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Opinione scritta da Luigi Macera Mascitelli

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    28 Gennaio, 2018
Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 2018
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E finalmente rieccoci con una band tutta italiana, questa volta per gli amanti degli Insomnium e delle sonorità melodic death finniche: signori vi presento i nostrani Storm Of Particles con il loro primo full-length "Gaea Hypothesis".
Album, questo, che mi è piaciuto davvero tanto per l'ottima resa musicale e, in generale, per il songwriting, ma che, tuttavia, non prende il massimo dei voti per un solo motivo: come detto poc'anzi, la band ci porta un melodic death estremamente influenzato dalle sonorità di gruppi come gli Insomnium...forse anche troppo. Ciò, a mio avviso, rischia di svalutare il prodotto finale e di abbassarlo a mera emulazione di band ben più conosciute ed affermate. Ammetto di aver avuto qualche difficoltà nel cercare di prendere questo lavoro per quello che è e nello spogliarlo dell'eccessiva influenza dei sopracitati finlandesi, ma, tolto questo frangente, il disco si presenta in una maniera impeccabile. "Gaea Hypothesis" è un signor album ricco di sfumature, di sonorità glaciali, fredde e cristalline come l'inverno, accompagnato da una liquidità dei riff quasi tangibile: Brani come "Chronophobia" (il mio preferito in assoluto) vi faranno letteralmente immergere in un limpido corso di acqua gelata grazie ai bellissimi intermezzi di chitarra in pulito che si intrecciano a riff più pungenti e taglienti ma, contemporaneamente, gentili e molto emotivi. Estremamente azzeccata è anche la voce che crea un connubio spettacolare tra la rudezza e cavernosità del growl con la leggiadria e finezza dei pezzi proposti.
C'è poco da dire, i nostri amici di Cremona sanno suonare e lo sanno fare bene, ma consiglio loro di cercare una maggiore identità, di staccarsi dalle troppo evidenti influenze musicali che, sia chiaro, sono sacrosante ma non devono superare quella linea sottile che c'è tra il prendere spunto e l'emulare. Da qui il titolo volutamente provocatorio della recensione: un incoraggiamento a cercare di togliere le rotelle dalla bicicletta e di pedalare da soli. Il potenziale c'è, e questo signor album ne è la prova, ed ho grandi aspettative per il futuro. In bocca al lupo ragazzi, la prossima volta voglio promuovervi a pieni voti, mi raccomando!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    21 Gennaio, 2018
Ultimo aggiornamento: 22 Gennaio, 2018
Top 10 opinionisti  -  

Questo album di debutto dei sudtirolesi Kings Will Fall, "Thrash Force.One", mi ha letteralmente lasciato a bocca aperta: ho tra le mani un signor lavoro di puro thrash metal grezzo, brutale e cattivo come non ne sentivo da tempo. In un'unica parola, i nostri amici sono semplicemente massicci: questo è l'aggettivo migliore per definire il loro prodotto... un vero trattore agricolo imponente, rozzo e cafone che appiattisce tutto ciò che gli si para davanti. Mai avrei pensato che una band potesse debuttare con il botto in questo modo ed altrettanto mai avrei detto che questo è solo il primo album: una qualità del genere la si acquisisce con il tempo costruendo, produzione dopo produzione, il proprio sound ed il proprio stile. Ebbene, dimenticate tutto ciò perchè i Kings Will Fall hanno rotto tutti gli schemi con questo colosso, dando uno smacco totale a tutti quelli che dicono che il thrash metal sia un genere banale ed ormai saturo di band. Con dei brani come "Toxic War" ed "Endless Pain" bisogna solo inchinarsi di fronte ai nostri amici (ed anche pogare come animali selvaggi oserei direi) ed assaporare la cattiveria fatta musica brutale, massiccia ed ignorante.
Il salto di qualità, poi, lo fanno fare due cose: la prima è la spettacolare voce che riesce a spaziare tra un growl gutturale e cavernoso ed un cantato in pulito pieno di acuti davvero magistrale, la seconda è la traccia "We are Motörhead", cover della Band (si, con la "b" maiuscola) che l'heavy metal l'ha praticamente fondato, eseguita a dei livelli estremamente elevati. Perfino la voce si avvicina al cantato del leggendario Lemmy ed ammetto che un po' mi sono commosso nel sentire la storica frase:" We are Motörhead and we play Rock'n Roll".
