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Opinione scritta da Rob M

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Opinione inserita da Rob M    15 Settembre, 2019
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E dopo tanta attesa, dopo tanto penare, ritornano in questo 2019 i Funeral Oration. Una band importantissima per la scena italiana e che, dopo il seminale "Sursum Luna" del 1996, ha avuto bisogno di attendere ventitre lunghi anni prima di ritrovare le forze e poter dare alla luce una nuova opera al nero.
Arriva cosí, per Avantgarde Music, "Eliphas Love". Un disco che riprende in parte dove i nostri avean lasciato ma che allo stesso tempo protende le braccia ad un nuovo sentimento black metal ed estremo, con momenti che potrebbero portare alla mente di un ascoltatore attento nomi come Abigor, Dodheimsgard, Absentia Lunae.
Eppure i Funeral Oration, in questo nuovo capitolo, brillano di luce propria, mettendo parzialmente in ombra i nomi sopra citati, grazie ad una violenza moderna (complice una produzione tagliente e velenosa), un mix che vede un drumming meccanico eppur perfettamente in linea con la proposta, una voce narrata che fa dell'italiano la sua arma di scelta e che dona un'espressivitá tutta sua al prodotto finale.
Non ci vuole tanto perché i nostri riescan ad entrare nel sangue. Appena dopo un intro che marca il mood del disco, i nostri si buttan a testa bassa nella mischia con "Furor Eretico", mettendo in mostra il lato "nuovo" della proposta che si scontra perfettamente con la successiva "Anatema Di Zos" ed i capitoli seguenti, brani piú classici e novantiani, che nella loro narrazione ricordano due progetti anch'essi fondamentali per la scena nazionale: i Tronus Abyss ed i primi Aborym ("Roma Divina Urbs" torna infatti alla mente a piú riprese).
Eppure quí si arriva al classico dilemma di chi ha fatto prima cosa. In effetti, considerato che la band esiste dal lontano 1989 e l'importanza del primo storico LP di questo gruppo, é molto piú probabile che molti in Italia sian stati ispirati da ció che i nostri han realizzato, volente o nolente, oltre un ventennio fá.
E quí, in maniera esemplare, tutte le similitudini tracciate per descrivere questo lavoro vanno marcate come analogie necessarie per tracciare il tragitto percorso dalla band ed i suoi indiscussi meriti a livello nazionale, con un'influenza che ha lasciato il marchio attraverso generazioni di musicisti!
Sotto questa prospettiva le successive "L'Abisso" e "Marcia Funebre" si ergono all'insegna del metal italico senza timore, ricreando l'epicitá che a piú riprese ha segnato progetti vari ed eventuali a cavallo di quasi un trentennio. Si posson cosí ascoltare momenti che in un certo qual modo celebrano il folclore nazionale - vedi proprio "Marcia Funebre" - e che riportan in vita odi dimenticate.
La penultima "Tregenda" diventa cosí un classico del genere, mettendo in mostra ancora una volta una band fortemente ancorata alla proprie radici ma in grado di sfornare brani di totale impatto in un contesto piú contemporaneo, mentre la conclusiva "Vuoto Mistico" mette il sigillo su un lavoro che celebra un gradito ritorno.
Questo nuovo LP, come giá sottolineato, riprende in parte la dove i nostri avevan lasciato. Si ritrovan infatti alcuni degli aspetti migliori che avevan segnato l'LP di debutto ed allo stesso tempo si nota una crescita artistica che ha potuto godere di un periodo di gestazione enorme. Il tutto sembra perfettamente composto e suonato ed in fin dei conti il risultato finale é ottimo. Per quanto riguarda i gusti personali, ci son alcune cose che potrebbero far storcere il naso, specialmente in Italia, a chi ascolta il genere ma non riesce a metter la testa fuori dal sacco. Il drumming e la voce narrata sono, in questo contesto, un'arma a doppio taglio che sí caratterizza il disco ma che allo stesso tempo potrebbero risultare difficili da digerire. La dinamicitá dei brani sarebbe potuta esser migliore con un batterista umano ma allo stesso tempo si sarebbe perduta quella produzione fredda che rende "Eliphas Love" un disco a suo modo unico a livello internazionale.
Per quanto mi riguarda, da fedele innamorato di quel lavoro storico che fu "Sursum Luna", penso che i Funeral Oration abbian semplicemente mostrato, in questa loro nuova opera, solo la punta dell'iceberg. Mi aspetto dunque nuovi dischi, molto presto, che possan portare i nostri all'apice della scena nazionale e ben oltre i confini italiani.
