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Opinione scritta da Celestial Dream

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Opinione inserita da Celestial Dream    13 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 2023
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Quarantacinque minuti di Heavy/Power fumante per il debutto possente firmato Hammerstar. La band americana mostra una carica notevole capace di esplodere immediatamente dalle casse con la valorosa opener “Heart of Stone”, nella quale l'ugola vibrante del singer Quimby Lewis (SkullView) può scorrere con vigore, danzando sui riff dinamici e graffianti suonati dalle chitarre di Johnny Frankenshred, mente e songwriter principale della band. I suoi assoli scorrono impetuosi e oscuri aprendo la via alla diretta “Power of Metal”, brano che colpisce a testa bassa, scorrendo rapida. La massiccia “Burned Alive” viaggia spinta dalle note rapide delle sei corde di Johnny, lasciando spazio alla rocciosa “Soul Reaper”, dove sfumature Thrash si adagiano perfettamente su sonorità Heavy che scorrono con decisione. Chitarre impenetrabili che costruiscono mattone su mattone un muro sonoro invalicabile durante la tenebrosa “Rise Above the Skies”. Il finale regala ancora qualche momento di esaltazione: prima con i ritmi scroscianti e battaglieri di “Divide and Conquer” e successivamente cavalcando l'onda della coinvolgente “Hymn of the Viking” con i suoi cambi di ritmo incandescenti. Se l'US Heavy di Jag Panzer, Metal Church, Fifth Angel e Jack Starr's Burning Starr vi appassiona, allora dovreste dare una chance agli Hammerstar, band che esordisce con un lavoro omonimo altamente classico, ma certamente infuocato!

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Opinione inserita da Celestial Dream    13 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 2023
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Mikael Erlandsson deve essersi rimboccato le maniche negli ultimi tempi; non siamo a conoscenza delle sue vicissitudini personali, ma sta di fatto che i brani contenuti in questo nuovo album firmato Autumn's Child possiedono un'ispirazione molto più fresca rispetto al recente passato. Le sue releases sono state fin troppo fitte negli anni, soprattutto nell'era Last Autumn's Dream dove, a distanza di dodici mesi o meno, veniva ogni volta dato alla luce un nuovo full-length. Ma anche con la sua nuova avventura il biondo singer e compositore svedese non si è certo fermato; ha debuttato nel 2019 con l'esordio omonimo prima di tornare nel 2020 con “Angel’s Gate” e lo scorso anno con “Zenit”. “Starflower”, riesce a regalare melodie immediate e ariose, tipiche del compositore scandinavo, ma con una varietà degna di nota e senza cadere troppo nella banalità come, ahimè, a volte è successo. Brani come la scoppiettante opener “Gamechanger” e la tirata e melodica “Welcome To The Show” mostrano il lato più immediato e grintoso del sound firmato Erlandsson. Se “Aphrodite’s Eyes” è un altro pezzo di indubbio valore, capace di attirare l'attenzione grazie ad ottime melodie e al lavoro eccelso alla chitarra di un mai domo Pontus Åkesson (gran protagonista durante tutto il disco!), i classici momenti drammatici e malinconici ai quali il biondo songwriter ci ha spesso abituati arrivano con la ballata “Opera”, dove l'ugola di Michael può far vedere il suo lato più caldo ed intenso, e nel finale con l'altra lenta del disco, la sofferta “Love From Tokyo”. Le atmosfere ottantiane di “Karenina” lasciano spazio alla spensierata “1995” e poi all'elegante “Dorian Gray”, song questa che entra di diritto tra i momenti più riusciti dell'intera tracklist, grazie ad un pathos davvero notevole che echeggia attraverso melodie avvolgenti. Un bel ritorno in grado di appassionare questo “Starflower”, disco che ci riporta in sintonia con la passione dirompente di Michael Erlandsson e della sua musica firmata Autumn’s Child.

