Opinione scritta da Luigi Macera Mascitelli
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Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 2019
Top 10 opinionisti -
Beh, signori, non credo servano presentazioni per le divinità del melodic death svedese, perciò andrò subito al sodo.
Dopo il superbo "To Drink From The Night Itself" - decretato dal sottoscritto come seconda miglior uscita dello scorso anno nella top 10 che, tra l'altro, vi invito ad andare a leggere su questo portale - gli At The Gates, in concomitanza con l'inizio del tour europeo, hanno rilasciato l'Ep "With The Pantheons Blind". Di cosa si tratta? Semplice: quattro tracce dell'ultimo album con all'interno degli ospiti alla voce che duettano con Tomas Lindberg. Stiamo parlando di Rob Miller (Amebix, Tau Cross) in "Daggers Of Black Haze" e "The Mirrow Black", Per Boder (God Macabre) in "The Chasm" ed infine Mikael Nox Pettersson (Craft) in "A Labyrinth Of Tombs". Non mi dilungherò più di tanto nel parlarvi della collaborazione dato che le voci in questioni riescono a regalarci una performance a dir poco perfetta e l'incrocio con la voce di Tomas è qualcosa di spettacolare.
Ciò di cui veramente voglio parlarvi, e che ho intenzionalmente tenuto per ultimo, sono altri due pezzi presenti in questo Ep. Il primo è la versione demo di "The Chasm": che dire, preferisco molto di più questa versione che non quella definitiva in "To Drink From The Night Itself". Rozza, primordiale e dal sound aggressivo. Davvero un signor brano. Peccato non abbiano messo questo nell'album!
Ma la chicca delle chicche è lei, per i veri amanti degli At The Gates e i fan di vecchia data: la versione riarrangiata di "Raped By The LIght Of Christ", celebre traccia del 1993 presente in "With Fear I Kiss The "Burning Darkness". Solo questa vale il voto massimo della recensione.
Poter risentire un pezzo vecchio di 25 anni suonato con il sound moderno e interamente scritto da capo per adattarlo ai tempi odierni è una di quelle cose che ti fa dire: " posso morire felice ora". Tra l'altro è sorprendete notare come il pezzo sia incredibilmente moderno nonostante abbia la sua veneranda età, e questo è segno che gli At The Gates sono una spanna sopra a tutti.
Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 2019
Top 10 opinionisti -
Death/thrash a badilate per una mezz'ora di pura carneficina: ecco a voi "Conspiracy Theorist", l'album di debutto dei canadesi Backstabber ed una delle migliori uscite dell'anno in ambito underground.
La recensione potrebbe tranquillamente finire qui perché non c'è altro da dire se non che questi tre ragazzi hanno tirato fuori un album della madonna (concedetemi tale licenza) completamente votato al death europeo, in particolar modo ai nostrani Coffin Birth e Hour Of Penance, e al thrash cafone ed irriverente di stampo teutonico. Il risultato? Un tritacarne composto da sette tracce, una più malata e cafona dell'altra, che vi faranno schizzare fuori il cervello dalle orecchie.
Una sola chitarra ed un muro sonoro fuori dal comune, lavoro dietro le pelli impeccabile da far impallidire batteristi ben più affermati e un groove che fa aumentare esponenzialmente la cattiveria e la pesantezza del lavoro. Il tutto coronato dal growl disumano, potente e distruttivo di Christian. Cosa chiedere di più?! Semplicità allo stato puro senza fronzoli o ghirigori di abbellimento: qui si mena e basta e chi non è pronto si becca un cazzotto in faccia senza se e senza ma!
Prima di concludere questa brevissima recensione (credetemi se vi dico che non c'è altro da aggiungere), è doveroso segnalarvi l'ultima ed omonima traccia "Conspiracy Theorist": ballad di una bellezza rara da far venire la pelle d'oca. Quasi cinque minuti di pura estasi solo strumentale in cui la chitarra acquista voce propria ed il basso in sottofondo ci regala dei fraseggi davvero notevoli. Una leggiadra danza dopo essere stati picchiati a dovere nelle precedenti tracce.
Cinque stelle più che meritate ed i personali complimenti del recensore. Good job guys!
Ultimo aggiornamento: 13 Marzo, 2019
Top 10 opinionisti -
E niente ragazzi, alla fine la patata bollente di quest'anno è toccata a me con il nuovissimo lavoro in casa Fridén-Gelotte: oggi si parlerà di "I, The Mask" dei più che famosi In Flames. Prima di iniziare con la recensione è doveroso fare una premessa per capire il punto di vista che ho assunto nel valutare il lavoro in questione. So, let's begin!
