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Opinione scritta da Valeria Campagnale

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    03 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 03 Mag, 2024
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“Choices” è l'ottavo album per il duo italiano Dperd, che torna a anni dal rilascio di "Monsters”, sempre per My Kingdom Music, in un intreccio tra New Wave e un Pop sofisticato in cui le influenze di musicisti di culto come David Sylvian e Anekdoten sono piuttosto evidenti, il primo per la ricercatezza, i secondi per le influenze Prog. “Choices” è un lungo viaggio decadente e malinconico nell'esistenza umana più intimista con brani che si congiungono quasi naturalmente tra loro. Seppur profuso (ma mai noioso), questo album contiene l’essenzialità di ciò che questi musicisti nostrani hanno espresso. Seguendo i Dperd da qualche tempo, potrei affermare che “Choices” è il miglior lavoro che abbiamo mai realizzato. Le due voci sono a volte volutamente sottotono, a volte più in evidenza, mentre le atmosfere riescono ad avvolgere in una spirale ovattata donando quella sensazione di appagamento e serenità. Recensire ogni singolo brano sarebbe arduo, non certo per i pezzi e neppure per un mio deficit, sarebbe una manifestazione delle proprie emozioni, come è giusto che sia, poiché “Choices” è questo, un’emozione infinita che ognuno di noi interpreta in modo differente, ma la pace interiore che rilascia con delicate e ricercate sonorità sono esattamente il concetto dell’album. Posso invece citare la stupenda “Salamanca” che, pur breve che sia, riesce a brillare per la musicalità varia e diafana con forti richiami ai pezzi di David Sylvian, o “Dreams Behind a Barbed Wire” che è, nella sua natura Pop con richiami alla New Wave, un ottimo brano che può ricordare i Cocteau Twins, che Pop non lo erano affatto. La più malinconica “In the Middle”, in cui il piano ci accompagna per mano in un pezzo quieto e sognante, così come “Mr. Savage” oppure la bellissima e sottile “It's Gone”, con intro di organo, con un’anima tendente più all’intimismo. La tromba suonata da Gaetano Fontanazza è meravigliosa, sempre presente ma mai invadente, la voce morbida di Valeria Buono è come sempre all’altezza ed il polistrumentista Carlo Disimone, colui che personalmente considero la vera essenza dei Dperd, è sempre il curatore dei minimi dettagli musicali di questi tredici brani che si intrecciano l’un l’altro in una maglia che ci cinge con ovattata e serena grazia.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    01 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 01 Mag, 2024
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Emergendo nella scena Symphonic Power Metal, i Maesün si presentano con l’album “Remember to Die”, uscito il 1° marzo, con influenze dark Gothic, riff potenti, arrangiamenti orchestrali e qualche accenno di Folk Metal. Formatasi nel 2023, la band comprende musicisti provenienti da Romania, Regno Unito e Germania, con molti anni di esperienza alle spalle. “Remember to Die”, album di debutto, è un concentrato di Metal sinfonico molto potente, esattamente come la voce di Andrada Hofmeister che ricama incisivamente vocalizzi spettacolari. Sette brani - di cui il primo è l’intro - molto profondi e conseguentemente interpretati con coinvolgimento, i temi profondi sulla vita e sulla morte intensificano la ricchezza e lo spessore di questo disco. Il pezzo “Remember To Die” contiene vocalizzi profondi, buoni cambi di tempo e l’ottima voce di Andrada che ben si sposa con il genere proposto, un buon inizio per dare la carica emotiva e proseguire l’album, e bisogna ammettere che il prosieguo è da brividi con uno dei singoli rilasciati: (fino ad ora) “Life in Chains”, che vede la partecipazione di Aura Danciulescu. La ritmica è decisamente più veloce, la presenza degli strumenti a fiato regala un tocco enfatico grazie a richiami Folk Metal, orecchiabile e molto particolare. Altro singolo estratto è “Book of the Dead”, interessantissimo brano che intreccia il Dark Gothic con Heavy Metal classico in cui eccellono le chitarre e i riff pesanti, assolutamente il mio pezzo preferito. "The Weaver” è una mutevole ballata onirica con vocalizzi