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Opinione scritta da Luigi Macera Mascitelli

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    08 Gennaio, 2019
Ultimo aggiornamento: 08 Gennaio, 2019
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Conoscevo già (non benissimo) gli svizzeri Abinchova e la loro proposta: un melodic death molto alla Insomnium ingentilito ulteriormente dalla voce femminile, dalla presenza del violino e da un approccio tendente al folk. Un bel mix, sicuramente non canonico ed interessante! Già, peccato solamente che nella loro ultima fatica "Weltenwanderer", la band riesce a malapena a raggiungere la sufficienza per un solo e semplice motivo: è un album, questo, che sfocia troppo nell'anonimato risultando prolisso e quasi noioso.
Cerco di spiegarmi meglio. Da un punto di vista prettamente stilistico e di competenza musicale, non ho assolutamente nulla da dire, tanto che è un punto che sorvolerò in questa recensione essendo un dato di fatto che gli Abinchova sappiano suonare: ottimi riff, suoni cristallini, groove sostenuto... l'impalcatura c'è. Cosa c'è che non va? La monotonia dell'approccio che fa calare l'entusiasmo dell'ascoltatore brano dopo brano: come puoi proporre un album di dodici tracce, per un totale di oltre un'ora di ascolto, se poi i due terzi di queste sono uguali? Come si può pensare di proporre pezzi senza personalità e sperare che l'ascoltatore non si addormenti? Ecco qual è il "solo" difetto di questo "Weltenwanderer", il quale mostra una band che potrei additare con l'odiosa frase:" è brava ma non si applica". Brava perché qualcosa che si salva c'è, ovvero la parte iniziale dell'album: qui troviamo tracce come l'omonima "Weltenwanderer", "Lichtfänger" e "Schatzhüter" davvero molto fresche e godibili, un vero turbinio nel quale le chitarre squillano, il violino in sottofondo crea quell'atmosfera alla Eluveitie e la bellissima voce di Nora impreziosiscono il tutto. Un fuoco di paglia però dato che il resto è praticamente un copia/incolla nel quale neanche mi accorgevo di passare da un brano all'altro. Questo è il vero problema dell'album!
La prossima volta mettete meno tracce o fate in modo che ciascun pezzo sia una colonna portante dell'intero lavoro.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    26 Dicembre, 2018
Ultimo aggiornamento: 26 Dicembre, 2018
Top 10 opinionisti  -  

Se tutti gli album di debutto fossero delle bombe nucleari come questo "Melancholia" dei belgi Lethal Injury, il lavoro di noi recensori sarebbe meno faticoso di una passeggiata! Signori, ci troviamo di fronte ad un thrash metal di quelli che ti prendono a sprangate sulle gengive!
Completamente votati ai vecchi Exodus, all'impostazione black dei Venom e a quel tocco crust punk, il quintetto esordisce con il botto; ma con il botto veramente. Già dalle primissime note dell'opening "Mothman" si può capire la qualità del prodotto presentato: un tuffo negli anni '80-'90 grazie alle chitarre acide e corrosive che si esibiscono in riff violenti e sparati, quasi fosse una sfuriata alla Carcass. E vogliamo parlare della voce? Mamma mia che bomba! La ciliegina sulla torta che riporta indietro nel tempo con uno stile a metà tra gli acuti alla Bobby "Blitz" Ellsworth (Overkill) e lo scream acido e graffiante di Paul Baloff (Ex Exodus).
Si prosegue con la mattanza ed ecco che arriviamo a "Suicide Call", traccia che si apre con una scena di "Full Metal Jacket" nella quale "Palla di lardo" spara ed uccide il Sergente Hartman prima di suicidarsi per l'appunto. Già solo per la citazione l'intero lavoro è promosso a pieni voti. Se poi ci mettiamo che, a mio avviso, il brano proposto racchiude tutta l'essenza dei Lethal Injury, ecco che la questione si fa ancora più interessante: una combo micidiale che, con irriverente cattiveria, ti sbatte in faccia un signor thrash metal ai limiti del black rozzo e primordiale.
