Opinione scritta da Celestial Dream
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Ultimo aggiornamento: 16 Ottobre, 2024
Top 10 opinionisti -
Il nome della band e la copertina di questo disco ci portavano alla mente un sound hard'n'heavy ottantiano possente e carico di adrenalina. In realtà gli Steelcity – il nome deriva dalla cittadina dell'Ohio nota per le sue fabbriche - si approcciano alla musica con un sound più melodico con tastiere molto in evidenza e coretti catchy. Forse anche per colpa della produzione, manca un pizzico di potenza nei brani che compongono “Reverence”, terzo album del gruppo americano.
Il leader e chitarrista Mike Floros prende certamente ispirazione da band come Winger, Whitesnake, Great White e con l'ingaggio del super cantante Roy Cathey, presente nei favolosi Cold Sweat di inizio anni novanta, dà vita ad undici brani ricchi di adrenalina, ma che raramente si accendono attirando le attenzioni dell'ascoltatore. La melodica “No Angel”, il tocco più classico di “Dizzy” (ecco le influenze Great White) e “Walk Away” sono composizioni ben fatte sotto diversi punti di vista, ma non riescono ad accendersi del tutto. Ciò che è certo è che la prestazione vocale sopra le righe di un eccelso Roy e la tecnica di Mike alle sei corde – evidenziata in ogni brano – vedi la stessa “Broken” con riff decisi e divagazioni strumentali interessanti, meritano almeno un ascolto. Tra i momenti più coinvolgenti citiamo la solida e melodica “Losing Control”, con un coretto tutto da cantare, mentre nel finale è la lenta “The Journey” a ricevere il compito di chiudere l'ascolto.
Manca un po' di sentimento in questo “Reverence”, disco che, nonostante le capacità individuali dei componenti della band, fila via un po' distaccato e senza lasciare grosse vibrazioni positive.
Ultimo aggiornamento: 16 Ottobre, 2024
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Ecco tornare i maestri della NWOBHM, una band capace di costruire fin dal proprio primo disco, l'iconico “Court In The Act” nel 1983, un sound personale ed altamente riconoscibile. Parliamo dei grandi Satan che, tornati in pista da alcuni anni, continuano a comporre lavori unici, attorniando il loro heavy metal classico con atmosfere oscure ed occulte, chitarre che si muovono su territori poco convenzionali con riff ed assoli scoppiettanti e linee vocali ricercate.
Le dieci tracce che compongono “Songs In Crimson” conquistano pian piano, ma riescono ad avere un ottimo impatto fin da subito. La band di Newcastle mostra trame di chitarra sofisticate, come sempre, durante la turbolenta “Era (The Day Will Come)”, dove compare anche un bel ritornello che subito colpisce profondamente, prima di tuffarsi nell'altrettanto diabolica “Sacramental Rites”, che viaggia su ritmi infernali e si esalta su un refrain ben congegnato.
Brian Ross al microfono è un altro segno distintivo del sound targato Satan; la sua voce profonda accompagna questi brani complessi, ma al contempo diretti, come “Whore Of Babylon” con il suo coro facile da assimilare. Gli instancabili Russ Tippins e Steve Ramsey continuano imperterriti a muoversi alle chitarre, sfornando intrecci esaltanti prima durante “Turn The Tide”, super hit del disco, poi con la possente e spedita “Captives”. Più classica nel suo incedere, ma comunque ricca di ottimi spunti, “Truth Bullet” si erge a colonna portante di questo lavoro, con cambi di ritmo ed un ritornello compatto e deciso, per poi chiudere con le burrascose note di “Deadly Crimson”.
Un disco non facile e che va ascoltato con attenzione più volte per essere apprezzato; “Songs In Crimson” contiene tutte le caratteristiche del sound Satan, band unica nel panorama heavy mondiale.