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Opinione inserita da Celestial Dream    08 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 08 Febbraio, 2023
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Quattro musicisti con le spalle larghe e tanta esperienza sul groppone che si sono uniti per formare questi Reign Of Glory e dar vita al debutto “All Will Bow”, un disco che certamente si muove su coordinate classiche all'interno della scena americana. Insomma rimandi a Riot ed Armored Saint possono venir fuori senza alcun dubbio durante l'ascolto di questo bell'esordio. Al microfono la voce di Robyn Kyle Basauri (Red Sea, Die Happy, Joshua) che torna sulle scene dopo diversi anni di assenza. Vicino a lui il bassista Roger Dale Martin (Vengeance Rising, Once Dead, Die Happy, Triple Ace Band), il chitarrista Nick Layton (FireWolfe, Q5) ed infine il batterista Jim Chaffin (The Crucified, Deliverance, The Blamed). “All Will Bow" è un lavoro pensato per gli amanti delle sonorità più classiche ed ottantiane quindi se si è alla ricerca di cose nuove ed innovative, è meglio lasciar perdere. Il quartetto in arrivo dal Tennessee costruisce i propri pezzi su riff solidi, ritmi spesso controllati e melodie incisive ben interpretate dall'ugola classica del frontman di Nashville. L'Heavy più tradizionale scorre con decisione sulle note dell'opener “Forever and Ever”, la quale esplode su ritmiche sostenute seminando esaltazione grazie ad un coretto molto 80's, si alterna ai passaggi maggiormente Hard'n'Heavy di “Rise of Aslan” - con un tocco più che marcato verso le sonorità tanto care a Ronnie James Dio - e della successiva “Samson’s Kryptonite” che sembra prendere in prestito qualche lezione di Southern Rock dai Lynkin Skynryd a dimostrazione della varietà che questo disco, con sapienza, riesce a presentare. “Welcome to Reality” ci accompagna attraverso un sound caro ai primissimi Riot, mentre l'elegante ballata “Love Came to Die” esce a testa alta con un bel refrain prima che le più classiche “Call Down the Thunder” e “Last Daze” prendano il proscenio. L'epico incedere di “1000 Years” mostra l'ugola più vibrante e ruvida di Robyn mentre le chitarre di Nick Laydon regalano un breve assolo ed una montagna di riff degni di nota. Infine ci pensa la massiccia “Writing on the Wall” a dare il via ai titoli di coda. Una seconda parte che forse non riesce ad essere incisiva quanto la prima, ma nel complesso un lavoro davvero puro e cristallino, che sarà in grado di appassionare i seguaci del sound più classico. I Reign Of Glory fanno sul serio!

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Opinione inserita da Celestial Dream    08 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 08 Febbraio, 2023
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Amanti e seguaci del Rock più elegante e melodico, oggi siamo a recuperare “Butterfly” disco pubblicato lo scorso ottobre dagli Alicate. Formati a fine anni '80 dal cantante Jonas Erixon e dal bassista Fredrik Ekberg, nei loro primi anni riuscirono solamente a pubblicare il singolo “The End/Too Shy To Take It”. Rimessi in pista nel 2006 diedero alle stampe tre anni più tardi “World Of Anger” e a seguire “Free Falling” nel 2013 e “Unforgiven To Be Forgiven” nel 2018. Oggi li ritroviamo con un nuovo full-length e dieci nuovi brani composti da Jonas Erixon - durante il periodo di pandemia dovuto al Covid-19 - e un sound ancora melodico e caldo con la sua voce intensa a disegnare melodie ben assestate e spesso accompagnate da cori ben equilibrati. La scuola nordica di band come Talisman e Leviticus è ben riconoscibile nell'esemplare “My Last Goodbye”, semi-ballad ben congeniata, posta subito all'inizio della tracklist e capace di avvolgere con buone atmosfere. Atmosfere eleganti che continuano con “Will Get By” e mantengono l'ascolto su sonorità assolutamente coinvolgenti mostrando una certa abilità da parte del quartetto scandinavo di trovare soluzioni interessanti ed anche piuttosto lontane dai soliti cliché. Più scoppiettante il Rock di “Let It Out” e soprattutto della successiva “Out Of Control” che fa centro grazie a buone linee vocali, qualche coretto e tappeti di tastiere che ben si amalgamano con il lavoro alle chitarre di Jonas Erixon, autore quest'ultimo di una buona vocale più che discreta. La magica ballata acustica e sognante “Butterfly” è certamente tra i momenti da ricordare (e canticchiare) così come la powereggiante “Rise Once Again” che colpisce con sonorità maggiormente decise. Non un capolavoro, ma un disco elegante, a tratti progressivo e ricco di melodie calde; “Butterfly” è un'uscita interessante che mette gli Alicate tra le band più interessanti dell'annata conclusa da poco.