Per ovvie quanto scontate ragioni eviterò di trattare gli IF paragonandoli a quelli di una volta, nella fattispecie quelli del periodo anni '90 e primi duemila, altrimenti dovrei cestinare il tutto e dare uno zero spaccato e, ovviamente, la recensione non sarebbe neanche intellettualmente onesta. Tratterò, perciò, la band da "A Sense Of Purpose" (2008) in poi: è da qui, secondo me, che ha inizio il drastico cambio di stile che vede il passaggio dai lidi solidi e celebri del melodic death scandinavo ad un più marcato alternative con influenze derivanti dal metalcore. Si arriva infine al penultimo "Battles" (2016) che stabilizza la nuova linea di sperimentazioni per Anders Friéden e soci e al nuovissimo "I, The Mask" di quest'anno. Detto ciò e inquadrata l'ottica, possiamo dare il via alla recensione vera e propria.
Confesso il mio scetticismo ad inizio ascolto dato che sono un fan accanito della vecchia gloria della band ma rimasto abbastanza deluso dalla piega intrapresa dalla band. Tuttavia, forte anche dell'appoggio del precedente "Battles" che qualche brano davvero valido l'ha tirato fuori, devo dire che questo "I, The Mask" si lascia ascoltare da inizio a fine piuttosto liscio e scorrevole. Già quando vennero pubblicati i singoli "I, The Mask" e "I Am Above" rimasi piacevolmente colpito dalla grinta delle tracce: un paio di sane bordate che il pogo in live sicuro lo incitano, ottimi riff dallo stile quasi ruffiano, ma funzionanti, a cui il buon Bjorn Gelotte ci ha abituato e una performance vocale di Fridén davvero buona. Da tenere a mente, e ci tengo a sottolinearlo, che bisogna vedere come quest'ultimo se la caverà in live, essendo l'album il primo in cui Anders ci cimenta in estensioni vocali piuttosto alte.
Ma non è tutto oro quel che luccica e, come del resto sospettavo, la linea intrapresa dai nostri amici svedesi tende ad annoiare ogni tanto. Sarò sincero: questo stile non mi fa impazzire perché tende ad essere ripetitivo- e il precedente "Battles" ne è una prova dato che le nuove tracce potrebbero tranquillamente essere messe in quest'ultimo senza sfigurare con il contesto- e, a volte, rende piatti i pezzi senza dare la giusta personalità a ciascun brano- e qui vi chiedo scusa se uscirò dall'ottica della premessa ma va detto che una volta ogni canzone degli In Flames era davvero una perla. Prendiamo le tre ballad "Follow Me", "In This Life" e "Stay With me": ma ne volete mettere una sola? Carine, sì, ma nulla di più e alla lunga annoiano e il sottoscritto le ha skippate un paio di volte. Buona la performance ormai consolidata di Bjorn Glotte, con i suoi assoli liquidi e tranquilli e i fraseggi che ogni tanti riecheggiano di un passato lontano, ma è un fuoco di paglia che si estingue subito in queste tracce.
Al contrario ci sono brani che spaccano davvero, come la sopracitata traccia omonima, oppure la serrata "Burn" che mi ha rimandato indietro ai riff di una volta (ed ecco di nuovo che esco dall'ottica. Scusate!) e la più melodica "Call My Name": qui devo dire che quel minimo di sperimentazione c'è e, tra lo scream acuto e acido di Anders e i riff belli cafoni e taglienti delle chitarre, assieme a un consistente lavoro di groove alle spalle, una sana scapocciata ci esce tranquillamente. D'altronde da un decennio a questa parte gli IF ci hanno abituato ad album altalenanti tra pezzi promossi ed altri che ti fanno scendere i cosiddetti alle ginocchia. Perciò nulla di nuovo.
Ma veniamo a noi e alle considerazioni finali. Ho cercato di darvi una visione di insieme di questo "I, The Mask" ed ho preferito non andare nello specifico per un semplice motivo: questa , secondo me, è la band che più di tutte ha spaccato a metà il suo pubblico, tra haters a spada tratta che ripudiano i nuovi IF e si fanno portavoce della vecchia gloria e amanti incalliti pronti a sostenere qualunque sia la scelta del quintetto. Perciò preferisco che ciascuno di voi si faccia la sua idea in merito dopo uno sguardo di insieme.
