Opinione scritta da Luigi Macera Mascitelli
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Ultimo aggiornamento: 19 Mag, 2019
Top 10 opinionisti -
Finalmente la rivalsa del deathcore! Finalmente un ritorno alle sonorità marce e pesanti vicine al death moderno! Oggi siamo in Germania con i Mental Cruelty ed il loro secondo album, "Inferis".
Malato, crudele, macabro e micidiale, questa creaturina firmata Unique Leader Records è la risposta a coloro che cercano un prodotto che si discosti dai canoni classici del genere: fortemente influenzato dal brutal alla Cannibal Corpse e Six Feet Under e dalla pesantezza dello slam death, "Inferis" riesce a tirare fuori una cattiveria disumana e bestiale.
Già dalle prime note di "Planet Of Misery" si capisce che qui non si scherza ma si mena da inizio a fine. Blastata a dovere, tirata dalla doppia cassa Kevin, appesantita da un songwriting che non lascia spazio ad un singolo respiro ed impreziosita dalla performance canora di Lucca a dir poco perfetta, la traccia funge da apripista ad una vera e propria mattanza.
Da citare la brutale "Mundus Vult Decipi" che trasuda Cannibal Corpse da tutti i pori: un esempio perfetto di cosa voglia dire acquisire l'esperienza di una band che un genere l'ha praticamente fondato e farla propria. Da qui la particolarità del Deathcore dei Mental Cruelty: l'aver preso a calci in quel posto i canoni classici del genere in favore di un sound tutto loro che riesce a spaventare, ad inorridire quasi. Sono queste le band su cui puntare e dal quale il genere dovrebbe ripartire. Se prendiamo le macchine sforna-soldi come i Suicide Silence -da me amati fino al 2011-, ci renderemmo subito conto della svolta ruffiana che hanno avuto nei confronti del pubblico in nome del dio denaro. Il risultato di tutto ciò? Una condanna a spada tratta del deathcore, tacciato di essere un genere per bimbi in preda agli ormoni. Perciò, quando ascolto band come i Mental Cruelty -o come una qualsiasi realtà che non sia sotto le mirabolanti luci dei riflettori della roba commerciale per fare soldi- la mia speranza torna. In "Inferis" c'è un continuo osare con delle sonorità che incutono paura ("Cosmic Indifference" o "God Hunt" ne sono l'esempio lampante), dei riff affatto scontati e ben arzigogolati che riempiono senza risultare stucchevoli, una performance canora che ci delizia con un growl cavernoso e gutturale -ci sento molto l'influenza di Phill Bozeman dei Whitechapel-, uno scream acido e corrosivo e un pig squeal che ti fa sentire all'interno di film horror/splatter.
Tutto fila come dovrebbe, nonostante il leggero senso di monotonia percepibile in qualche traccia, ma è un neo su un corpo ben modellato. Ottimo lavoro ragazzi e un centro pieno per la Unique Leader Records!
Ultimo aggiornamento: 19 Mag, 2019
Top 10 opinionisti -
Ecco un'altra recensione che si annovera tra le voci fuori al coro, tanto per inimicarmi ai più. Oggi parleremo degli americani Eugenic Death e del loro secondo album intitolato "Under The Knife". Nati nel 2010 e con alle spalle una sola demo e, appunto, un solo full-length, il trio ci propone un thrash metal feroce e potente totalmente votato ai Testament e agli Exodus odierni (quelli in "Shovel Headed Kill Machine per intenderci"). Insomma, nulla che non si possa trovare in un milione di altre band del genere. Da qui la voce fuori dal coro con cui ho esordito in questa recensione.
Sia chiaro, l'album spacca davvero, con ottimi riff -seppur molto ruffiani e dal pattern semplice ma funzionante- e un approccio diretto e serrato come ogni buon album thrash anni 80-90 vuole. Però, c'è un però: tutte le tracce hanno quel sapore del "già sentito" che proprio non riesco a togliermi dalla testa e non capisco come altri commenti abbiano dato voti così esageratamente alti ad un lavoro sì valido, ma che, sinceramente, si perde nel mare delle migliaia di dischi già presenti sul mercato.