epici ed un potenziale notevole che avvolge con la sua armonia, altro brano che apprezzo molto pur non essendo un’amante di pezzi lenti. “Waves” è invece un brano puramente Power Metal sinfonico con una particolarità che riesce a coinvolgere, e cioè le pause durante il pezzo, che creano l'impressione delle onde, appunto, che ci passano a fianco con una musicalità potente e per certi versi delicata. "Fix My Heart" chiude l’album ed è una bella cover dei canadesi Voivod, in stile New Wave/Post-Punk che non mi sarei aspettata e che mi ha riportata indietro di qualche decennio. Davvero bravi i Maesün, in un solo album hanno dato una visione completa della loro originalità e definirli portabandiera solo di Metal sinfonico è un po’ limitativo, “Remember to Die” è davvero consigliato.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    30 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 30 Aprile, 2024
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Epic/Heavy Metal da Lisbona, la band Dolmen Gate, fondata nel 2021 e nata in parte dalle ceneri dei Ravensire, pubblica per l’etichetta No Remorse Records l’album di debutto "Gateways of Eternity" uscito il 26 aprile 2024. Dopo l'EP, “Finis Imperii” nel 2023, i Dolmen Gate fanno un grande passo avanti con questo lavoro dal sapore mistico, con evocazioni mitiche ed un richiamo agli anni '70 che inizia con "Dolmen Gate", breve brano con l’introduzione di chitarra acustica che conduce al primo brano "Rest in Flames", pezzo dal riffing incalzante con la potente voce di Ana; più lento il pezzo successivo "The Oath", che mostra un lato Doom, un buon ritornello e con un ottimo assolo di chitarra. "Chambers of Magic" ci offre uno Speed Metal con un ottimo cambio di ritmo e nuovamente la voce che in questo pezzo è a volte più sommessa, a volte più di spicco, rendendo il tutto molto teatrale. Più cupa la traccia successiva “The Wheel”, meno potente per certi versi, ma comunque buona con un finale tagliente caratterizzato da un bellissimo assolo. La band continua a mostrare il lato aggressivo e pungente con "Retribution", che ha il sapore di inno, il tutto in un contesto espositivo - o meglio narrativo - di questo album che mano mano che lo si ascolta, prende forma. "Horizon's Call" invece è un pezzo lento, che avrebbe potuto avere un buon appeal, ma purtroppo sia le chitarre che la voce si perdono in una miscellanea di Heavy Metal, forse troppo groove, per un brano che avrebbe potuto offrire un migliore appiglio. Davvero epico il pezzo successivo "Betrayal", incisivo e con una buona sezione ritmica galoppante dal sapore maideniano, in cui spicca la voce drammatica di Ana che ci porta al fine atmosferico di "Gateways of Eternity", un breve pezzo strumentale con una tastiera che ci lascia così, con la voglia di proseguire ulteriormente nell’ascolto. In conclusione, l’album presenta qualche leggera imperfezione: ad esempio non tutti i pezzi sono all’altezza della voce maestosa della vocalist, ma nel complesso è un lavoro piacevole e ben strutturato e che lascia intendere che sentiremo parlare ancora di questa band.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    27 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 2024
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Terzo album per gli Ignition, che tornano molto aggressivi sulla scena Metal con il superbo lavoro “Vengeance”, rilasciato lo scorso 15 settembre per Doc Gator Records. Definirli Power Metal è veramente riduttivo, poiché questa band incarna più di un genere anche se la matrice rimane senza dubbio il Power. Dodici brani scattanti e impetuosi che non lasciano respiro per l’interezza dell’album, chitarre infiammate e un ritmo veloce e vocalizzi davvero ruggenti. Detto ciò, i dodici pezzi che compongono “Vengeance” vengono introdotti dal primo “Ignite The Fire”, che mostra la vera attitudine della band ad un Power Metal efficace e diretto, un brano che mostra ampiamente sia le capacità musicali dei membri della band, sia la verve che invade il lavoro complessivamente. Ottima anche la seconda traccia “The Wounds That Cause The Pain”, il primo inno contenuto nell’album, è più ruvida, aggressiva ma anche molto orecchiabile, esplosione di chitarre in cui eccellono Christian Bruckschen