Insomma ragazzi, tanti applausi ed encomi per i Kings Will Fall, i quali meritano di diritto di fare carriera perchè una bomba del genere difficilmente la si riesce a lanciare al primo colpo. Complimenti ed un grandissimo "in bocca al lupo"!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    12 Gennaio, 2018
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Finalmente ho tra le mani un valido prodotto proveniente dall'Europa dell'est e che trasuda cattiveria ed old school da tutti i pori: vi presento "Defective Mind", secondo album per la band lettone Saintorment. Un prodotto davvero di notevole fattura che ha saputo combinare le influenze dei maggiori big del genere (molto ben percepibili sono gli Exodus, gli Slayer e una spolverata di Testament) con un songwriting molto valido e solido.
Solitamente i gruppi più underground che fanno thrash metal tendono a suonare la versione stereotipata del genere dimenticando che, oggigiorno, un simile approccio non funziona più in un mondo ormai saturo e che gli anni d'oro sono finiti da un pezzo. L'unica cosa che si può fare è prendere spunto dall'old school ma con un approccio più moderno e, oserei dire, sperimentale: ebbene, i nostri amici Saintoment lo hanno fatto ed hanno partorito un signor lavoro che riesce ad entusiasmare l'ascoltatore e a lasciare una propria firma, un tratto distintivo. Vuoi per l'ottimo intreccio tra cattiveria dei riff e liquidità degli assoli, vuoi per la splendida voce che riesce ad unire molto bene il cantato alla Rob Dukes (ex Exodus) con quello alla Chuck Billy (Testament), vuoi per la serratezza con cui i brani ti colpiscono in faccia... "Defective Mind" è una produzione davvero ben fatta nel mondo underground e, tolto qualche neo dato da pezzi come "Never" che non riescono a decollare attestandosi su un livello piuttosto piatto, non riesco a trovare ulteriori difetti. Perciò concludo con un grande "in bocca al lupo" ai nostri amici lettoni per un futuro nuovo album!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    01 Gennaio, 2018
Ultimo aggiornamento: 01 Gennaio, 2018
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Inauguriamo questo 2018 portandovi una delle band più spettacolari, ipnotiche ed oscure che la scena black metal scandinava abbia mai partorito: vi presento "Varg Utan Flock", decimo album degli svedesi Shining capitanati dal carismatico quanto controverso Niklas Kvarforth. Un album che non può assolutamente essere analizzato singolarmente, ma va preso come l'anello di una catena che è stata forgiata nel 1996, anno in cui gli Shining si formarono, e che altro non è se non la trasposizione in musica della disperazione, del dolore e del nichilismo dello stesso Niklas: è lui nel suo percorso di crescita interiore, nel suo modo di abbracciare la disperazione e la depressione, nel suo infliggersi tagli sulle braccia, nel suo aver fatto uso di eroina. Insomma, "Varg Utan Flock" è la conseguenza logica di una mente contorta e tormentata...
A livello prettamente stilistico, questo nuovo lavoro segue il percorso tracciato dal precedente "Everyone, Everything, Everywhere, Ends" (2015), album che segnò un ritorno alle vecchie sonorità fredde, glaciali, taglienti ed oscure e non è un caso se possiamo trovare delle somiglianze con lo storico "Halmstad" (2007),uno dei migliori prodotti mai partoriti dagli Shining che funge da spartiacque stilistico: è proprio da qui che parte il filone dei più sperimentali, quanto meravigliosi, "Född Förlorare" (2011) e "Redefining Darkness" (2012), ed il filone del ritorno al sound più crudo. Ovviamente le bellissime influenze derivanti dal progressive rock, dal jazz e dalla musica classica sono sempre presenti e, in fondo, sono proprio questi innesti singolari che hanno permesso agli Shining di creare un loro personale stile e,a tal proposito, è doveroso citare il bellissimo intermezzo, eseguito al pianoforte, "Tolvtusenfyrtioett".
Con questo "Varg Utan Flock" Niklas sta continuando a scoprire la sua anima tormentata e la sua rabbia, la sua confusione e il suo dolore diventano sempre più tangibili. Il tutto accompagnato dalla sua spettacolare voce che riesce a combinare un cantato in pulito davvero inebriante, caldo e profondo con uno screm disperato e distruttivo. I lamenti profondamente emotivi che emergono dalle viscere di brani come "Svart Ostoppbar Eld" o "Jag Är Din Fiende" ci regalano quello che non può essere definito solo black metal, ma pura disperazione che investe l'ascoltatore rendendolo partecipe di un'agonia che, forse, non avrà mai fine.
