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Opinione scritta da Luigi Macera Mascitelli

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    09 Agosto, 2019
Ultimo aggiornamento: 09 Agosto, 2019
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Eh beh ragazzi, penso che non servano presentazioni per la band che siede sull'Olimpo del thrash tedesco al fianco dei Kreator e dei Sodom. Finalmente il giorno è arrivato: oggi esce il quattordicesimo album dei leggendari Destruction. Signori, vi presento "Born To Perish"!
Attesissimo dal sottoscritto, il quale -permettetemi di vantarmi- lo ha in anticipo già da un po', si rivela esattamente per quello che è: un album dei Destruction; e basta questo a dargli un voto alto.
Annunciato dalla traccia omonima pubblicata su YouTube, tutto il lavoro in questione si presenta tiratissimo da inizio a fine per un totale di dieci tracce che vi prenderanno a martellate sulla faccia senza pietà. Ma andiamo un attimo con ordine, perché di cose da dire ce ne sono e non voglio dilungarmi troppo nei convenevoli. So, let's begin!

Innanzitutto vorrei parlarvi della prima novità che questo "Born To Perish" porta con sé: il cambio di line-up che vede la dipartita del batterista Vaaver, sostituito dal canadese Randy Black, e,udite udite, l'aggiunta di una seconda chitarra che risponde a nome di Damir Eskić. Sì, avete letto bene. Sorge subito spontanea la domanda: con questa premessa, come suona il disco? Beh, penso abbiate già capito che ci troviamo di fronte ad una bestia assetata di sangue in grado di tirare fuori un thrash metal colossale, potente e tellurico totalmente impregnato di quell'energia che Schmier e soci tirano fuori da 37 (TRENTASETTE, non so semi spiego) anni!
Come dichiarato dallo stesso vocalist nell'intervista via Skype -che, tra l'altro, vi invito ad andare a leggere nell'apposita sezione "interviste"- "Born To Perish" nasce con l'intento di essere un prodotto di impatto da inizio a fine, tirato e diretto come un pugno in faccia. Insomma, il motto è stato: picchiare forte senza pausa. Risultato raggiunto? Eccome, tranne per una piccola svista nella traccia "Butchered For Life" che ho trovato noiosa e con poca grinta, quasi non volesse partire. Poco importa, ci sono altri nove inni alla cattiveria a risollevare le sorti dell'album.
Partiamo con la furiosa traccia omonima che, con una intro terzinata in stile "Bleed" dei Meshuggah, fa da apripista alla mattanza: veloce, martellante e potente, riesce a darci un prodotto fresco e genuino che, contemporaneamente, non snatura affatto quanto fatto fino ad ora in casa Destruction. È sempre un piacere poter sentire la voce di Schmier che prende a calci lo scorrere del tempo con i suoi inconfondibili acuti. Ottimo il lavoro di Randy dietro le pelli che conferma il suo talento con dei passaggi efficaci e studiati. Altrettanto convincente è la chitarra di Damir in grado di regalarci degli assoli melodici e squillanti che ben si incastrano con il groove delle tracce. Inutile starlo a dire: Mike e Marcel sanno scegliere con cura i loro colleghi.
