Opinione scritta da Celestial Dream
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Ultimo aggiornamento: 29 Agosto, 2024
Top 10 opinionisti -
Ammettiamo che ci siamo approcciati senza troppe pretese a questo disco firmato Kaisas e intitolato “Leria”, ma una volta letti i nomi dei partecipanti, le aspettative erano salite non poco. Parliamo di gente come David Reece (ex-Accept), Ian Parry (Elegy), Paul Jackson (Roadhouse) e Alan Kelly (SHY). Peccato che una volta premuto il tasto play di questo disco tutto è precipitato nell'abisso più profondo, per via di una produzione oscena ed un songwriting scolastico, ma da età elementare (dai 6 agli 11 anni per capirci). Senza offesa per Babis Kaisas, musicista e mastermind di questo progetto, ma veramente non ci siamo. Potremmo citare WASP, Bonfire, Rough Silk e Royal Hunt come coordinate sonore, ma queste band rabbrividirebbero al confronto. Se prendiamo un brano a caso come “(She Is Just So) Heavy Metal”, troviamo una voce senza un minimo di pathos come quella di Kenny Behnke, una batteria soporifera, strumenti e linee vocali di una piattezza assoluti. La semi ballad “Instant Park” è banale, ma almeno si lascia ascoltare, il problema è che anche la pessima produzione incide su un prodotto dove già c'è poco da salvare. E il suono della batteria è davvero fastidioso appena i ritmi si alzano un attimo e il pedale esplode in maniera irritante come in “Queen of Passion”. E che spreco ascoltare la voce magica di Ian Parry su “Birmingham Lights”, brano che in effetti si salva solamente grazie alla prestazione del cantante inglese ma di adozione olandese. Continuare con l'ascolto è davvero impresa ardua, ma ci siamo riusciti per onorare come è giusto che sia, questa recensione. E' davvero difficile credere che artisti di un certo calibro si siano prestati e abbiano messo il proprio nome su un prodotto così scadente. E un altro argomento su cui riflettere è come un disco del genere possa entrare nel mercato discografico al giorno d'oggi. Onestamente non si trovano spiegazioni valide, se non che pagando ognuno può pubblicare qualcosa.
Ultimo aggiornamento: 26 Agosto, 2024
Top 10 opinionisti -
AOR, Melodic Rock, Progressive e tante altre sfaccettature, sono le soluzioni sonore di “The Grand Seduction”, debut album dei Keys, band che si affida ad una marea di tastiere per costruire il proprio sound, senza praticamente utilizzare le chitarre. Il gruppo nasce dall'idea del cantante Jake E. (Cyhra, Amaranthe) e del tastierista Mark Mangold (Touch, Drive, She Said, Michael Bolton, Cher) e questo “The Grand Seduction” è un lavoro nato dalla loro visione senza porsi limiti e spinto dal divertimento e dalla scoperta di provare a conquistare nuovi territori sonori. Se l'opener - la title-track - mette già in chiaro le sonorità sulle quali andremo ad addentrarci, con tastiere esplosive a disegnare atmosfere a tratti moderne e tecnologiche che si esaltano per ben nove minuti con larghe parti strumentali, il meglio lo si trova poco dopo con la progressiva e pomposa “All I Need”, pezzo capace di racchiudere tutto l'impasto sonoro sopra descritto con cori da stadio, un sound che ricorda lo sci-fi AOR e montagne di tastiere che viaggiano con decisione. Addirittura nel singolo “Vortex” si passa ad un simil-Power Metal che colpisce con tastiere futuristiche e ritmiche possenti, ricordando qualcosa dei Kamelot più attuali. E se l'iper catchy “Shining Sails” ci riporta al Pomp Rock di Angel e Styx, con un gran refrain ed un assolo di tastiere prodotto con suoni di chitarra altamente coinvolgente, ci pensa il Prog alla Kansas di “Skin and Bones” a mantenere alto il livello dell'ascolto. Il quale forse si arresta un attimo con il Pop di “Turn to Dust”, pezzo ricco di synth, che sono parte integrante anche nel Rock più possente di “Crazy Town”. L'acustica “The World Is Ours” chiude infine l'ascolto con melodie vocali che riportano alla scena ottantiana. Lasciarsi sedurre dalle tastiere e l'ottimo gusto melodico di questo “The Grand Seduction” dei Keys è piuttosto facile. Un lavoro vario e interessante!