Venendo a noi, consiglio l'ascolto del nuovo lavoro della band svedese? Dipende solo ed esclusivamente da voi: gli Shining vanno compresi, ascoltati con rispetto sapendo di entrare in un mondo fatto di un'oscurità ipnotizzante, di nichilismo allo stato puro, di morte ed agonia. Siate consapevoli che non si tratta solo di black metal (suicidal black metal per essere precisi) e di una band capitanata da un pazzo autolesionista ed esibizionista: si tratta di filosofia, di esternazione della propria anima, di freddo ed oscurità provenienti da dentro e di tanto talento a livello musicale.
Grazie Niklas per questo tuo nuovo pezzo di te!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    30 Dicembre, 2017
Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 2017
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Quando ho iniziato ad ascoltare l'EP degli americani Hell Bent ero abbastanza incuriosito durante i primi minuti di ascolto. Tuttavia, ed ammetto con mio dispiacere, l'entusiasmo si è subito trasformato in senso di quasi amarezza per un semplice motivo: l'intero lavoro dura davvero pochissimo e, con una media di durata di 2 minuti e spiccioli per brano, i pezzi scorrono con una velocità disarmante non dando il tempo all'ascoltatore di capire cosa sia successo. Non potete minimamente capire la rabbia che mi fa un fatto del genere perché, tecnicamente parlando, gli Hell Bent sono dei mostri assetati di sangue con il loro sound grezzo, duro, acido, cattivo e micidiale, il tutto condito da quella nota hardcore che eleva a potenza la violenza del loro lavoro. Mi dispiace davvero dover dare un'insufficienza all'EP, tuttavia l'eccessiva poca durata è una pecca davvero grave, perché non permette di essere coinvolti e, in questo caso, travolti dai vari brani. E non venitemi a dire che ciò debba essere giustificato dal fatto che si tratti di un EP: in parte è vero ma, d'altronde, l'EP è un biglietto da visita per preparare il pubblico ad un futuro album, perciò viene da sé che un lavoro eccessivamente veloce e corto di durata lascia ben poco all'ascoltatore, se non quel senso di amarezza di cui prima ho parlato.
Ragazzi, consiglio di togliere il piede dall'acceleratore e di cercare di dare più personalità a ciascun brano. Ho alte aspettative per il futuro, mi raccomando!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    21 Dicembre, 2017
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Per essere il loro primo lavoro, i Vane, band death/thrash polacca, ci sanno davvero fare. Vi presento "The Prologue", una raccolta di tre brani che costituisce una parte di un futuro lavoro che sta prendendo vita e che dovrebbe concludersi il prossimo 2018. Scelta molto azzardata quella di farsi conoscere con una soluzione del genere, eppure il quintetto polacco, sicuramente forte dell'esperienza musicale in altre band dei vari componenti, è riuscito, con solo una minima parte di un album, a portare un prodotto assolutamente valido fatto di riff violentissimi, cattivi, taglienti e accompagnati da una spolverata melodica che mette in risalto il tutto. Non nego che la mia curiosità è tanta, vuoi per il genere proposto, vuoi per l'ottima esecuzione dei brani, ma cerco comunque di non sbilanciarmi perché, ricordiamolo ancora una vota, si tratta di un prodotto "mutilo", una sorta di estratto che, seppur di qualità impeccabile, potrebbe essere la parte migliore di un futuro album scadente. Faccio notare che il processo di songwriting dei prossimi brani è ancora in corso, per cui è doveroso lasciare una buona dose di beneficio di dubbio e fare i migliori auguri ai nostri amici Vane. Mi raccomando ragazzi, mi aspetto un signor album dopo aver ascoltato questi 3 brani impeccabili!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    19 Dicembre, 2017
Ultimo aggiornamento: 19 Dicembre, 2017
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Ogni volta che dei giovani ragazzi riescono a tirare fuori dei capolavori sono sempre felicissimo: è bello sapere che, in futuro, il testimone delle pietre miliari del metal potrà essere ceduto agli astri nascenti. E con questa premessa sono lieto di presentarvi "II - Interitus", secondo full-length album dei tedeschi Nero Doctrine: un tripudio di melodic death metal in stile In Flames e Arch Enemy impreziosito da una buona dose di thrash alla Lamb Of God... un mix di letale epicità per un signor lavoro!