Per quel che mi riguarda tendo a schierarmi con i primi, seppur con diverse precisazioni. Bisogna mettersi in testa che una band cresce e matura, chi in meglio chi in peggio, perciò la situazione va vista con spirito critico al fine di discriminare ciò che c'è di buono- e fidatevi del sottoscritto se vi dico che "I, The Mask" ha del materiale sorprendentemente buono- e ciò che lo è meno- torniamo al discorso di cui sopra in cui dicevo che lo stile alternative/metalcore ha lo svantaggio di proporre gli stessi pattern e lo stesso approccio, pena la monotonia e la poca personalità dei lavori proposti.
Detto questo, posso definire "I, The Mask" un valido album, capace di farsi apprezzare con i suoi alti e bassi e perfettamente in linea con quello che è il percorso intrapreso. Un lavoro senza infamia e senza lode che saprà regalarvi qualche bel momento concitato.
Ultimo aggiornamento: 09 Marzo, 2019
Top 10 opinionisti -
Quando si tratta di bocciare una band è sempre un dispiacere, specialmente se si tratta del primo full length. D'altronde è doverosa una certa dose di oggettività e bisogna riconoscere quando un lavoro non supera la prova.
Con questa premessa oggi parleremo del progetto Hellnite, band messicana fondata e diretta da Paolo Belmar, e dell'album di debutto "Midnight Terrors".
In realtà c'è davvero molto poco da dire dato che il lavoro stesso parla per sé: un heavy/thrash metal old school piuttosto aggressivo, mai dirompente, che alla fine dei conti fa il suo dovere. Le chitarre belle spinte nella sezione ritmica e l'ottimo lavoro svolto da Paolo sul basso ci regalano qualche momento euforico e bello agguerrito, il tutto con qualche puntina progressive davvero niente male (vedasi "Stage On Fire" e "Necromancer"). Per quanto riguarda assoli e sezione solista la prova è sufficiente e si attesta su pattern più che classici,delle volte scontati, ma tutto sommato ben inseriti nel contesto.
Ma allora, direte voi, cosa mi ha portato a bocciare un album che fin qui si attesta almeno sulla sufficienza? Ebbene, ciò che proprio non ho digerito neanche sotto tortura sono due cose: la voce di Paolo e la batteria. Mi spiego un po' meglio. Credo di non aver mai sentito in vita mia una voce più piatta, noiosa e senza anima di quella presente in questo "Midnight Terrors": talmente smorzante che riesce a coprire anche quelle componenti che si salvano nei vari brani (e fidatevi ce ne sono). In secondo luogo c'è la batteria, altrettanto moscia e inespressiva: molto probabilmente virtuale o metà e metà, penso che insieme alla pessima performance canora ammazzi tutto il lavoro facendo attestare la questione su una, per me sofferta, insufficienza.
Consiglio vivamente di rivedere i due enormi difetti di cui sopra, pena restare immersi nelle migliaia e migliaia di dischi mediocri del genere proposto.
Ultimo aggiornamento: 26 Febbraio, 2019
Top 10 opinionisti -
Nuova fatica in casa Cavalera. No, non sto parlando né di Igor né di Max, ma del figliastro di quest'ultimo e della sua band: signori, ecco a voi "Built To Destroy", quinto album degli Incite di Richie Cavalera. Mix brutale di thrash e groove, questo lavoro è diretto e si farà amare da quelle persone che cercano qualcosa di impatto, senza troppi giri e arzigogoli; per farla breve: un pugno in faccia dritto come un binario!
Il buon Richie ci delizia con un cantato sporco e prepotente, ricalcando un po' (forse anche troppo) la voce dei vecchi Sepultura e Soulfly (grazie al cavolo direte voi!), mentre le chitarre riescono a creare quelle ritmiche quasi ruffiane che accontentano e divertono l'ascoltatore ma che riescono a dare la giusta carica e l'impatto necessario per tirare fuori un buon album.
"Built To Destroy" è il classico disco non impegnato, perfetto da mettere in auto a tutto volume per far vedere chi comanda: quindi, per intenderci, non c'è nulla, o molto poco, di nuovo rispetto alla linea degli Incite, ma si tratta comunque di un approccio che fa il suo sporco lavoro e la sufficienza piena riesce a strapparla.