Un album che ha il suo perché e che sa osare, in maniera intelligente, la dove altri han paura di avventurarsi.

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Opinione inserita da Rob M    01 Settembre, 2019
Ultimo aggiornamento: 01 Settembre, 2019
Top 50 Opinionisti  -  

Ecco il nuovo Deathspell Omega, un disco che come i suoi predecessori ha spaccato la scena in due ma questa volta per motivi risibili, tra chi grida alle afiliazioni politicizzate di destra (si son svegliati ora tutti quanti dopo che certe cose si sapevan da anni???) e chi invece supporta la musica della ormai fondamentale band estrema che ha marcato una nuova era e diversi sottogeneri nel mondo metal.
Come sempre, fare un track-by-track di dischi simili sarebbe una grandissima perdita di tempo dato che i nostri non han bisogno di certe recensioni ma, secondo me, di un buon feedback per ció che certi album apportano per un gruppo che ormai potrebbe semplicemente mettersi a suonare altro anziché continuare imperterrito con la solita minestra.
Si signori, non prendiamoci in giro, i Deathspell Omega ormai suonan praticamente uguali da "Kenose" e qui i nostri non si spostan tanto lontani da ció a cui ci hanno abituato da quel disco in poi. Se con "The Synarchy Of Molten Bones" i nostri non eran riusciti ad arrivare ai fasti di "Drought" o "Paracletus" - o forse si in base alle opinioni di chi, dopo mesi di ascolti, ha finalmente aperto gli occhi sul genio nascosto del progetto d'oltralpe - creando un disco comunque complicato ed ermetico, qui la storia si ripete e "The Furnaces Of Palingenesia" risulta ancora piú complicato da assorbire e capire.
La produzione paurosa, la tecnica incredibile, la voce secondo me sottotono per ció che é il resto e che continua imperterrita a far la sua parte ma senza voglia di vivere. In maniera quasi uguale - nei sentimenti - la prestazione vocale qui sembra quella di Mortuus nell'ultimo Marduk, ossia blanda e senza palle rispetto a quella di "Hekatomb" dei Funeral Mist che risulta invece incredibile dal punto di vista dell'espressivitá e tecnica.
Parliamoci chiaro! Dopo tutti questi dischi, la voce di Mikko Aspa sembra davvero poco all'altezza e se pur il trademark della band é anche quello, il tutto rimane piatto.
Forse, possibilmente, sarebbe anche difficile cantare su partiture come quella di "Ad Arma! Ad Arma!".. ma da una band che ha riscritto il genere mi aspetterei un pizzico di voglia di osare in piú da parte di un cantante che non sembra invece, in questo lavoro, capace di raggiungere la forma perfetta per esprimersi su brani cosí complessi (se pur ho apprezzato l'espressivitá di "You Cannot Even Find The Ruins..").
Non voglio neanche entrare in merito ai testi, ma musicalmente mi sembra che quí manchi qualcosa. Che succede?
"The Furnaces.." sembra in parte un richiamo a tutti i lavori precedenti della band, sia per le parti lente (vedi "1523" o "Renegade Ashes" ed i richiami a brani storici come "Mass Grave Aesthetics"), sia per le strutture contorte che echeggiano i momenti migliori degli ultimi tre LP), ed in parte un lavoro che cerca una sua maniera di proporsi ma volente o nolente si perde in uno stereotipo creato dalla band stessa (con quelle dissonanze che non posson mai mancare, i riff troncati ed eterni ad ogni ripetizione, la batteria che in certi momenti sembra si appoggi al jazz usando i blast beat come semplici optional).
Se pur la band riesce a non deludere i suoi fans, tirando fuori dal cilindro un disco che comunque riesce a non tradire le aspettative, sembra che i nostri stian quasi vivendo di rendita là dove manca la voglia di riscoprirsi, re-inventarsi, osare!
Vien da dire, una volta ascoltato tutto il lavoro, ".. beh, un altro lavoro dei Deathspell Omega..", con una frase fatta che racchiude in sé la descrizione esatta di cosa ci puó aspettare da un lavoro come il qui presente ed allo stesso tempo una quasi rassegnazione nel definire un disco che fondamentalmente era giá descrivibile ancora prima che fosse pubblicato (perfetto, ma anche prevedibile).
Non é un lavoro che delude, come giá detto, ma non rimane il migliore della band, né tanto meno quello che tra tutti si ricorderá come un disco che ha cambiato ancora una volta la maniera di intendere il genere.
