Opinione scritta da Davide Collavini
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Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre, 2023
Top 50 Opinionisti -
Che dire, finalmente mi capita tra mani e cuffie una Thrash band italiana! I torinesi Ural, che hanno dato vita alla loro ultima fatica in fatto di album: "Psychoverse". Da quanto dichiarato dalla band, quest'album ha voluto dare sfogo alla propria creatività senza compromessi, ma sempre non snaturando la propria essenza di proposta musicale. Direi che hanno fatto veramente bene, perché l'album colpisce e si fa apprezzare fin dalle battute iniziali: "Drag Me to the Wolves" inizia con un'atmosfera cupa da film dell'orrore con tanto di urla strazianti e una bestia che sta divorando il malcapitato urlante di dolore e terrore. Vi assicuro che le urla sono alquanto terrificanti, complimenti a chi ha avuto questo colpo di genio! Stupendo! Lasciando lo squartamento si inizia a ballare, il sound aggressivo e feroce inizia subito con rullate e riff pesanti, anche la voce non mi dispiace affatto, alterna aggressività e toni belli alti… Il cantante Andrea Calviello ci sa fare e sa interpretare bene le canzoni con una voce chiara, accompagnato da un sound a dir poco coinvolgente! Si sente che questi ragazzi hanno fatto loro tutto quello che di buono ha insegnato la Bay Area anni '80! Non è un suono ripetitivo, anzi direi coinvolgente con dei bei cambi di ritmo, soprattutto in "Heritage", in cui il ritmo costante arricchito da riff e assoli belli taglienti ha un cambio di tempo nella parte centrale degno di nota. Anche le voci di accompagnamento ci stanno alla grande! "Nightmare” continua le rullate accompagnate da un riffing tagliente, creando un clima cupo e tenebroso con un Calviello rabbioso. Un assolo accompagna la fine del brano che rallenta il ritmo, un groove lento ma pesante. Bel pezzo, fin qui nulla da dire. Anche in "Blood Red Sand" troviamo un ritmo più rallentato ma pesante allo stesso tempo, con riff granitici che ci accompagnano per gran parte della canzone, per poi accelerare con assoli affilati e rullate a mitraglia; per poi, verso la fine del brano, tornare ai granitici riff e le rullate prestate! "Fall of the One Word" ci regala una canzone complessa, con un arrangiamento vario e cambi di ritmo. “Uncanny Valley” ci porta direttamente indietro nel tempo con un sound decisamente fine anni '80, ritmo serrato e riff continui uniti ad un ritornello molto orecchiabile. A “Carousel of Hell” il compito di accelerare alla grande, pezzo che farà sicuramente felici gli amanti del Thrash più battente. Ma sempre abbinato però a riff “intelligenti” e granitici, ben strutturati. Anche vocalmente niente da dire, ottima prova. “66.6 F.M.” penso sia il pezzo più curioso ed emblematico di tutto l’album. Una sorta di strumentale che va a chiudere il disco con arpeggi di chitarra della durata di un paio di minuti., quasi a prendere fiato dopo la cavalcata Thrash fatta finora. In conclusione devo dire che quest’album non è niente male, ha un po' di tutto e riesce ad accontentare sia i palati più esigenti, sia coloro che sono affezionati ad un tipo di Thrash Metal vecchia scuola (per esempio il sottoscritto). A volte ho identificato influenze alla Anthrax, ma anche tocchi originali. Sicuramente il riffing qui non manca, come i cambi di ritmo mai banali. Ora, non vorrei essere tacciato di campanilismo, ma i lupi torinesi hanno sfornato veramente un buon lavoro. Bellissimo e nello stesso tempo “tenebroso” l’artwork dell’album, con un lupo imprigionato in un cosmo che cerca di intrappolarlo.
Canzoni preferite: “Drag Me to the Wolves”, “ Heritage”, “ Fall of the One World”, “ Uncanny Valley”.