Ultimo aggiornamento: 25 Agosto, 2024
Top 10 opinionisti -
I messicani Battlefront sono pronti a colpire fiondandosi a capofitto sulle onde più intense dell'Heavy classico con un tocco Speed e Thrash in questo loro secondo lavoro intitolato “Among the Corpses” che segue il debutto “Vengeance” del 2020. Si tratta di un EP di cinque pezzi impreziosito da tre brani extra presi dal vivo. Una produzione secca mette in evidenza chitarre e basso, quest'ultimo sempre molto presente in particolare nell'aggressiva “Mirror Mirror”, brano che mette in mostra anche il lato più ruvido dell'ugola del cantante James che non fa mancare mai il suo apporto ricco di energia che compensa qualche piccola pecca. Corvo Kenway ancora in primo piano con il suo basso indica la via nella possente “Built for War”, brano che si mantiene su ritmi medio-bassi ma che colpisce con una carica bellicosa mica da ridere e qualche coretto. La rocciosa opener è da headbanging mentre la più dinamica title-track cambia spesso ritmi al suo interno e si dilunga su parti strumentali infuocate. Infine l'up-tempo “Widow Maker” non esalta più di tanto, colpa di poche idee in particolare per quanto riguarda le linee vocali poco curate. Per quanto riguarda i pezzi live, possiamo dire che, pur se registrati non molto bene, sanno trasmettere l'impatto sonoro infuocato che la band mette sul palco quando si esibisce dal vivo. Saremo curiosi di ascoltare in futuro i prossimi passi di questo quartetto messicano, che possiede tanta energia, ma che può ancora crescere e migliorare in alcuni aspetti: personalità, linee vocali e produzione!
Ultimo aggiornamento: 24 Agosto, 2024
Top 10 opinionisti -
I Warlord sono tornati in pompa magna quest'anno, prima con il discusso disco di inediti “Free Spirit Soar” - che ha convinto fan e critica - ed ora con questo “From the Ashes to the Archives - The Hot Pursuit Continues”. Si tratta di una raccolta di brani ri-registrati e rivisitati in particolare dal disco “Rising Out of the Ashes” del 2002, cantato originariamente da Joacim Cans. La band ha voluto mostrare al pubblico come suoneranno questi brani nelle prossime date live che includono anche lo show a Milano al Metalitalia.com Festival. Che dire? La voce squillante del cantante degli Hammerfall ha segnato quell'album e i suoi brani che qui ritroviamo cantati da Giles Lavery, che svolge il suo lavoro egregiamente ma senza esaltare più di tanto, e cercando di ricollegarsi maggiormente ai lavori precedenti della band, sinceramente non esaltano più di tanto. La produzione inoltre sembra voler tornare indietro nel tempo con un sound più ruvido ed ottantiano, meno pulito. C'è da dire che queste canzoni sono registrate con la formazione attuale, ma utilizzano anche alcune parti originali suonate dal compianto William J. Tsamis, fondatore della band scomparso prematuramente ormai tre anni fa all'età di 60 anni. Se nella versione in vinile saranno presenti gli otto pezzi ripresi dal disco del 2022, la versione in CD conterrà ben sei brani fino ad ora difficili da recuperare, songs che in passato erano presenti come bonus-tracks all'interno di edizioni speciali. Insomma alcune rarità che dovrebbero rendere questa release interessante, molto più che la prima parte, abbastanza superflua. Purtroppo a noi della stampa specializzata sono state inviate solamente le prime otto canzoni quindi non siamo in grado di commentare la parte più gustosa di questo disco. E dovendo appunto basarci solamente su queste cover di un gran lavoro come fu “Rising Out of the Ashes”, non possiamo che affermare che questa release sia abbastanza inutile e pensata esclusivamente per i veri fans della band che non vogliono perdersi niente nella loro collezione. Dovendo scegliere quindi, meglio optare per la stampa in CD che contiene più materiale interessante.
