S. Bach) miscela lentezza, aggressività e velocità ma, a mio avviso, la produzione e l’assemblaggio meritavano maggior cura. La voce rappata di Smilzo e una base Rock sono gli ingredienti di “Element”. Anche in questo caso l’esito è controverso: la voce è troppo in evidenza rispetto alla base ritmica ma, magari, è una cosa voluta per valorizzare il testo. “Only One Planet?” è libertà di espressione lasciata alla chitarra principale su una buona dose di cambi di ritmo. Nella fase stridente iniziale la mia mente è andata a ripensare ad “Elephant Talk” dei King Crimson e credo di non sbagliare se dico che Bellini ha ascoltato a modo “Discipline”. La conclusiva “The Whole” vede alla voce Mr. Jack. Il pezzo si dipana fra sofferenze riversate in forma Rock e fasi Progressive Rock anni ’70. “Motus” non è un disco facile da digerire ma se non avete schemi prefissati, potrebbe interessarvi.
Ultimo aggiornamento: 13 Giugno, 2023
Top 10 opinionisti -
Non si può certo dire che i Madhouse siano un gruppo prolifico, visto che in undici anni di attività hanno rilasciato un EP e due album. Se però siete assidui frequentatori della loro pagina Facebook avrete sicuramente notato quanto il gruppo sia attivo sia a livello promozionale presso le web radio, che nel settore dei concerti. Il nuovo lavoro intitolato “Secret Antithesis” trae ispirazione dalle opere del maestro incisore ed artista Maurits Cornelis Escher. Così come Escher ha offerto nelle sue opere prospettive diverse, Federica Tringali, cantante dei Madhhouse e autrice di tutti i testi, è andata a toccare dal suo punto di vista diversi argomenti inerenti il nostro mondo. Mi ero fatto persuaso dell’idea di ascoltare dieci canzoni con influenze Gothic Metal ma, in massima parte, mi ero sbagliato. Le musiche scritte da Federica e da Eddy Cavazza ci portano verso altri lidi. Eddy, oltre che produttore anche autore di registrazione, mix e mastering, ha collaborato fra gli altri con nomi quali Dino Cazares (Fear Factory) e Logan Mader (Machine Head) e si sente sia per il taglio del suono impresso all’album, sia per gli interventi come “ospite” nei soli di chitarra; quelli di chitarra acustica sono a cura dell’altro membro fondatore dei Madhouse, Filippo Anfossi. Fate conto di toccare una superficie scabra composta da musica Alternative con una voce che segue i dettami delle Riot Girls di una volta. Una cosa tipo L7 meets Machine Head, suffragata da pezzi duri come una badilata in pieno volto: vedi “I’ve Had It Up To Here” o la “strappata” “Nicotine”. Non preoccupatevi, il combo non è solo un’esplosione di violenza (dosata, ma pur sempre di violenza si parla), ci sono anche momenti più sbarazzini dove i Madhouse rifanno il verso, riuscendoci, a gruppi come The Offspring e Blink 182 come accade in quella scheggia impazzita che è “Like a Thunderbolt”, un brano in cui la voce mantiene uno spirito riottoso. Non vi basta? Ci sono sempre tempo e modo per compiere escursioni in altri territori come accade ascoltando il Pop Punk spensierato di “The Place Where I Belong” o perdendosi nei campi innaffiati dal Rock libero e selvaggio di “Playing Rough Again”. Per ascoltare un briciolo di Goth Metal melodico dovete arrivare al nono pezzo: la dondolante “On The Fence”. Non fatevi ingannare dalla seppur valida “Voodoo Doll”, brano scelto come singolo; potrebbe fuorviarvi e farvi perdere tutto ciò che c’è nel resto del mondo dei Madhouse. Dato che “Secret Antithesis” non ha un “pubblico target”, consiglio l’acquisto solo a coloro che non hanno schemi ortodossi in mente.