Sarebbe stupido e falso dire che non si tratti di un buon album, tant'è vero che il sottoscritto ha "scapocciato", e non poco, durante tutto l'ascolto, ma nulla di più: ottimi riff, zero fronzoli, groove a manetta e torcicollo assicurato. Tutte componenti che si possono benissimo ritrovare in altre band, tipo i Pantera per capirci. Senza tono polemico posso dire che gli Incite svolgono il compitino a dovere regalandoci una mezz'ora abbondante di bordate sonore e cattive attestandosi nella media di quello che è il thrash/groove, senza un brano che spicchi rispetto agli altri ma attestandosi un po' nell'anonimato con un approccio classico al genere .
Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 2019
Top 10 opinionisti -
Avete presente quando una band non vi è mai piaciuta più di tanto ma riesce a prendervi con un album nuovo? Ebbene, questo è il mio caso con i finlandesi Swallow The Sun ed il loro inconfondibile melodic doom metal. Signori, vi presento "When A Shadow Is Forced Into The Light", settimo album della band capitanata dal celebre Mikko Kotamäki. Lavoro, questo, che prende la linfa vitale direttamente dal lutto che il frontman subì nel 2016, anno in cui perse la compagna di vita. Viene da sé che, nonostante l'approccio sia perfettamente in linea con l'ormai consolidato stile degli Swallow The Sun, il sound e le conseguenti emozioni suscitate vertano su lidi ben più malinconici ed introspettivi. E devo dire che proprio questa peculiarità mi ha fatto riapprezzare la band.
Tutto in questo "When A Shadow Is Forced Into The Light", come suggerito dallo stesso titolo, ha quel sapore evanescente ed etereo che ricorda molto lo stile degli Alcest, le chitarre di rado si inaspriscono e il bellissimo growl di Mikko sembra essere assorbito dal sound dei brani per lasciare spazio ad un cantato pieno e cristallino. Insomma, ci troviamo dentro l'anima del cantante: rabbia, tristezza, malinconia e introspezione che si alternano per poi svanire traccia dopo traccia. Sarebbe quasi riduttivo incatenare questo lavoro nel classico sound degli Swallow The Sun, quello a cui siamo stati abituati fino al precedente "Songs From The North I, II & III" e che il sottoscritto non ha mai trovato particolarmente interessante. Qui, e lo dico con non poca gioia, siamo su lidi più morbidi ed incentrati sullo stile delle ballad con qualche impennata rabbiosa quasi a volere comunque essere legati al passato e dare quel tocco di continuità ( quasi una parac*lata evitabile oserei dire).
Insomma, per farla breve; "When A Shadow Is Forced Into The Light" è un lavoro che si lascia ascoltare, che sa farsi apprezzare per la sua evanescenza e senso di leggerezza, che riesce a dare quel pugno allo stomaco per la spiccata emotività che suscita. Finalmente posso dire che gli Swallow The Sun mi sono piaciuti parecchio. Ottimo lavoro!
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Signori, senza troppi giri di parole vi confermo che ho tra le mani uno dei migliori dischi underground che abbia mai ascoltato: vi presento "XS2XTC", l'album di debutto degli svizzeri Almøst Human. Cosa è questo lavoro neanche potete immaginarlo! A cominciare dal genere che non saprei definire: metal sperimentale, progressive, extreme metal con approccio Rock... insomma, una summa degli appena citati per un risultato da lasciare a bocca aperta e un centro pieno per la Fastball Music.
Ma cerchiamo di andare più nel dettaglio anche se, e vi giuro che non scherzo, sarebbe impossibile scrivere ciò che l'album offre; tanti sono i contenuti presenti! Si parte con le note dell'ipnotica "System Of Beliefs" che in un nanosecondo mi ha rimandato al celeberrimo Ihsahn (Emperor) e al suo progetto solista: immaginate le sonorità arzigogolate, eleganti e contorte dell'ultimo album dell'artista citato e capirete in un attimo di cosa sto parlando. Il brano, poi, è un continuo oscillare di ritmiche, cambi di tempo, alti e bassi... un vortice... un turbinio caotico (apparentemente) razionalizzato dalla band. Questo significa creare un proprio ed inconfondibile stile! E qui mi sorge un dubbio: ma come cavolo hanno fatto questi ragazzi a tirare fuori una maturità del genere già dall'album di debutto? Io stesso sono rimasto a bocca aperta, considerando che un simile livello lo si raggiunge con tanta esperienza alle spalle.