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Opinione inserita da Celestial Dream    07 Febbraio, 2023
Ultimo aggiornamento: 07 Febbraio, 2023
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Speed Metal roboante che viaggia su ritmi infernali per i Seax che con questo lavoro piazzano nove brani ricchi di carica esplosiva, in cui riff vorticosi corrono spediti accompagnati dalla classica ugola affilata e tagliente del frontman - di chiare origini italiane - Carmine DeCicco. La band del Massachusetts, formatasi nel 2009, mette a segno con questo “Speed Inferno” il quarto disco della propria carriera, trentasette minuti di metallo fumante che non concede nemmeno il tempo per un respiro profondo. Assoli sparati ai mille all'ora che si schiantano sull'ascoltatore spinti da un drumming infuocato; l'ascolto procede con un livello di carica ed esaltazione costante ed elevato a partire dall'opener, la title-track, e continuando con l'esplosiva “Radiation Overload”. Qualche coretto arriva durante il refrain di “New World Crucifixion”, ma sempre correndo a più non posso e continuando a macinare riff. E se qualche sonorità Thrash esce dalle atmosfere minacciose di “Keepers Of The Blade”, il disco continua avvicinandosi alla fine della tracklist con le tiratissime “Return To The Steel” e la straripante “Rising Evil”, con le chitarre di Helvecio Carvalho e Fife Samson che sparano note alla velocità della luce. Un disco ricco di carica esplosiva, ineccepibile e composto e suonato con estrema passione (e chissà dal vivo come suoneranno questi brani infuocati!). Ma anche un sound poco personale che è diretto solamente ai veri appassionati di queste sonorità.

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Opinione inserita da Celestial Dream    23 Gennaio, 2023
Ultimo aggiornamento: 23 Gennaio, 2023
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Potenti ed aggressivi come sempre, si ripresentano i Kill Ritual, band che ancora una volta miscela con decisione Heavy Metal possente di scuola USA con qualche passaggio al limite del Thrash. La band americana sceglie un titolo piuttosto lungo per racchiudere i nuovi brani: “Kill Star Black Mark Dead Hand Pierced Heart” per cinquanta minuti scarsi colpisce con vigore fin dalle prime note, quelle della impetuosa e violenta opener “By The Hand Of God”, in cui la voce ruvida e veemente di Chalice Blood continua la sua corsa supportata dal muro di riff costruiti mattone su mattone dal leader Steven Rice. Ritmi più rilassati che si concedono comunque alcuni riff possenti sviluppano la dinamica ed intricata “I Am The Night”, pezzo di scuola Iced Earth che per sei minuti colpisce tra arpeggi e assoli ben assestati attraverso sonorità malinconiche ed oscure. La tiratissima “The Smell Of Death” esplode dalle casse con energia scorrendo come un fiume in piena spinta dal drumming massiccio di Seamus Gleason e poco dopo la frizzante “Can You See Us Now” si scatena spinta dalle note esplosive suonate da Steven, che si muove rapido sulle sei corde. E se la title-track è un altro brano oscuro e diretto, la ruvida “ The Devil, The Mist, The Flame” graffia muovendosi a testa bassa senza mai voltarsi. I Kill Ritual si confermano una sicurezza per ogni ascoltatore in cerca di un impatto Heavy Metal devastante e l'headbanging è assicurato dopo aver inserito nello stereo “Kill Star Black Mark Dead Hand Pierced Heart”!