In primis voglio complimentarmi con l'intero progetto che affonda le basi sul senso di nichilismo e cinismo che il genere umano suscita a causa dei traumi della guerra, dell'abuso di potere ottenuto sfruttando ignoranza e paura e del controllo delle religioni: ottimi temi di riflessione su cui i nostri amici tedeschi hanno costruito il proprio album; e ci sono riusciti in pieno centrando il bersaglio con un prodotto davvero squisito sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista emotivo. Una carta vincente è sicuramente quella del genere che è stata ben studiata al fine di creare la miglior combinazione possibile tra la durezza del thrash metal e la liquidità del melodic e, grazie a ciò, possiamo gustare delle tracce come "...And Then The Stones Began to Speak" e "Hope Is Just a Word": ho scelto queste due come le più rappresentative di "II - Interitus" perché in una è più marcata la componente melodica, nell'altra quella thrash, segno che questi ragazzi hanno un'ottima confidenza con entrambi i generi tanto da potersi permettere di mostrarlo partorendo dei pezzi in cui far emergere le singole influenze. E poi c'è la titanica "Die Lichter sind kalt" nella quale il giusto compromesso tra In Flames e Lamb Of God viene fuori e ci regala qualcosa di semplicemente spettacolare: riff glaciali nei quali le chiatarre danzano accompagnati dalla cattiveria di un treno massiccio e imponente.
Complimenti ragazzi, ci avete mostrato come dal mondo underground,a volte, possono emergere dei germogli di rara bellezza che è giusto e doveroso valorizzare... Un giorno saranno querce. YOU ROCK!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    13 Dicembre, 2017
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I finlandesi Devil Creation hanno partorito il loro terzo album, "Hell's Exit", il quale, purtroppo, non ha soddisfatto molto le mie aspettative. Da amante del thrash e dell' heavy vecchia scuola, mi sarei aspettato un lavoro con i fiocchi che sapesse prendermi a pedate e che, contemporaneamente, mi regalasse un momento di pura epicità. Ma, ahimè, ciò non è stato e la causa va ricercata nell'eccessiva monotonia dei brani e nel conseguente senso di noia a cui l'ascoltatore va inesorabilmente incontro: credetemi se vi dico che è stato molto faticoso per me andare avanti nell'ascolto e, tra uno sbadiglio e l'altro, ho dovuto sforzarmi per evitare di distrarmi. In generale questo "Hell's Exit" ha il grande difetto di non entusiasmare, di avere un ritmo estremamente cadenzato (quando un brano sembra stia per decollare ecco che il tutto va di nuovo in piano, e così via per le varie tracce), un sound piatto ogni tanto smosso da degli assoli molto ben eseguiti e da alcuni riff davvero niente male.
Qualche elogio va fatto a "God Unbless You!", forse l'unico pezzo in cui i Devil Creation hanno messo davvero l'acceleratore regalandoci un brano di tutto rispetto fatto di riff martellanti e veloci... l'unica onda in un mare piatto. Altrettanto buona, ma che certo non spicca per grinta, è l'omonima ballad strumentale "Hell's Exit", la quale mi ha fatto nascere un interrogativo non indifferente: perché scrivere una canzone di oltre dieci minuti se per i primi quattro e mezzo la traccia fila, ed è anche amabile, e poi per i restanti sei incombe un terribile piattume noioso che, personalmente, sono stato quasi costretto a skippare? Consiglio vivamente ai nostri amici finlandesi di mettersi di impegno per trovare una soluzione che possa offrire all'ascoltatore qualcosa di vibrante, di fresco e di movimentato.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    04 Dicembre, 2017
Ultimo aggiornamento: 04 Dicembre, 2017
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Ormai lo sappiamo, la Svezia è tra le prime nazioni al mondo per il numero di band metal sfornate e, in generale, tralasciando quei grandi nomi che sono di diritto nell'Olimpo musicale, posso tranquillamente dire che la qualità dei gruppi di quelle parti si attesta su un livello medio-alto di tutto rispetto. Questo è il caso dei Total inferno e del loro album di debutto, "Return Of Evil Chaos": progetto davvero interessante che fonde insieme un death metal vecchia scuola fortemente influenzato da una componente heavy e speed. Qualcosa che sicuramente non è nulla di estremamente innovativo ma che è riuscito, piuttosto bene, a superare la prova.
