Opinione scritta da Corrado Franceschini
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Ultimo aggiornamento: 01 Aprile, 2024
Top 10 opinionisti -
Avete mai visto una band che per la copertina del proprio disco, si fa fotografare di fronte ad un locale con il relativo proprietario? Gli anglo-americani Little Villains lo hanno fatto. Sulla cover di “Cafè de Stam”, il terzetto è immortalato davanti all’omonimo bar situato a Paal (Belgio), assieme al proprietario Guy Baptist. Tanto per darvi un’idea dello spirito giocoso ed "alcolico" dei Nostri basti dire che, in cima al locale, svetta l’insegna della birra belga Duvel. I Little Villains, combo formatosi nel 2005 per volere del cantante e bassista James Alexander Childs e del batterista Philthy Taylor (ex-Motorhead), in questo quinto disco non cambiano di una virgola il loro credo. Stessa formazione dell’ultimo CD, stesso luogo di registrazione - lo Stujo di Los Angeles - stessa label e, naturalmente, stesso blend musicale. I dieci pezzi di “Cafè de Stam” hanno una durata complessiva di 31 minuti, ed in essi è possibile trovare l’immediatezza del Punk meno “caciarone”, il suono grezzo dell’Hard Rock fine ’70/inizi ’80, una certa “vaghezza” psichedelica ed un poco di Beat. Non pensate a chi sa quali tecnicismi ma, piuttosto, ad un lavoro diretto e immediato dove la chitarra di Owen Childs più che dei soli, fa dei brevi intermezzi. Solo la validissima 'AC/DC-iana' “Run You Through”, si fregia di un solo più lungo, prima “a pezzi” e poi in linea con il ritmo. Ho parlato sopra di spirito giocoso e sono convinto che pezzi come “Ian Maiden” - facile indovinare quale band ha dato ispirazione musicale ai Nostri -, l’Heavy e veloce “Lidl Villains” (scritto proprio così), per non parlare di “Rocking Horse Shit”, possiedono testi divertenti. Per farvi capire la versatilità del gruppo (e del disco), aggiungo che “Gattling Gun” energizza gli AC/DC e li miscela con un bridge alla Rolling Stones e che “Piece by Peace” mescola agevolmente Rock, Hard Rock e Psycho Beat. I Little Villains chiudono con l’ottima “Half Past Dead” un disco che sceglierei volentieri per coprire la distanza che c’è fra Reggio Emilia, posto in cui abito, e Modena. Se dal Rock cercate onestà, sudore e divertimento, fidatevi ciecamente dei Little Villains. Se invece cercate tecnica, rabbia cieca o musica esasperata, girate lo sguardo altrove.
Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 2024
Top 10 opinionisti -
Cosa si può dire di nuovo su una band come i Firewind che è in giro dal 1998? Poco o niente! Il gruppo fondato dal chitarrista greco Gus G. (ex-Ozzy Osbourne) suona come un bignami del Power Metal: canoni ben precisi, tempi per lo più serrati e cori ad alto impatto. Il tutto è valorizzato da una produzione cristallina a cura dello stesso chitarrista, del cantante Herbie Langhans e di Dennis Ward, già produttore di Magnum e Unisonic, che ha contribuito anche in fase di stesura delle canzoni. Che sia la chitarra lo strumento che detta legge lo si capisce dall’attacco all’inizio di “Salvation Day”. Chi fra voi ha velleità canore potrà cimentarsi con il “massiccio” refrain dell’eponima “Stand United”, un brano che si dibatte fra il Power classico e le sonorità care agli Helloween. “Destiny is Calling” possiede un ritmo e un ritornello di alto rango. “The Power Lies Within” calma un poco le acque abbracciando un ritmo cadenzato e roccioso, alternato con un Power/Heavy e suggellato da un buon solo di chitarra. “Come Undone” possiede dei caratteristici inserti di sintetizzatore che ben si incastrano con gli altri strumenti anche se, personalmente e in alcune fasi, avrei evidenziato di più lo strumento a livello di volume. “Fallen Angel” è un classico del Power con tanto di breve coro “Hey, hey” da cantare a squarciagola. “Chains” rappresenta un tassello atipico nel mosaico di “Stand United”, dato che attinge in pieno dal suono Hard Rock melodico di band quali Dokken e simili. “Land of Chaos” ha una valida struttura che, nella cadenza pesante, trae ispirazione dai Metallica. “Talking in Your Sleep” è una cover di un brano dei The Romantics. Credevo di non averla mai sentita e invece, dopo le prime note, l’ho riconosciuta subito. In questo caso la versione cambia dal Pop elettrico dell’originale ad un Metal abbastanza tranquillo che, appunto, non snatura più di tanto il pezzo. Durante tutto l’arco del disco, la voce di Herbie Langhans è versatile e capace di adattarsi ad ogni ritmo e cadenza; cosa che accade puntualmente anche nella conclusiva “Days of Grace”, un pezzo incisivo e pieno di inserti di chitarra. Senza ombra di dubbio i Firewind sono in grado di scrivere e comporre delle canzoni coinvolgenti . Poco importa se alcuni testi sono scontati o alcune ritmiche sono ben note a chi ascolta Power & Heavy da una vita: “Stand United” è un buon disco. Stop!
Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio, 2024
Top 10 opinionisti -
Ace Frehley è uno e trino: l’uomo dello spazio dei Kiss con la chitarra luminosa, lo spara razzo capace di un assolo intenso come quello sciorinato in “Shock Me”, il musicista che ha saputo creare una carriera da solista che, seppur con fortune alterne dura da decenni; poi c’è l’uomo; quell’uomo che non ha mai digerito la cacciata dai Kiss, la persona con problemi di dipendenza e che, anche per questo, era assieme a Peter Criss l’anello debole di una macchina da guerra con i generali Simmons e Stanley saldamente al comando. Molti degli undici pezzi contenuti in “10,000 volts” sono stati scritti per lo più dal nostro chitarrista in collaborazione con il chitarrista dei Trixter Steve Brown, che ha prestato la sua opera come strumentista e si è cimentato anche nella produzione del disco. Visto che Ace è stato sempre considerato come l’anima Rock dei Kiss, mi aspettavo dal disco un flusso di energia pazzesco. Quello che risulta, invece, è che alcuni brani risultano palesemente simili, almeno nell’idea di base, a quelli dei Kiss e questo, per chi afferma che il disco da la paga a quelli della coppia Simmons/Stanley, non è un buon segno. La produzione è buona, ma alcuni pezzi, seppur con un suono caldo e potente, risultano fiacchi: sembra una contraddizione, ma un orecchio attento certe cose le coglie. Se trovate poi che prolungare una canzone di quattro minuti scarsi con un coro negli ultimi trenta secondi sia una trovata valida (questo accade spesso N.d.A.) fate voi. Dunque “10,000 volts” è un disco da buttare? Anche se non eccelso la risposta è no! Lasciamo stare la decantata title-track con un solo che, appunto, si rifà a quello di “Shock Me”, ma possiede molto meno smalto. Tralasciamo anche “Cosmic Heart” e “Back Into My Arms Again”, che è dal tenore dolce ma veramente troppo semplice, se pur parzialmente “salvata” da buone orchestrazioni di fondo. Concentriamoci sui pezzi che, almeno a mio parere, non deludono. Quando il Rock richiede durezza ecco che arriva “Fighting For Life”: bella l’energia profusa e il solo in linea con lo stile di Frehley. La cover di “Eyes of a Strager” di Nadia - l’originale è nei titoli di coda del film “Transporter”, film con Jason Statham - si fa apprezzare per la sua melodia, il suo intenso crescendo e il suo breve solo struggente. Bella “Up in the Sky” che è concepita nel miglior stile possibile dal Nostro che è a suo agio in tutte le fasi. In chiusura c’è un vero e proprio must: parlo dello strumentale “Stratosphere” dove la chitarra, finalmente, si sfoga a dovere e ci ricorda cosa è capace di fare l’uomo dalle mille vite. Sono stato duro con Ace ma, quando vuoi bene ad un personaggio e hai imparato ad apprezzarlo per anni, ti aspetti molto, forse troppo da lui. Se ancora una volta volete accordare la vostra fiducia al nostro “eroe” non sarò certo io con la mia recensione ad impedirvelo ma ricordate: il tempo passa per tutti, anche per i migliori.
Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 2024
Top 10 opinionisti -
Gli Inverecund, band nata nel 2019 e con sede operativa in Emilia Romagna, in questo 2024 sembrano avere trovato l’assetto giusto per affrontare le prime date del loro tour. Nell’EP “Engrossed in Horripilation” del 2023, il combo vedeva all’opera i fondatori e chitarristi Morgan (Burial e Vexovoid) e Marcello, affiancati da Michele (voce anche negli Unbirth ed ex-Human N.d.A.) alla voce e dal batterista Davide (Indecent Excision). Nome della band, titolo del disco e titoli delle canzoni, cinque originali e una cover degli Inveracity, non lasciano adito a dubbi: ci troviamo di fronte ad una musica che fa del Death Metal il proprio credo. Non penso che chi segue il genere da decenni si aspetti chissà quali novità. Nella bio del gruppo si fa riferimento esplicito, almeno per i primi tempi, ad una band seminale come i Deicide e questo spiega molte cose. La registrazione avvenuta all’Art Distillery Studio a cura di Claudio Mulas, rilascia un suono che non risulta troppo patinato e liscio ma che, comunque, è di buona fattura e in linea con le produzioni di gruppi più famosi. Dopo una Intro pesante con voci che si incrociano e accavallano arriviamo al primo vero brano. “Disinterred Turpitude” è un classico del genere Death: voce cavernosa, velocità alternata a cadenza e una sensazione di “claustrofobia” che ritroveremo in altre tracce. “Vile Effluvium” ha più o meno lo stesso stampo ma, in più, ha una partenza schizzata che dopo uno stacco in velocità, passa ad una cadenza pesante. Batteria in evidenza e solo di chitarra lancinante a cura di Paul “Heandbanger” Menozzi (ex-Injury), rappresentano un valore aggiunto. “Rescinded Physiognomy” ha come caratteristica principale il Brutal Death suffragato da una velocità che trascina nel gorgo e che inghiotte senza via di scampo. Anche in questo caso le chitarre fanno il loro “sporco” dovere e non lasciano requie. “Heruptive Hemangioma” mi ha coinvolto in tutto e per tutto grazie alla sua grande varietà di ritmiche. Belli gli stacchi a più chitarre e il cambio “a sbalzo” che conduce ad una velocità che sa di chiuso ed oppressione. Di “Visions of Coming Apocalypse”, cover degli Inveracity, non conoscevo la versione originale: Gli Invercund si lanciano in un pezzo che si fregia della velocità e poi lo “smorzano” con uno stacco mortifero e fasi in cadenza e così facendo vomitano fuori tutta la perizia strumentale che hanno accumulato in anni di militanza nell’underground. Se la parola innovazione affiancata al genere Death vi fa schernire, richiedete “Engrossed in Horripilation”: la tradizione vi chiama.
Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 2024
Top 10 opinionisti -
I Mega Colossus da Raleig, nord della California, tornano a noi con una formazione invariata rispetto al precedente disco “Riptide” (anno 2021, voto 3,5/5). Il quintetto, trainato dalle sferraglianti e precise chitarre di Bill Fisher e Chris Millard, non cambia neanche il tipo di musica scelto e proposto: un Heavy Metal che passa agevolmente dallo stile degli Iron Maiden al Thrash infilando nel mezzo, spesso nello stesso brano, inserti di altri sottogeneri. Sappiamo bene quanto è difficile trovare dischi originali, ma le sei tracce di “Showdown” - per la ragione che ho scritto sopra - in qualche modo lo sono. Se nel disco precedente la voce di Sean Buchanan aveva destato in me qualche perplessità, questa volta non è così. Il cantante, infatti, si è prodotto in una performance pienamente soddisfacente basata per lo più su tonalità medie e alte. Riconoscere lo stile compositivo di Steve Harris e soci è sin troppo facile: basta ascoltare la prima traccia dal titolo “Fortune and Glory”. Dove sta la genialità dei Mega Colossus? Sta nel fatto di avere un’ottima perizia strumentale e di lasciare di stucco l’ascoltatore mettendo ai 5’ 10” uno stacco epico/maestoso denso di melodia. Se vi piace il Power con chitarre ben presenti e asservite ora a parti in velocità ora ad altre più lente, “Outrun Infinity” fa al caso vostro. Con il terzo brano dal titolo “Grab the Sun” il cambio di genere è repentino: Thrash nervoso, spezzettato e tecnico, che dopo cinque minuti rallenta portandosi dietro le due chitarre. Abituato a tanto ingegno creativo, ho trovato la title-track nella norma, se comparata agli standard qualitativi del quintetto. I Mega Colossus trovano modo di abbracciare l’Heavy Metal e di accorparlo con la melodia ad ampio respiro in “Wicked Road”: anche in questo caso è palese l’importanza che rivestono le chitarre nell’economia del suono dei cinque americani. “Take to the Skies” con il suo dinamismo e la sua velocità - per non parlare del ritornello - è figlia diretta degli Helloween o, se preferite, dei nostrani Trick or Treat. La canzone, grazie ai suoi molteplici cambi, è fatta apposta per lasciarvi senza respiro ed è la degna conclusione di un album decisamente interessante. In mezzo a tante band che clonano pedissequamente il suono altrui, trovate tempo e modo per ascoltare “Showdown”: non rimarrete delusi.
Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 2024
Top 10 opinionisti -
I PrincesS, gruppo fondato nel 1994 e capitanato da Freddie Wolf, sono così eclettici che non sai mai cosa aspettarti da un loro disco. Il precedente “Temple of Music” (voto su Allaroundmetal: 4/5) pur con tutte le contaminazioni presenti, aveva sterzato bruscamente sulla via dell’Hard Rock. Il quinto album dal titolo “PRINCrazinESS”, invece, stravolge ancora una volta ogni dettame tanto che di Hard Rock se ne trova una quantità veramente minima. Non parliamo poi dell’Heavy Metal che è completamente assente. La produzione, il mix e il mastering sono di ottima fattura e rendono corposo un suono che, come al solito, è impossibile da circoscrivere in un solo genere per canzone. Provate voi a catalogare “Paesano Procession”: io la definirei Etno – Folk con cantato lirico e sottostrato Rock il che, se non l’ascoltate, può volere dire tutto e niente. “Der Tanz Der Kommissar” con il suo titolo mi ha riportato indietro nel tempo quando il cantante Falco dominava le classifiche disco. Musicalmente il pezzo si assesta sul tenore della Pop – Disco e le tastiere sono lì a confermarlo, ma con un che di malinconico. "RoboRock” passa dal Rock misto, secco e cadenzato, all’Elettro – Disco: ipnotico il ritornello. ”Lupin III Driving K.I.T.T.” fa l’effetto di una pallina che gira nella roulette e va a toccare più numeri. Dal Rock schizoide si passa a un ritornello Disco – Rock e il resto, corroborato dal basso di Orlando Monteforte, vira al Funky coadiuvato come è dalla chitarra di Max “Alan Warner” Brodolini. Ottima la produzione. “’70 Funk Cops” ha un titolo manifesto, inutile aggiungere altro. “New 80s” si pone a metà fra gli Skiantos di “Largo all’Avanguardia” e il suono del Beat ma, c’era da aspettarselo, presenta anche un cambio di ritmo con fuga in velocità. “Young Frankenstein” è Rock elettronico mischiato ancora una volta con il Funky e la Disco: strano il coro. “Rhythm and Boom” è un Rock n’ Roll di fine anni '60 - inizio '70: uno stile Honky Tonky che va a braccetto con i T. Rex di Marc Bolan, quelli di “Bang a Gong (Get it on)” e gli Slade, altro gruppo Glitter Rock del lontano passato. “Summer in the City” è un Surf n’Roll stile Beach Boys con un coro tipico degli anni '60 che andrebbe benissimo per un telefilm come Happy Days o un film come Grease. La conclusiva “Where’s da Bats” è un brano dinamico stile Funky con puntate nella velocità. La collaudata line up dei PrincesS ha subito uno scossone con l’uscita del chitarrista Max Brodolini, un elemento importante nell’economia del gruppo. Come potete leggere sul sito della band Max, comunque, ha composto altre canzoni che compariranno nel prossimo disco. La formazione andrà avanti ufficialmente come terzetto.