Ultimo aggiornamento: 16 Ottobre, 2024
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Sei anni fa usciva uno dei dischi più intriganti di quell'annata musicale, ovverosia “The Persistence” dei romani Kingcrow. Il gruppo laziale è cresciuto disco dopo disco, ma la lunga pausa che ha diviso quella release da questo nuovo album in studio, ha creato probabilmente qualche dubbio sulla possibilità della band di continuare il proprio percorso. Ma, come un fulmine a ciel sereno, l'annuncio di “Hopium” ha risvegliato i fans del prog più introspettivo e della buona musica in generale. Dopo ripetuti ascolti, possiamo affermare che si tratta di un disco di eccelso valore che conferma quanto di ottimo fatto dal quintetto (ex-sestetto) in passato. Un lavoro che si evolve, lasciando da parte il lato più metal della propria musica e viaggiando con maggior ardore verso lidi più moderni ed elettronici, con arrangiamenti molto evasivi e pochi momenti dove gli strumenti possono sfoggiare tecnica solista. Echi di Pain Of Salvation, Riverside e Leprous sono presenti, ma i Kingcrow hanno uno stile unico e riconoscibile che qui mischiano anche con influenze che vanno fino ai Massive Attack. Le melodie calde e raffinate, cantate dal bravo Diego Marchesi conquistano sempre più, ascolto dopo ascolto. Ed il lavoro negli arrangiamenti è geniale. La vertiginosa opener “Kintsugi” si incendia su riff solerti, mentre le tastiere più stroboscopiche di “Glitch” esaltano le melodie soffuse e intriganti della voce. “Parallel Lines” si sviluppa su territori più progressivi con orchestrazioni da colonna sonora ed il basso di Riccardo Nifosì che riecheggia con carattere, fino ad un finale strumentale ricco di tanti elementi. Le note intense e sognanti di “New Moon Harvest” sono da ascoltare ad occhi chiusi e ancora le raffinate melodie ed orchestrazioni di “Losing Game” si stampano presto nella mente. Le luci accecanti della notte abbagliano con l'intrigante “Night Drive”, mentre linee vocali ancora calde e profonde conquistano durante “Vicious Circle”. La titletrack si dilunga per oltre nove minuti ricchi di cambi di ritmo, passaggi possenti, aperture melodiche, orchestrazioni... il finale è lasciato ad una breve ballata capace di emozionare come “Come Through”, ciliegina sulla torta di questo grande disco.
“Hopium” è un lavoro di qualità superiore, a nostro parere una delle poche uscite discografiche di quest'anno in grado di appassionare, regalandoci sensazioni e vibrazioni profonde. I Kingcrow hanno lavorato sodo per sei lunghi anni per tornare con un lavoro di grande livello. Una delle migliori band del nostro paese che dovrebbe essere maggiormente riconosciuta!
Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre, 2024
Top 10 opinionisti -
Un concentrato di raffinato AOR di stampo ottantiano con “ReHydration” degli svedesi Hydra, è pronto ad abbattersi per tutti gli amanti di queste sonorità!
Il gruppo formato dal chitarrista Henrik Hedström (First Signal, Angelica), il batterista Daniel Flores (Find Me, First Signal etc.), il bassista Jonny Trobro (First Signal, Find Me) ed il cantante Andi Kravljaca (Aeon Zen, Seventh Wonder), mette in piedi un disco raffinato con tastiere scoppiettanti e melodie vocali altamente canticchiabili durante gli undici brani che compongono questo secondo – e che segue il debutto “Point Break” - loro lavoro in studio.
L'ariosa “We Belong” ad aprire le danze, per proseguire con il sound più massiccio, ma pur sempre altamente melodico di “Marionette”. Spettacolare la ballata “Still The Same” che apre poi la via al pezzo più robusto della tracklist che risponde al nome di “Eye Of The Storm”. L'ugola di Andi si dimostra dinamica, intensa, a tratti grintosa. Henrik dal canto suo regala favolosi assoli di chitarra.
Un tocco westcoast è presente qua e là e risplende tra le note luccicanti di “Two Of A Kind”, mentre la tracklist continua senza sbavature con tastiere cristalline e chitarre limpide durante “Out In The Cold”, con il pathos più intimo e teatrale di “Love Remains” e con la conclusiva, intensa ballata “Me Minus You”.
Un disco che appassiona per tutta la sua durata, dove la classe di questi musicisti è palpabile sia in fase di songwriting, che dal punto di vista dell'esecuzione. In campo AOR, “ReHydration” è tra gli highlight dell'annata in corso.
Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre, 2024
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Gli Eden sono una nostra vecchia conoscenza che seguiamo fin dai loro primi anni di attività e si parla di oltre due decadi fa. La band originaria delle Asturie, in Spagna, ne ha fatta di strada e con questo sesto disco in studio mostra margini di miglioramento evidenti.
Power metal ben bilanciato, cantato ovviamente in lingua madre, che dopo una brevissima intro entra deciso sulle note di “Ave Fenix”. Chitarre pesanti, orchestrazioni oscure ed un tocco alla Avalanch, maestri della scena iberica per quanto riguarda queste sonorità, sono gli ingredienti che subito affiorano all'ascolto. Javier Díaz e Álvaro Cocina alle chitarre sanno il fatto loro e ci regalano una buona parentesi strumentale, mentre l'ugola pulita di Fernando – punto di forza in questo lavoro - risplende e si alza durante il refrain. La più melodica e sentimentale “Nunca Más” scalda i motori prima dei ritmi più scroscianti di “Alma De Libertad”, raffinato brano power metal che colpisce fin dai primi ascolti. La personalità dei Nostri non è certo marcata e chi conosce un po' la scena spagnola troverà parecchie connessioni con band come Dunedain, Dragonfly, WarCry ed i già citati Avalanch, ma gli Eden dimostrano di saperci fare pur non brillando in innovazione. E brani come “Puede Ser” dimostrano come la band sappia comporre pezzi grintosi con la doppia cassa che corre veloce e melodie vocali coinvolgenti e da cantare. Niente male neppure la lenta “Ella”, anche se piuttosto scontata, ma si torna a colpire con bordate di power metal prima con la rapida “El Fin”, poi con l'inno “Cómo Un León”, pezzo che potrebbe diventare colonna portante dei prossimi live della band spagnola.
Tanti anni di gavetta, ma una dedizione che ha finalmente portato i suoi frutti; per gli Eden si tratta di una gran bella prova con questo “Alma De Libertad”!
Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre, 2024
Top 10 opinionisti -
Uno dei dischi più coinvolgenti che potete ascoltare in questo preciso periodo dell'anno? "Throw Down The Gauntlet" dei debuttanti svizzeri Amethyst! Un disco di heavy rock/metal che ci riporta indietro di oltre quarant'anni. Per capirci, le coordinate da seguire pensando alle band più recenti, ma che si rifanno a questo sound retrò, possiamo citare High Spirits e Tanith.
Il disco suona strabene e conquista per tutta la sua durata, forse senza alcun brano mastodontico, ma con otto composizioni ricche di adrenalina e che trasudano passione. Quaranta minuti di musica elettrizzante e cavalcate heavy-rock a partire dall'opener “Embers On The Loose”, passando per la coinvolgente “Stand Up And Fight”, spinta dalle note di basso di Miguel Sanchez che rimbombano trainando con sè tutta la band fino ad un ritornello che fa pieno centro! La voce di Frëddy è forse fin troppo lineare e continua per tutto il disco sempre piena ed espressiva, senza alzare mai i decibel, ma il tutto funziona piuttosto bene. Ciò è confermato durante “Won't Do It Again” e “Running Out of Time”, brani dalle chiare influenze NWOBHM (Diamond Head?) con trame chitarristiche esaltanti che scorrono vivaci sempre ben supportate dalle note di basso, strumento che viene messo sempre in evidenza dalla produzione. Le parti strumentali sono invece abbastanza contenute, con Ramon e Yves ad alternarsi negli assoli di chitarra come succede nella sanguigna “Take Me Away”.
Un disco molto piacevole quindi, ma forse poco vario sia dal punto di vista della struttura dei pezzi, che soprattutto nelle linee vocali e nell'approccio del cantante. Detto questo, le otto composizioni contenute in questo “Throw Down The Gauntlet” scorrono con energia e si lasciano ascoltare con enorme passione. Buona la prima per gli Amethyst!