Onestamente un po' di noia questo "Under The Knife" me l'ha fatta venire, vuoi per la leggera ripetitività delle tracce, vuoi per la voce non esattamente entusiasmante seppur non cattiva, vuoi anche per la poca originalità... insomma, per farla breve: è un album di cui si poteva fare anche a meno, soprattutto se consideriamo il genere proposto che come ben sappiamo è piuttosto saturo e richiede non poca inventiva ed originalità per emergere.
Tutto sommato il disco procede bene e ci mostra un trio ben amalgamato e competente e un ascolto lo merita ad occhi chiusi. Ma nulla di più: un onesto sei politico -bocciare la band sarebbe da pazzi onestamente-.
Ultimo aggiornamento: 04 Mag, 2019
Top 10 opinionisti -
Bene bene signori, finalmente si esce dalle recensioni a cui vi ho abituato da un paio di anni a questa parte: oggi lasciamo da parte thrash e melodic death per occuparci di deathcore. Vi presento gli Osiah ed il loro secondo album "Kingdom Of Lies", pubblicato un giorno fa (3 maggio) via Unique Leader Records. Che dire, una cannonata per gli amanti del genere che conferma il grande talento di questi ragazzi, entrati a buon diritto nel panorama delle migliori band underground del genere.
Dimenticate i classici canoni a cui ci hanno abituato band ben più famose, Suicide Silence (diventati pietosi tra l'altro), Heaven Shall Burn, All Shall Perish e compagnia bella per intenderci. Qui siamo su ben altri lidi dove l'imperativo è picchiare forte e far piovere budella e sangue per tutta la durata dell'album.
Già il precedente "Terror Firma" del 2016 sprizzava energia e furia omicida da tutti i pori denotando, nel contempo, un enorme potenziale da parte del quintetto. Potenziale che il nuovissimo "Kingdom Of Lies" porta finalmente a compimento, come fosse una farfalla che esce dal bozzolo. Il deathcore proposto dagli Osiah è feroce, violento, blastato a manetta e fortemente influenzato dallo slam death in stile Kraanium per intenderci. Bellissime, a mio avviso, le parti simil melodiche che danno un senso di follia omicida e terrore all'ascoltatore. Perfetto come esempio è la malatissima "Reflections Of a Monster": folle sotto ogni punto di vista, è la miglior rappresentazione di quanto detto fino ad ora, piena zeppa di blast beat e riff pesanti come presse idrauliche che trasudano ferocia da tutti i pori. E vogliamo tralasciare la performance canora di Ricky Lee Roper? Assolutamente no! Pig growl cavernoso e disumano, pig squeal al limite del possibile -sembra davvero un maiale sgozzato. Che figata!- e scream corrosivo come una lama arrugginita che ti penetra lentamente. Insomma, un tripudio di violenza affatto scontato in grado di menare forte dalla prima all'ultima nota.
Gli Osiah riescono a rompere gli schemi del classico deathcore proponendo un album che si avvicina molto al death primordiale degli Aborted e dei Bloodbath impreziosito dai classici canoni del genere (pesanti blast beat e breakdown distruttivi). Il risultato? Una bomba che consiglio a tutti gli scettici e criticoni del genere. Non fermatevi ai soliti quattro nomi conosciuti, ma andate oltre e scavate a fondo: potreste trovare delle piccole gemme come questa. Good job guys!
Ultimo aggiornamento: 04 Mag, 2019
Top 10 opinionisti -
Imponente, elegante, sfaccettato e furioso. Penso siano questi gli aggettivi migliori per descrivere "Thanatos", terzo album dei nostrani Carved. Nati dodici anni fa, i nostri sin da subito propongono quello che potrebbe essere definito un symphonic death influenzato dal prog e con pesanti innesti barocchi e medievali. Insomma, un bel minestrone di roba nel calderone. Già, ma che minestrone ragazzi!
Confesso che non ho mai dato molto peso alla band in passato, vuoi per la mia avversione al genere, vuoi per le miriadi di gruppi da seguire. Grosso errore! Rischiavo di perdermi un gruppo con i contro-cosiddetti che riesce ad equilibrare alla perfezione tutte le varie influenze in un unico grande ed arzigogolato lavoro. Da qui nasce "Thanatos" il vero e proprio pass dei Carved, il test finale che ci dirà se i nostri meritano o meno un posto di rilievo nel panorama undergorund italiano. Il verdetto? Più che positivo: l'album è una vera e propria opera d'arte capace di trasportare l'ascoltatore su altri lidi nonostante duri un bel po' (una cinquantina di minuti circa). Impossibile questa volta stilare una track-by-track dato che ciascun pezzo ha una personalità tutta sua, quasi prendesse vita e ci raccontasse una storia; il tutto coronato dai numerosi ospiti che fanno da coro ed impreziosiscono il lavoro con un background di tutto rispetto.