Particolare attenzione, infine, la merita"Melancholia Part II", la meravigliosa ballad strumentale: solamente 2:44 minuti che riescono a dare un attimo di respiro mostrandoci allo stesso tempo una band davvero in gamba anche laddove è richiesto un sound morbido e cristallino.
Non potevo chiedere una conclusione migliore per questo anno di recensioni. Complimentissimi ragazzi!

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3.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    20 Dicembre, 2018
Ultimo aggiornamento: 20 Dicembre, 2018
Top 10 opinionisti  -  

Ogni metallaro italiano che si rispetti DEVE conoscere i Node, storica band thrash/death milanese attiva da oltre vent'anni. A distanza di un biennio da "Cowards Empire", ecco che il quintetto sforna "Propheta", Ep nel quale sono presenti un brano inedito e delle tracce suonate durante un live al Centrale Rock Pub di Erba.
Un album necessario? A mio avviso no, ma non sapendo i motivi dietro questa scelta, mi limiterò al materiale proposto, anche se alla fine c'è veramente poco da dire, se non che i Node confermano la loro storica cafonaggine sul palco e nel brano inedito "La Tua Vita Che Sfugge". Ciò su cui mi vorrei soffermare invece, è la vera nota interessante di questo "Propheta", ovvero una band totalmente rinnovata nella line-up: l'unico membro storico rimasto è l'ex-chitarrista Gary D'Eramo che, udite udite, ha deposto l'ascia dopo oltre vent'anni in favore del basso. Nonostante questo gigantesco rinnovamento iniziato con "Cowards Empire", i Node si dimostrano comunque distruttivi come sempre e regalano una performance a dir poco perfetta, riuscendo a coinvolgere il pubblico e scatenando, immagino, un pogo selvaggio e violento.
Sono davvero curioso di sentire cosa tireranno fuori con questa formazione.

P.S. Da specificare che il nuovo lavoro verrà messo a disposizione dei fans gratuitamente, attraverso il sito ufficiale e tramite le maggiori piattaforme digitali del settore.

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4.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    13 Dicembre, 2018
Ultimo aggiornamento: 13 Dicembre, 2018
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Secondo album per i danesi Killing Gandhi. E che album! Nati solamente cinque anni fa, il quartetto fin da subito si pone una sola e semplice regola: no limits. Chiara e diretta come questo "Aspiration Of Failure", un fiume in piena fatto di melodic death metal che, forte di un approccio in stile Göteborg, trasuda Arch Enemy, Children Of Bodom e un pizzico degli odierni In Flames.
Detto così potrebbe sembrare il classico lavoretto che a malapena si guadagna la sufficienza, ma, fidatevi, questa volta non è così. Se da un lato la band riesce a proporre quel sound che tutti conosciamo, dall'altro, e qui sta la differenza, c'è un approccio estremamente moderno che rende l'opera in questione un continuo gioco tra vecchio e nuovo, impatto diretto e arzigogoli musicali. Insomma, un continuo altalenare dalla forte personalità: i brani proposti sono violenti, brutali in alcuni punti, eppure eleganti e raffinati contemporaneamente. Già dall'opening "Let Me Tell You" si nota moltissimo questa antitesi armoniosa: un riff spietato e rafforzato da un groove serrato e diretto impreziosito da una voce piena ed avvolgente ed una melodia glaciale e leggera. Molto apprezzate anche le tre tracce strumentali ('Opus #6', 'Opus #2' e 'Opus #1') che, oltre a dare un attimo di respiro, suddividono i tre atti di cui è composto questo concept album.