Si prosegue con "Inspired By Death", caricata come una molla e pronta ad esplodere. In live farà la sua figura, statene certi! La successiva e cattivissima "Betrayal" riesce ad incarnare quello che da sempre è un marchio di fabbrica del mostro tedesco: sonorità oscure, riff taglienti e abrasivi come carta vetrata e un assolo pungente e glaciale. La mia traccia preferita ad essere sinceri. Segue la combo "Rotten" e "Filthy Wealth", due tracce quasi agli antipodi che ci sbattono in faccia un marcato influsso heavy metal l'una ed un approccio quasi prog e più vario l'altra. Entrambi ottimi pezzi che ben ci fanno capire l'intento di Schmier e Mike: cercare quel "quid" che possa far fare l'ulteriore salto ad una band che macina thrash metal dal 1985. Non è un compito facile e "Born To Perish", nel bene e nel male, riesce in parte nell'intento proponendo sì un prodotto per certi aspetti più diretto del precedente "Under Attack" (2016), ma c'è comunque quel non osare di più che si respira durante l'ascolto. Magari questo quattordicesimo album funge da giro di boa? Forse il cambio di rotta vuole essere studiato e non repentino? Chi lo sa. Sta di fatto che non ci troviamo di fronte ad un capolavoro da rimanerci a bocca aperta, e forse ciò è dovuto in parte dal tipo di linea compositiva che i Destruction hanno da sempre: una via piuttosto stretta che facilmente potrebbe sfociare nella ripetitività o comunque nella poca originalità. E qui torniamo al discorso di poc'anzi: siamo di fronte a quel tentativo di dare più aria e spazio alle proprie produzioni? Solo il futuro ce lo dirà.
Intanto godetevi queste dieci tracce che sicuramente, per citare il buon Schmier nell'intervista, vi prenderanno a calci nel culo!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    28 Luglio, 2019
Ultimo aggiornamento: 28 Luglio, 2019
Top 10 opinionisti  -  

Con mio sommo piacere, sto notando che la Unique Leader Records si sta buttando sul deathcore: molte sono le band arrivate in redazione -soprattutto alle prese con il primo album- che si affidano a questa label e tutte si attestano su un livello alto! Oggi tocca ai Brand Of Sacrifice, progetto che si divide tra Toronto e Manhattan nato solamente un anno fa e che, con una cattiveria disarmante, tira fuori il suo album di debutto intitolato "God Hand". 8 inni alla malvagità pura che si concretizzano in una colata di riff pesantissimi e cadenzati da rimanerci secchi -più due intermezzi di cui, sinceramente, si poteva fare a meno, però va beh, ormai è fatta-.
Totalmente votati all'esperienza di band quali Devourment e Cryptopsy e senza mancare di quella forte vena tecnica in stile Meshuggah e The Black Dahlia Murder, il disco si presenta in una forma più che smagliante ed è in grado di colpire dritto in faccia con sonorità marce e e violente. Prendiamo immediatamente l'opener "Begin" (che ironia eh?!): annunciata da un'intro dissonante e fuori scala da far venire la pelle d'oca, ecco che esplode nella pesantezza più totale, accompagnata dall'incredibile performance canora in grado di regalarci un pig growl cavernoso e gutturale. Ma siamo solo all'antipasto. I Brand Of Sacrifice riescono a tirare fuori dei pezzi più veloci che ricordano un po' la vecchia scuola del genere. Mi viene subito in mente la mia traccia preferita, "Charlotte": inzuppata fino al midollo del deathcore alla Whitechapel degli albori, è, da inizio a fine, tirata e galoppante grazie alla doppia cassa. Davvero una traccia con i fiocchi nella quale la parte melodica e dissonante gioca un ruolo strategico nel dare all'ascoltatore quell'ulteriore senso di vuoto e smarrimento mentre le chitarre lo distruggono con la loro furia.
In generale "God Hand" non cala nemmeno di una virgola, eccezion fatta per i due intermezzi "Hill Of Swords" e "After Image" che, come detto sopra, ho trovato completamente inutili e fuori contesto. Buttate in mezzo senza logica o cognizione di causa, hanno il grosso difetto di spezzare il climax che si viene a creare traccia dopo traccia. Altra questione che un po' mi ha fatto storcere il naso è la poca durata di tutto il disco: siamo sulla media degli scarsi 3 minuti per brano. Peccato, se fosse durato di più lo avrei gustato meglio dal tanto che mi è piaciuto. I Brand Of Sacrifice si beccano comunque un voto alto per l'ottimo lavoro svolto che sicuramente sarà un biglietto da visita di tutto rispetto. Bravi ragazzi!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    14 Luglio, 2019
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Può accadere che in redazione arrivino dei promo in ritardo ed è questo il caso dei thrashers americani Motive che, a dicembre 2018, hanno rilasciato il loro quarto album "Fight The World". Ben tredici anni dall'ultimo "Rock 'n' Roll Terrorist", ma la formula è sempre la stessa: thrash metal roboante e martellante. Il buon Steve alla voce e chitarra è sempre una garanzia grazie al suo potente cantato acido in stile hardcore. Fortunatamente il tempo non ha intaccato il suo stile, ed anzi riesce perfettamente nel suo ruolo.