Ultimo aggiornamento: 13 Settembre, 2024
Top 10 opinionisti -
Se si parla di Hard Rock classico e fiammeggiante, difficile oggigiorno trovare di meglio dei The Dead Daisies, supergruppo ormai attivo da oltre una decade – anno di formazione 2013 che coincide con la pubblicazione dell'omonimo debutto - che ora arriva a dare alle stampe il disco numero sei in studio, intitolato “Light ‘Em Up”. Fin dalle prime note, quelle della title-track, si capisce che la band, che vede tra le proprie fila musicisti del calibro di John Corabi alla voce e Doug Aldrich alle chitarre, non indietreggia di un centimetro rispetto al passato ed è pronta a colpire con tecnica ed energia grazie a ritmi scoppiettanti, riff fumanti e melodie coinvolgenti. Dieci pezzi compatti e ricchi di feeling e nessun momento morto lungo una tracklist scoppiettante che mette sul piatto brani più possenti da una parte, come la rocciosa accoppiata “Back To Zero” - “Way Back Home” e con la possente “My Way And The Highway”. con chitarre penetranti che ti restano dentro. Dall'altra molti rimandi alla scena settantiana, come nella vivace e scintillante “Times Are Changing”, che si stampa in testa con coretti canticchiabili, e l'Hard Rock stradaiolo di “I Wanna Be Your Bitch”. Il basso di Michael Devin apre la via e conduce la sanguigna “Take a Long Line”, mentre è certamente degna di nota la splendida lenta di gran classe che risponde al nome di “Love That’ll Never Be”. Un sound possente che colpisce lasciando il segno; “Light ‘Em Up” è un disco che non inventa nulla. ma che ascolteresti sempre come colonna sonora di ogni singola giornata, all'insegna dell'Hard Rock: quello vero!
Ultimo aggiornamento: 06 Settembre, 2024
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Heavy Metal melodico dal tocco neoclassico e qualche sfumatura AOR nella proposta musicale dei Constancia, gruppo formato nel 2007 dal tastierista Mikael Rosengren. Qualche album alle spalle a partire dal debutto del 2009 “Lost And Gone”, per passare a “Final Curtain” del 2015 e “Brave New World” del 2021 – che abbiamo recensito positivamente sulle nostre pagine - fino ad arrivare ai giorni nostri, dove la band presenta questo “IV Evermore”. Dodici pezzi - forse troppi - dove il gruppo nordico dimostra di avere discrete qualità tecniche sia nella voce, melodica ma a tratti graffiante (vedi durante la rockeggiante “My Redemption”) di Pete Godfrey, che sul lato strumentale. Le chitarre infatti sono ben presenti e suonate con maestria e senza strafare da Janne Stark (Overdrive, Grand Design), che dimostra un buon gusto anche per gli assoli. Ma non sempre il songwriting decolla e probabilmente più che le canzoni iper-melodiche, vedi “Feel My Heartbeat”, dalle chiare sfumature AOR con coretti ruffiani, preferiamo i momenti più personali che si distaccano un po' dal classico Melodic Hard Rock. La possente “Higher” con il suo incedere epico, ad esempio, entra di diritto tra i momenti migliori del disco, tra i quali dobbiamo certamente citare anche “Stand Up”, dove l'andamento si fa più intricato anche nella cura delle linee vocali, con qualche influenza più moderna e progressiva (che troviamo in parte anche con “I Can’t Believe (That This Is Love)”). Altri pezzi invece come “Call My Name”, che presenta calde melodie – con rimandi agli anni '80 e ancora coretti avvolgenti - ricordando qualcosa dei Talisman, o la stessa “You Don’t Know Love”, puntano su un mood spensierato e melodico con linee vocali catchy e rappresentano la maggior parte della tracklist. Infine l'accoppiata centrale con “Build This House” e soprattutto “Live Life On The Run” dimostrano come la band abbia ottime capacità nel trovare melodie accattivanti senza perdere in potenza. “IV Evermore” è un buon lavoro nel complesso, ma fatica ad accendersi del tutto, come se continuasse la sua corsa sempre con la terza marcia innescata, passando raramente in quarta e mai in quinta. Ma per gli amanti di certe sonorità melodiche, un ascolto è consigliato, ci mancherebbe!