Ultimo aggiornamento: 21 Gennaio, 2024
Top 10 opinionisti -
Il 10 marzo 2023 Paul Quinn, chitarrista dei Saxon, ha annunciato la sua fuoriuscita dalla band. Biff Byford, fondatore e cantante della band inglese, non si è perso d’animo e per mantenere saldo il legame con il suono della NWOBHM ha reclutato Brian Tatler, chitarrista dei Diamond Head. L’alchimia sonora creata dalle chitarre di Doug Scarrat e dallo stesso Tatler nel disco “Hell, Fire and Damnation” funziona. I due si dividono equamente i soli oppure collaborano in maniera efficace sia che si parli di parti ordinarie, sia che si parli di parti più complesse da eseguire. La produzione da parte di Biff e Andy Sneap è sostanzialmente buona, mentre mix e mastering a cura del solo Sneap, presentano qualche piccola sbavatura; roba però da puristi e ascoltatori attenti. Le dieci tracce coprono lo spettro sonoro dell’intera discografia dei Saxon. Ogni accanito follower della band di Albione riconoscerà partiture simili a quelle di “Crusader”, “We Came Here to Rock”, Motorcycle Man” ed altri classici, ma faccia attenzione a non etichettare "Hell, Fire and Damnation” come un album clone. Quando uno pensa di aver preso confidenza con la canzone, ecco che arriva un guizzo o una trovata che cambiano le carte in tavola come si può ascoltare in “Madame Guillotine”. La potenza dei Saxon è ampiamente confermata da “Fire and Steel”: chitarre brucianti all’inizio, velocità da headbaning, altre chitarre (fra le quali quella di Paul Quinn N.d.A.) e la batteria di Nigel Glocker che funge da maglio perforante. Se vi attirano i misteri alieni ascoltate “There’s Something in Roswell”: il suo ritornello è fatto apposta per risuonare nella vostra testa e confermarvi che l’Area 51 ci nasconde delle verità. Il nono pezzo, “Witches of Salem”, lo segnalo nel caso vogliate avere conferma di ciò che ho detto a proposito di partiture già note. I Saxon sono inarrestabili e in decima e ultima posizione piazzano “Super Charger”. Un riff repentino e assassino di chitarra crea la sua ossatura mentre, in seguito, velocità e soli energici; anche in questo caso è presente la chitarra di Paul Quinn, vanno a decretare la fine di un ottimo disco. Da un cantante che ha appena compiuto 73 anni e con una band longeva come la sua potevate aspettarvi un disco mediocre? Certo che no.
Ultimo aggiornamento: 16 Gennaio, 2024
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Tony Clarkin, co-fondatore, chitarrista e compositore dei Magnum, è morto il 7 gennaio 2024 all’età di 77 anni. Quasi sicuramente questo triste evento porterà allo scioglimento della band ma, al momento, si sa solo che è stato annullato il tour previsto per quest’anno. Dalle parole di Tony emergeva tutto l’entusiasmo per aver composto e aver suonato in “Here Comes The Rain”, album uscito il 12 gennaio 2024. L’occasione di ascoltare e recensire l’album, diventa così un modo di rendere omaggio a una figura e ad una band che hanno annoverato schiere di appassionati del versante più tranquillo del Rock, quello dell’Hard/Pomp/Progressive. Il raggio d’azione nel quale operano i Magnum lo conoscete ed è giusto dire che gli ultimi album, se pur splendidi, mostravano delle canzoni intercambiabili fra loro per quanto erano simili. Anche in questo nuovo lavoro, fra le pieghe, si respira aria di già sentito, ma non mancano episodi degni di nota ed altri che si distaccano dal cliché compositivo. Vorrei mettere in particolare evidenza il fatto che la voce di Bob Catley, a dispetto di certe prestazioni del passato, questa volta è in splendida forma. In aggiunta voglio fare un plauso a produzione e mixaggio che sono sempre al top e alle orchestrazioni e alle tastiere che “avvolgono” molti brani. Fra di essi cito “Some Kind of Treachery” e “After the Silence” che, se pur nel classico stile Magnum e con inserti già sentiti, mostrano una band in gran spolvero. Vi suggerisco l’ascolto di alcuni brani che, a mio avviso, si elevano sugli altri proprio perché brillano di una luce diversa dal solito. Parto segnalandovi “Blue Tango”, un Rock ad ampio respiro che si interseca con la durezza di un ritornello adatto all’entrata di un gruppo di biker in un bar della Route 66. Proseguo con “The Seventh Darkness”, brano nel quale la differenza la fanno i fiati: la tromba suonata da Nick Dewhurst ed il sax suonato da Chris “Beebe” Aldridge che duetta anche con la chitarra di Clarkin. “I Wanna Live” è bella, evocativa, ed a tratti commovente e malinconica. La conclusiva “Borderline” ci lascia in eredità un Hard Rock cadenzato, contrappuntato dalla precisa chitarra di Clarkin. Non siamo di fronte ad un album del tutto originale però, vi posso dire sin da ora che lo ritroverete nella mia top ten di fine 2024.