e Sebastian Ernst, il ritmo è sempre feroce come nel brano di apertura e la voce di Dennis Marschallik colpisce il centro. Siamo solo al secondo brano e non si può fare a meno di lasciarsi coinvolgere. "Adrenaline" ha un intro tranquillo, finché l’intensità del Power Metal si palesa e la band ci regala un altra perla di Heavy Metal pulito e potente, bellissima e martellante la batteria di Lukas Leuuw. “Beastmode” è il secondo inno di “Vengeance”, primo singolo estratto, e che dire? E’ un pezzo feroce fino al midollo con un ottimo mid tempo, un brillante groove energico in cui sento spiccare il fantastico basso di Andreas Leyer, coinvolgente e vigoroso, è un pezzo che sicuramente in sede live renderà ancora meglio che su disco. Segue “Kingdom Of Lies" che si alterna tra Power e Thrash in un vorticoso ricorrersi tra chitarre e linea ritmica con la voce sempre al centro di attenzione, un’attenzione per altro che non scema mai e desta sempre interesse. Leggero cambio di rotta per “A New Dawn" tra beat pesante e melodie classiche di una semi-ballad, le venature rimangono ben marcate quindi, per fortuna, o sfortuna dipende dai gusti, non si esteriorizza esattamente come ballata, ma riesce a sostenere il ritmo coinvolgente. Torniamo nei ranghi con "The Rise", che ci regala nuovamente un alto tasso di Heavy Metal tradizionale con contaminazioni Groove e Power Metal, cori ed uno stile davvero personale nel intrecciare le sfumature. Suoni Ambient per “A Dark Fate”, che nonostante la sua brevità riesce a trascinare in una sorta di spirale. Saltando da un genere ad un altro, la seguente “Betrayal” abbraccia nuovamente un Power Metal misto al Thrash, dando quella giusta aggressività sia nelle musiche sia nei vocalizzi. Decisamente più Speed Metal “We Were The Shieldwall“, che riesce a mescolare la velocità alla potenza in modo grandioso, mentre con “The Funeral“ troviamo l’epicità con un'imponente melodia molto ben eseguita che ci porta al finale con “The Final Hour”, un brano semplicemente esplosivo, carico e diretto con una potenza incredibile. A questo album non si potrebbe chiedere di meglio, a parte il racchiudere le sfaccettature degli Ignition, è un lavoro veramente particolare e ben strutturato che consiglio a tutti i fan dell’Heavy Metal classico poiché si sentono gli echi di bands come Judas Priest, giusto per citarne una, ed ovviamente a chi ama il Power.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    22 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 22 Aprile, 2024
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Da Seattle, dopo l'acclamato album di debutto "Keepers Of The Flame" nel 2020, tornano i Greyhawk con il secondo album “Thunderheart”, pubblicato il 2 aprile per Fighter Records, in una veste migliorata e, se possibile, ancora più più epica. Titanico l’inizio con “Spellstone”, ritmo galoppante e chitarre epiche fanno da tappeto alla voce teatrale di Rev Taylor, un turbinio musicale che ci avvolge e ci accompagna verso la traccia più cupa e leggermente più lenta “Ombria (City Of The Night)”, ma non per questo meno potente, anzi, con il suo suono old school risulta essere un pezzo potente. Molto più epico il pezzo successivo “Sacrifice Of Steel”, grande la la chitarra nell’intro, più che ottimi i vocalizzi di Rev Taylor e decisamente incisiva la batteria di Nate Butler, davvero un ottimo brano vibrante. Nuovamente spiccano le chitarre in “The Last Mile”, fantastica la linea ritmica tra batteria e il basso di Darin Wall c’è di che goderne ampiamente. Strutturalmente il brano è ben delineato e melodicamente lodevole, ottimo il mood contagioso dei cori. Un tuffo negli anni '80 con la seguente traccia “Back in the Fight”, una vigorosa sferzata che, anche se ci regala il sapore di quello che fu l’Heavy Metal dei tempi andanti, porta con sé la freschezza moderna di un Epic Metal martellante; nuovamente Jesse Berlin e Rob Steinway elargiscono lavori chitarristici eccezionali. Arriviamo, ahimè, alla fine di questo ottimo album con "The Golden Candle”, dire che sia il brano migliore dei tutto questo lavoro sminuirebbe i brani precedenti ma il sua incisività è veramente grande. Riassumendo, “Thunderheart” è incisivo, potente ed eccezionalmente epico, bentornati Greyhawk!