Non male l'intero album, seppur prolisso alla lunga a causa della stessa struttura dei brani, che riesce a dare all'ascoltatore oltre mezz'ora di sonore bordate fatte di riff serrati e potenti come macigni: thrash metal americano allo stato puro per intenderci. Peccato solo per le tracce che tendenzialmente offrono la stessa cosa assestandosi su pattern classicissimi ma funzionanti al contempo. Insomma, per farla breve: "Fight The World" è un buon album, ricco di cattiveria ed irriverenza hardcore e di groove tellurico e martellante ma non dice nulla di più di un qualunque altro lavoro del genere, perciò si assesta sul 6,5 senza andare oltre. Devo dire che dopo tredici anni qualcosina in più me l'aspettavo, quel "quid" che ti fa dire "Minc*ia che album!": E invece un pochino di amaro in bocca ce l'ho, come se non fossi preso totalmente dal disco.
Consiglio comunque un ascolto perché ne vale davvero la pena, ma nulla di più.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    14 Luglio, 2019
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Finalmente torno a parlare di melodic death, e che melodic death signori! Oggi siamo in Lussemburgo e tratteremo dei Feradur. Nati nel 2006 e con alle spalle un solo altro full-length, fin da subito propongono uno stile a noi tanto caro: swedish death old school totalmente votato all'immortale triade Dark Tranquillity/At The Gates/In Flames. Già solo questa premessa ha fatto venire l'acquolina in bocca ai fan del genere -e ovviamente io non sono da meno-.
Ma la domanda sorge spontanea: il loro nuovissimo "Legion" ha superato le aspettative? Eccome ragazzi. Eccome se le ha superate! Ci troviamo di fronte ad una carrellata di riff glaciali e potenti che trasudano nord Europa da tutti i pori. E la cosa che stupisce di più è il fatto che l'album sia autoprodotto -o almeno così pare dato che in giro non si trova nessuna traccia di label-. Qualità eccellente, volumi ben calibrati, voce perfetta...insomma: "Legion" è un piccolo masterpiece nel panorama underground che potrebbe essere il biglietto di andata verso il successo.
Prendiamo subito una delle mie tracce preferite, "Kolossus": imponente nell'intro e cattivissima appena esplode, farà schizzare le ossa nel pit. Il lavoro dietro le pelli ci regala dei passaggi davvero interessanti in grado di spaziare da una blastata martellante ad una galoppata infernale con il doppio pedale.
menzione onorevole va fatta alla traccia più bella, cattiva e micidiale del disco, "Fake Creator": messa in macchina a tutto volume, nelle cuffie e dovunque fosse disponibile una cassa audio. Mi è letteralmente entrata in testa per la sua melodia e il suo approccio irriverente. Impossibile stabilire le varie influenze perché qui c'è un osare continuo, segno che ciascun componente ha preso un po' di qua,un po' di là e ha unito il tutto in un unico stile. E qui incombe la difficoltà più grande per me: solitamente, almeno quando mi è possibile, cerco sempre di menzionare più di una traccia per darvi un'idea del prodotto, ma qui è diverso. Ascoltando più e più volte "Legion" mi sono reso conto che ogni brano ha una personalità tutta sua, curato nei minimi dettagli senza lasciare spazio a lavori dozzinali. Perciò mi sono limitato a parlarvi dei due pezzi che mi sono piaciuti di più, ma ciò non vuol dire che gli altri siano da meno. Tutto l'album è spettacolare, pieno di passione per il proprio lavoro e ricchissimo di influenze - attenzione: influenze e non copia/incolla, questo è molto importante-. Cinque stelle più che meritate e i miei personali complimenti alla band. You rock!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    30 Giugno, 2019
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Feroci, brutali, cattivi e violenti. Sono questi gli aggettivi con cui oggi vi presento i canadesi Concrete Funeral ed il loro primissimo lavoro "Ultimum Judicium": una vera bomba atomica dritta in faccia per gli amanti del death/thrash. Il mix perfetto tra Exodus, Lamb Of God e le sfuriate micidiali alla Carcass. E volete sapere l'ironia di tutto ciò? Si tratta di un disco autoprodotto, senza etichetta discografica. Da qui un dubbio mi sorge: a quali divinità avete chiesto aiuto per ottenere un prodotto di una qualità eccellente come questa?
