Opinione scritta da Roberto Orano
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Top 10 opinionisti -
Tornano alle stampe con questo terzo disco i fratelli californiani Jasun e Troy Tipton, ex membri del progetto Zero Hour, oggi sotto il nome di Abnormal Thought Patterns, per chi non fosse al corrente, un'avventura strumentale che ad oggi s'è ritagliata feedbacks di tutto rispetto nella scena mondiale, e che la Lifeforce ha saputo cogliere al volo.
Il trio, arricchito dal batterista Mike Guy (fondatore dei predetti Zero Hour, ed ex-Death Machine), oggi vanta la presenza di un supporto chitarristico più che notevole con Richard Shardman che spara riff poderosi su patterns tra modern-thrash e death, stracolmi di mid-tempos e ritmiche sincopate che possono ricordare i Meshuggah, il tutto infarcito da bellissime linee melodiche ed un susseguirsi di divagazioni con solos ipertecnici.
Ma non contenti, dopo una partenza ai limiti del capolavoro con "Distortion Of Perception", i Nostri hanno assoldato Tommy Rogers dei Between The Buried And Me e Jeff Loomis degli Arch Enemy per abbellire a dismisura "Nocturnal Even", track dai netti sentori malinconici, specialmente per delle linee vocali in pulito molto sognanti. Intervengono, invece, Michael Manring (Into Eternity) e John Onder (Artension) nella psichedelica "Synesthesia", infarcita di basso fretless.
Insomma, un disco che per la classe delle melodie, il songwriting fresco, il sound complesso e l'indubbia tecnica dei singoli musicisti si candida per essere una delle uscite più interessanti dell'anno!
Ultimo aggiornamento: 09 Giugno, 2015
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Se siete deboli di cuore lasciate perdere questo disco! Un disco decisamente cupo, nero e viscoso quanto il catrame, in un grindcore che pesca soluzioni anche dal crust, dal death e dal thrash più intransigente, con una dozzina di songs sparate a mille che vi faranno letteralmente provare esperienze extracorporali.
Il riffing è a tratti scarno e tagliente, al vetriolo, a tratti duro e compatto come un macigno, ed attacca la giugulare; la sessione ritmica è veloce ed ipertecnica, e lo screaming acido e rabbioso. In tutto questo si susseguono cambi repentini, in una sensazione generale di buio eterno, anche per via di alcune soluzioni sonore particolari e di varie dissonanze, dentro ad un'atmosfera tanto violenta quanto lugubre che ci accompagna per tutto il disco.
Un grindcore fatto a pennello, disegnato per distruggere ogni cosa che incontra ma, allo stesso tempo, completato da un tocco moderno che sicuramente ne segna il punto di forza.
Ultimo aggiornamento: 09 Giugno, 2015
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La Francia ci ha abituato negli anni ad uscite moderne e sperimentali, tra la modernità ormai vera e propria bandiera del metallo d'oltralpe, troviamo i Deer Blood, editi dalla sempre francese Dooweet Records.
La band per questa uscita tanto attesa ha messo assieme un disco di nove canzoni ("Devolution") ed un bonus EP di altre quattro canzoni intitolato "Killing Engine", remixato e rimasterizzato. Quel che traspare dai primi ascolti è che forse abbiano appunto esagerato un pochettino con la durata complessiva di questa release.
Detto questo, sin dalle prime note di "Bushmaster" traspare un sound in cui vige l'eleganza nel riffing, la band sa davvero il fatto suo dietro la stesura delle sei corde, infatti, ci trasporta con un riffing thrash/heavy potente e quadrato, ma al contempo vario e complesso, talvolta ai limiti del blues, che sa aprirsi bene verso linee melodiche piacevoli, anche se l'esagerazione in certe divagazioni solistiche può mettere a dura prova chi ascolta. A questo si aggiunge una sessione ritmica precisa che ci delizia con alcuni buoni passaggi e cambi di tempo. Purtroppo, se il quadro strumentale è ben disegnato, anche se un po' ripetitivo, quel che manca realmente al gruppo è una voce potente. Si, perchè il vocalist non ha una brutta voce, e ci sta anche parecchio bene in vari frangenti, ma talvolta servirebbe più potenza vocale per esaltare i singoli passaggi di questo sound.
La band deve sicuramente trovare un punto di svolta per quanto riguarda la voce e smussare un attimino un songwriting che lascia trasparire senzazioni molto positive, ma che necessita di essere arricchito da un po' più di varietà; magari la prossima volta basteranno una decina di buone canzoni.