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    15 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 2024
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I Blazing Eternity ci hanno fatto attendere vent'anni per poter avere un nuovo album e ritornano in gran forma con sette nuovi brani di Gothic/Doom Metal malinconico, epico e atmosferico tra chitarre tetre e voci aspre, insomma l’impronta ben nota dei Blazing Eternity in "A Certain End of Everything" è ben evidente. Dai pionieri danesi del genere Melodic Doom/Gothic Metal non ci si poteva aspettare che un lavoro fantastico e già con la prima traccia, nonché il primo singolo estratto, "One Thousand Lights”, la cupezza si fa strada e attraversa l’assoluta bellezza, lasciando una sensazione tetra con sonorità oscure e malinconiche di chitarre dalle sonorità profonde, in un altalenarsi di arie, a volte più cupe e altre più ariose. Meravigliosa la voce roca di Peter Mesnickow, che si dimostra nuovamente sempre all’altezza in ogni brano. Il viaggio nel regno dei Blazing Eternity prosegue con la più melodica “The Secrets of White”, con chitarre sempre sfolgoranti, un ritmo in crescendo ed una voce più ‘pulita’; un brano che si distingue dagli altri pezzi nella sua forma più leggera. Con “A Certain End of Everything” la band ci riporta alle proprie radici in un contesto Doom Metal che lascia senza fiato, intensa e penetrante che cinge una spirale di emozioni cupe in cui si respira una tristezza penetrante; un brano così intenso e corposo in cui la musica si fa penetrante, grazie anche ai vocalizzi penetranti di Peter, meravigliosamente acre. Come flusso continuo si prosegue con “The Ghosts of Another Broken Life”, altro brano intimista e tetro dove chitarre sofferenti e voce intensificano il dolore in un emozionante vortice con un ritmo continuo dove il basso di Morten Kroll Lybecker e la batteria di Anders Ro Nielsen accompagnano più che egregiamente la cadenza di questo brano tanto malinconico, quanto tetro. “No Bringer of Light” è un altra traccia profonda e carica di malinconia intensa, splendida riprova di quanto i Blazing Eternity siano ancora pieni di carica emotiva e di vena creativa; ottimo il lavoro di Morten Kroll Lybecker anche con la presenza di synth eterei. Il penultimo brano, “Your Mountains Will Drown Again”, è un altro colpo al cuore, struggente e malinconico che ci accompagna al finale con “The Bells” in cui il connubio tra l'oscurità e la malinconia emergono magnificamente. Con “A Certain End of Everything” i Blazing Eternity ci regalano un procedimento stilistico intenso con una ambientazione fatta di atmosfere oscure e ben definite. L'album sarà pubblicato il 19 aprile e già lo posso annoverare tra i migliori di questo anno.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    12 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 12 Aprile, 2024
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I greci Achelous tornano con il terzo album "Tower of High Sorcery”, dopo "Macedon" nel 2018 e "The Icewind Chronicles" nel 2022, ed un forte seguito esibendosi anche in festival come Malta Doom e Up The Hammers. "Tower of High Sorcery” mostra un netto un passo avanti proponendo il loro marchio di fabbrica, ovvero un fragoroso Epic/Heavy Metal molto vario, in cui si possono ascoltare qualche venatura Prog, con passaggi atmosferici e melodia, vengono poi messe in evidenza le orchestrazioni, con arrangiamenti che fanno risaltare i brani più grintosi. Nove i pezzi contenuti in quest'album, che spaziano tra impatti fragorosi - come ad esempio l’opener “Dragon Wings” e l’impressionante “Into the Shadows” (che vede la brillante partecipazione di Harry Conklin alla voce) -, tra narrazioni suggestive e poetiche con forti suoni Folk come in “Star (Blood Red Sea)”, in