Ultimo aggiornamento: 04 Giugno, 2023
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E’ praticamente impossibile spiegarvi per filo e per segno un lavoro complesso quale è “Imajica” del cantautore Antonio Giorgio. Le principali caratteristiche sono queste: un concept album che si sviluppa attraverso tre atti e che vede coinvolti quindici musicisti (io nel booklet ne ho contati quattordici compreso Giorgio N.d.A.) Il tutto è incentrato sul legame fra arte e magia, ed è accompagnato da una copertina arcana ed eterea ad opera di Jahn Vision Art e da un booklet ricco di citazioni e informazioni. Basta ascoltare la lunga canzone che funge da apripista, “Wisdom of Imagination”, per capire quanto sono complesse le partiture e quanti e quali tipi di Metal ci accompagneranno durante lo svolgersi del racconto. Uno degli elementi che contraddistinguono l’album è il massiccio impiego delle tastiere. Simone Giorgini (Darkend, Antarktica), Gabriels e Beppi Menozzi si suddividono il compito immettendo nelle dodici tracce (dieci sul digi CD, dodici nella versione digitale) elementi più leggiadri e leggeri appartenenti al Progressive Metal o più cupi e oscuri come si addice a forme affini all’Epic e al Doom. Le influenze citate nella bio acclusa al CD sono così tante che non dovrebbe essere difficile per i fans di generi come quelli che ho citato trovare uno spunto per ascoltare e/o acquistare “Imajica”. Fra Dream Theater, Virgin Steele, Kamelot e molte altre, si potrebbero inserire comodamente anche Candlemass e King Diamond. Non sto parlando dal punto di vista della voce dato che, come ben sapete, il timbro di Messiah Marcolin e il caratteristico falsetto del Re Diamante sono inimitabili. Parlo di composizioni come la citata “Wisdom of Imagination” o come “Hell on Earth” che in alcune fasi, per come sono strutturate, palesano tali influenze. Grosso spazio e grande libertà vengono concessi a strumenti come il basso di Diego Banchero (Il Segno Del Comando), le tastiere di Simone e la batteria di Francesco Vaccarezza. Cito come esempio il brano “Lucifer's Treasures” dove riescono a convivere anime diverse come quella Power e quella Hard Rock/Progressive saldate assieme dagli interventi chitarristici di Luca Gagnoni. Per gli amanti del Progressive contaminato da venature Hard Rock melodiche alla Dokken/Riverdogs, consiglio l’ascolto di “Silver Sanctum”. Siete arrivati all’ottava traccia e volete “staccare la spina” cullandovi serenamente? Avrete modo di farlo ascoltando la voce maschile di Antonio Giorgio e quella femminile di Claudia Beltrame (Degrees of Truth) su “In Your Eyes (Emerald Nights) ”. Ora che vi siete rilassati drizzate le orecchie! I ventitré minuti abbondanti di “Imagica” richiedono tutta la vostra attenzione. Fortunatamente il pezzo, grazie alle sue sette sezioni, non è monotono ed è gradevole proprio per i suoi molteplici “ambienti” distinguibili l’uno dall’altro. Tali sfaccettature vi porteranno in mondi ammalianti e pericolosi. Per dovere di cronaca segnalo la cover che conclude il digi CD ovvero “I Will Remember” (Queensryche, album “Rage For Order”). A parte la voce di Marc Vanderbilt e una fase centrale con chitarre diverse rispetto all’originale, nient’altro da dire. Se amate perdervi nei racconti lunghi e circostanziati affidatevi ad “Imajica”. Se invece ascoltate musica immediata e senza fronzoli, passate oltre.