Ragazzi non scherzo se vi dico che "Ultimum Judicium" è un lavoro diretto e micidiale che vi prenderà a calci in quel posto! Basta farsi un'idea ascoltando la prima traccia, "Speak Of The Devil": totalmente imbevuta dei Cavalera Conspiracy e di accelerate, è l'opening perfetta che vi farà schizzare il cervello dalle orecchie. Ottima la performance canora in grado di regalarci scream corrosivi e growl potenti e cavernosi. Ancora mi chiedo come facciano questi ragazzi a tirare fuori un prodotto semplice ma di impatto dato che si tratta del primo lavoro in studio -non ci sono né ep, né demo precedenti per quanto ne sappia-.
Menzione onorevole per "Holo-Comb" e "Code Adam",le mie due tracce preferite in assoluto: tutto il talento dei Concrete Funeral è qui e si concretizza in questi brani pieni di groove, blastate e riff tellurici e potenti. Ottimi anche gli assoli di chitarra acidi, velenosi e taglienti come bisturi. Da lodare anche la componente death che non rimane relegata a semplici passaggi, ma che si incastra perfettamente su uno scheletro di puro thrash ottantiano. Prendete i nostrani Coffin Birth e avrete un'idea della proposta dei canadesi in questione.
Bravissimi, tra le migliori uscite underground dell'anno! You Rock!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    30 Giugno, 2019
Ultimo aggiornamento: 30 Giugno, 2019
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Nascono nel 2013 gli americani Flub con l'Ep "Purpose", e già all'epoca si poteva intuire il potenziale di questi ragazzi. Oggi, dopo sei anni, la band sforna il suo primo album omonimo: una bomba che propone un death metal sperimentale totalmente votato al progressive, al jazz e alla musica latina. Il tutto condito da dei riff in stile The Black Dahlia Murder e Necrophagist. Insomma, un bel calderone di roba che riesce a trasportare l'ascoltatore su altri lidi grazie all'effetto sorpresa: non si sa mai cosa un brano possa contenere e questo non fa che aumentare l'enfasi e il climax man mano che si procede nell'ascolto.
Prendiamo immediatamente come esempio l'opener "Last Breath": si parte arrabbiatissimi con dei riff taglienti e veloci che ricalcano gli At The Gates degli albori. Ma ecco che il brano fa il giro di boa addentrandosi in sonorità e ritmiche completamente diverse, con innesti alla Dream Theater e passaggi spagnoleggianti. Ottimo, anzi magistrale, il lavoro di groove: una batteria così attenta, studiata, ricca di flow, di jazz e passaggi arzigogolati, raramente l'ho sentita. Un po' meno la parte canora che vede uno scream buono ma personalmente troppo strozzato, a differenza del growl cavernoso e potente.