I nostri si fan forti delle loro capacitá, ma allo stesso tempo si limitano in tutto e per tutto, cercando la soluzione che sicuramente non contraria gli ascoltatori, ma che suo malgrado non li fa muovere fuori dal seminato e li fa sembrare una cover band di sé stessi, una tra le tante bands che suonano come i Deathspell Omega di questi tempi.
Non una critica, lungi da me. É strano come, da tanti progetti, ci si aspetti sempre qualcosa di meglio, album dopo album, ma invece da band come questa ci si soffermi ad ascoltare sempre il solito tipo di prodotto, ancora ed ancora.
Che i nostri abbian raggiunto la perfezione artistica? Che i nostri non abbian niente di piú o nuovo da aggiungere ad una formula ormai sicura?
Forse ci sará ancora una volta un album che marcherá un cambio, che riscriverá la storia del genere, peró "The Furnaces Of Palingenesia" non é quello.
Un nuovo capitolo per i Deathspell Omega, un nuovo lavoro in carriera, un nuovo disco incredibile che pure, nel suo usare quella formula perfetta, non riesce a lasciare un segno come i suoi predecessori e che, onestamente, é semplicemente ".. un nuovo capitolo per i Deathspell Omega..".

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Opinione inserita da Rob M    01 Settembre, 2019
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This Gift Is A Curse, non un nome nuovo ma forse uno che é passato in un certo qual modo inosservato, specialmente in Italia, considerato che il filone sludge/blackmetal/hardcore non ha senza ombra di dubbio lasciato marchi indelebili a livello nazionale.
Un concentrato velenoso che ha visto ampia diffusione in nord Europa, negli Stati Uniti, ma che in Italia ha lasciato poco spazio all'immaginazione, tra band che continuano a farsi la guerra sulle etichette "poco black", "troppo black", "troppo hardcore", "poco doom", e labels che, ogni volta un gruppo "nuovo" viene stampato e la proposta risulta essere appena fuori dal coro, vengono abbandonate da un pubblico che dice di voler ascoltare qualcosa di nuovo ma é invece incapace di farlo.
In questo panorama, questa band svedese, ha giá elargito diversi lavori negli ultimi dieci anni ed é riuscita a entrare in casa Season Of Mist un po' di tempo fa, in un momento in cui proprio il genere qui proposto iniziava ad "andare per la maggiore".
Mentre in Danimarca gli Église e gli LLNN marcavan l'inizio di una "nuova" epoca per il genere, in Svezia i nostri e gruppi come i Walk Through Fire, marcavan il territorio.
"A Throne Of Ash", questo nuovo capitolo dei This Gift Is A Curse, si parcheggia in parte dove i Love Sex Machine han seminato con il loro ultimo "Asexual Anger" del 2016 ma riprendendo anche la dove proprio gli Église han trionfato con il loro omonimo disco d'esordio nel 2016.
Da questo punto di vista, This Gift Is A Curse, risulta un gruppo con una proposta superata, che comunque non offre niente di nuovo rispetto a gruppi ben piú conosciuti e che son giá riusciti, senza timore, a definire un genere "nuovo" per quanto vecchio di quasi quindici anni.
"A Throne Of Ash" é un album che, se non fosse per l'appoggio di SOM, potrebbe rimanere benissimo nel dimenticatoio nel giro di pochi mesi, nonostante il valore indiscusso che un'opera come questa potrebbe avere e dovrebbe meritare.
Brani come "Gate Dweller" si fan portavoce di uno stile, come giá detto, vecchio e senza innovazioni eppure descrivono a gran voce un manifesto - quello blackened hardcore - che quí mostra di avere ancora sangue nelle vene e veleno da sputare.
I nostri si fan avanti come uno schiacciasassi, con blastbeat che a piú riprese scandiscono una sessione ritmica in cui riffing taglienti e voce acida dipingono paesaggi apocalittici.
Ci voglion diversi ascolti per assaporare fino in fondo un'opera che vive di tenebra e luce nei suoi momenti di pazzia e che potrebbe, senza timore, portarsi avanti come uno dei dischi fondamentali del genere per questo 2019.
L'LP in questione viaggia tra alti e bassi. Il corpo centrale risulta essere il fulcro di un lavoro vincente, con momenti che si spostan vicini a quel sentore da fine del mondo che gli LLNN han creato, grazie all'utilizzo di synth ben amalgamati nel contesto generale e soluzioni piú vicine al post.