Ultimo aggiornamento: 01 Ottobre, 2023
Top 50 Opinionisti -
Nella scena musicale Thrash Metal ogni anno escono migliaia di nuovi album da altrettante bands nuove o meno nuove. Quelle che ho la fortuna di ascoltare cerco di conoscerle il più possibile, di capire il genere musicale, l'influenza di stile o ispirazione, se puntano ad essere un clone di qualcuno o se riescono a dare qualcosa in più che i vari mostri fondatori di questo genere musicale non abbiano dato. Capisco che la cosa non è per niente facile, inventare qualcosa di nuovo oggi musicalmente è abbastanza difficile. Però mai dire mai. In passato le bands Heavy Metal e Thrash Metal avevano come luogo di origine Los Angeles, San Francisco, il New Jersey e il Regno Unito, portando da lì in tutto il mondo questo nuovo genere musicale. Arrivando anche nella terra degli Strident, Israele, un paese che tutto si penserebbe fuorché avere ispirazioni e condizionamenti musicali Metal. E invece eccoci a parlare proprio degli israeliani Strident! Finita la lezione di storia e presentazione della band riprendiamo il filo conduttore che ci porta ad ascoltare il loro nuovo album. Il prologo è servito per far capire che molte volte la tecnica, la velocità e il martellare senza sosta può risultare abbastanza ripetitivo, facendo perdere valore magari ad un album che forse poteva avere del potenziale. Questo accade proprio con "Paranoia of the Tyrant". "Hard-Bitten" inizia bene con un ritmo incalzante riff belli ricchi ed un ritmo molto simile come tecnica ai Metallica anni '80. Il brano è piacevole anche se il riffing è abbastanza ripetitivo per tutta la durata. “Paranoia of the Tyrant” alza il ritmo, più martellante anche se i riff e assoli sono un po' il continuo della precedente. "War" continua il martellamento aumentando ancora la velocità, canzone rabbiosa e furiosa costante per tutti i suoi due minuti circa. "End It", massiccia e martellante, continua la linea tracciata dalle precedenti canzoni. Il tutto risulta però essere sì energico, ben strutturato con riff, assoli di qualità, ma poco vari. Diciamo che la band c'è, la tecnica pure, manca forse un po' di originalità. Peccato, perché i primi brani sono abbastanza convincenti, a tratti anche ben realizzati con un sapore alla Testament. Peccato anche per la produzione, sinceramente non molto all'altezza, sarò forse io ma il suono non mi sembra molto "pulito". Tornando ai brani, "Incarnated" ci dà dentro di brutto senza sosta con il batterista che si scatena con raffiche, accompagnando riff tosti e senza sosta per tutti i cinque minuti del brano. "Under My Flag" è martellante con rullate potenti e precise che ci accompagnano verso la fine dell’album all’ascolto di "Deal With The Beast", veramente un ottimo pezzo che si distingue dal resto dell’album. Concludendo, sia chiaro, non è una completa bocciatura anzi, l'album sicuramente piacerà a tutti coloro che amano il Thrash Metal martellante, furioso e aggressivo. E su questo gli Strident hanno sfornato un album degno di tale nome. Se, invece, come il sottoscritto, amate sì il Thrash, ma cercate anche un po' di originalità oltre al martellare di continuo, ascolterete questo album una volta, forse due, ma poi passerete altrove.
Canzoni preferite: "Hard-Bitten", "Deal Whit The Beast".
Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 2023
Top 50 Opinionisti -
A distanza di tre anni dall'ultima fatica “Digitotality”, i cechi Exorcizphobia escono con un nuovo album:“Spiritual Exodus”! I temi trattati nel nuovo album spaziano tra reincarnazione, condizionamenti mentali e visioni alterate della realtà. Band formatasi nel 2006 originaria della Cechia, adotta un Thrash Metal vecchio stile fine anni '80, con un'inclinazione verso la "scuola" New Jersey/Bay Area ma con un tocco moderno e personalizzato. Nelle loro canzoni si possono udire influenze da Overkill ad Anthrax. In "Spiritual Exodus" incontriamo un Thrash Metal molto aggressivo, ma a tratti anche “melodioso”. Toni forti e chitarre ritmiche pesanti con martellante ritmo alla batteria la fanno da padrone in tutte le canzoni, lasciando un po' indietro a percezione la voce e forse anche le chitarre soliste. Problemi di mixaggio o produzione? Iniziamo con “Initiation”: un inizio strumentale che dopo pochi minuti lascia il campo a riff granitici e un’energia dirompente e aggressiva! “Violence And War”, seppur martellante e continuativa di “Initiation” ha un carattere tutto suo, un atteggiamento violento e rabbioso, con groove e riff massicci che ricordano molto lo stile Thrash anni '80/'90. Pezzo ben riuscito. “Reflection”: forse il brano che preferisco, breve come durata ma non come intensità e coinvolgimento. La voce cambia completamente tono diventando quasi melodica con un ottimo ritmo galoppante. Quasi a voler sconfinare in un Thrash Metal più orecchiabile, senza però osare più di tanto. “Down The Rabbit Hole” ci porta in un ritmo più serrato con riff alla Anthrax. "Those Who Oppose" ricorda pezzi Heavy Metal anni '90 come natura compositiva o di ispirazione oserei dire alla “Black Album”. "Ring-Pass-Not" è un pezzo nel cui interno troviamo il meglio dell’influenza dei Death Angel e Testament, anche loro grandi protagonisti del Thrash storico statunitense.
"Through A Glass Darkly": il ritmo rallenta, ma il livello di arrangiamento resta fedele al timbro imposto all’album. Anche la voce si fa meno furiosa e più distintiva. Un bel pezzo con i suoi riff travolgenti e assoli di buonissima fattura. Qui si, se chiudo gli occhi mi sembra di ascoltare una band Heavy/Thrash della fine degli anni '80. A chiudere il disco ci pensa “Tiwanaku”, una strumentale che inizia con una chitarra classica con note dolci che accompagnano la partenza della batteria per poi scatenare le chitarre che alzano il ritmo. Una strumentale che ha una durata di ben 7 minuti, sembra quasi accompagnare l’ascoltatore con suoni più melodici e rockeggianti alla fine dell’album, lasciando dietro di sé tutto il fragore, la rabbia e l’aggressività che ci ha accompagnato fino a qui. Soltanto verso i minuti finali il ritmo si rifà leggermente più veloce, ma mantenendo quella componente più Heavy. Bello l’assolo verso il quinto minuto. In complesso una canzone che non mi è per niente dispiaciuta, la giusta conclusione di un album ben realizzato. Bello l’artwork dell’album, rende bene l’idea dei temi trattati in "Spiritual Exodus".
Canzoni preferite: “Reflections”, “Through A Glass Darkly” e la strumentale “Tiwanaku”.
Ultimo aggiornamento: 22 Settembre, 2023
Top 50 Opinionisti -
I The Prophecy²³ deliziano i loro fans con un album live registrato durante il Summer Breeze Festival del 2022, dove la band tedesca ha celebrato il proprio ultimo album: "Fresh Metal". L'album è uscito il 23 agosto 2023 in formato digipack, cofanetto limitato e in formato digitale per lo streaming sulle più famose piattaforme musicali online, e contiene dieci brani, gran parte dei quali provengono dal disco del 2020, mentre il resto è una sorta di best hits degli altri dischi usciti nel corso della carriera ormai più che ventennale del gruppo di teutonico. Il live presenta un ottimo suono, pulito e chiaro cosa non sempre scontata in queste produzioni; ogni strumento è ben registrato così come anche la voce, sia nelle interazioni con il pubblico, sia durante l'interpretazione dei brani. Il pubblico presenta forse l'unica nota stonata: probabilmente andava alzato un po' di più il volume della registrazione perché si ha l'impressione che sia alquanto distante dal palco. Essendo una band con una bella potenza nel sound, ma anche che sa coinvolgere il pubblico, questo "Live at Summer Breeze" rende molto bene cosa potremmo aspettarci andando a vedere un concerto dei The Prophecy²³.