"Aspiration Of Failure" è un album che sa stare in piedi da solo, senza buchi o inceppi, in grado di coinvolgere al fine di coglierne tutte le sfaccettature. Un lavoro che vuole far parlare di sé ma non in un colpo solo: come il buon vino, vuole essere scoperto sorso dopo sorso, ascolto dopo ascolto. Ogni volta che si preme "play" ecco che emergono note differenti e quell'antitesi che fa da asse principale, va via via realizzandosi senza contraddirsi. Ottimo lavoro guys!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    06 Dicembre, 2018
Ultimo aggiornamento: 09 Dicembre, 2018
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So già che questa recensione, con molta probabilità, mi inimicherà ai più per il semplice fatto che si tratta della classica voce fuori dal coro. Di cosa sto parlando? Dei canadesi Sanguine Glacialis e del loro nuovo full-length "Hadopelagic". Un album, questo, che mi ha lasciato spiazzato costringendomi a leggere altre valutazioni per capire quale fosse il giudizio generale: ebbene, tutti, ma proprio tutti, hanno valutato il lavoro in questione con ottimi voti, elogiando il mix di melodic death, gothic, rock, indie che la band propone. Ma proprio su questo punto arriviamo alla voce fuori dal coro di cui sopra ed il perché è presto detto: "Hadopelagic" non mi è piaciuto per la troppa carne messa sul fuoco, perché mi ha trasmesso pochissimo e, ad essere sincero, mi ha perfino annoiato durante l'ora abbondante di ascolto.
Ma andiamo con ordine. Innanzitutto taglio subito la testa al toro dicendo che la band, stilisticamente e musicalmente, è estremamente valida: ottimi riff, brani per nulla banali e, in generale, un livello molto alto di bravura da parte di ciascun membro. Mettendo da parte il mio odio profondo per il gothic metal e l'alternanza tra voce lirica e scream, devo ammettere che la performance di Maude è davvero notevole: una voce potente, cristallina e squillante ed uno scream di tutto rispetto. Lo stesso dicasi riguardo l'ottimo lavoro della parte di groove che riesce a spaziare tra ritmiche più cadenzate e avvolgenti e parti più sparate e blastate di stampo death. Insomma, senza girarci troppo intorno, la band spacca.
Già, peccato che questo non basti affinché un lavoro venga promosso: bisogna anche trasmettere qualcosa e non annoiare l'ascoltatore. E qui casca l'asino come si suol dire, dato che a me non è arrivato nulla, se non uno sbadiglio dopo l'altro. In più, nonostante (e lo ripeto ancora) la band sia valida stilisticamente, non ho apprezzato le (per me, ovviamente) troppe influenze inserite nei brani: sembra di ascoltare la versione inca**ata degli Epica con qualche blastata intorno e degli stacchi indie e jazz per coronare il tutto. Secondo me è troppo e rende tutto il lavoro sterile dal punto di vista espressivo.
Questo, ovviamente, è il mio personalissimo parere e potete tranquillamente dissentire ed avere una vostra opinione. Perciò, siate clementi con il linciaggio!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    02 Dicembre, 2018
Ultimo aggiornamento: 02 Dicembre, 2018
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Ma può essere un flop un Ep che esordisce con la celebre frase de "Il buono, il brutto e il cattivo": "Ehii Biondooo... Lo sai di chi sei figlio tuuu? Sei il figlio di una grandissima puttaaaa..."? Esatto, non può, ed è proprio questo il caso di "Wreckage", Ep dei nostrani Injury.
La band nasce a Reggio Emilia nel 2008 e, in pochi anni, con solo due full-length alle spalle, riesce a condividere il palco con dei big del panorama quali, udite udite, Sepultura e Death Angel. Robetta da poco eh?!
Capite bene che il qui presente non può fare a meno di inchinarsi di fronte a cotanta bravura e cafonaggine del quartetto: cinque tracce, una più malata dell'altra, che, in pienissimo stile teutonico alla Sodom e Destruction, riesce a prendervi a calci nelle gengive... che voi lo vogliate o no. Stiamo parlando di brani come "Under The Sign Of Devastation" che sembrano uscire da un "Agent Orange". Sì, può sembrare un'esagerazione o un'eresia, ma non posso farci niente: il pezzo citato mi ha immediatamente riportato in quei lidi in cui il VERO thrash metal spaccava, senza fronzoli né pretese, con un pizzico di approccio black per ricalcare l'orma dei Venom e tanta, tanta, ma tanta grinta da tirare fuori. Basta!
Apprezzato tanto anche il finale dell' Ep nel quale si può sentire una frase pronunciata dall'ex chitarrista Artio venuto a mancare l'anno scorso. Penso che questo sia uno dei modi più belli per ricordare un fratello scomparso e renderlo partecipe di un lavoro che spacca davvero. Complimenti ragazzi. Stay strong!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    23 Novembre, 2018
Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 2018
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Prima volta che assegno il massimo dei voti ad un Ep ma, come sicuramente capirete, il perché mi sembra più che lampante. I Sodom signori! La pietra miliare del thrash metal europeo, la band che se anche volesse non riuscirebbe mai a tirare fuori un prodotto flop; e questo "Partisan" ne è la prova lampante.