cui riecheggiando suoni mediorientali. “The Oath” è molto più classica, ricordando le origini degli Achelous, molto ben modulata, mentre “Tower of High Sorcery” offre un mid-tempo con atmosfere oscure di un fascino difficile da spiegare a parole. Non manca l’inno epico e lo troviamo in “When the Angels Bleed”, mentre la band ci introduce in un'ipotetica terra ascetica con la semi-ballad “Pagan Fire", con la voce di Anastasia Megalokonomou che richiama un'immagine solitaria. L’impeto epico di "When the Angels Bleed" riaccende la fiamma della band e la nostra che amiamo questo genere. “Whispering Forest” è più mistica, con i vocalizzi angoscianti della bravissima Anastasia Megalokonomou che rendono questo pezzo davvero interessante e suggestivo. Con "Tower of High Sorcery” gli Achelous si sono davvero superati, un buon disco con ottime idee così ben sviluppate da suscitare una moltitudine di emozioni. Passione e sentimento si intrecciano in questo nuovo lavoro.

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    09 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 09 Aprile, 2024
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Dalla presentazione mi sono lasciata coinvolgere dalla frase "un viaggio melodico nel territorio Viking/Yokai"; e come potevo perdermi un misto tra guerrieri norreni e manifestazioni inquietanti, in una combinazione di Doom, Gothic e Dark Rock? “Order of the Mist” racchiude otto racconti che ruotano attorno a una giovane ragazza ultraterrena di Hokkaido, intrappolata in un regno infido della mitologia norrena. Fondata nel 2021, la band belga Hyldr debutta con "Order of the Mist", titolo che si riferisce ai sovrani degli inferi della foresta di Nebelwood, dove i mutevoli Huldra hanno il potere di riportare in vita i morti, e lo fa più che egregiamente in una unione di suoni malinconici, tristi con una interpretazione notevole. Le linee vocali sono perfette, con Lady IX che riesce a incarnare la cupezza e a volte l’aria più eterea in un intreccio con passaggi acustici; i testi, ovviamente oscuri, si ispirano alla mitologia nordeuropea, come il nome del gruppo che è quello di una Valchiria che Lady IX personifica nella veste di una Yokai, creatura soprannaturale del folklore giapponese, creando un’immagine d’impatto e molto teatrale. “Order of the Mist” è un percorso musicale che riesce a fondere suoni ispirati a opere cinematografiche e liriche, in una bellezza Gothic e Doom Metal ipnotica, a volte epici e spesso tormentosi. L’apertura con “Heart of Soil” è di una bellezza assoluta tra l’armonia iniziale ed il tormentoso ampliarsi del brano, credo che sia il giusto inizio per capire lo sviluppo dell’intero album, una buona scelta poiché si mostra la vera anima della band. Chitarra melodica in “My Gallant Assassin“, voce ariosa con un tocco di folklore che dipinge questo pezzo fino all’entrata di una voce più cupa e maschile; sì, perché Lady IX riesce ad intonare entrambi. “Your Frozen Chest”, uno dei singoli estratti, ha un mood decisamente più epico, armonioso nella sua aura tetra, un po’ più accattivante degli altri brani, mentre “The Blade of Gold”, altro singolo, è musicalmente più introverso, profondo ed intenso con ottime chitarre e un ritmo sostenuto. Menzione a parte per il terso singolo “Nibelungen”, ispirato a “Die Nibelungen” di Fritz Lang o all’opera di Richard Wagner “Der Ring des Nibelungen”, è letteralmente ipnotico e riesce a trasmettere quello che è sostanzialmente il tema epico-fantastico. L’essenzialità del brano è dovuta al concetto di rappresentazione in musica di un’opera che ritrova un interesse gotico. Parimenti profonda, la seguente “Bed of Germs“ è un altro racconto musicale che si ispira all'antico folklore, ma è con “Like Dying Ferns“ che gli Hyldr mostrano nuovamente la profondità e interiore bellezza gotica in un susseguirsi di melodie incantevoli. Finale epico con il bellissimo brano “Woodland Shrine”, a cui, tra malinconia e profondità, tocca l’arduo compito di dare un finale a questo racconto ultraterreno. Il concetto artistico di “Order of the Mist” è un viaggio nell'antico folklore con un sapore intenso a cui difficilmente si riesce a distaccarsi dal primo ascolto, più che consigliato!