Ultimo aggiornamento: 19 Settembre, 2023
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Mi verrebbe da dire: Hell’s Satans, dal Cile con furore!! Gli Hell’s Satans sono un gruppo Heavy Metal cileno formatosi nel 2008 a Villa Alemana, Valparaiso. L'album omonimo esprime tutto ciò che i membri sentono come band nella quotidianità, nella religione, nelle credenze, nell'ingiustizia e nelle loro radici; ha molte influenze come Iron Maiden, Judas Priest, Helloween. E devo dire che si sentono benissimo! Un disco che presenta in dose massicce una buona quantità e qualità di riff, rullate, assoli e virtuosismi vocali, composto da nove tracce per una durata di circa mezz’ora in cui le sonorità Heavy e Thrash vengono spinte a grande velocità, creando un connubio piacevole e divertente per chi ascolta. Nota positiva anche le qualità vocali del cantante, molto acute e nasali che si sposano bene con il sound e da un quel qualcosa in più alle canzoni, visto i temi trattati dalla band. In “Leviatàn” - intro al numero uno del disco - troviamo una strumentale ben ritmata con belle rullate e cadenze ritmiche da marcia. Musicalmente apprezzata e “un antipasto” di ciò che ci attende. “Doble o Nada” ci regala una bella dose di potenza pura con alcuni virtuosismi vocali di Patricio Cruz e assoli brillanti nel finale. “Asesino Serial” ci porta su sonorità meno veloci, ma con ritmi direi molto maideniani. “Suenos oscuros” torna sulla velocità più rabbiosa con Patricio che ci regala dei buoni acuti. “Hell’s Satans”, la title-track, rallenta un po', ma solo per modo di dire. Pezzo molto orecchiabile e ben realizzato con chitarre vigorose. “Amulepe Taiñ Weichan” ci porta in una festa paesana con colpi secchi brevi a percussione per poi partire furiosa con ritmo incessante. Chiudono l’album le trascinanti “Quema de Iglesias” e “Heavy Addiction”, con quest’ultima anche se breve molto classica e orecchiabile. Diciamo che come esordio non è male, e termini di miglioramento sicuramente ci sono soprattutto per il cantante, che a volte sembra un po' in difficoltà nelle note più alte e avendo una voce più nasale si sente. Il fatto di cantare in spagnolo, a mio modesto parere, può essere limitante per la band, soprattutto se si vogliono oltrepassare i confini, anche se il sound c’è e la tecnica pure. Bello l’artwork alla Motorhead!