Elemento di forza di questo "Thanatos", come accennato sopra, è la perfetta commistione tra gli strumenti classici ed elettronici in grado di regalarci un sound riconoscibile già dalla prima nota e di dare risalto alla parte sinfonica. "Equilibrio" è la parola chiave che funge da imperativo in tutte le tracce presenti: la violenza del death melodico in stile Dark Tranquillity e Insomnium si fonde con l'eleganza delle voci femminili e la leggiadria delle sonorità barocche, i riff non sono mai invasivi ed anzi lasciano ampio margine di lavoro alla parte orchestrale dando un senso di perfetta armonia.
Il tutto accompagnato, ovviamente, dal grande talento di ciascun membro: si vede, anzi, per meglio dire, si percepisce una profonda conoscenza musicale dietro ogni testa che ha contribuito a creare l'album. Nulla di eccessivamente ostentato, l'ago della bilancia è sempre fisso al centro. Come può non uscire fuori qualcosa di indescrivibile?
Non posso aggiungere altro perché sarei ripetitivo e davvero non riesco a citare qualche traccia in particolare che spicchi rispetto ad un'altra: ogni singolo elemento contribuisce a creare una miriade di sfaccettature che danzano, si intrecciano e giocano a livelli differenti, come un armonico ondeggiare del mare. Bravissimi ragazzi, continuate così!
Top 10 opinionisti -
Gli spagnoli Childrain sono una di quelle piccole realtà della scena metal europea che si è sempre assestata un po' nell'anonimato, o comunque non è riuscita mai ad andare oltre la ristretta cerchia dell'underground. Oggi invece, grazie al quarto full-length "The Silver Ghost - album grazie al quale faranno da spalla nel tour dei Six Feet Under, mica bruscolini!- abbiamo di fronte una band che ha imparato dal passato e che riesce a proporci un melodic death davvero fresco e glaciale alla Insomnium in grado di emergere dall'anonimato dei vecchi lavori. Seppur validi, i precedenti album non riuscivano a dare quella sferzata, quella botta che ti faceva dire "cavolo, sti ragazzi vanno davvero forte!", pertanto il quintetto, almeno fino al 2015, è rimasto in disparte.
Finalmente ora possiamo dire di avere un'altra band valida che riesce a mettere del suo, spaziando tra una cannonata in stile scandinavo ("Eon) e pezzi che sfociano più sul metalcore ("Saviors of the Earth"). Buona ma non del tutto convincente la prestazione canora di Iñi: personalmente l'ho trovata buona per quanto riguarda scream e growl, ma la parte in pulito che trasuda punk anni '90 non l'ho proprio digerita più di tanto, fosse solo per il fatto che ci azzecca molto poco con tutto il contesto.
Chiaro, non ci troviamo di fronte all'album della vita, la perla tirata fuori dagli abissi; si tratta comunque di un lavoro in grado di dare una ventata di freschezza e di tenere impegnato l'ascoltatore - soprattutto per il fatto che ciascun pezzo è davvero ben caratterizzato senza esagerazioni - ma nulla che non si possa trovare in altri gruppi. Un ascolto lo consiglio comunque! Chi lo sa, magari i Childrain hanno intrapreso una via della redenzione e questo "The Silver Ghost" è solo l'inizio del cammino.Vedremo gli sviluppi dei nostri amici spagnoli e ne trarremo le dovute conclusioni.
Ultimo aggiornamento: 09 Aprile, 2019
Top 10 opinionisti -
Questo è l'anno del thrash, punto e basta! Tra grandi ritorni (Flotsam And Jetsam), ennesime conferme (Overkill) e future uscite (Death Angel, Testament e Sodom), il 2019 ci sta regalando una perla dopo l'altra. Oggi tocca a dei vecchi leoni, sorti nel lontano 1984 in Germania e che si annoverano tra i big del genere a fianco a mostri sacri quali Sodom, Kreator e Destruction. Di chi sto parlando? Dei micidiali Exumer e del nuovissimo "Hostile Defiance": creaturina firmata Metal Blade Records che vi prenderà a calci in culo -scusate la finezza ma quando ci vuole ci vuole!- per una quarantina di minuti. Ma andiamo con ordine.