Ultimo aggiornamento: 24 Agosto, 2024
Top 10 opinionisti -
I Silver Horses sono una band italo-inglese agli esordi - ma ormai italiana a tutti gli effetti - che fonda le sue basi sul Rock settantiano e che viene elevata dall'ottima prova dei musicisti coinvolti, in particolare del cantante Jacopo Jack Meille, che conosciamo bene anche per la sua militanza negli storici Tygers of Pan Tang. Il gruppo nasce nel 2011 dall'unione tra il chitarrista Gianluca Galli e la grande voce britannica di Tony Martin (anche nei Black Sabbath), ma dopo un paio di dischi ecco subentrare Jacopo che è stato coinvolto nella realizzazione di questo “Electric Omega”. I due – Gianluca e Jacopo – avevano già collaborato insieme in passato quando a fine anni '90 militavano nei Mad Mice e nei Mantra (dei quali alcuni pezzi sono stati rivisti ed inseriti in questo lavoro). Le influenze di band come Led Zeppelin e primi Whitesnake sono evidenti, ma i Silver Horses sono bravi a rendere il tutto molto fruibile e per certi versi personale. Tredici brani - forse un filino troppi per gli standard odierni di otto-dieci pezzi - ci accompagnano per mano attraversando i riff possenti di “Bag of Bones”, che si lascia andare su un gran bel refrain, il tocco Prog della title-track con il basso di Andrea Castelli a prendere il sopravvento ed il Blues Rock intenso e roboante di “Family Man”, che ci porta alle sonorità dei Rival Sons. Il cantante toscano è a suo agio su queste sonorità, non lo scopriamo certo ora. La sua interpretazione nell'avvolgente power ballad “Somewhere Sometimes” è da applausi; le chitarre acustiche si intrecciano disegnando le basi sulle quali la voce di Melle può esplodere con tutto il suo vigore. Il tocco Funky di “Trapped in the Woods” e le influenze psichedeliche della conclusiva “Time and Space”, dimostrano ancora una volta le varie sfaccettature all'interno della proposta musicale di questa band che non si limita a mettere giù qualche riff affidandosi all'amarcord e seguendo le sonorità degli anni '70 ma che amplifica e si espande mostrando una varietà nella tracklist che, assieme alla bravura dei singoli musicisti, diventa il vero punto forte di questo lavoro. Silver Horses: se amate le sonorità classiche ma non banali, segnatevi questo nome e andate ad ascoltarli!
Ultimo aggiornamento: 11 Agosto, 2024
Top 10 opinionisti -
Bello! C'è poco altro da aggiungere a questo “Good ‘N’ Evil” degli Anims. Avevamo incontrato la band nel 2021 con il buon debutto “God is a Witness”, ma la band dimostra di essere maturata e qui presenta undici pezzi di Hard Rock che mischiano passaggi moderni, gotici e progressivi. La voce teatrale di Elle Noir è un punto forte dell'ascolto, ma un punto fondamentale lo gioca la chitarra dell'eclettico Francesco Di Nicola, ex chitarrista di Danger Zone e Crying Steel (e qui anche nel ruolo di bassista), che mostra buoni spunti. Un disco vario e piacevole, frizzante fin da “The Cherubims”, che apre la strada con qualche rimando ai Lacuna Coil di “Comalies”; connessioni che tornano con la raffinata “Where Were You”, e che mostrano appunto il lato più gotico dato in primis dall'impostazione vocale della brava cantante italiana. Il Rock più classico di “Fear of the Night” lascia spazio ad un assolo di chitarra dalle tinte Funky mentre l'Hard Rock scoppiettante di “Satellite” e l'attacco evocativo di “Dry Bones”, che si apre con un coro prima di trasformarsi in un brano più canonico spinto dai riff classici di Francesco, sono tra i momenti più rappresentativi di questo lavoro. Ma possiamo continuare con la patinata “Lena”, dove Elle mette in mostra tutte le sue doti vocali con un'estensione davvero notevole, e successivamente con i ritmi che si fanno più scroscianti durante “Victim of Time”, che flirta con sonorità maggiormente Heavy. Brani dinamici che non si perdono in passaggi inutili ma che badano al sodo e linee vocali abbastanza personali ed intime; “Good ‘N’ Evil” degli Anims è un lavoro decisamente fresco, piacevole e ben fatto!