Ultimo aggiornamento: 21 Mag, 2023
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Una band che è in giro dal 2005, Un titolo che rimarca come, nonostante lo scorrere del tempo, la fiamma arde ancora e il rinnovato connubio con un’etichetta “storica” come l’Underground Symphony. Queste piccole note servono ad inquadrare i Tarchon Fist e il loro ultimo lavoro. I T.F. formano un team compatto che tira dritto per la sua strada lastricata di Heavy Metal e, talvolta, di Hard Rock. Se il precedente album era un concept (“Apocalypse”: Voto 3/5) questa volta i felsinei, complice il periodo di pandemia, hanno partorito un lavoro più “esistenzialista”, con testi ispirati per lo più alla realtà e ad alcuni eventi del relativamente recente passato. Una voce, quella di Mirco Ramondo, che quando vola alto rende al meglio, la coppia di asce Tattini/Rizzo che coopera in sincrono alla grande mentre, talvolta, nei soli va fuori dalle righe, e una sezione ritmica (Pazzini/Lauretani) che pulsa e gira a pieno regime. Questo ensemble da vita ad un suono che s’ispira a gruppi come Iron Maiden, Running Wild, Judas Priest e, in maniera minore, Dokken e Malmsteen. Ascoltate “Lens Of Life”: con una produzione più accurata non sfigurerebbe in un album qualsiasi della Vergine di Ferro. “Wolfpack” ha un animo piratesco e sembra uscita dalla penna di Rock ‘N’ Rolf Kasparek (Running Wild). Il pezzo si snoda fra controtempi e palesa oltre alla voce di Mirco Ramondo, una voce da soprano, quella di Francesca Maria Boscaro, ben integrata nel ritmo. “Soldiers In White” sfodera un riff classico e tagliente ed è dedicata agli infermieri che hanno lavorato duramente durante la pandemia. “9/11”, invece, si sofferma sulla strage dell’undici settembre 2001, quella alle torri gemelle di New York. Ho cercato in rete il testo e vi consiglio di leggerlo: vi troverete un punto di vista per niente scontato e un esito finale drammatico. Se amate le atmosfere della NWOBHM “The Man” è derivata direttamente da quell’aureo periodo. Molto strano il brevissimo intermezzo centrale che mi ha fatto pensare alle Bangles, quelle di “Walk Like An Egyptian” (?). Mi preme segnalarvi l’ultima traccia, “The Legend Of Rainbow Warriors”, che si culla fra le onde dell’Hard Rock melodico farcito con cambi a volontà. Se “The Flame Still Burns” avesse usufruito di una produzione migliore - in questo caso è stata curata dagli stessi Tarchon Fist con risultati alterni - saremmo di fronte ad una gemma di gran caratura. Il disco comunque risulta lodevole e mai monotono e per questo, si merita un bel sette e mezzo.
Ultimo aggiornamento: 15 Mag, 2023
Top 10 opinionisti -
Con i fiumi d’inchiostro che sono stati versati per raccontare e descrivere il movimento della New Wave Of British Heavy Metal, dovreste già essere in possesso delle nozioni riguardanti i Tygers Of Pan Tang. Di mio aggiungo che nel 2022, dopo l’uscita dell’EP di quattro pezzi intitolato “A New Heartbeat” (voto su Allaroundmetal 4.5/5), la band ha sostituito il bassista Gav Gray con Huw Holding (ex-Blitzkrieg e Avenger) ed è partita per un tour. Nel 2023 troviamo il quintetto alle prese con nove tracce inedite più l’edita “A New Heartbeat”: dieci canzoni che costituiscono l’ossatura del nuovo “Bloodlines”. Robb Weir, chitarrista e unico membro rimasto della formazione originale, guida i suoi pards sulle strade dell’Heavy Metal ma, spesso e volentieri, travalica i confini per andare a trovare il fratello maggiore: l’Hard Rock. Nella fase iniziale di “Edge of The World” le tigri si trovano acquattate nell’erba alta, per poi sferrare dopo pochi secondi un assalto aggressivo, che si stempera in un ritornello vincente accompagnato dalla potente voce di Jacopo “Jack” Meille e da sapienti armonizzazioni. “In My Blood” viaggia sui sentieri dell’Hard Rock dal tipico ritmo medio accorpandolo con fasi di densa melodia. “Fire On The Horizon” riprende il percorso lasciato dai Tygers all’epoca dello strepitoso “Spellbound” e lo interseca con quello dei