Gli Exumer sono una di quelle band che, per vicissitudini varie, tra cui lo scioglimento precoce a fine anni ottanta e i molti cambi di line-up, è finita, e fa male dirlo, un po' nel dimenticatoio e rimasta viva solo nel cuore di chi ancora mette a tutto volume il micidiale "Possessed By Fire" del 1986. Ma ecco che dopo venticinque anni -si VENTICINQUE!- Stein e soci decidono che non è ancora finita per il gruppo e pubblicano l'ottimo "Fire & Damnation" (2012) e "The Raging Tides" (2016). Da qui in poi, restando comunque fedeli alla vecchia guardia che li inserì a buon diritto tra i pionieri del thrash teutonico e mondiale, si inaugura una nuova e stabile fase che sfocia in questo "Hostile Defiance" che, senza troppi giri di parole, è una delle migliori uscite di quest'anno, e non potevo chiedere di meglio! Dopo la lunga ma doverosa premessa, tuffiamoci nel thrash primordiale e feroce degli Exumer e, se ne usciamo vivi, vediamo cosa ha da offrirci la bestia di Francoforte.
Partiamo con l'omonima traccia che fa da apripista ad una vera e propria mattanza fatta di riff serratissimi e tirati fino all'ultima nota. Gli Exumer fin da subito ci fanno capire che aria tira qui. Non c'è tempo né spazio per i fronzoli e le smancerie varie: qui si mena, punto! Ottima ed impeccabile come sempre la prestazione canora di Stein che sprizza furia omicida da tutti i pori: potente, graffiante e diretta, è la ciliegina sulla torta.
L'album prosegue mostrandoci una maturità e crescita impressionanti. Esatto, si può maturare anche nel thrash metal, tanto tacciato di monotonia. Ritmiche che variano, spaziando da una feroce blastata ("Raptor") ad una galoppata infernale ("King's Hand" -nella quale è stato introdotta una parte di synth che funziona alla grande!), parti melodiche che lasciano un leggero sospiro di sollievo all'ascoltatore e, in generale, un osare che cresce esponenzialmente traccia dopo traccia. Il tutto restando fedeli alle origini fatte di velocità d'esecuzione, muro sonoro indistruttibile e cattiveria a secchiate. Basti pensare che non troveremo arpeggi, intro o un qualsivoglia accenno di freno inibitore; col cavolo! Solo violenza, batteria martellante ed agguerrita, riff micidiali da inizio a fine...come stare in apnea per quaranta minuti prima di poter riprendere fiato! Prendete "Carnage Rider", super veloce e diretta, oppure "Dust Eater", molto old school e cadenzata, o ancora "Descent", la rappresentazione in musica di un pestaggio di gruppo.
La mattanza, infine, si conclude con due cover, rispettivamente "He’s a Woman – She’s a Man" degli Scorpions e"Supposed to Rot" degli Entombed.
Tra assoli ben introdotti, irriverenza e ritornelli che rimbombano nella testa dell'ascoltatore, "Hostile Defiance" non cala nemmeno di una virgola, confermando quanto ancora di buono gli Exumer hanno da tirare fuori dal cilindro. Album super consigliato ai veterani e fan accaniti del genere che troveranno pane per i loro denti e l'ennesima conferma che noi europei abbiamo una signora artiglieria da schierare.
Già da subito vi confermo che "Hostile Defiance" sarà nella top 10 di quest'anno. Good Job guys!
Top 10 opinionisti -
Sarò sincero fin da subito: la roba sinfonica a me non piace, eccezion fatta per qualche band black metal e sporadici gruppi qua e là. Tuttavia, con mio sommo stupore, ammetto che questi ragazzi francesi, gli Aephanemer, mi sono piaciuti. Parliamo di una band giovane, formatasi a Tolosa nel 2013 e con alle spalle un solo full-length, ma le idee sono ben chiare e rimarcate con forza in questo nuovo album: ecco a voi "Prokopton". Prima di partire è doveroso far notare ai lettori che la copertina del lavoro in questione è stata disegnata da Niklas Sundin dei Dark Tranquillity. E qua ci starebbe bene l'espressione romana :"me cojo*i!". Un bel biglietto da visita che mette la pulce nell'orecchio dell'ascoltatore. Ma bando alle ciance, tuffiamoci in "Prokopton" e vediamo cosa ha da offrirci.