Innanzitutto la novità più grande in casa Angelripper è la nuovissima line-up che vede la dipartita del mitico e storico Bernemann e il ritorno alle armi di Frank Blackfire (ex Kreator), il quale compose il leggendario "Agent Orange" che, a mio avviso, è la colonna portante ed il migliore album mai tirato fuori dai Sodom. A martellare come un animale dietro le pelli, poi, abbiamo Husky (ex Asphyx) e alla seconda ascia c'è Yorck Segatz (ex Beyondition). Insomma, pare proprio che il buon vecchio Tom abbia voluto dare una ventata di novità alla sua creatura!
Ma, bando ai convenevoli, la domanda è una ed una sola: dopo questo cambio totale di line-up, il disco com'è? E ve lo devo anche dire? "Partisan" è una bomba di Ep, un lavoro distruttivo, potente, martellante, cattivo e micidiale... Devo continuare?
Due sole tracce, una più imbestialita dell'altra, che vi prenderanno a pugni in faccia, e la versione live di "Tired & Red" ("Agent Orange") che ci mostra un Tom inca**ato come una bestia assetata di sangue e con una voce che prende a calci l'inesorabile scorrere del tempo. Insomma, lo "squarta angeli" è immune all'invecchiamento e continua a macinare come un tritacarne! Ecco perché l'Ep merita il voto massimo: oltre a presentarci due pezzi di puro thrash tedesco duro come il cemento, ci permette di ascoltare i nuovi Sodom in live, e devo dire che la performance è a dir poco perfetta. Ascoltare per credere!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    18 Novembre, 2018
Ultimo aggiornamento: 18 Novembre, 2018
Top 10 opinionisti  -  

Nuova fatica in casa DeathStorm Records e nuovo successo per la label: signori, vi presento "Rotten Riot", marcissimo e cattivissimo primo lavoro dei nostrani Ignorance Flows. Un esordio diretto con una testata in faccia, ecco il modo migliore per definire questo album!
Nati un paio di anni fa e dopo aver superato la perdita del compagno e vocalist Andrea, i nostri si rimboccano le mani ed ingaggiano il mitico Francesco, già voce della thrash metal band RawFoil (di cui, tra l'altro, vi invito a leggere il mio commento su questo portale). Scelta azzeccatissima a mio avviso, dato che con la sua voce in stile Exodus riesce a tirare fuori tutta la cattiveria che questa band ha da vendere. Quindi, senza troppi giri di parole, tirapugni alla mano e tuffiamoci in questa ondata di cafonaggine!
In realtà, se non si fosse già capito, ho veramente poco da dire in merito a "Rotten Riot" essendo, questo, un album che parla da solo, che riesce ad entusiasmare l'ascoltatore con dei brani serratissimi e sparati. A tal proposito la mitica opening "Judgement Day" e l'omonima "Rotten Riot" fanno da esempi perfetti se si vuole avere un'idea della band: una che fa dell'acceleratore a tavoletta la colonna portante in stile "Piranha" degli Exodus nel leggendario "Bonded By Blood", l'altra più pesante e cadenzata, quasi fosse un omaggio alla mostruosa "Into The Pit" dei Testament.
Ovviamente con ciò non intendo dire che il tutto si esaurisce a mera emulazione delle band sopracitate, ma semplicemente che questi quattro ragazzi sanno il fatto loro. In una parola: spaccano! Se uno non lo sapesse, potrebbe tranquillamente dire che questo album esce fuori direttamente dagli anni '80 da una band americana agli albori.
Per farla breve ragazzi: bravissimi, questo è fare thrash non scontato! That's the way boys!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    11 Novembre, 2018
Ultimo aggiornamento: 12 Novembre, 2018
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Sono passati ben diciassette anni dall'esordio dei danesi Hatesphere e, come un circolo che si ripete all'infinito, la formula del quintetto non è cambiata, o almeno non lo è l'impostazione di base: un death/thrash forte di riff taglienti e senza fronzoli come se piovesse. Oggi, come allora, con il nuovissimo "Reduced To Flesh" siamo ancora sugli stessi lidi.