Nota: Il disco è inizialmente uscito a gennaio 2023 in autoproduzione digitale, poi stampato su CD dalla francese Malpermesita Records a marzo 2024

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    22 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 22 Marzo, 2024
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Dopo la morte di Mark Shelton nel luglio del 2018, dopo un concerto dei Manilla Road all'Headbangers Open Air di Brande-Hörnerkirchen, la band si sciolse, mentre uno spettacolo tributo ai Manilla Road in onore di Mark è stato celebrato al festival Keep It True nel 2019. Dopo cinque anni gli ex membri dei Manilla Road Bryan Patrick (voce), Phil Ross (basso) e Andreas "Neudi" Neuderth (batteria) hanno formato una nuova band, a cui si è aggiunto Kalli Coldsmith alla chitarra. La band è Sentry e ha debuttato con un EP nel 2023 (con soli due brani “Heavensent" e "Black Candles”), mentre ora è la volta del omonimo album uscito per High Roller Records. “Heavensent" e "Black Candles” li ritroviamo anche in questo ultimo lavoro, ma andiamo per ordine, partiamo subito con “Dark Matter”, opener scoppiettante, breve ma intensa con dei buoni cambi di tempo, un ottimo brano d’apertura che ci lascia intravvedere il proseguo di questo album. “The Haunting” ha un’intro atmosferico con arpeggio di chitarra per poi cambiare piuttosto repentinamente lanciandosi in un vero inno Epic Metal dal sapore deliziosamente old school, apprezzato parecchio dalla sottoscritta, che va a braccetto con una buona tecnica. “Heavensent”, come anticipato, è uno dei due brani pubblicati nello scorso EP, ancora un’intro atmosferico con il suono della pioggia e un rombo di tuono, un ottimo lavoro di basso di Phil Ross e di batteria di Andreas Neudi Neuderth, le voci sono fantastiche e il brano si evolve perfettamente in uno stile con narrazioni norrene. Restiamo in campo vichingo con la seguente “Valkyries (Raise The Hammers)”, un brano davvero molto intenso, con un’apertura melodica ed acustica er svilupparsi in un crescendo epico e con degli echi in stile Black Sabbath. Inizio con piano in stile horror per “Awakening”, un'intro che viene viene presto interrotto dalla chitarra, il pezzo si sospende con alcuni accordi Doom per poi riesplodere dal basso. Un ottimo brano da sezioni intervallate di ‘uragani’ musicali con momenti più calmi. “Black Candles”, il secondo brano contenuto nell’EP, è più disarmonica ma proprio per questo è molto efficace, ad eccellere è il lavoro di batteria. “Raven’s Night”, brano nato come una jam in sala prove, è lento, dopo l’intro atmosferico con l’ululato del vento ed il gracchiare dei corvi, entra l’arpeggio di chitarra che accompagna ad una sonorità più focosa. Fantastico l'assolo Blues che si trasforma in Heavy Metal classico. “Funeral” ha l’intro di rintocchi di una campana, ovviamente funebre, e basso, un altro pezzo lento con un buon vocalizzo, un pezzo di chitarra acustica dal sapore spagnolo, incrementa maggiormente la bellezza del brano. “Incarnation Of Evil” è l’ultima traccia, una versione del brano originale dei Candlemass del 1988, è un gran bel brano Doom, pesante ed una versione molto personale. “Sentry” è un album da assaporare e conoscere, sicuramente è un bellissimo lavoro di Epic Metal con riffs tosti e batteria massiccia. I Sentry hanno colpito nel segno e nell’anima dei fedeli dell’Epic. Chapeau!