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Opinione inserita da Celestial Dream    23 Gennaio, 2023
Ultimo aggiornamento: 23 Gennaio, 2023
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La voce roca di Mick e un sound quadrato in cui le chitarre sono protagoniste con riff muscolosi e melodie piuttosto semplici ma d'impatto; ecco gli ingredienti del Melodic Rock firmato White Skies, nuovo act in arrivo dall'Inghilterra e formato da alcune conoscenze tutt'altro che nuove all'interno della scena Rock e Metal. Al microfono Mick White (ex-Samson e First Strike), alle chitarre Ray Callcut degli Ya Ya ed alle tastiere Pete Lakin, già visto nei Dante Fox. “Black Tide” è un lavoro piacevole che parte con la diretta “What You Know About Love?” prima di lasciare spazio a melodie più ariose e di stampo AOR con “Emily”, in cui trovano spazio alcuni coretti e qualche tastiera più evidente. Le influenze - che anche i musicisti coinvolti non nascondono affatto - sono sempre le solite: Journey, Foreigner e Toto. Lo dimostra forse maggiormente “Midnight Rendezvous”, tra i brani migliori del lotto con la sua andatura elegante anche se – un po' come durante l'intero ascolto – la sensazione di avere tra le mani qualcosa di già sentito è evidente. Manca un pizzico di personalità ed intensità a questi brani che però scorrono con piacere: dopotutto l'esperienza dei musicisti è tale da riuscire a sopperire a qualche problemino di songwriting qua e là.
L'immancabile ballata arriva puntuale con “Kiss Me As I Say Goodbye”, brano però piuttosto scontato, mentre con la raffinata e a tratti quasi progressiva “Two Worlds Collide” incontriamo certamente uno dei momenti migliori del disco. Un lavoro che però fatica ad accendersi; “Black Tide” ad esempio è un brano fin troppo lineare, in cui nessun passaggio riesce ad attirare l'attenzione di noi ascoltatori ed è così anche per una manciata di altri pezzi, soprattutto verso il finale come dimostra anche “Takin A Ride”. L'esperimento White Skies al momento è rimandato a Settembre; il quintetto inglese dovrà seguire con attenzione i corsi di recupero se vorrà in futuro ripresentarsi con un prodotto in grado di competere ai livelli alti dello stile. Al momento, con questo debutto, si beccano solamente una buona sufficienza.

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Opinione inserita da Celestial Dream    23 Gennaio, 2023
Ultimo aggiornamento: 23 Gennaio, 2023
Top 10 opinionisti  -  

Per chi si ciba quotidianamente di Melodic Rock ed AOR, una delle uscite imperdibili durante le ultime settimane dello scorso anno è stata certamente questo “Streetlore”, omonimo debutto della band italiana e motivo di orgoglio per tutti noi appassionati di queste sonorità. Sempre spinti dalla collaborazione con l'etichetta nostrana Art Of Melody Music & Burning Minds Music Group, i dieci brani che compongono la tracklist ci accompagnano attraverso un sound altamente melodico e ruffiano, spinto dal lavoro coltivato durante tutti questi anni da Lorenzo "Lorerock" Nava, tastierista che insieme all'amico e produttore - che ben conosciamo visti i vari progetti che portano la sua firma - Pierpaolo "Zorro" Monti (Raintimes, Shining Line, Room Experience, I.F.O.R., Charming Grace) ed una fitta schiera di ospiti, ha dato vita a questo disco ricco di ottimi spunti. Ci si accorge subito di questo con “Brothers”, pezzo che apre il disco piazzando all'istante melodie dall'impatto immediato cantate dal sempre eccelso Davide "Dave Rox" Barbieri (Wheels Of Fire, Charming Grace, Raintimes, Room Experience), mentre la successiva “Crossroads” è una canzone esemplare con l'ugola squillante di Terry Brock (Strangeways, Slamer, The Sign) capace di muoversi con disinvoltura navigando su linee melodiche accattivanti e tastiere sempre ben presenti che impreziosiscono il sound accompagnando le chitarre. La scoppiettante “The Storm” scorre rapida prima della ballatona che risponde al nome di “Aeglos”, ben interpretata dalla voce di Jesús Espín (91 Suite, Secret). Anche Stefano Lionetti (Lionville) prende parte al progetto cantando le note più spensierate e vivaci di “Only Wounds Remain” e se l'elegante “Shelter From The Rain” riesce ad appassionare, è soprattutto grazie alle chitarre suonate divinamente da Matteo Serra. La chiusura mette le marce alte affidandosi a “Shadows And Lies”, in cui le note del pianoforte suonate da Lorenzo Nava accompagna la voce emozionante di Sue Willetts (Dante Fox), per un brano raffinato che ci riporta alle sonorità patinate degli anni Ottanta. Qualche brano leggermente più anonimo, ma anche una manciata di pezzi di altissimo livello per una tracklist che nel complesso funziona e conquista dall'inizio alla fine; complimenti a Lorenzo e lunga vita agli Streetlore: la magia dell'AOR che appassiona sventolando la bandiera tricolore.