Judas Priest, per poi passare ad una velocità elevata. “Light Of Hope” è sorretta da riff massicci e da una voce che si staglia come un’aquila che vola nel nido del Rock duro. “Back For God” è stata creata per far cantare e divertire il pubblico in concerto. Fate conto di ascoltare i Deep Purple che hanno ingurgitato del vino frizzante o dello spumante, se preferite. Belli il cambio del ritmo e la voce, entrambi in levare. Dopo tanta energia spesa, ci vuole un attimo di relax a digerire il pasto in una fresca oasi: la leggiadra “Taste of Love” serve a tale scopo. Se dovessi fare il paragone con un’altra band sceglierei quella della premiata ditta Catley/Clarkin, i Magnum. Possono andare d’accordo tigri, un serpente bianco (D. Coverdale) e un cavallino rampante (Malmsteen: noto appassionato della Ferrari)? Musicalmente sì: il risultato è “Kiss The Sky”. Laddove la dura vita della savana si fonde con la pesante vita della giungla (Hard n’ Heavy, per capirci) nasce “Believe”. Al nono posto della scaletta i tigrotti ripropongono la variegata “A New Heartbeat”, per poi concludere con i passi felpati ma agili che fuoriescono da “Making All The Rules”. Robb Weir ha da tempo riposto la sua fiducia in validi musicisti fra i quali ci sono gli italiani Jacopo Meille e Francesco Marras (chitarre) e, visti i risultati, non gli si può dar torto. Spero che il ruggito della tigre ci accompagni per molto tempo ancora: ne abbiamo bisogno
Ultimo aggiornamento: 13 Mag, 2023
Top 10 opinionisti -
Conoscevo Michele “Mike” Bertoli come speaker radiofonico, ma non sapevo che fosse anche un chitarrista. Dopo una militanza negli Sky Devils (un demo all’attivo) e negli Astras (un album), Mike ha dato uno stop deciso alla sua carriera fino a che, aiutato dall’amico Nik Capitini, ha messo in piedi il progetto Avatar. Sono stati molti gli ospiti che hanno prestato la loro opera nelle otto tracce di “The Giant Within” e, dai nomi coinvolti, ciò avrebbe dovuto garantire un valore aggiunto e una qualità sopraffina. Non sempre tutto è andato per il verso giusto, ma non disperate: il disco ha anche degli aspetti positivi. Continuando nell’analisi, se da un lato è stato lodevole il fatto di avere lasciato ai diversi cantanti l’opportunità di creare le linee vocali adatte al proprio timbro e “credo musicale”, dall’altro è stato creato un disco molto “frazionato”. Nik Capitini, oltre a fornire le linee di basso di quasi tutti i pezzi, è stato anche l’autore di mixaggio e mastering ed ha dovuto far fronte ad una mole di lavoro imponente. Ciò ha portato ad un risultato finale che manca di potenza e rotondità del suono ed è un peccato perché alcuni pezzi funzionano. Molto bella “Valley of Death”: un Heavy energico dai riff stampati, che vede alla voce un Goran Edman (Malmsteen, Norum ecc) veramente in forma. “Learning From The Past” alterna blocchi duri e partenze in corsa, con la voce di Roberto “Rob” Della Frera (Love Machine) che marca il territorio con grande piglio. Bello e ben inserito nel contesto, il solo di Mike Bertoli. “Sense of Freedom” è riuscita dal punto di vista vocale: al canto c’è Ian Parry (Elegy, Tony Martin ecc.), ma l’arrangiamento, soprattutto nella fase centrale non è soddisfacente. Pollice in su per “Alive Again”, che vede alla voce Val Shieldon (ex-Sigma). Il pezzo ha un bell’incedere arrembante ed il solo di chitarra di Roberto Cardinali (R.I.P.) segna il ritmo in velocità con la dovuta grinta e tracotanza. “Devil’s Bridge” è un pezzo in stile Pantera, ma non mi ha convinto. Poca potenza nel suono e una voce, quella di Jacopo “Jack” Mascagni, che per essere ai livelli di Phil Anselmo o del Max Cavalera dell’era di “Roots”, deve migliorare. Credo che Mike abbia accumulato nel tempo un po' di ruggine e che debba scrollarsela da dosso. In questo modo troverà la via giusta sia per comporre che per suonare al meglio: visto che ha imbracciato la chitarra sin dall’età di tredici anni le capacità non gli mancano di sicuro. Per il momento, sufficienza garantita.