Si parte con la traccia omonima, opening che ci mostra una band con i denti, capace di tirare fuori delle ritmiche belle serrate e pungenti, totalmente votate agli Insomnium in "In the Halls of Awaiting" (2002) e Children Of Bodom. Il tutto condito dalla sorprendente voce della singer Marion, in grado di spaziare tra un growl bello aggressivo e pieno (forse influenzato da quello di Angela Gossow?) e un cantato in pulito liscio e cristallino. Diretto, mai prolisso e ben azzeccato nel contesto, è una delle cose migliori di tutto "Prokopton. A seguire arriva la potente "The Sovereign" che raccoglie quanto di meglio fatto dagli In Flames e Dark Tranquillity, regalandoci cinque minuti belli tirati e scorrevoli grazie alla batteria galoppante. Un po' meno convincente è la traccia "Snowblind", troppo legata alle sonorità goth (mi dispiace ma è un genere che odio a morte) e tendenzialmente scontata nella scrittura dei riff (sembra quasi una versione riciclata di qualche pezzo degli insomnium), ma che, alla fine dei conti, scorre anch'essa senza troppi intoppi.
L'asticella sale con la bellissima "Back Again", la migliore traccia di tutto l'album: qui siamo di fronte ad una band con gli attributi, in grado di rifarsi al freddo glaciale della tundra scandinava mentre accarezza le orecchie dell'ascoltatore con innesti direttamente dalla musica classica. "Prokopton" fa della melodia e della sinfonia i suoi cavalli di battaglia in tutti gli otto pezzi presenti. Completamente inzuppato dall'influenza del metal sinfonico, tuttavia non risulta prolisso o stancante - questa era la mia preoccupazione più grande se devo dirla tutta. Nonostante ci sia quasi una prevaricazione delle tastiere, dei violini e del synth, quasi fossero loro i protagonisti dell'opera, il tutto risulta magicamente equilibrato: un vero e proprio ossimoro tra la cattiveria del death -che, sia chiaro, è ben presente come intelaiatura- e la leggiadria ed evanescenza del comparto lirico e strumentale.
Difetti di questo "Prokopton"? Tecnicamente è un lavoro impeccabile, ma manca quel qualcosa che riesca davvero a far emergere gli Aephanemer; il "quid", il tocco in più... chiamatelo come vi pare. Fatto sta che l'album non osa più del dovuto, accontentandosi di risultare un sicuramente valido prodotto, ma nulla che non si possa trovare anche da altre parti. Consiglio comunque l'ascolto dell'album, perché un paio di sonore bordate riesce a rifilarle.
Ultimo aggiornamento: 29 Marzo, 2019
Top 10 opinionisti -
Signori, oggi per voi quello che potrebbe essere nella top tre dei migliori dischi di quest'anno. Di chi sto parlando? Beh, della bestia di Knoxville: gli imponenti Whitechapel ed il loro nuovissimo "The Valley", pubblicato proprio oggi via Metal Blade Records.
Un album di gran lunga superiore ai precedenti "Our Endless War" (2014) e "Mark of the Blade" (2016): mentre entrambi i dischi trovavano i titani del Tennessee divisi tra la crescente pubblicità, le esigenze del loro fiorente successo e la pressione per rimanere in contatto con le loro radici più letali, il settimo pargolo di Bozeman e soci ha un senso molto più chiaro di sé, perché ha qualcosa da dire piuttosto che da dimostrare. Imbevuto di tutta quella che è l'esperienza di ciascun membro, delle vicissitudini (come annunciato in copertina tra l'altro) e, in generale, del fatto che non si parla più di ragazzini alle prese con le prime ondate deathcore, "The Valley" segna un punto di svolta decisivo: il giro di boa di chi si è evoluto in maniera razionale e ben ponderata. In poche parole: i Whitechapel sono una garanzia ad occhi chiusi!