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Opinione inserita da Celestial Dream    17 Gennaio, 2023
Ultimo aggiornamento: 17 Gennaio, 2023
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Moderno e alternativo l'impatto musicale firmato Onyria, progetto nato nel 2012 dalla mente del chitarrista e compositore Simon J. Gillman e della cantante Elena Pinna, inizialmente situati in Italia ma ora spostatisi in Francia. Se il debutto del 2015 “Break The Silence” mostrava sonorità più sinfoniche prendendo spunto in primis da Evanescence e Within Temptation, questo nuovo “Feed The Monster”, disco autoprodotto, continua con genuinità e potenza spostandosi maggiormente verso territori maggiormente gotici e moderni. Già dall'opener “Denial” si notano sonorità contemporanee con arrangiamenti moderni e la voce che si muove sofferta e squillante con disinvoltura ad opera della brava Elena. Riff potenti ed atmosfere gotiche e malinconiche che aleggiano per tutto l'ascolto e continuano con la grigia e tormentata “No Obedience”, con sonorità in cui la band - con personalità - riesce a dare il meglio di sé. La più canonica “Be Yourself” infatti attira meno le nostre attenzioni a differenza della rotonda e piena “Drowning”, in cui ancora la singer italiana mostra una grande interpretazione. I ritmi più scroscianti di “Insane” lasciano spazio alla dinamica “Blind Nation”, prima della melodica e radiofonica “Still Here”, brano perfetto per appassionare gli ascoltatori al primo impatto. Infine la muscolosa e sinfonica “Prime of Soul” chiude le danze con riff profondi ben assestati ed un refrain che ricorda qualcosa dei primi Lacuna Coil, altra band che è senz'altro stata di ispirazione per Simon. Gli Onyria mostrano di saperci fare con buone composizioni e la voce splendente di Elena, cercando così di attirare le attenzioni dei seguaci di queste sonorità anche grazie al web (le loro cover di “One More Light” dei Linkin Park e di “My Heart Will Go On” di Celine Dion hanno avuto molte visualizzazioni su YouTube e Spotify). “Feed The Monster” è la strada giusta da seguire e, continuando così, i risultati potranno certamente crescere.

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2.5
Opinione inserita da Celestial Dream    17 Gennaio, 2023
Ultimo aggiornamento: 17 Gennaio, 2023
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Prendendo in prestito un termine moderno usato dai giovani, potremmo chiudere la recensione con un “NCS” ovvero “Non ci siamo”. Non che i Veritas siano degli incapaci visto che dal punto di vista strumentale ci sanno fare, ma in primis sembrano copiare spudoratamente la musica degli Iced Earth, con quel US Power robusto e qualche passaggio thrash, inoltre bisogna ammettere che alcuni brani faticano davvero a decollare, colpa di linee vocali buttate lì senza troppa ispirazione. Un altro punto a sfavore dell'ascolto è certamente la prestazione del singer Andreas von Lipinski che non convince molto. Nei momenti più aggressivi il cantante tedesco riesce anche ad uscirne a testa alta, ma ci sono dei passaggi dove fatica a trovare la tonalità consona facendo storcere il naso. Il disco, scritto dal chitarrista e mastermind Tom Winter parte forte sulle note rocciose dell'opener “For My Thoughts” in cui le influenze dei Grave Digger sembrano prendere il sopravvento soprattutto durante il ritornello che si muove su un coretto di facile impatto. Non è un caso che il disco sia stato prodotto, mixato e masterizzato da Chris Boltendahl ai suoi Graveyard Studios. “Evil” convince con buone aperture melodiche mentre la tiratissima “My Own Way” mostra il lato più aggressivo del gruppo teutonico correndo a testa bassa su binari Speed Metal. Nell'arpeggio di “Alone” il nostro Andreas mostra tutte le sue difficoltà nel muoversi su territori più ricercati ed espressivi ed il pezzo, non a caso, fatica a colpire. L'incedere epico di “Psychologist Of The Dead” parte con bordate di metallo ma continua senza lasciare troppo il segno visto lo sviluppo che non convince del tutto. Se “Lies” è un chiaro esempio del legame forte con Jon Schaffer ed i suoi Iced Earth, le linee melodiche più intricate (alla Queensryche?) risultano un po' fredde durante la poco convincente “Faceless Man”, mentre a chiudere ci pensa l'up-tempo “Silent War” che scivola via nonostante il buon lavoro alle sei corde di Tom Winter senza lasciare troppi ricordi memorabili. Al secondo disco in carriera i Veritates escono con più dubbi che certezze; “Silent War” è un lavoro potente, ma che manca di personalità e di un pizzico di brio e si salva solamente grazie a due-tre brani oggettivamente ben fatti.

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