Il resto, vive all'ombra di proposte che han marcato questa nicchia a cavallo tra generi e se da un lato un disco come questo potrebbe far la differenza e far gridare al miracolo (pensando a chi sta scoprendo questo "genere" ora), invece risulta essere un disco nella media per chi ha un po' piú di esperienza.
Ora, parlando dei punti a favore, i nostri offrono nove brani che fondamentalmente son in grado di spazzare via anche gli ascoltatori di metal estremo piú incalliti, grazie a una dose di ben controllata violenza. Un po' per la produzione, moderna e affilata, un po' per lo stile, non necessariamente black metal, i nostri riescon a spingersi possenti nel marasma estremo.
Eppure, questo loro avanzare a spada tratta, li rende parzialmente impotenti quando, a conti fatti, i nostri stanno semplicemente ricalcando le orme di chi prima di loro ha giá realizzato dischi simili.
Questo é il "down side" di un lavoro che potrebbe fare tanto ma non riesce ad osare la dove certi capitoli han bisogno di ascolti consecutivi per esser assorbiti e molto spesso proprio quella violenza che fa da cavallo di battaglia per la proposta risulta essere fine a se stessa.
Sotto questo punto di vista, la conclusiva "Wormwood Star" é forse il capitolo piú sperimentale e quello che sopra tutti lascia l'amaro in bocca. Se i This Gift Is A Curse avessero mischiato maggiormente le carte in gioco per avvicinarsi a brani come questo, ultimo splendido esempio di modernitá e la sopracitata "Gate Dweller", questo disco sarebbe stato un lavoro imperdibile.
Invece, loro malgrado, i nostri han giocato sicuro ed han lasciato la sperimentazione fuori dall'equazione per l'80% dell'album, riuscendo solo in parte a raggiungere un risultato soddisfacente per chi li ascolta e per chi, dopo anni, cerca un nuovo modo di interpretare un filone che ha tantissimo da offrire ma che spesso e volentieri si limita al giá sentito, inerpicandosi su sentieri ormai battuti dalle masse.
Buona prova a suo modo, ma si sarebbe potuto fare tanto di piú, sprigionando un po' di personalitá che invece viene limitata a pochi eppur incredibili attimi.

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Opinione inserita da Rob M    17 Agosto, 2019
Ultimo aggiornamento: 17 Agosto, 2019
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The Holeum é un progetto che ancora non avevo avuto il piacere di ascoltare, nonostante le mie passate collaborazioni con Hela ed i vari musicisti coinvolti appartenenti a vari progetti piú o meno conosciuti in Spagna e dintorni.
La band, al suo secondo lavoro con questo "Sublime Emptiness", offre uno spaccato standard per quella nuova vena che, soprattutto in Spagna, ha visto parecchi artisti mescolare heavy/doom con movimenti dal sapore post e accenni appena piú estremi.
In Italia abbiamo giá assistito ad alcune sperimentazioni simili e, rimanendo in tema di gruppi nostrani, potreste pensare ai The Holeum come un mix tra i catanesi Nerobove, i Plateau Sigma, i Postvorta ed i The Haunting Green.
Se con l'opener "Obsidiana" si puó ascoltare un brano che sí ha impatto, ma che in fin dei conti rimane un episodio fine a sé stesso, con la successiva "Geometric Dance" ci si ritrova in realtá a scoprire la vera stoffa di cui i nostri son fatti.
Infatti, seppur si tratti di un brano "classico" nel riffing (vedi sopratutto la seconda parte di questa canzone), le atmosfere create dai nostri risultano essere l'apice compositivo che trasparirà successivamente nel resto dei movimenti qui presentati, con soventi richiami ai Cult Of Luna su tutti i nomi che potrebbero venire alla mente.
Proprio in questo contesto, anche la successiva "Protoconsciousness" non riesce a far altro se non rafforzare questa influenza, riportando alla mente i fasti di "Eternal Kingdom" reinterpretati in maniera personale ed affine a ció che gli altri progetti dei musicisti coinvolti hanno ed hanno avuto da offrire.
Il drumming si fa groovy piú che estremo, sfornando una sessione ritmica che a piú riprese é in grado di supportar un riffing non violento ma pesante, merito anche di una produzione che rende giustizia alle corde in maniera decisa e brillante.
Il cantato rimane nella media, eppur espressivo e interessante quando l'effettistica lo trascina verso territori piú sperimentali e cyber, e quando il pulito prende il controllo sul low-growl che caratterizza la maggior parte di questo LP.