Dopo la lunga ma assai doverosa premessa, tuffiamoci in questo "The Valley" e prepariamoci a dire addio all'osso del collo. Si parte con "When A Demon Defiles A Witch", opener che sin dalle prime note sventola l'enorme qualità del prodotto in questione. Bozeman, come al solito, si riconferma una delle voci migliori di tutto il mondo del death con il suo growl gutturale che sfonda le pareti spazio-temporali. Il tutto sorretto da un groove imponente e micidiale da far esplodere la testa all'ascoltatore. Curiosità: nella sessione è presente Navene Koperweis, ex batterista degli Animosity e degli Animals as Leaders; mica bruscolini! Quasi inaspettatamente ecco che sopraggiunge la voce pulita di Phil, uno dei punti più sorprendentemente di forza dell'intero album: le capacità di questo ragazzo, in grado di devastare e saper intonare dei ritornelli a dir poco meravigliosi, si possono tranquillamente definire non umane. A seguire ecco la micidiale "Forgiveness Is Weakness", una delle tracce migliori di "The Valley" che saprà distruggere il pit quando verrà suonata live. Ennesimo lavoro di groove impeccabile e prestazioni canore fuori dal comune. Inutile starlo a ripetere ragazzi! Tutte le dieci tracce presenti prendono la loro forza da una grande rabbia e malinconia che trasformano i sentimenti in arte musicale. Prendete la fuoriosa "Brimstone", a tratti sconfinante nel brutal alla Cannibal Corpse, altre volte martellante e pesante come lo slamming death più massiccio e feroce dei Kraanium, oppure "Black Bear", cadenzata come percosse continue al muro ed influenzata da ritmiche tendenti al djent. Qui c'è tutta la qualità di "The Valley": un lavoro autoportante in cui ciascun brano ha qualcosa da dire al mondo, come fosse un urlo rabbioso e tormentato...la voce fuori dal coro che deve sfogarsi a tutti i costi. Ne è un perfetto esempio la bellissima "Hickory Creek" che, tra l'altro, introduce una novità che nei precedenti lavori è stata abbozzata ma mai ultimata. Si tratta di una ballad completamente cantata in pulito, con il suo andamento lento ma prorompente in stile Slipknot, il suo bellissimo assolo, le ritmiche sostenute e, come dicevo prima, l'enorme carica emotiva che lascia trasparire tanta rabbia e tristezza. Vi consiglio, a tal proposito, di andare a vedere il video musicale del brano e leggere le lyrics: un colpo al cuore come non lo sentivo da tempo!
Ma c'è poco spazio per i fronzoli e i Whitechapel incalzano la cattiveria, quasi a ricordarci che stiamo comunque ascoltando deathcore e le mazzate vanno giù come se piovesse. Brani come "We Are One" e "Lovelace" spingono il piede sull'acceleratore regalandoci dei riff violenti, veloci e letali, capaci di far "scapocciare" come se non ci fosse un domani. Di nuovo -scusate se sono prolisso- la prestazione di Bozeman è a dir poco sbalorditiva e perfetta!
In conclusione, anche se in verità c'è poco da dire, posso tranquillamente affermare che siamo di fronte ad uno dei migliori dischi dell'anno e di tutta la carriera del quintetto di Knoxville. "The Valley" è in grado di rompere gli schemi con i classici canoni del deathcore. Non è più roba per ragazzini in piena tempesta ormonale, una semplice fase nella storia musicale destinata a svanire in una decina di anni, ma qualcosa di ragionato e studiato, pregno di carica emotiva. L'urlo disperato e feroce di chi vuole prendere a calci il mondo e dire: "Questo sono io, ca**o!". Complimenti ragazzi!
Ultimo aggiornamento: 28 Marzo, 2019
Top 10 opinionisti -
Sei anni sono passati da "The Saviours Slain", l'ultimo album pubblicato dagli australiani Truth Corroded. Dopo di questo ne avevo perso completamente le tracce per poi piombare di nuovo come un fulmine a ciel sereno. Torna la band di Adelaide ed il loro furioso thrash metal totalmente influenzato ed imbevuto di death vecchia scuola e Blackened death alla Behemoth: ecco a voi il nuovissimo "Bloodlands".