Ultimo aggiornamento: 17 Settembre, 2023
Top 50 Opinionisti -
Fermi tutti! Corey Taylor è tornato! A tre anni da "CMFT", suo primo disco solista, ci riprova! Il frontman degli Slipknot torna con un nuovo album: "CMF2". ("Corey MotherFucking 2"). Piccola premessa, per commentare e valutare la fattura di questo album, doveroso è separare quello che è il Corey Taylor degli Slipknot dal Corey solista. Completamente differente dal precedente "CMFT", troviamo qui tredici tracce per 53 minuti in cui Corey si diverte a sperimentare, cantando e suonando la chitarra! Un sound distante dal classico stile degli Slipknot, l’album si posiziona tra Hard Rock, Punk, e suoni melodici. Si inizia con "The Box": Corey suona l’introduzione con un mandolino (si, proprio un mandolino!) accompagnando con una voce quasi "commossa" tutta la durata del brano. Un intro un po' fuori dagli schemi da cui il buon Corey un po' ci ha abituati. A darci una bella scossa invece ci pensa "Post Traumatic Blues". Inizio scoppiettante con uno stile a cui siamo ormai abituati a sentire da Corey Taylor, riff belli granitici con un tono molto Heavy Metal. Ricorda un po' lo stile usato in alcune tracks di "So Far, So End". "Talk Sick": rockeggiante, piacevole, con un ritornello orecchiabile e dei riff molto interessanti e trascinanti. Assoli travolgenti, soprattutto nella parte centrale, ben elaborati e complessi. "Breath Of Fresh Smoke": ambito oserei dire Country e Blues, un brano dai tratti romantici. Una buona classica ballad. Si ritorna con ritmi decisamente più energici con il primo singolo estratto dall'album: "Beyond". Un Corey Taylor molto ispirato, con ritmi Hard Rock di alto livello. "We Are the Rest": ci porta nel Punk più classico con un ritmo scatenato e voce dura. Molto coinvolgente. In "Midnight" ci aspettano suoni più cupi, oscuri. Una ballad molto d'atmosfera, che prende animo e corpo con un assolo travolgente verso la fine cambiando il verso della canzone. "Starmate": frenetico, lancia fulmini di energia Punk e Rock. "Sorry Me": quando Corey si mette a cantare in modo più melodico e calmo, fa impazzire! Una voce calda, calma, accompagna il suono di una chitarra classica. Impossibile non fare paragone con "Snuff" degli Slipknot. Un’altra ballad decisamente piacevole e ben realizzata. "Punchline": ottimo brano dai ritmi decisamente più duri e crudi con un Taylor decisamente ispirato. "Someday I'll Change Your Mind": altra canzone dai ritmi più calmi, ottima da canticchiare in macchina oppure ai concerti con gli accendini accesi a mani alzate (ormai si usano i cellulari… ma era bello ricordare le vecchie abitudini!) nelle esibizioni dal vivo, con un ritornello semplice e orecchiabile. "All I Want Is Hate" e "Dead Files" concludono l'album con ritmi decisamente più Punk e sonorità Heavy Metal riportandoci su ritmi decisamente più duri, ritmi serrati e riff pesanti. L'album sembra rappresentare lo stato d'animo tormentato del suo creatore, a tratti tempestoso, furioso ma anche triste e romantico. Non si può certamente dire che Corey Taylor non abbia voluto fino in fondo questo album. L'album in sé è di buon livello e sicuramente non deluderà i fans di Corey, anche se non spicca completamente per originalità. In un'intervista Corey Taylor ha dichiarato di essere già pronto a lavorare al terzo album solista: le basi poste in "CMF2" sicuramente ci fanno ben sperare. Artwork del disco, decisamente troppo "pop".
Ultimo aggiornamento: 15 Settembre, 2023
Top 50 Opinionisti -
Quando sentiamo parlare di Brasile, pensiamo subito a spiagge bellissime, Rio De Janeiro, il carnevale, le favelas… Scommetto che in pochi penserebbero al Thrash Metal, quello crudo, puro. Anche perché pressoché predominanza in materia, solitamente, statunitense (Sepultura a parte). A portarci nel Thrash Metal brasiliano ci pensano i Phrenesy con "Fears Apocalypse"! Lo fanno con un album bello tosto, di quelli da ascoltare dopo una giornata di lavoro bella stressante, con la voglia di spaccare tutto! Nati nel distretto di Brasilia nel 2003 ci presentano un album ben consolidato nel Thrash più crudo nello stile; ma vediamo di cosa stiamo parlando. CD nell'Hi-Fi e volume a palla!!! Iniziamo con delle