Ultimo aggiornamento: 09 Giugno, 2015
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Tornano alle stampe, supportati da Lifeforce Records, i neo-zelandesi Antagonist A.D.. La band oceanica si è ritagliato un netto spazio nella scena 'core, per essersi fatta notare con album infarciti di un hardcore intransigente e sfrontato, ma ora rischia il proprio destino decidendo di rimettere in gioco le carte e, per questo, chiama in causa Sam Carter degli Architects, Andrew Neufeld dei Comeback Kid e JJ Peters dei Deez Nuts, mettendo in piedi un sound ben più smussato e, se vogliamo, leggero rispetto alle prime uscite, ma che sicuramente sarà più appetibile ai più e probabilmente indirizzerà la band verso una fama di tutto rispetto anche in Europa.
Nonostante un lieve appiattimento per quanto concerne la violenza, i Nostri iniziano sin dall'intro a scuoterci tra riff thrasheggianti veloci, stacchi hardcore pesantissimi, passaggi post-HC e ripartenze brutali, con ritornelli leggermente più marcati rispetto al passato e aperture un po' più melodiche, anche per via dell'apporto vocale del frontman degli inglesi Architects, nonostate per tutta la durata del disco si venga accompagnati da uno screaming davvero aggressivo.
"Haunt Me As I Roam" è decisamente un bel disco, che fila via con facilità sin dai primi ascolti per la carica emotiva che sa trasmettere, sicuramente la band può ancora migliorare, pertanto ci aspettiamo un seguito ancor più vario e moderno.
Ultimo aggiornamento: 27 Mag, 2015
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Appena ho visto la copertina di "Madness" degli emiliani Dirty Sanchez ho pensato subito ad un qualcosa verso la scena nu-metal sud americana, magari con influenze folkloristiche; poco dopo ho scoperto che questo nome si usa anche per definire una posizione sessuale.
Apparte questa disgressione, i D.S., formatisi nel 2012, dicono di voler ripercorrere le sonorità di bands quali Deftones (non vedo l'ora di mettere su il disco!), Disturbed (non mi dispiacciono affatto, se parliamo dei primi due dischi), Killswitch Engage (ok, voglio mettere su il disco a palla!) e Nirvana (ci stanno). Una volta sparato il disco, beh, di queste bands non c'è proprio tantissimo nel sound del quintetto nostrano; i D.S., infatti, mettono in piedi un sound crossover che trae ispirazione dal thrash e dal rap, con cantato in italiano (per quasi la totalità del demo) ed una valanga di effetti dal mixer che ricordano i Limp Bizkit in uno stile che indirizzerei maggiormente verso gli (Hed)pe.
Il riffing è sempre compatto e mira a rendere il sound cadenzoso al punto giusto per poter accompagnare il rap sfrontato del vocalist, a tal punto da concedersi alcuni stacchi forgiati di metallo, e poi sfociare su refrains di facile ascolto e con voce al limite dello screaming. La canzone che probabilmente si distingue maggiormente dal filo conduttore del disco è "Una Notte Di Mazzate", dal bellissimo testo, ma soprattutto dalle ritmiche più sfrontate e l'incipit dal ritmo sostenuto.
Un buon mini, dunque, questo dei Dirty Sanchez, la band si contraddistingue per l'attitudine e per lo stile talvolta malsano del proprio songwriting (che definirei "da strada"), con pochi fronzoli ed una marcia in più data dal dj Matteo Benati che martella l'ascoltatore in continuazione facendo venir voglia di farsi un giro in skate con una birra alla mano.
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Un disco devastante ma non certo indimenticabile per i death-blacksters finlandesi Vorum. Con tutto il rispetto, ma la band in cinque canzoni della durata media di tre minuti non riesce a pescare alcuna soluzione che cambi un attimo le carte in regola all'interno del disco, e continua per tutta la durata a sfornare blastbeats e riff velocissimi su un tappeto di batteria brutale in cui la grancassa non si ferma mai. Si in linea col genere, ma purtroppo solo nella titletrack riusciamo a trovare un pò di melodia e soluzioni interessanti in quanto più varie.
Alla fine si resta con l'amaro in bocca e si ha come la sensazione che la band stia suonando in live improvvisando costantemente, come fosse una jam session, il vero problema è pensare ad un full-lenght simile!
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The Paints Of Past Memories, questa band spacca!
Provenienti da un Ucraina letteralmente nel chaos più totale, la band riesce a dare alle stampe questo disco che segna il proprio debutto discografico, e che disco. Un bellissimo metalcore con venature progressive e soluzioni variegate che riesce a mettere assieme alla perfezione melodie sognanti e malinconiche, un riffing serrato e violentissimo tra cambi di tempo prepotenti ed improvvisi, refrains epici, screaming, growl e cori pescati dall'hardcore, il tutto supportato da synths e qualche effetto sonoro che perfeziona la qualità del sound, con un lieve tocco di hardcore melodico.