Se tutto, apparentemente, viene sviluppato sui primi tre brani e poi il resto segue su quella falsa linea, i nostri son abili nel re-inventarsi con aperture piú che interessanti come quelle esposte durante il corpo centrale di "Fractal Visions", mostrando una band che ha tanto di piú da offrire che semplicemente ciò che ad un primo rapido ascolto si potrebbe immaginare.
La conclusiva "Metempsicosis" mette fortemente in risalto questo aspetto ed in un certo qual modo ci si ritrova sbilanciati tra un progetto che a momenti é si interessante ma anonimo ed una band che, invece, sa esattamente come rendere il tutto intelligentemente intrigante.
Seppur i The Holeum rimangono probabilmente un side-project per tutti gli interessati, questa loro ultima fatica risulta un album maturo a metà per chi li ascolta.
Da un lato la pazzia/genio di voler parzialmente re-inventare il genere a modo propio in maniera riuscita, trovando un punto di collegamento tra Green Carnation "Light Of Day, Day Of Darkness" e la magia post di band culto come Cult Of Luna, dall'altro la necessità di adagiarsi sugli allori non riuscendo a portare questo lavoro ad un livello sufficiente alto per poter brillare sopra la marea di bands filo-postmetal che hanno invaso la scena a livello mondiale negli ultimi quindici anni.
Nonostante i nostri riescano, sotto molti punti di vista, a partorire un disco ben suonato e prodotto che comunque viaggia ben oltre la media, ad un'orecchio piú attento il tutto risulta spesso e volentieri ricalcato sulle orme di qualche altra band piú conosciuta e qui, vista la bravura degli artisti coinvolti, mi sarei aspettato un qualcosa di piú sorprendente, unico e ancora piú personale. Proprio dal punto di vista della personalità, i nostri riescono a trovare il modo perfetto di esprimersi quando son in grado di creare atmosfere splendide grazie ai loro rallentamenti e l'inserimento di strumenti poco metal nel contesto generale. Da questo punto di vista, tra alti e bassi, "Sublime Emptiness" si posa nel limbo di chi potrebbe fare tanto, ma non riesce a raggiungere il giusto apice compositivo.
Per un progetto come questo penso si possa fare molto di piú e, se anche ho apprezzato questo nuovo capitolo della band spagnola, non posso che rimanere parzialmente insoddisfatto e desideroso di un qualcosa di decisamente migliore che possa essere, a tutti gli effetti, eletto come l'album della svolta per The Holeum.
Dovendo dare un voto in decimali, darei un 7.5/10... la strada da percorrere sembra ancora tanta per questo progetto, ma senza ombra di dubbio non é in salita. Non fatevi ingannare dalle stelline!

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Opinione inserita da Rob M    11 Agosto, 2019
Ultimo aggiornamento: 12 Agosto, 2019
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Gli Incandescence han abbandonato il face painting ed hanno sfornato un lavoro avvolto da un alone di mistero. In primis la band, quasi sconosciuta, se non ai veri cultori dell'underground internazionale piú profondo, risulta essere una band "nuova" per il pubblico italiano e che, in parte, ha poco a che vedere con le sue precedenti incarnazioni, sia a livello di immagine, che a livello di qualitá (vedi la differenza palpabile tra questo nuovo disco ed il precedente album del 2016 "Les Ténèbres Murmurent Mon Nom"). In secondo luogo la label che ha dato alle stampe questo disco, la Return To Analog, che sembra non dare sufficiente spazio a questo progetto a livello di promozione sulla propria pagina web, né tanto meno a livello di formato là dove il disco é stato stampato in CD da una label che, a suo dire, stamperebbe solo o quasi in vinile.
Ora, presentati band e label, da dove iniziare? "Ascension" é un disco che ha tanto da presentare nonostante, spesso e volentieri, i nostri usino riffs lineari per raggiungere momenti abbastanza complessi. Se con i primi due capitoli del disco i nostri son abili nel presentare un progetto violento, eppure a suo modo atmosferico, con il loro terzo monolite "Rebirth" la band mostra quasi il meglio di sé, con un brano intenso ed abrasivo che mette in chiaro il lato sperimentale della musica con evoluzioni costanti ed un incessante riscoprirsi, aprendo le porte su un lavoro piú "evoluto". Nel suo procedere, il duo di Montreal, riesce a mettersi in mostra con canzoni annichilenti, eppur studiate alla perfezione, a momenti dissonanti ed, in certi frangenti, alieni al genere di base che permea tutte le composizioni.