Ultimo aggiornamento: 11 Agosto, 2024
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Un bel Rock'n'Roll energico, ma altrettanto melodico e moderno, accompagnato da una produzione bella piena e possente è ciò che esplode dalle casse quando si fa partire questo “Kinetica” dei Beastö Blancö, band del leader Chuck Garric (ex bassista di Alice Cooper), che qui si dedica alle chitarre ed alla voce, e che vede la presenza di Calico Cooper, figlia del noto artista di New York, cantante nella maggior parte delle canzoni presentate. Con chitarre possenti e l'ugola un po' roca di Chuck, brani come “Run for Your Life” e la catchy ma spigolosa “Bad Thoughts” mostrano il lato più diretto del gruppo americano, mentre in pezzi come “Nobody Move” troviamo la voce femminile di Calico che dimostra di saperci fare, avvolgendo le composizioni con il suo tocco gotico e teatrale. “Heavy Is the Head” è il classico singolo radiofonico che strizza l'occhio ai Lordi, mentre sonorità moderne avvolgono la poco riuscita “Unreal” e con la ruvida “Skull Rider”. Compare addirittura una voce filtrata durante “Lowlands”, con arrangiamenti elettronici che forzano un po' la mano mentre l'anonima “Diamond in the Dirt” mostra qualche venatura Pop. Trentasei minuti di Hard Rock energico in undici brani compatti e moderni che uniscono bene potenza e melodia. Piacevole ma non troppo personale questo “Kinetica”, esordio firmato Beastö Blancö.
Ultimo aggiornamento: 10 Agosto, 2024
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Un bell'Hard Rock energico che si muove a cavallo con l'Heavy Metal più classico, è quello che esce dalle casse una volta fatto partire questo “Dark Mile”, debutto omonimo di una band che mette insieme un gruppo di amici dalla comprovata esperienza. Tracy G (Dio), Paul Alfery (Walk the Walk), Randy Oviedo (Streek) e Mark Huff (Quiet Riot) possono vantare una carriera di alto livello e l'idea di unire le proprie forze funziona almeno in parte, visto che nei dodici – forse troppi – pezzi che compongono questo lavoro non manca la qualità. Forse però non riesce a trasmettere quelle vibrazioni tipiche dei dischi di un livello superiore. Insomma, canzoni come “The Boy”, possente e compatta, e “No Deal”, con un implosione Hard'n'Heavy tra Whitesnake e soprattutto Dio, possiedono una bella carica ma non hanno quel tiro in grado di diventare vere hits. La rocciosa “He Said She Said” colpisce con energia, così come la power ballad “Where’s The Love” che trasmette una buona dose di pathos grazie soprattutto alla voce piena e teatrale di un ottimo Mark Huff, sulla scia di Jorn e Dino Jelusick. Ma ad una tracklist impeccabile sotto molti punti di vista – prestazioni individuali, produzione – manca un po' di varietà e qualche momento trascinante per lasciare davvero il segno e, arrivati alla fine, ci si accorge che dopotutto questo “Dark Mile” è un esordio che, salvo qualche episodio isolato, come nel finale per la massiccia "United We Stand", non si fa ricordare. Un disco solido e compatto, anche se un po' troppo canonico (anche la copertina ce la saremmo aspettata più "Heavy" mentre, a dire il vero, questa dà l'idea di un disco più AOR). Forza ragazzi serve un po' più di grinta per uscire dalla mediocrità!