sirene antiaeree, rullante martellante e riff granitico! Questa è “Fears Apocalypse”: la title-track da subito fa capire di che pasta sarà fatto il disco. Il sound spazia tra il Thrash Metal classico e l'underground. La canzone parla di come si usino scuse ingiustificabili per scatenare guerre inutili, uccidendo persone innocenti in nome della religione o per depredare altri paesi della propria ricchezza. A mio giudizio un pezzo ben riuscito. “Bring In On”, continua incessante con il ritmo appena concluso con l'opener. Un po' troppo, da risultare quasi un po' ripetitivo. Il cambio ritmo arriva con “Fuck The Pain”, un inno a non mollare mai, a non farsi sopraffare dalle difficoltà della vita. Sound compatto e riff granitici uniti ad una voce ruvida fanno di "Fuck The Pain" un'altra canzone riuscita! Ma a parte altre valide eccezioni, l'album risulta abbastanza piatto. Nel senso che la maggior parte dei brani si somigliano, pochi cambi di passo, tutto incentrato sulla velocità. Che non sempre è negativa, però qui risulta poco varia e forse ripetitiva. Fanno eccezione altri due brani: "Mistakes", un brano energico e con buona tecnica, soprattutto alle chitarre con riff belli compatti, e "War For Beer", che racconta i capricci del mondo e di una guerra mondiale che scoppierebbe se mai un giorno dovesse finire tutta la birra del mondo (motivo valido per una guerra mondiale assolutamente!!! N.d.r.). Anche in questo caso, abbandonata la velocità più sfrenata, si è lasciato spazio a ritmi più elaborati, meno martellanti ma ben realizzati e potenti. "Fears Apocalypse" regala sprazzi di ottima fattura facendosi apprezzare per alcuni brani ben realizzati e riusciti, anche la tecnica vocale è di buon livello, anche se ogni tanto, esagerando con l’aggressività, inciampa in qualche errore. In conclusione l'album è bello energico, sarà apprezzato sicuramente da chi ama il Thrash più martellante. Bello l’artwork dell’album!
Ultimo aggiornamento: 12 Settembre, 2023
Top 50 Opinionisti -
Sarò sincero, conoscevo Andy Martongelli per la sua militanza e bravura negli Arthemis e per la sua collaborazione con David Ellefson, ex bassista dei Megadeth, ma come artista solista per me è una piacevole scoperta. E’ un vero piacere e onore avere la possibilità di commentare questa sua ultima fatica: "Ultradead"! Sicuramente chi suona in qualche gruppo Heavy o ha la chitarra tra gli strumenti preferiti ne conoscerà certamente le doti e bravura anche come artista solista. Andrea Martongelli, classe ‘79, fondatore degli Arthemis vanta collaborazioni illustri con svariati artisti internazionali del calibro di Steve Vai, Kiko Loureiro, Marty Friedman e molti altri, non ultimo appunto David Ellefson. Ascoltando l’album non si può non rimanere incantati dalla tecnica, soprattutto nella track numero quattro "My Last Tears", in cui si possono ascoltare assoli stupendi, massicci e taglienti, ma anche melodici allo stesso tempo. Una canzone dai tratti quasi - oserei dire - romantici. Tutto l’album comunque si presenta massiccio e costante, con un Andrea decisamente ispirato e mai stanco. L'album infatti non annoia mai, regala virtuosismi tecnici sempre di alto livello, accompagnato da una realizzazione musicale sempre al top. Anche la durata dell’album e delle canzoni mai troppo lunghe, ne fanno apprezzare all’ascoltatore ogni singola nota, con la voglia di ascoltarle anche più di una volta. L’intero album regala un sound massiccio e avvincente, ma che sa spaziare anche nel melodico. Le canzoni che mi hanno maggiormente colpito sono, a parte "Ultradead", "Army of Darkness", "Vertigo", "Facemelt" e "Colossus"… Ma tutto l’album si fa apprezzare, si sente che chi l’ha creato ci ha messo passione, cuore e soprattutto tecnica, regalandoci riff di chitarra Heavy, assoli infuocati, ma anche magiche melodie. La collaborazione nella creazione dell’album vanta nomi illustri quali Paolo Caridi alla batteria, David Ellefson per le parti di basso in "Save Us", Giorgio Terenziani (Arthemis) nella title-track. In conclusione, un album che consiglio a tutti, sia a chi suona la chitarra per passione o professione, ma anche a coloro che amano la buona musica. Non rimarrete assolutamente delusi!