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Opinione inserita da Valeria Campagnale    21 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 2024
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Celebrando il ventesimo anno di attività, i Leaves' Eyes pubblicano il loro nono album in studio, consolidandosi tra i leader dell'universo del Symphonic Metal. Potenti, epici ed impressionanti, i Leaves' Eyes fondono ancora una volta i generi Metal tradizionali con elementi Folk, Gothic e musica classica in un accattivante lavoro. Tra leggende e mitologia, con “Myths of Fate” i Leaves' Eyes risplendono nuovamente di luce propria con orchestrazioni magistrali ed una poesia lirica senza uguali; le voci di Elina Siirala e Alex Krull si fondono spesso in un intreccio sognante. L'opener "Forged by Fire" è poderosamente epica e, con le potenti chitarre ed i vocalizzi, ci introduce in questo universo sinfonico. Bellissimo l’intro di questo brano, come i vocalizzi e la narrazione stessa, enfatica quella di Elina e poderosa quella di Alex. Lasciamo questo splendido brano per approcciarci al seguente “Realm of Dark Waves” e proseguiamo questo magico momento con accenni celtici nell’intro per lasciare poi che la musicalità si evolva in un pezzo più leggero rispetto al brano di apertura, mantenendo comunque una sonorità regale. Più malinconico il terzo brano “Who Wants to Live Forever”, con una musicalità più tetra ma sempre con un tocco così leggero ed interpretativo che mette i brividi. Molto potente la seguente “Hammer of the Gods”, cche dopo il violino iniziale di Lea-Sophie Fischer, si evolve in un intrico melodico dovuto ai vocalizzi aggraziati di Elina e quelli vigorosi di Alex, ma è il finale che ammalia in un crescendo di note sempre più epiche. “In Eternity”, ispirata dalla defunta madre di Alex, è un mid-tempo, molto sentito e ed ovviamente intimista. “Fear the Serpent” ha una atmosfera decisamente Folk con riferimenti al mondo mitologico norreno, mantenendo quella epicità che contraddistingue questo bellissimo album. Con “Goddess of the Night” hanno creato un capolavoro, la melodia sinfonica e la dolcezza si fondono per comporre un un brano magico che si erige in una epicità unica nel suo termine. Bellissima “Sons of Triglav”, che risuona come un grido di battaglia grazie ai vocalizzi di Alex, un pezzo che riesce a dare quel senso di eroicità, richiamando la mitologia slava, mentre “Elder Spirit” riecheggia di una sinfonia più malinconica, mettendo sempre in luce le due voci. Nuovamente riappare la mitologia norrena nel brano “Einherjar”, che ha il sapore di un racconto leggendario ed epico, tra leggiadria e cori memorabili. “Sail With The Dead”, brano in chiusura dell’album, è l’ottima conclusione di un viaggio fantastico attraverso il riecheggiare oscuro e magnetico tra onde immaginarie ed un veliero in balia del vento. Impossibile dire quale brano sia il migliore poiché sono tutti affascinanti e riescono a trascinare lungo tutto il percorso. Un bellissimo album che farà felici i fans dei Leaves' Eyes e non solo.

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