Tutta la grinta di questi ragazzi si fa subito sentire prepotentemente nella prima traccia, "Super Antichrist": un ottimo pezzo nel quale, però, la componente death è surclassata di gran lunga da quella thrash. Il brano mi ha immediatamente riportato alla mente gli Slayer degli anni '80 e, se non fosse per la voce caratterizzata da uno scream molto acuto, sporco e quasi al limite di quello tipico del black metal, non avrei percepito quella componente death che dovrebbe, a detta dell band, essere presente. Ciò comunque non mi ha scoraggiato, anche perché mi sono posto nell'ottica di avere a che fare con un album di debutto, per cui è necessario lasciare anche un minimo di beneficio di dubbio. Tutto il lavoro, in generale, è davvero ben strutturato ed ho apprezzato molto lo stile "gracchiante" e acido dato dalla post produzione, il quale regala quel tocco old school che non dispiace affatto. Complimenti inoltre alle chitarre che riescono ad intrecciarsi molto bene e a regalarci dei riff taglienti come lame, glaciali e potenti e degli assoli davvero molto impegnativi e ben studiati. Il potenziale c'è ma si tratta ancora, secondo me, di un progetto acerbo che necessita di essere rivisto in alcune parti, a cominciare dal genere proposto: sicuramente una bella componente death c'è (data dalla voce ed anche da alcuni riff molto macabri e scuri) ma mentirei se dicessi di aver percepito delle influenze heavy. Sarei più propenso a definirlo un thrash metal anni '80 in stile Exodus e Slayer appesantito da quel tocco dato dai primi Immolation e Deicide. Un buon album di debutto che spero possa dare l'opportunità ai Total Inferno di sistemare meglio il tiro.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    26 Novembre, 2017
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Oggi voglio portarvi qualcosa di nuovo che in un certo senso si discosta dai generi che tratto nelle mie recensioni. Ma, da chitarrista ed amante degli album solisti, non potevo esimermi dal parlarvi del nuovo album del leggendario Marty Friedman (ex Megadeth): "Wall Of Sound".
Che dire ragazzi, siamo di fronte ad un'opera d'arte in tutti i sensi nel quale una vasta gamma di elementi, provenienti dalla musica classica, dal jazz, dallo shredding ed anche dal metal moderno, si fondono in un'unica esperienza musicale che regala all'ascoltatore un momento di estasi, perciò consiglio di approcciarsi a questo lavoro solo quando si ha la possibilità di poterlo gustare e studiare al meglio senza distrazioni. Per intenderci è come un buon whiskey da apprezzare lentamente sorso dopo sorso.
È difficile,se non impossibile e riduttivo,fare un excursus delle varie tracce perché, a differenza di un normale album, negli album solisti c'è una sorta di continuità tra i pezzi proposti, un vero e proprio mostrare le proprie capacità compositive: non c'è da meravigliarsi se si salta da una ballad ad un brano spagnoleggiante (come nel caso di "Whiteworm"), oppure da elementi più pesanti e grezzi (vedasi "Sorrow And Madness") a influenze derivanti dal progressive e dal più moderno djent (l'opening "Self Pollution" ne è un esempio). Insomma, per farla breve, il buon Marty ci ha dato prova, con il suo tredicesimo album solista, di saper suonare come si deve, di riuscire a prendere spunto dalle pietre miliari del genere (quali Joe Satriani, Steve Vai, Yngwie Malmsteen tanto per citarne qualcuno) per poi sintetizzare il tutto nel suo unico ed inconfondibile stile che, ricordiamolo sempre, è stato sicuramente influenzato dalla vena thrash data dal suo militare nei Megadeth. Non è un caso se, l'appena citata band, abbia tirato fuori i lavori migliori proprio quando Friedman vi suonava!
Insomma ragazzi, siamo di fronte a qualcosa che non è per tutti, un'esperienza sensoriale a 360 gradi che può essere gustata ed apprezzata in pieno solo da chi ha fatto della chitarra la propria ragione di vita e sa cosa sta ascoltando. Approcciatevi a "Wall Of Sound" con cognizione di causa, prendetevi il vostro tempo ed ammirate la bravura e l'incredibile songwriting di una leggenda!

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