Per trent'uno minuti la band ci sfizia con un impatto frontale degno di nota che riesce però ad essere melodico, anzi, sarebbe da dire: melodico il giusto, senza stufare per mielosità e soluzioni scontate, ma sempre quadrato quanto basta.
Una vera e propria rivelazione in giornate di noia musicale con i The Paints Of Past Memories, a cui vanno i miei complimenti!
Ultimo aggiornamento: 12 Mag, 2015
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Primo EP per questa band nostrana formatasi nel 2013 sotto il nome di Jungle Julia. Il quintetto, che attualmente è già rientrato in studio per registrare un nuovo disco, si definisce "death-punk" e descrive i propri testi come "teoremi matematici applicati alla vita di tutti i giorni" o ispirati a film dell'orrore di serie B.
Ciò che sicuramente traspare da questo (s)platter è che lo stile dei Nostri, chiaramente di matrice punk old-school, non solo riesce a pescare alcune soluzioni dal death metal, ma lascia percepire una lievissima impronta hardcore e thrasheggiante in alcuni riff e incipit sfrontati (che a mio modo di vedere sono le azioni salienti del disco), dando atto di una tecnica più che rispettabile, anche per quanto concerne gli assoli.
Purtroppo, se da una parte il mix è interessante (e messo assieme in maniera intelligente), tocca anche sottolineare come la voce non sempre riesca a coprire perfettamente la sessione ritmica e talvolta il riffing non convince per impatto ed aggressività, risultando così un po' scarno; tutto questo, comunque, condito da un'attitudine che esalta il sound, un sound in cui la band si destreggia bene quando c'è da picchiare duro. Aspettiamo dunque il prossimo EP per poter dare una conferma!
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Primo EP per i francesi Kera, di cui non abbiamo moltissime informazioni. Il quintetto sin dalle prime note mette in piedi una sorta di modern thrash che riesce a pescare soluzioni anche dal progressive e dal death.
Si parte con i buonissimi cambi di "Masters Enslaved", una veloce infarcita di stacchi brutali tendenti al metalcore; l'intento è subito quello di attaccare l'ascoltatore, e non bastano i solos melodici ed il bridge di chitarra acustica elettrificata per tornare nella normale quiete, perchè poi si torna subito a picchiare duro con un thrash un pò scarno ma letteralmente imperterrito. Peccato che la durata della song sia un pò esagerata e rischia di stufare l'ascoltatore.
Procediamo con l'iper-tecnica "Architects of Chaos", un'altra traccia capace di mettere assieme buoni cambi, in un riffing thrasheggiante moderno che spazia verso l'hardcore e poi arriva a sfiorare il melo-death con la chitarra solista dannatamente ben arrangiata, e poi ancora la sfuriata death di grancassa.
Concludiamo con "Silence" da cui traspare una venatura quasi heavy, ma che dopo un assaggino, in realtà spazia subito a del modern thrash. Heavy che ritroviamo con l'avvicinarsi al refrain e ancora successivamente quando aumenta la velocità d'esecuzione dei Nostri, arrivando poi ad un bridge di ottima fattura. Ancora una volta però sfioriamo gli otto minuti in una varietà sonora non sempre al massimo delle proprie potenzialità.
Un buon EP, ma la band deve migliorare nel songwriting per poter dare alle stampe il full!
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E' un vero e proprio bordello sonoro quello messo in atto dai teutonici We Butter The Bread With Butter, al debutto discografico dopo un full lenght autoprodotto dato alle stampe due anni fa.
Se il nome della band è già di per sè pazzesco, beh dovreste ascoltare "Wieder Geil!" per intero, perchè il disco in questione può essere solamente riconducibile a menti depravate e schizzate, nel senso buono chiaramente. Un mix di hardcore, metalcore, elettronica e campionature a bizzeffe accompagnati da stacchi e chitarroni cadenzosi, growl e screaming, fino ad aprirsi verso ritornelli pop e soluzioni che alle volte ricordano vagamente la musica dance. Di cambi di tempo davvero significativi non se ne ricordano moltissimi, ma la band se la cava benissimo con degli stop & go melodici, intervallati da stacchi pesantissimi. Un pò di vecchio tu-pa tu-pa avrebbe sicuramente dato quel qualcosa in più a questo disco, ma per ora va più che bene così per chi ha voglia di note moderne.
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