Si prosegue con la splendida "Umbra Mortis" dal sapore djent -mi ha ricordato molto gli Animals As Leaders- ed in grado di offrirci un ottimo compromesso tra il death crudo e l'armonia del metal sperimentale. Finalmente un album in cui la tastiera non è relegata a meri passaggi di abbellimento! Qui la parte strumentale è tutto: ognuno ha la sua parte e contribuisce egualmente al prodotto finale. Questo è il punto di forza dei nostri amici Flub: la perfetta sincronia e sinergia tra i vari membri. Il risultato? Una piccola grande perla. Bravissimi!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    16 Giugno, 2019
Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 2019
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Finalmente metto di nuovo le mani ad un album di debutto e doppia gioia per il genere trattato: oggi parleremo degli olandesi Distant e del loro primissimo quanto marcissimo "Tyrannotophia", creaturina firmata Unique Leader Records che ci sbatte in faccia un pesantissimo slamming deathcore/downtempo da rimanerci secchi. Ultimamente in redazione stanno arrivando diversi dischi deathcore, segno che -e sono felicissimo di questo- forse si può parlare di una ripresa del genere che da un po' di tempo non sentivo quasi più. Se poi ci aggiungiamo l'abbandono delle sonorità alla Suicide Silence che hanno rotto i cosiddetti ed un ritorno a quelle sonorità primitive e marce del death, ecco che la questione si fa assai interessante.
Questo è esattamente il caso di oggi. I Distant non ci pensano due volte e vogliono debuttare con i fiocchi proponendoci un album di una pesantezza disumana, carico di slamming death alla Kraanium e blastate qua e là per prendere a pugni in faccia l'ascoltatore. Chitarre distortissime e bassissime di accordatura, copertina dell'album accattivante e malatissima...tutto ci fa capire l'intenzione dei nostri amici olandesi: liberare il loro mostro ed entrare con un calcio in faccia nel mondo del death.
La mattanza prende il nome di "Zeroten", l'opening di questo "Tyrannotophia": violenta, cadenzata fino a livelli umanamente accettabili da far saltare la testa per lo "scapoccio". Che dire, poi, della voce di Alan: seppur leggermente effettata, ci regala un pig squeal acido e corrosivo ed un altrettanto ferocissimo growl. Perfette le tempistiche delle strofe in grado di incastrarsi tra una martellata e l'altra rendendo ulteriormente evidente l'influsso slam e downtempo. Ma tranquilli, c'è spazio anche per qualcosina più blastata e veloce con la traccia omonima: qui siamo più su territorio deathcore, seppur non mancando quel filo conduttore che rende l'album un'incudine imponente che ti spappola la testa.
Per tutto l'ascolto si percepisce un senso di terrore e massacro, come se fossimo inseguiti da un pazzo con una motosega accesa. L'effetto è esattamente quello di voler mettere in musica una scena splatter, senza dare troppo spazio ai fronzoli. Grazie anche alla parte melodica e dissonante che accompagna ciascun pezzo, "Tyrannotophia" è il connubio perfetto tra vecchio e nuovo, tra il death feroce in stile Bloodbath e Aborted , il deathcore alla Thy Art Is Murders e Osiah e lo slamming brutale come base di appoggio. Il risultato? Marciume e potenza allo stato puro!
Complimenti ragazzi, ci avete regalato un piccolo masterpiece che vi farà fare strada.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    16 Giugno, 2019
Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 2019
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Bene signori, oggi per la prima volta vi porto una band israeliana. E che band! Si tratta degli Shredhead: creaturina nata nel 2011 proponendo un thrash metal ottantiano davvero cattivo e di impatto. Dopo aver pubblicato un paio di album con questo stile, il quintetto decide di cambiare rotta con il nuovissimo "Live Unholy". Ora siamo su lidi molto più moderni che ricalcano l'esperienza della band che più di tutte ha dato vita a quel mix tra thrash e metalcore: i Lamb Of God. Esatto, con il loro terzo album gli Shredhead fanno il giro di boa e ci presentano un prodotto a dir poco notevole.