Ultimo aggiornamento: 05 Gennaio, 2024
Top 10 opinionisti -
Da quel che ho capito leggendo la bio acclusa al press kit “Eternal Metal - Tales From The Twilight Zone”, CD nel quale il cantante Antonio Giorgio si cimenta in sedici versioni di altrettanti classici del Metal, è uscito in una prima edizione come distribuzione digitale assieme ad altre tracce (25 cover più sette inedite). Nel marzo 2024 uscirà invece una confezione da due CD, uno dei quali con il già edito “Golden Metal” rinominato per l’occasione, e l’altro con le sedici cover. Non è facile dare un giudizio sui pezzi rifatti in quanto sono dell’idea che per fare un vero raffronto, andrebbero conosciuti tutti a menadito. In secondo luogo, pur lodando lo sforzo profuso dai musicisti e dallo stesso Antonio, ci sono alcune cose che non mi tornano a livello di produzione: parlo di alcune fasi di mixaggio o di alcuni toni del volume. Siamo stati troppo abituati a sentir cantare “We Rock”o “The Evil That Man Do”da giganti del calibro di R.J. Dio e Bruce Dickinson e suonate alla perfezione, per apprezzarle in toto nelle versioni qui riportate. Va decisamente meglio con pezzi come “Bark At The Moon”, dove le chitarre suonate da Luca Gagnoni sono ben amalgamate e la “pacca” del pezzo arriva tutta. Le tastiere suonate da Gabriels ce la mettono tutta per ammantare i pezzi e dar loro un aura di epicità: la maestosità di “When Death Calls” lo dimostra. La potenza latita in “Save Our Love” ed è un peccato: un brano di fattura Hard Rock del genere meritava miglior sorte. Fra i brani meno riusciti segnalo “Dark Reflections”, i suoi cambi strumentali non sono particolarmente riusciti. Pollice su per “House On A Hill”, brano dei Kamelot, band alla quale Giorgio è legato particolarmente, che vede interagire la voce di Claudia Beltrame con quella del nostro artista. Trovo comunque che la voce femminile andava “esaltata” di più dal banco del mixer. I restanti pezzi seguono l’andamento sinusoidale alternando alti e bassi. Devo dire che dopo la buona riuscita di “Imajica” (voto su Allaroundmetal 3,5/5), mi aspettavo molto da questo disco. Come avete letto il mio parere è ondivago quindi, acquistate il combo solo se siete mossi da curiosità per le nuove versioni altrimenti, aspettate il prossimo lavoro del cantante che lo vedrà alle prese con cover dei Kamelot.
Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 2023
Top 10 opinionisti -
Ci sono dei personaggi come Daniele Liverani, polistrumentista con una lunghissima carriera passata a sfornare musica sia con molteplici gruppi che come solista, che non riescono a stare fermi e hanno bisogno di provare continui stimoli. Questa volta l’occasione di (ri)mettere mano a partiture musicali, arriva dal ritrovamento di vecchi brani strumentali incisi con un quattro tracce su nastro nel 1992 e, appunto, riportati in vita con un’operazione di “restauro” e rimasterizzazione. “The Wheel Of Emotions”, quindi, non è un nuovo album di Daniele: è la testimonianza dei primi “vagiti” di un polistrumentista che cercava di trovare la sua strada ben prima di entrare a far parte degli Empty Tremor e di altri gruppi. Nei quattro pezzi Daniele ha suonato tutti gli strumenti e si è avvalso di una batteria che ha programmato da sé. Il lavoro svolto è titanico in tutti i sensi anche se, ovviamente e per i suoi contenuti, piacerà soprattutto a coloro che amavano le uscite della vecchia Shrapnel Records, etichetta fondata da Mike Varney specializzata nel pubblicare dischi di chitarristi. “About Their Slothful Life” apre con un attacco violento e prosegue con delle chitarre che si innestano su una ritmica schizoide e si producono in alacri assalti fino a tangere la musica classica che, ovviamente, qui è riproposta in chiave Metal. “My Mind Like a Desert Sea” ha un incipit a base di tastiere con accorpata una chitarra stile Malmsteen. Ai 110 secondi il ritmo ha un’esplosione e si fa largo una cadenza media con chitarre ora pindariche, ora lancinanti. “Every Age Has an Instrument to Play Life Symphony” usufruisce di un inizio tambureggiante e poi, inutile dirlo, arrivano le chitarre che lavorano incessantemente su ritmi talora “classici”, talora Power. “Lost in Those Past Years” comincia con una sorta di spirale strumentale sino a che non sopraggiungono arpeggi alquanto oscuri. Nel prosieguo, poi, non mancano soluzioni più affini al Thrash e chitarre che volano come schegge impazzite.
N.B. il lavoro è disponibile su tutte le piattaforme digitali a cura della LANDR Distribution
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