Ultimo aggiornamento: 11 Settembre, 2023
Top 50 Opinionisti -
Gli Evile, band britannica con carriera ventennale nel Thrash Metal, escono con un album nuovo, soprattutto nello stile. Per chi non li conoscesse, sono una band inglese nata nel 2007 come cover band dei Metallica con il nome Metal Militia. Dalla loro possono contare esibizioni con Exodus nel 2006 in supporto al tour Europeo della ex band di Kirk Hammett. Il loro album d’esordio nel 2007, "Enter the Grave", fu prodotto da Flemming Rasmussen già noto per aver lavorato con i Metallica ("Master of Puppets", "...and Justice for All"). L’album ottenne un discreto successo tanto che furono da supporto l’anno successivo ai Megadeth. Lo stile si rifà molto alla band di Hetfield e soci, ed influenze Thrash Metal anni '90. Chiusa questa doverosa parentesi possiamo parlare di quest'ultima fatica dei Nostri: "The Unknown". Rispetto agli album precedenti troviamo un sound rallentato, riff molto più pesanti e ritmiche rilassate. La title-track presenta molte analogie con Metallica e Machine Head - non solo musicalmente ma anche vocalmente - l’influenza di Hetfield in Ol Drake si sente molto chiaramente. Ma non è detto sia una cattiva cosa, anzi. Un ritmo pesante con riff granitici ci accompagna fino alla seconda canzone, "The Mask We Wear": anche qui ritmo bello pesante con riffoni tosti e batteria altrettanto pesante e compatta che riprendono quanto già ascoltato in "The Unknown". "Monolith", continua come le precedenti, variando con un’intensità vocale decisamente più aggressiva e profonda. "When Mortal Coils Shed" è una sorta di semi-ballad che rallenta ulteriormente il ritmo, anche se piacevole all’ascolto non posso non sentire grandi somiglianze con altre ballad Metal più famose. Devo dire però che dalla metà in poi l’ho trovata molto interessante, almeno nell’interpretazione vocale con dei cambi di ritmo piacevoli. Non del tutto bocciata. Finalmente con "Sleepless Eyes" ci si dà una bella scossa, tornando a ritmi Thrash Metal classici! Un risveglio azzeccato dopo la pesantezza dei brani precedenti. Lo stesso dicasi per "Out of Sight", ritmo veloce e martellante. "At Mirror’s Speech", ritorna con un ritmo pesante anche se diverso da quanto ascoltato inizialmente. Più convincente decisamente. "Reap What You Sow", groove di fondo molto bello riff tecnicamente validi e Drake ispirato vocalmente, con uno stile che qui ricorda James Hetfield in "Harvest of Sorrow"). "Balance of Time", la canzone più bella dell’album! Possiamo trovare tutto ciò che di buono voleva trasmettere l’album: sonorità Thrash Metal, unite a ritmi groovy molto anni '90. Conclusioni: Qui dipende tutto da cosa ci si aspettava o cosa volevamo ascoltare da una band come gli Evile, se vogliamo restare nel puro, cattivo, veloce Thrash Metal allora qui si potrebbe discutere sulla scelta del ritmo imposto fin dall’inizio all’album. Se invece vogliamo prenderlo com’è e analizzare le sue sfaccettature, tra Trash Metal e sound Metal classico con molti richiami alla tecnica anni '90, sicuramente non farà impazzire gli amanti del Thrash puro ma accontenterà sicuramente tutti gli altri. "The Unknown" è stato definito da molti "il Black Album degli Evile". Forse accostamento troppo azzardato, lo trovo un buon album che si fa apprezzare, ma convinto che non lascerà sicuramente il segno nella storia del Thrash. Né nella carriera degli Evile.
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