Opinione scritta da Celestial Dream
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Ultimo aggiornamento: 07 Agosto, 2024
Top 10 opinionisti -
Bella sorpresa questo “Five Steps on the Sun” firmato DarWin, artista mascherato del quale non si sa molto. AOR dalle tinte Progressive, moderne e sci-fi che appassiona con calde melodie e parti strumentali frizzanti. Echi di Styx, di Kansas, Pendragon... insomma qui per gli amanti delle melodie raffinate c'è parecchio da ascoltare! Emblematica la partenza con “Soul Police”, quattro minuti scarsi di intense linee vocali ben accompagnate da partiture Prog con un tocco Funky. Sonorità moderne che vengono fuori maggiormente grazie ad alcuni effetti sulla voce e negli arrangiamenti durante “Inside This Zoo”. E che dire del Progressive più massiccio di “Be That Man”? Le chitarre si fanno più presenti dando verve alla strofa prima di lanciarsi su un coretto ben impostato. La strumentale “The Sun” riesce a colpire con chitarre e tastiere a disegnare buone melodie, mentre la sofisticata ed intima “Hulks & Heroes” lascia spazio ad un assolo di basso che attira le attenzioni, ed il finale è affidato alle sonorità più solari di “What Do We Know”, accompagnata da cori rotondi e sognanti e ad un bel solo di pianoforte. Un lavoro suonato molto bene dove compaiono ospiti del calibro del batterista Simon Phillips (Jeff Beck, Toto, Protocol), del tastierista Derek Sherinian (Dream Theater, Sons Of Apollo), del chitarrista Greg Howe (Michael Jackson, Protocol) e del bassista indiano Mohini Dey (Steve Vai, Zakir Hussain). Se amate il Progressive Rock (e Metal) e non disdegnate l'AOR e le calde melodie, “Five Steps on the Sun” è un disco al quale dare una chance!
Ultimo aggiornamento: 29 Luglio, 2024
Top 10 opinionisti -
Italian AOR! Che dischetto che ci piazzano i Night Pleasure Hotel con questo "Portraits", debutto degno di attenzione. La band nasce una decina di anni fa sotto il nome di Alex Mari & The Lovers ma la decisione di cambiare il monicker con quello attuale ci sembra decisamente azzeccata! Alex Mari (Michele Luppi Band, Barock Project, Ophiura) alla voce, Gianluca Pisana alla batteria e Sebastiano Barbirato alle chitarre formano un terzetto ispirato e preparato. Sì, perché se il disco parte bene con l'opener “Niko”, è subito dopo che viene da stropicciarsi gli occhi; “Just This Once” è una super hit prodotta alla grande che mette in mostra una cura nei dettagli davvero esemplare. I cori in particolare giocano un ruolo fondamentale per portare a casa un risultato eccelso. La lenta “We Say Goodbye” mette in mostra le doti vocali notevoli della squillante voce di Alex, talento vocale che si conferma con la spettacolare “Walking Through the Horizon” dove disegna melodie angeliche. Un terzetto capace di mettere al tappeto buona parte della concorrenza anche internazionale! Le calde melodie di “You And I” e “Shivers”, l'acustica ballata “Sweet Melodies of Rain” e la più corposa “What I Feel” sono altri appuntamenti imperdibili durante l'ascolto. E nel finale è d'obbligo menzionare l'ennesima canzone lenta, la raffinata “Suddenly”, che ritroviamo anche come bonus nella versione in italiano intitolata “Quella Sera”. Brano davvero splendido. Forse l'unica pecca di questo lavoro sta nella massiccia presenza di pezzi lenti (soprattutto nel finale) e magari in futuro il terzetto potrà rendere il tutto più vario, ma c'è veramente poco da criticare all'interno di un disco che cattura ed appassiona. Per i fan dell'AOR più raffinato - dei Foreigner per intenderci - “Portraits” è un debutto da gustarsi dalla prima all'ultima nota!