Ultimo aggiornamento: 04 Settembre, 2024
Top 10 opinionisti -
Mancanza di Metal neoclassico? Ci pensano i Timeless Fairytale! E lo fanno con il buon "A Story to Tell", disco di debutto per una formazione che vede alcuni nomi noti della scena. Il cantante danese Henrik Brockmann (voce originaria degli Royal Hunt, poi passato negli Evil Masquerade) ed il talentuoso chitarrista italiano Luca Sellitto, che abbiamo apprezzato con i suoi Stamina, sono delle sicurezze nel settore. Con loro, il bassista Carmine Vivo ed il batterista svedese Viktor Enebjörn completano la formazione. Echi di Royal Hunt e Ring of Fire sono presenti qua e là all'interno di una tracklist che non disdegna passaggi scintillanti spinti da ritmi sostenuti. L'opener “Forever and a Day” mette subito in chiaro le cose con tastiere di stampo neoclassico ad accompagnare un brano che risplende su linee vocali celestiali. La raffinata fast song “New Down” corre rapida sui tasti d'avorio di Luca con coretti di gran classe, oppure “Emptiness” che conquista con un gran refrain strizzando l'occhio al Symphonic Metal e la scoppiettante “The Best Part Of Your Life”: tutti brani dai ritmi scroscianti e dall'impatto pressoché immediato. Non manca qualche momento più rilassato come la lenta “A Story to Tell”, dal coro eroico, il tocco Hard Rock di “Master of Illusion” e qualche passaggio progressivo come nell'elegante “The Last Chance”, con voci femminili che si riconoscono all'interno di cori eterei che accompagnano la voce di Henrik (anche questi di scuola Royal Hunt!). E se a livello strumentale il disco è scintillante, è ovviamente Luca a lasciare il segno in maniera più profonda, con assoli virtuosi che accendono l'ascolto. “A Story to Tell” non inventa nulla e se si è alla ricerca di un disco originale, qui si è nel posto sbagliato. Ma se si amano queste sonorità, nonostante i rimandi ai cugini Royal Hunt dell'era “Clown in a Mirror”, “Moving Target” e “Paradox” siano fin troppo evidenti, questo è un lavoro di rara classe!
Ultimo aggiornamento: 04 Settembre, 2024
Top 10 opinionisti -
Progressive/Heavy Metal in arrivo dalla Grecia con gli Orra, che avevano debuttato qualche anno fa con "Unbounded" (2022) ma che vogliono portare avanti la loro carriera dimostrando qualche passo in avanti con il nuovo "Glimmer of Hope", un album che non farà illuminare gli occhi ai grandi appassionati della musica Metal, ma che mostra una band capace di costruire buoni pezzi, senza dimostrazioni di tecnica eccelsa ma con buone melodie ed atmosfere malinconiche. Insomma le sonorità intense e ricercate di Opeth e Haken incontrano quelle più grigie degli Evergrey e certamente troviamo qua e là anche qualche rimando ai grandi Fates Warning! Alla voce il buon Louis Hatzimichalis (Fatal Morgana, Equal Vector, etc), il quale svolge bene il suo lavoro, ricordando in alcuni passaggi proprio l'ugola di Ray Alder. Il gruppo di Atene colpisce con brani emotivi grazie a linee vocali intense e raffinate come dimostra l'opener “All The Roads”, mentre arpeggi ed atmosfere sognanti appaiono nella parte iniziale di “In Pulse”, salvo poi svilupparsi su riff decisi spinti da una batteria vigorosa. L'articolata “In Lights” mostra varie sfaccettature nel sound della band, nonché un bel assolo di chitarra di Peter V. Pierrakeas. Canzoni, queste elencate e le altre contenute nella tracklist, alle quali manca solo quel pizzico di estro per avere una marcia in più, che è riconoscibile quando incontriamo dischi di band come Threshold, Hacken, Kingcrow, tanto per citare alcune delle migliori uscite in questo campo negli ultimi tempi. “Seclusion” ad esempio è una song che presenta passaggi acustici ben fatti, ma che non possiede probabilmente linee vocali abbastanza accattivanti capaci di far grande presa. In chiusura, e un po' a sorpresa, la cover di “Here Come the Tears”, brano dei Judas Priest, riproposto in una versione molto intensa e teatrale. Gli Orra danno alle stampe un buon lavoro con questo "Glimmer of Hope", ma soprattutto dimostrano di avere un buon potenziale che non potrà che portare a buoni frutti in futuro.
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