Si procede con la serratissima "Warpigs" in cui il sound si fa più cattivo, la parte di groove diventa martellante ed incalzante ed il bravissimo Ben ci delizia con un cantato feroce quasi hardcore. Insomma, il pogo è d'obbligo. Tutto "XS2XTC" procede spedito ed imperterrito per un totale di quattordici tracce, eppure, e qui lo sottoscrivo, neanche per un secondo mi sono annoiato; anzi, ho praticamente perso la cognizione spaziotemporale per quanto questo sound mi abbia preso. E forse è proprio questo il punto di forza dei nostri amici svizzeri: la capacità di trascendere questo piano esistenziale. Intento che, peraltro, è il tema principale dell'album, incentrato su un dubbio filosofico: ciò che vediamo è davvero la realtà, oppure è un'illusione che va spezzata andando oltre il velo? Beh, signori miei, con quattordici tracce di questo calibro il viaggio mentale è più che assicurato. Fidatevi!
Altro punto di forza, infine, è proprio il fatto di non riuscire a definire il genere proposto, il che dà ancora più forza al discorso di cui sopra: un caos quasi inebriante reso razionale dal particolare sound.
Veniamo a noi adesso. Consiglio a occhi chiusi questo "XS2XTC", sia a chi ama la musica sperimentale e il progressive, sia a chiunque voglia farsi un'idea di cosa voglia dire saper suonare e creare uno stile personalissimo ed introspettivo. Insomma, per farla breve: supportate gli Almøst Human e teneteli d'occhio! Complimenti guys!
Ultimo aggiornamento: 03 Febbraio, 2019
Top 10 opinionisti -
Signori, oggi per voi una recensione un po' diversa dato che si parlerà di un genere poco trattato su questo portale e che, nella mia ignoranza, pensavo neanche esistesse più al di fuori dei System Of A Down. Esatto, parleremo di crossover con i tedeschi Need2Destroy ed il loro album di debutto "Show": un lavoro piuttosto particolare che riesce a proporre uno stile molto (forse a tratti anche troppo) simile alla band sopracitata ma influenzato da qualche punta hardcore e, soprattutto, stranezza delle stranezze, dalla costante presenza di sonorità e ritmiche spagnoleggianti. Perfino le lyrics dei brani proposti sono cantate in spagnolo nonostante la band provenga da Ulm. Chissà perché questa massiccia influenza del mondo iberico.
Fatta la doverosa premessa, accingiamoci a parlare di questo "Show" e vediamo più nel dettaglio cosa ha da offrire. Si parte a bomba con l'opening omonima ed immediatamente la mente riporta ai System (non potrò fare a meno di citarli) e alla loro "Cigaro". Ottima la performance canora che propone un cantato che spazia tra un pulito molto corposo e potente e un mezzo scream corrosivo tipico del punk/hardcore anni '90.
Si prosegue per un totale di tredici tracce tra pezzi più cafoni ed irriverenti che quasi sfociano in un thrashcore martellante a brani più tranquilli e cadenzati. In merito a questi ultimi è doveroso citarvi la traccia "Enferno": molto gradevole grazie all'ottimo groove sostenuto ma non invasivo e al sound morbido delle chitarre che, come sempre, è fortemente influenzato dalle sonorità spagnole, quasi in stile corrida o tango per darvi un'idea. L'unico modo per capire cosa intendo è ascoltare questi Need2Destroy.
Ma veniamo alla nota dolente di "Show" che, per quanto possa essere originale e innovativo per alcuni aspetti, presenta comunque dei lati negativi. Punto primo: troppi i rimandi ai System sia a livello di ritmiche che di sonorità e strutture dei pezzi. Può esserci tutta la Spagna in questo lavoro ma ciò non toglie che alla base la componente System Of A Down ci sia, forse un po' troppo. Secondo punto negativo: alla lunga i pezzi tendono un po' ad annoiare. Tredici tracce non sono poche, perciò bisogna tenere alto il livello d'attenzione dell'ascoltatore. Il problema, però, è che se i brani proposti tendono ad essere simili tra di loro lo sbadiglio ci scappa durante l'ascolto.
La performance dei Need2Destroy passa, ma consiglio loro di rivedere i due punti di cui sopra.
Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 2019
Top 10 opinionisti -
Nascono nel 2013 i padovani Unorthodox e fin dagli esordi della prima demo la proposta è chiara, netta e decisa: death/thrash a manetta, feroce e corrosivo. Ma i nostri non si fermano qui e con il primo full-length "Maze Of Existence", di cui vi parlerò oggi, raggiungono vette ancora più alte: signori, non siamo di fronte alla solita minestra proposta e riproposta in tutte le salse; qui c'è di più. Se vi dicessi che l'album propone un feroce death/thrash estremamente influenzato dal progressive e dalle sonorità psichedeliche simil Pink Floyd? Beh, penso proprio che la musica cambi (in tutti i sensi).
Un album, questo "Maze Of Existence", estremamente complesso e difficile nella struttura, ma carico di idee ed influenze da perderci la testa. Non si tratta del classico disco da mettere a tutto volume nell'auto mentre si va in giro spensierati; qui è richiesta attenzione ed una degustazione quasi maniacale per poter cogliere le infinite sfaccettature. Io stesso mi sono trovato spiazzato all'inizio!
Ma cerchiamo di dare un senso al linguaggio metaforico. Si parte con "The Non-existent Sin" e la bellissima intro di pianoforte, quasi fuori tono per creare un certo effetto di smarrimento e angoscia. Stiamo pur sempre parlando di death metal, cavolo! Ma ecco che all'improvviso le chitarre partono arroganti e cafone con un sound molto anni '80 infarcito di Exodus e Destruction. Da qui in poi, traccia dopo traccia, sarà un'impennata di qualità, tra intrecci al limite del possibile in stile Death, cambi di tempo alla Dream Theater e assoli come se piovesse. Immaginate tutto questo aggiungendo la pesantezza ed irriverenza del thrash e una parte di groove sostenuta e martellante grazie ad un basso che si fa sentire bello cafone e martellante. Aggiungiamo, infine, la grande abilità di dei nostri amici nel riuscire a dare razionalità alle infinite sfaccettature del loro lavoro ed ecco che viene fuori una bomba.
Ma ecco che giungiamo al fiore al'occhiello di "Maze Of Existence", la lunghissima e, come suggerisce il titolo, ipnotica "Ipnosi Regressiva": in questa traccia di quasi dieci minuti c'è tutta l'anima e il talento del gruppo. Qui la fanno da padrona il progressive e il sound psichedelico anni '70 con assoli lunghi ed estremamente strutturati, variazioni di tempo in stile jazz come se si stesse improvvisando, alti e bassi, destra e sinistra... insomma, un vortice di influenze abilmente riunite.
Veniamo a noi ragazzi: sappiate che se volete ascoltare gli Unorthodox dovete farlo con estrema attenzione, pena non capirci più nulla e rischiare di giudicare male il lavoro. Sicuramente ciò è un'arma a doppio taglio nei confronti della band, soprattutto per quelli che (e un po' rientro in questa categoria) amano pezzi più semplici e diretti sulla faccia. Ma bisogna uscire dagli schemi ogni tanto no? Ebbene, gli Unorthodox faranno al caso vostro. Ottimo lavoro guys!
Ultimo aggiornamento: 19 Gennaio, 2019
Top 10 opinionisti -
Finalmente rimetto mano ad un lavoro dei nostrani Sinatras, band vicentina con alle spalle un solo full-length (di cui vi invito caldamente a leggere la mia recensione su questo portale) e questo nuovo Ep intitolato "God (Human) Satan". Che dire ragazzi... una bomba atomica dritta in faccia, un calcio sulle gengive per chi ama il death metal massiccio e cafone con l'influenza del thrash tanto per rimanere fedeli alle origini.
Differenze con il precedente "Drowned"? Una sola: qui siamo su lidi ben più pesanti e marci rispetto al death'n roll che caratterizzava il primo lavoro. Sembrerebbe quasi un processo di passaggio verso un sound più maturo e personale, più sicuro di sé ed irriverente.
Se già all'epoca premiai la grinta dei nostri amici vicentini, qui è da lodare il grande salto di qualità che la band, in un solo anno, è riuscita a fare riuscendo, tra l'altro, a correggere le parti meno convincenti a partire dalla voce: non dico che prima non mi piacesse, però ora il growl più cupo e massiccio riesce a rendere omaggio a un signor death metal che, tuttavia, e ci tengo a precisarlo, è ancora ancorato alla vecchia guardia.
Nient'altro da aggiungere ragazzi, ascoltate questi nuovi Sinatras per poter apprezzare l'impennata del quintetto ed essere presi a cazzotti in faccia per venticinque minuti. Ultima cosa: ma che gran figata è l'intro arabeggiante in cui si sente una voce che intona parti del Corano?
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