Un album, questo, che si lascia ascoltare, che piace ed è estremamente diretto ma che porta con sé pochissime, per non dire quasi nessuna, novità. Insomma, per farla breve, è un lavoro perfettamente in linea con la discografia precedente della band, oserei dire quasi un copia/incolla con gli scorsi lavori, se non fosse per qualche sfumatura tendente al melodic death svedese e qualche punta metalcore data dalla voce di Esse. Non fraintendetemi ragazzi con le parole appena dette: "Reduced To Flesh" mi è piaciuto per il suo approccio diretto e conciso, per la pesantezza proposta, per le sfuriate forti dell'influenza dei vicini di casa Artillery e, in generale, per il talento della band. Allora cosa giustifica la sufficienza data a questa nuova fatica? La monotonia: i brani, seppur accattivanti, cafoni ed irriverenti, risultano troppo simili tra loro. Se poi ci allarghiamo a tutta la carriera del quintetto, ecco che la ripetitività si estende a tutti i lavori di questi diciassette anni. Questo, a mio avviso, è l'enorme ed unico difetto degli Hatesphere: l'essersi fossilizzati troppo su determinati pattern e il non uscire mai fuori dagli schemi proposti. Se ci sono bands che di questa formula ne hanno fatto l'asse portante con successo (vedasi Slayer, Exodus e compagnia bella), ce ne sono altre per le quali la suddetta si è rivelata la proverbiale zappa sui piedi che ci si tira da soli e i nostri amici danesi, ahimè, rientrano in questa seconda categoria. Tanta bravura, grinta, energia, cafonaggine a palate, riff spietati e distruttivi... una bomba atomica di band frenata dall'eccessiva monotonia dei lavori proposti. Urge immediatamente un'ondata di freschezza ragazzi!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    04 Novembre, 2018
Ultimo aggiornamento: 04 Novembre, 2018
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Si formano esattamente dieci anni fa i nostrani Grievers e fin da subito la loro proposta è chiara, decisa e, per certi aspetti, abbastanza particolare:un melodic death estremamente influenzato dal progressive e dal djent. Accoppiata insolita vero? Beh, lo sarebbe se i musicisti non sapessero suonare o non fossero originali. Ma non è questo il caso, tranquilli. Con un solo full-length alle spalle e questo nuovo EP, "The Pleasure Of Revenge", i nostri amici sanno esattamente quello che fanno e posso garantirvi che spaccano di brutto: quattro tracce nelle quali si avvertono un'infinità di sfaccettature tutte ben incastrate in un'intelaiatura affatto caotica e dispersiva. Per farla breve: tutto fila e gli incastri tra le varie influenze sono perfetti, senza salti ed estremamente armonici. Volete un esempio? detto fatto, l'opening "Chapter 1 - Ade". Davvero ostico riuscire a descrivere un pezzo così complesso: cattiveria, durezza, liquidità, trasparenza, pesantezza, leggiadria... una continua antitesi tra sonorità più cupe e cristalline e tra ritmiche più lineari e sparate e quelle più arzigogolate e contorte. Il tutto abilmente razionalizzato in un brano che riesce a coinvolgere da inizio a fine senza stufare l'ascoltatore; un requisito, quest'ultimo, che ritengo fondamentale dato che ci vuole un attimo, nel mondo del prog e del djent, per superare la sottile linea tra il mostrare il proprio talento con riff e ritmiche strane ed il mero stupro degli strumenti senza anima. Qui, e ammetto che all'inizio ero preoccupato, tutto ciò non accade e si raggiunge un equilibrio perfetto tra le varie influenze, le chitarre cantano, il lavoro di groove sostiene il tutto con forza e pienezza,tranne in qualche punto in cui il volume del basso è un po' troppo alto, e il cavernoso growl di Michele fa da ciliegina sulla torta.
Ottimo lavoro ragazzi!

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510 risultati - visualizzati 431 - 440 « 1 ... 41 42 43 44 45 46 ... 47 51 »
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