Ultimo aggiornamento: 07 Agosto, 2024
Top 10 opinionisti -
Otto brani e quarantacinque minuti per questo Folk Metal dalle atmosfere pagane e testi in lingua finlandese; "Karn of Burnings" è il quinto disco in studio per la band Unshine, che delinea atmosfere nordiche, sognanti e tediate con protagonista la voce di Susanna Vesilahti. Una sorta di viaggio inquieto e teatrale nel quale questi druidi ci accompagnano riuscendo a variare con buon talento il loro puzzle sonoro. Basti ascoltare l'opener “Hjul”, cantilena che è subito una fotografia nitida di ciò che gli Unshine vogliono trasmettere. Flauti e chitarre più incisive segnano “Arrival of Aurochs”, brano dai ritmi più elevati ma dinamico, che nel finale rallenta e conquista con atmosfere evocative. Un riffing più accostabile alla scena Black Metal accompagna “Sakraali Elementaali”, dove poteva starci qualche inserto growl a duettare con la brava Susanna. La malinconica “Mill Of Bergelmir” trova qualche influenza Doom, mentre un tocco Viking trasmette a “Maa Jälkeen Ihmisen” il classico clima nordico. La gotica “Tara” si muove lenta con chitarre flemmatiche ed elementi Folk, mentre a chiudere l'ascolto troviamo la vivace e più imponente “Lennä Toive”. Temi mistici che si specchiano nella musica di questi cinque musicisti nordici che riescono a comporre un disco non per tutti, ma certamente ricco di intense visioni. Con “Karn Of Burnings” gli Unshine potrebbero appassionare molti seguaci di queste sonorità!
Ultimo aggiornamento: 07 Agosto, 2024
Top 10 opinionisti -
Bella sorpresa questo “Five Steps on the Sun” firmato DarWin, artista mascherato del quale non si sa molto. AOR dalle tinte Progressive, moderne e sci-fi che appassiona con calde melodie e parti strumentali frizzanti. Echi di Styx, di Kansas, Pendragon... insomma qui per gli amanti delle melodie raffinate c'è parecchio da ascoltare! Emblematica la partenza con “Soul Police”, quattro minuti scarsi di intense linee vocali ben accompagnate da partiture Prog con un tocco Funky. Sonorità moderne che vengono fuori maggiormente grazie ad alcuni effetti sulla voce e negli arrangiamenti durante “Inside This Zoo”. E che dire del Progressive più massiccio di “Be That Man”? Le chitarre si fanno più presenti dando verve alla strofa prima di lanciarsi su un coretto ben impostato. La strumentale “The Sun” riesce a colpire con chitarre e tastiere a disegnare buone melodie, mentre la sofisticata ed intima “Hulks & Heroes” lascia spazio ad un assolo di basso che attira le attenzioni, ed il finale è affidato alle sonorità più solari di “What Do We Know”, accompagnata da cori rotondi e sognanti e ad un bel solo di pianoforte. Un lavoro suonato molto bene dove compaiono ospiti del calibro del batterista Simon Phillips (Jeff Beck, Toto, Protocol), del tastierista Derek Sherinian (Dream Theater, Sons Of Apollo), del chitarrista Greg Howe (Michael Jackson, Protocol) e del bassista indiano Mohini Dey (Steve Vai, Zakir Hussain). Se amate il Progressive Rock (e Metal) e non disdegnate l'AOR e le calde melodie, “Five Steps on the Sun” è un disco al quale dare una chance!
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