Innanzitutto devo fare i miei più sinceri complimenti alla voce di Aharon Ragoza: un growl ed uno scream praticamente identici a quelli di Jens Kidman dei Meshuggah. La prima volta cheho ascoltato "Live Unholy" pensavo ci fosse lo svedese alla voce! Perfetto per il contesto, in grado di tirare fuori una furia omicida dalle corde vocali... un dieci pieno alla performance. Se poi ci aggiungiamo che l'intero lavoro è un tripudio di riff taglienti e aggressivi, ecco che l'album acquista un valore qualitativo non indifferente. Già dall'omonima traccia che fa da opening si capisce che aria tiri qui. Proseguendo con "Overshadows" o la successiva "King Maggot" i Lamb Of God si sentono tutti: tracce tirate da inizio a fine che faranno uscire i morti in un live. Lavoro di groove impeccabile con una batteria randellante e cadenzata e un blast beat serrato e tellurico. Tutto fila come deve e il quintetto israeliano ci fa capire che forse il cambio di stile era doveroso. Non che i precedenti lavori fossero sprecati o non all'altezza di questo, ma si capisce benissimo che l'intento era spingere ulteriormente l'acceleratore degli Shredhead.
Unico difetto? Forse l'assomigliare un po' troppo a Blythe e soci. Magari aggiungendo quel tocco in più o cambiando qualcosa nell'approccio si potrà tirare fuori un album imponente e fresco. A parte questo appunto che suona più come un mio capriccio personale, consiglio caldamente l'ascolto di "Live Unholy" a chi cerca delle sonorità thrash ma con un approccio più moderno, oppure a chi vuole andare in giro in macchina con un lavoro degno di nota a tutto volume.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    09 Giugno, 2019
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Attivi dal 2007 e a distanza di cinque anni dal secondo full-length, i britannici Lvcifyre tornano alla riscossa con un nuovo Ep: oggi parleremo del micidiale "Sacrament". Quattro tracce, più una cover, di blackened death feroce e primordiale da far venire la pelle d'oca. No, non è il classico impatto alla Behemoth se è quello che vi state chiedendo; o meglio, non è solo questa la proposta del trio britannico. La cosa che ho apprezzato di più di questo lavoro è il forte senso di evanescenza che riesce a creare: saranno le sonorità quasi oniriche, sarà lo spietato growl con l'effetto eco, saranno i riff ipnotici... non lo so. L'unica cosa certa è la cattiveria claustrofobica e primordiale che si viene a creare durante tutto l'ascolto. Sembra di ascoltare gli Immolation in chiave black, tanto per darvi una vaga idea. Già dall'opening "The Greater Curse" si capisce che le porte dell'Inferno stanno per essere aperte. E parlando di inferno ecco che la mia vena nerd si fa sentire: questo Ep sarebbe la colonna perfetta per il videogioco "Doom". I riff bestiali, la voce cavernosa e ruggente, il senso di malvagità che fuoriesce dal disco, sono perfetti mentre si fanno apezzi dei demoni, tra fiumi di sangue e cervella spappolate.
Complimenti ragazzi, un'ottimo connubio tra death e black per gli amanti delle sonorità old school. Attendo con trepidazione il prossimo full-length!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    09 Giugno, 2019
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Spesso capita che alcuni dischi arrivino con un anno di ritardo in redazione o finiscano nella mole di roba da recensire, perciò mi scuso in anticipo per la lunga attesa. Oggi parleremo dei cechi Antigod e della loro terza fatica intitolata "W.R.A.T.H.". Totalmente votati al thrash ottantiano e al death feroce degli albori, il quintetto tira fuori una bestia marcia e cattiva da far impallidire l'ascoltatore. Tredici tracce per un totale di trentacinque minuti scarsi: breve durata ma impatto devastante, questa la formula vincente che fa di questo album una vera bomba atomica dritta in faccia.
Ogni pezzo è scevro di qualsivoglia ghirigoro. Qui si mena forte e basta e le smancerie le lasciamo a quelli che ascoltano Justin Bieber.
Se amate band come Carcass, primi Cannibal Corpse e Dying Fetus per la parte death/grind e Sodom ed Exodus per quella thrash, allora gli Antigod faranno al caso vostro. Non ho altro da aggiungere. Ottimo lavoro ragazzi!

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