Ultimo aggiornamento: 03 Mag, 2023
Top 10 opinionisti -
Ci può essere qualcosa di nuovo da dire su una band come gli Spitfire che, se pur a fasi alterne, è presente nel mondo del Metal italiano sin dal 1981? Certamente! Iniziamo dal nome che è stato completato con Mk III per omaggiare i Deep Purple, per suggellare il tipo di formazione: da quintetto a quartetto e poi a terzetto, e per confermare l’unione di tre musicisti nel nome del Rock. Vale la pena spendere due parole sul concetto e sul progetto grafico che stanno dietro a “Shadows Phantoms Nightmares”. Interessante vedere come nel booklet sono riportati manifesti a volte “personalizzati” a volte no, con personaggi che gli appassionati cinefili del genere Horror conoscono bene come “Creature Of The Black Lagoon”, la simpatica e avvenente Elvira - Mistress of the Dark o il terrificante Nosferatu il vampiro (film del 1922 accreditato come “Despair” sul manifesto nel booklet). Il manifesto de “I Guerrieri Della Notte” con rappresentata la canzone “Gangs Fight”, poi, fa ben capire lo spirito che anima i musicisti. Altro aspetto che non si può trascurare è quello del suono. Ho ascoltato il CD in cuffia e devo dire che il lavoro svolto da Fabio Serra (registrazione e mixaggio) e Roberto Priori (Mastering) è veramente sopraffino. Passando ai musicisti e cioè Giacomo “Giga” Gigantelli (voce e basso), Stefano Pisani (chitarra), due veterani della scena, e Luca Giannotta (batteria), i tre sanno suonare bene e lo dimostrano negli undici brani; dodici nella versione CD, del disco in questione. Dopo tanti fattori positivi vi starete chiedendo se c’è qualche “ombra”. Sicuramente siamo di fronte ad un CD nel quale i più esperti in materia di Metal troveranno numerosi richiami a gruppi esteri blasonati e molto conosciuti ma, d’altro canto, nell’Hard n’Heavy degli ultimi quindici anni, scovare un briciolo di originalità è diventato praticamente impossibile. Sono persuaso del fatto che “Earthquake” sia una sorta di omaggio “vitaminizzato” ai Deep Purple di “Higway Star”: ascoltate il riff portante e ne converrete. Dopo la ruvida “The Eagles Are Laughing”, gli animi si scaldano e parte una galoppata a nome “Phantom Barrow”: uno dei tre pezzi composti negli anni '80 e rimasti inediti fino al 2022. Bello il solo su ritmo aperto, che si colloca fra l’inquieto e il pindarico. ”Once it Was Human (The Fly)” esce fuori dagli schemi grazie ai numerosi cambi e a fasi Progressive Metal suffragate dai cori: con le dovute proporzioni sembra di sentire i Dream Theater di “A Fortune in Lies”. Dopo tanto correre era lecito aspettarsi qualcosa di più blando ed è così che si palesa “Spirit of The Blind Man” con validi echi di tastiere e cori. “Screaming Steel” è costituita da un ritmo roccioso affiancato a cambi medi e lenti. “Gangs Fight” è un Hard n’Heavy a briglia sciolta con un ritornello giocato su parole classiche per il genere. “Golem Of Prague" è una miscela fra i Saxon di “We Came Here to Rock” e i Judas Priest di “Turbo Lover”; bello il solo tagliente ad opera di Stefano Pisani. “Sign of the Times” è sorretta da un riff robusto accompagnato dalla melodia: un mix fra Saxon e Dio. “Beauty VS Beast” viene presentata come la canzone che segna il nuovo corso degli Spitfire Mk III. Il pezzo inizia con una chitarra acustica (suonata da Fabio Serra) che “gioca” nel canale destro e sinistro, e si sviluppa attraverso numerosi cambi di ritmo. “Winners Take All” mescola riff aggressivi e Hard Rock di stampo americano assemblati con una chitarra in gran forma. La conclusiva “Despair” che, vi ricordo, è la bonus track del CD, è tutt’altro che inutile o, come spesso accade, uno “scarto”; è un arrembaggio sonoro degno di una scorreria compiuta in piena libertà. Un basso spesso in evidenza, una chitarra per lo più aggressiva, una batteria degna compagna di ritmo e le tastiere dell’ospite Pier Mazzini che non risultano mai invadenti ma che, anzi, sono al servizio del ritmo e lo impreziosiscono con tocchi delicati e brevi incursioni. Se solo ci fosse stata un tocco di originalità in più saremmo di fronte a un disco perfetto ma accontentiamoci. Se questi “dinosauri” esaurissero la loro passione per la musica chi prenderà in mano lo scettro del comando? Ai posteri l’ardua sentenza.
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