Comincio subito con il dire che -ed in questo caso tiro un respiro di sollievo- fortunatamente la linea generale non si è discostata rispetto al precedente lavoro, ma mantiene quello che è sempre stato lo spirito del gruppo: picchiare forte.
Partiamo con "To The Carnal Earth" che con la sua intro epica alla Behemoth, apre le danze ad una quarantina di minuti di sonore bordate. Ottimo il lavoro svolto da Jason alla voce: come sempre ci ha abituati alla sua particolare voce che riesce a spaziare bene tra uno scream feroce e corrosivo, uno più metalcore (ricorda vagamente Tim Lambesis degli AS I Lay Dying) ed un growl più cupo per le sezioni death. Dal 1997 è una garanzia
Proseguiamo con il tritacarne ed ecco che arrivano le trashettone "The Leeches Feed" e "Conquest Of Divide"con i loro riff sparati e corposi in stile Exodus e le accelerate feroci del death europeo (Aborted e Coffin Birth soprattutto). Groove imponente e battagliero quello delle pelli di Jake: tra una blastata animalesca e una ritmica più cavalcata riesce perfettamente a spaziare tra le varie influenze della band.
Doveroso, infine, citare altri due brani che ritengo essere tra i migliori del disco: "The Storm" e la lunghissima quanto meravigliosa "I Once Breathed". Se la prima riesce a raccogliere tutta l'esperienza dei Truth Corroded, tra una base proveniente dagli At The Gates e The Black Dahlia Murder e una sezione ritmica bella sostenuta tipica dei Gojira, la seconda, con i suoi quasi dieci minuti di durata, conclude alla grande l'intero album. Evanescente, carica di rabbia e malinconia, tirata da inizio a fine dal doppio pedale di Jake, chiude il cerchio con la sua impostazione black/ blackened death.
Ragazzi, cosa è questo "Bloodlands" non potete nemmeno immaginarlo! Qui c'è tutto il bagaglio culturale e la maturità di una band che giustifica i suoi sei anni di inattività. i Truth Corroded impennano qualitativamente riuscendo ad inserire molta più carne sul fuoco senza per questo risultare prolissi o sganciati da ogni logica. Questo significa evolversi! Disco consigliatissimo a chi ricerca un sound particolare capace di inglobare più influenze: thrash, death, melodic death e blackened death. What else?!
Top 10 opinionisti -
E chi se la sarebbe mai aspettata una band proveniente da El Salvador? Certamente non io. Eppure, dopo l'ascolto di "Procession of Death", Ep degli Apes Of God, la sorpresa c'è stata eccome! Signori, tanto di cappello per questa band e per il loro brutale Death/Thrash che ricalca tantissimo le orme europee con quel tocco agguerrito e insanguinato tipico delle band latine quali Sepultura ,Brujeria e Violator, tanto per citarne qualcuna.
Con questa premessa è logico che l'Ep in questione sia una vera bomba bella inca**ata, martellante e diretta; ma andiamo con ordine. Prima della recensione confesso che non conoscevo questi ragazzi, perciò sono andato a spulciare nella loro discografia, in particolare il precedente full-length del 2018, e ci ho trovato davvero tanta roba interessate: un death/grind corrosivo e spietato da non lasciare scampo. In un solo anno,poi, gli Apes Of God hanno leggermente cambiato il loro stile e, immagino, questo Ep ne è la prova dato che ora ci sono innesti direttamente dal melodic death e dal thrash europeo e latino. Inoltre è notevolmente migliorata la qualità della produzione,non più ovattata e "zanzarosa" ma più pulita e nitida.
Possiamo quindi apprezzare l'opening "Empty Hell", bella cadenzata e proveniente dai lidi tipici degli At The Gates, oppure l'agguerritissima "Humanicide", dallo stampo più thrash con delle punte death e black davvero notevoli. Il tutto reso più marcio dalla voce corrosiva di Cesar: un cantato sporco e graffiante a metà tra un growl cavernoso e un cantato in stile Tom Angelripper per intenderci. Ottimo connubio!
Doveroso, infine, segnalare le due tracce live presenti in "Procession of Death": il miglior modo per apprezzare una band e capirne il potenziale. Beh, qui ce n'è eccome. Immagino il pogo violento scatenato durante l'esecuzione! Good job guys.
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