Ultimo aggiornamento: 23 Luglio, 2024
Top 10 opinionisti -
Abbiamo incontrato Markus Pfeffer già diverse volte in passato nei suoi progetti Barnabas Sky e Lazarus Dream. Stavolta, in compagnia di nomi di peso come il frontman Mark Boals (Ring of Fire, ex-Yngwie Malmsteen's Rising Force), il tastierista francese Jorris Guilbaud (Devoid, Heart Line) ed il batterista Markus Kullmann (Glenn Hughes, Sinner, Voodoo Circle), il chitarrista tedesco mette in piedi gli Atlantis Drive. Si tratta ancora una volta di Melodic Hard Rock, forse stavolta dalle tinte maggiormente ottantiane, sempre con molta attenzione rivolta verso le melodie. Mark al microfono contribuisce a modo suo e in generale la formazione mostra di saperci fare, in particolare lo stesso Markus che si concede parecchio spazio per i suoi assoli mentre Guilbaud è sempre molto presente con tastiere che avvolgono i brani senza troppi protagonismi. Siamo di fronte ad un più che discreto debutto, al quale manca un pizzico di verve in più per elevarsi e farsi riconoscere dalle tante pubblicazioni che incontriamo e che affollano settimanalmente la mail ufficiale del nostro sito. L'opener “Way Back When” si scatena su ritmi frizzanti e melodie facili, ma non conquista del tutto e, se apprezziamo il fatto che la band non si dilunghi troppo limitandosi a dieci canzoni, non siamo certo di fronte a dieci capolavori assoluti. Nel complesso funzionano maggiormente i brani dall'impatto melodico più spensierato ed esaltante come “Faith”, ariosa al punto giusto, e “Living For The Moment” dal tocco Progressive, ma anche le lente, in particolare la malinconica “Farewell to a Friend”, che ci avvicina alla chiusura della tracklist. Per il resto canzoni abbastanza canoniche e forse un Mark Boals che poteva essere sfruttato meglio. Un esordio carino questo omonimo degli Atlantis Drive, ma la domanda che viene spontanea è questa: “E' una produzione per la quale spenderei 17-18 euro?”. A voi la risposta!
Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 2024
Top 10 opinionisti -
Power/Heavy Metal roccioso per i Reverend Hound, band tedesca che strizza l'occhio alla scena americana, vedi i Vicious Rumors. La voce di Wolfgang Gräbne può forse apparire troppo impetuosa e non convince appieno, ma in fin dei conti contribuisce al sound possente del quintetto bavarese che apre la strada dell'ascolto con la possente “The Night”. Le chitarre sono coriacee e si spingono su lunghi assoli. “Deal in Steel” è il terzo capitolo per l'act teutonico, che si presenta con otto brani diretti e compatti che si spingono spesso anche oltre i sei o sette minuti di durata, veri macigni sonori confermati con la rocciosa “Hounds of the Sea” dove echi di Brainstorm e Mystic Prophecy sono piuttosto evidenti. Certo, se si è alla ricerca di varietà sonora non si è nel posto giusto. Ma in quanto a potenza i Reverend Hound sono secondi a pochi. Merito come già accennato di Thomas Meyns e Sebastian Weinstock, che alle chitarre non si risparmiano mai. Ma anche la sessione ritmica è degna di nota in particolare con il drumming deciso di Andreas Lorenz. “Days of Wrath” e “Glory” mostrano ancora quelle doti sopra descritte, ma anche quanto alla band manchi un pizzico di estro per poter ogni tanto cambiare registro e rendere le composizioni più coinvolgenti. Meglio i ritmi quasi Thrash di “Seeds of Faith”, anche se le linee vocali potrebbero essere gestite meglio aggiungendo qualche coro, prendendo magari spunto proprio dai cugini Brainstorm. E avvicinandosi al finale le cose non migliorano molto con la troppo lineare “Fallen Angels”, forse il momento più basso dell'intero ascolto, mentre nella conclusiva “A Cry for Light” sembra che la band trovi un buon compromesso con sonorità più powereggianti e qualche rimando ai primi Bloodbound, così da confezionare un pezzo maggiormente spensierato e frizzante. In quanto a potenza ci siamo eccome, ma non convince del tutto la prestazione canora e neppure le linee vocali, sulle quali bisogna certamente fare un netto miglioramento in futuro. Lo spirito Heavy però non manca ai Reverend Hound!
Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 2024
Top 10 opinionisti -
Heavy metal fumante ma classico e melodico allo stesso tempo. E' ciò che esce dalle casse una volta inserito questo “Muerte Y Metal”. Dal titolo del disco ci saremmo attesi una band spagnola od argentina, in realtà gli Intranced arrivano da Los Angeles, ma hanno voluto omaggiare in alcuni brani la lingua latina che ben si adatta, come sappiamo, alla musica che amiamo. Dopotutto alcuni dei componenti degli Intranced hanno discendenze messicane ed argentine e l'heavy spagnolo ha giocato in loro un ruolo decisivo con band come Baron Rojo, Obus, Angeles Del Infierno e Muro. Possiamo affermare che le canzoni incluse in questo disco siano un forte omaggio a Mark Reale ed ai Riot. Le chitarre fiammante, le calorose melodie, quelle atmosfere ottantiane sempre ben presenti... Ancora una volta l'etichetta tedesca High Roller Records ci ha visto bene pubblicando questo disco ricco di energia ed adrenalina a partire dalla scoppiettante opener ”Reyes De Las Tinieblas”. Ma i ritmi sono spesso elevati per le composizioni firmate Intranced; le scintillanti “Switchblade” e “I Dunno Nothin'” possiedono un forte retrogusto ottantiano e sembrano saltar fuori da album come “Narita” e “Born In America” della band newyorkese sopra citata. Fili Bibiano alla chitarra è instancabile alternando riff ad assoli e la produzione legata ai tempi passati aiuta a ricreare il perfetto mood. Più che convincente anche la prova vocale di James-Paul Luna, sempre a suo agio tra passaggi più grintosi ad acuti squillanti. La title-track è un gran bel inno tutto da cantare, un mid-tempo eroico che appassiona dai primi passaggi. Riff infuocati conducono la veloce “Lady Lightning”, lasciando poi spazio alla rockeggiante “Pulse”. Infine l'Hard'n'Heavy di “Passionate Pretender” è da manuale e la chiusura è affidata all'intensa power ballad “See You on the Other Side”. Un debutto appassionante che non contiene alcun passaggio a vuoto. Un disco che omaggia il Metal, quello classico, quello che non sparirà mai! Intranced, que fuerza!
Ultimo aggiornamento: 13 Luglio, 2024
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Quando si parla di Hard Rock elettrizzante il nome dei Kissin' Dynamite deve per forza saltare fuori. Da diversi anni l'act tedesco delizia i padiglioni auricolari degli appassionati delle sonorità più rockeggianti e anche questo nuovo “Back with a Bang” - che segue il buon “Not the End of the Road” del 2022 - si dimostra un disco capace, nelle sue dodici tracce, di colpire con melodie canticchiabili ed un'energia sempre presente. E pensare che erano partiti nel 2007 come una band di teenager con solamente tanta passione. E' un urlo di Hannes Braun ad aprire le danze con la robusta title-track; le sonorità sono le classiche per la band tedesca con chitarre roboanti, melodie facili e un assolo compatto e diretto. Ovviamente non mancano i pezzi più festaioli e Party Rock, uno messo subito lì all'inizio che risponde al nome di “My Monster” e più avanti con “The Devil Is a Woman”, ma anche in questi brani le chitarre non arretrano di un millimetro e rimangono rocciose. Sono l'impatto Pop/Rock dell'accoppiata “The Best Is Yet to Come” - “I Do It My Way” a mostrare un lato catchy ed avvolgente, che a nostro parere fa pieno centro. E se “More Is More” è il classico inno da stadio con un tocco moderno sulla produzione delle chitarre, la pomposa “Learn to Fly” è tutta da cantare e infine la lenta “Not a Wise Man”, posizionata nel finale, non sarà ricordata come la ballata del secolo, ma funge da buon brano di chiusura. Un disco di mestiere probabilmente, ma è ovviamente impresa ardua riuscire a sorprendere restando ancorati a queste sonorità ed i Kissin' Dynamite svolgono alla grande il proprio compito e faranno certamente felici i fan. Otto album in studio non sembrano scalfire più di tanto la voglia di rockeggiare per il quintetto tedesco che si conferma ancora una volta band di assoluto valore!
Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 2024
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Potremo certamente inserire i Maverick nella lista delle band più sottovalutate del pianeta, almeno restando all'interno degli act più recenti, e parlando di ciò che accade nella nostra Penisola dove il gruppo sembra passare sempre nell'ombra nonostante ormai quattro release di assoluto interesse. Il gruppo di Belfast, che certamente possiamo inquadrare nelle fila di band come Eclipse ed H.E.A.T, possiede da sempre qualche segno distintivo non da poco. L'Hard Rock melodico dei Nostri ha un bel tiro e colpisce sia con melodie ricche di adrenalina, ma anche con qualche passaggio decisamente più possente. E questo nuovo "Silver Tongue" non cambia di certo le coordinate stilistiche, anche se sembra osare meno rispetto al recente passato e 'accontentarsi' un po' di un sound più classico. Non a caso la formazione è tornata quella degli esordi (e del debutto "Quid Pro Quo"), con il ritorno nel 2021 del batterista Mike Ross, dopo l'abbandono per problemi personali del chitarrista Ric. Il basso echeggia con carattere nelle note iniziali di "Puppet Show", prima che la melodica e possente "Sweet Surrender" irrompa con decisione mostrando il lato catchy della band. Coretti e riff si muovono a braccetto sulle tinte Glam alla Skid Row di "Daywalker". Impresa non facile restare distaccati da un brano 'in your face' e classico nello stile della band come "Halfway To Heaven", dove troviamo chitarre che corrono sfrecciando ed un refrain da cantare, il tutto spinto da un bel drumming energico. Riff penetranti che continuano con il mid-tempo fumante "Bloody Mary", mentre "Time" resta impressa per melodie vocali altamente canticchiabili. A chiudere ci pensa invece la party-song "Cheyenne", con il suo mood festaiolo e spensierato. Il quinto album in studio dei Maverick è un altro must-have per ogni seguace delle sonorità rockeggianti, anche se, soprattutto nella seconda meta della tracklist, non tutti i brani riescono a risultare trascinanti. Di certo melodia ed adrenalina sono due ingredienti che non mancano mai nelle composizioni del quintetto di Belfast.
Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 2024
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Nuova fatica discografica per i Millennial Reign, autori di un Power Metal abbastanza diretto e compatto che presenta la voce femminile della cantante Tiffany Galchutt, che va a sostituire il fenomenale ma partente Travis Willis, entrato nei Crimson Glory e che aveva donato alla grande la sua ugola nel buon "The Grand Divide", dato alle stampe 2018. Un approccio moderno sin dalla produzione, decisamente bombastica con riff possenti ed arrangiamenti che esplodono vigorosi; la band statunitense, con questo "World on Fire”, cerca di farsi notare, ma purtroppo c'è ben poco che funziona. Vuoi per la voce - dove la brava Tiffany fa un discreto lavoro, ma alla quale manca un po' di sentimento e di interpretazione -, vuoi per un songwriting che appare appannato fin dalle prime battute con la fin troppo scontata "Bring Me to Life", sia per quanto riguarda le linee vocali - che si limitano spesso a passaggi scontati –, ma anche dal punto di vista strumentale; insomma tanti piccoli difetti che segnano inesorabilmente questa produzione. Ai Millennial Reign va riconosciuta la volontà di provare ad inserire qualche elemento extra, come succede tra le note orientaleggianti che circondano il Power/Prog di "Wandering", e i rimandi ai Kamelot dell'era "Fourth Legacy" sono abbastanza presenti, ma manca sempre quel brano in grado di conquistare e il susseguirsi della piacevole e melodica "Trust" e di “Tongues of Fire” somigliano ad un bolide che, arrivato ad innescare la terza, non riesce mai poi a salire in quarta e quinta marcia facendosi così superare da tanti altri concorrenti. Nell'up-tempo "We Follow On" le orchestrazioni sono esagerate e quasi fuori tempo con il resto della musica e la soporifera "Eternity" è davvero anemica, tanto che le chitarre di Dave Harvey - che invece si fanno possenti nella successiva "Crack In the Eastern Sky", che ahimè pecca di linee vocali anonime - sembrano andate in pensione. E appena prima che la coscienza ti ordini di togliere le cuffie e di passare al prossimo disco, un minimo di sollievo per le orecchie arriva prima con la piacevole title-track, poi con la partenza finalmente sanguigna ed elettrizzante della buona "Onward to Victory", a testimoniare che questi americani poi non sono così scarsi come a volte vogliono farci credere. E che la scarsa riuscita di questo disco non ricada interamente sulle spalle della povera Tiffany, che certo non brilla di talento, ma che non può certo fare i miracoli su composizioni concepite abbastanza male. Non dico che avevamo chissà quali aspettative su questo ritorno discografico dei Millennial Reign, ma ci aspettavamo un lavoro almeno valido e ben suonato. "World on Fire" si rivela invece un autentico buco nell'acqua, uno di quei passi falsi che può davvero minare l'intera carriera di una band.
Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 2024
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E rieccoli i Sunburst, talentuosa band greca che ci aveva appassionati con il precedente disco in studio, datato ormai 2016 e intitolato “Fragments of Creation”. È vero, il gruppo ellenico cercava di copiare senza alcun ritegno il sound che i Kamelot avevano plasmato in dischi come "Karma" ed "Epica", ma lo facevano con grandi effetti. In questo nuovo lavoro, va detto, il gruppo greco prova almeno a far sembrare il tutto più personale. Ci riesce? Anche sì! A partire dalla voce del bravissimo Vasilis Georgiou, che qui ci mette del suo senza sembrare la versione ellenica fatta con la carta carbone di Roy Khan. E poi i pezzi sono davvero notevoli e supportati da tecnica individuale elevata da parte di tutti i musicisti. Un album che si spinge su territori più progressivi e orchestrali, quasi cinematici in qualche passaggio, ma ciò nonostante rimanendo abbastanza compatto sia nel complesso (solamente otto brani nella tracklist) sia prendendo le composizioni una ad una che si mantengono sempre attorno ai sei minuti di durata. Le chitarre di Gus Drax alternano riff possenti alla Symphony X ad assoli di classe, mentre per le tastiere compare un ospite d'eccezione come Bob Katsionis. Brani articolati ma che non si perdono mai per strada, tenendo incollato l'ascoltatore lungo ogni passaggio anche durante l'opener "The Flood" che si dilunga sì per otto minuti, ma lo fa con equilibrio. Tastiere che accompagnano le composizioni restando al loro posto e prendendosi solo raramente i riflettori durante alcuni assoli. La voce di Vasilis è invece protagonista con melodie calde e ricche di pathos e la chitarra di Gus a calibrare riff agita teste ad assoli al fulmicotone. "Inimicus Intus" mette sul piatto parti strumentali alla DGM con melodie più attratte dagli svedesi Seventh Wonder, la più intima "From the Cradle to the Grave" non alza mai i giri del motore e ricorda più da vicino i Conception e poi la possente "Hollow Lies", che, supportata da montagne di orchestrazioni, colpisce con un riff stoppato che farà vibrare la stanza dalla quale farete partire l'ascolto. Una produzione cristallina inoltre esalta le musiche spingendo “Manifesto” ai piani alti della scena Power/Prog Metal. Bentornati Sunburst!
Ultimo aggiornamento: 26 Mag, 2024
Top 10 opinionisti -
I Remedy hanno debuttato solamente un paio di anni fa con “Something That Your Eyes Won’t See”, un disco che ha attirato le attenzioni di appassionati e addetti ai lavori. Il loro è il classico Hard Rock melodico ricco di energia, nel classico stile nordico seguendo un po' la via di H.e.a.t, Eclipse e Treat. “Pleasure Beats the Pain” esce sotto l'inglese Escape Music pronto per confermare quanto di buono si era ascoltato con il debutto. E la band svedese riesce a confermarsi come act di livello grazie a brani ispirati come la possente opener “Crying Heart”, dalle tinte dark che colpisce con un bel refrain. Un flavour ottantiano che contiene un pizzico di modernità; la catchy “Moon Has the Night” entra facile in testa e potrebbe far fatica ad uscirne così come l'impatto AOR di “Angelina”, più raffinata che ricorda qualcosa di Work of Art e Houston. Ma personalmente preferiamo la capacità della band quando unisce riff decisi a melodie canticchiabili come troviamo nella quadrata “Sin for Me”, ottimo esempio di Melodic Hard Rock pungente o nell'anthemica “Caught by Death”. Ed è forse la fase centrale ad esaltare maggiormente toccando il picco più elevato grazie anche all'apporto dirompente di “Hearts on Fire” dove Roland Forsman si destreggia su un tagliante assolo di chitarra prima di tornare su un coretto irresistibile. Dieci brani melodici e ricchi di energia è tutto ciò che serve quando si vuole creare un disco dal buon impatto e questo “Pleasure Beats the Pain” conferma il gruppo scandinavo tra i più caldi ed ispirati della scena attuale.
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