Il lavoro di batteria immenso, accompagnato da un riffing capace di viaggiare tra gli opposti del mondo estremo, riescon a creare la cornice perfetta per una prestazione vocale interessante, che non osa eccessivamente, ma che anzi si fa forte di una prestazione comunque sopra le righe sia nei momenti di scream, che in quelli di growl.
Il basso é forse lo strumento che non riesce ad ergersi come gli altri ma che, senza timore, dà forza alle strutture elaborate che la band propone minuto dopo minuto.
Alcune volte i nostri si perdon in momenti dal gusto moderno e non necessariamente black metal, come nel caso di "Passerelles", in altri si fan forti di un violenza contorta eppur melodica, come nel caso della successiva "Above All".
Nel loro cambio di marcia continuo, tra mutamenti improvvisi e follia feroce, gli Incandescence sfornano un disco in cui non posso trovare nessuna pecca. Il tutto é confezionato con una classe che ha un'anima sua e che non ha bisogno di rifarsi a nomi piú o meno noti, perché la sua anima possa impossessarsi di chiunque abbia il piacere di ascoltare questo piccolo capolavoro.
Gli ultimi due capitoli del disco mostrano un progetto che ha le palle per dire la sua e per sfornare un lavoro davvero ottimo che, come giá detto, non si nasconde dietro volti piú conosciuti, ma che brilla raggiante di luce propria.
Un altro hot-album per questo 2019 che innalza la band in questione verso l'olimpo del metal estremo moderno! Una voce a suo modo fuori dal coro che meriterebbe molte piú attenzioni a livello mondiale.

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Opinione inserita da Rob M    11 Agosto, 2019
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Debutto per gli svedesi Gast, "Mörkret Kallar" esce quest'anno per la Black Market Metal Label, mostrando un progetto tutt'altro alle prime armi, ma anzi capace di assestare un colpo importante giá al suo primo lavoro.
La musica della band si erge suprema su quel tappeto di influenze nord europee e non solo che vedon il progetto avvicinarsi a nomi ben piú noti del black piú contemporaneo e velenoso. Se a momenti i nostri ricordano la seconda incarnazione degli Ondskapt, non mancano passaggi che riportan alla mente anche le parti piú taglienti di Arkhon Infaustus, Hell Militia e compagnia d'oltralpe.
Con brani brevi ma intensi questi ragazzi si lanciano a testa bassa nella mischia senza timore di esser lasciati inosservati.
Sin dai primi momenti di "Distans" e tutto in un fiato sino alla conclusiva "Sorgens Skugga" i Gast costruiscono un lavoro degno di nota e che se pur non risulta "moderno", avvicinandosi a post o avanguardia black metal, si rifá alla maniera di intendere il genere che ha caratterizzato maggiormente i primi quindici anni del nuovo millennio, con passione e talento.
Il drumming violento, accompagnato da un riffing squisito ed arricchito da lead ispirate, un basso possente ed una voce evocativa son a grosse linee le caratteristiche di questo disco nero come la pece.
I brani si susseguono in maniera accattivante e "Mörkret Kallar" é cosí in grado di amaliare l'ascoltatore sin dal primissimo ascolto, grazie ad un mix e produzione che elaborano in maniera magistrale l'input compositivo della band.
Un disco che risulta quindi godibile al 200% e che da voce ad un gruppo che seguiró molto da vicino! Spero che i Gast riescan a tenere cosí alta la qualitá nei loro prissimi lavori!

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Opinione inserita da Rob M    11 Agosto, 2019
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Non conoscevo i Dekadent e devo essere sincero, son rimasto davvero colpito dalla proposta di questa band slovena. Il loro genere - Atmospheric Black Metal - porta la band parecchio vicina a ció che gli Arcana Coelestia han partorito con il loro ultimo capitolo "Nomas" eppure i nostri risultano a tratti piú monumentalli e meno atmosferici rispetto alla band italiana, dando una marcia in piú all'idea di atmosferico, post e avanguardia.
La produzione, molto piú piena e meno concentrata su troppi strati di sottofondo, risulta essere moderna eppure abbastanza retró nel suo raggiungere apici simili ai vecchi Textures. Il suono delle chitarre e della batteria - specialmente - risultano caldi e levigati, le voci godono di uno spettro di differenti registri che nel complesso rende il tutto vario e mai monotono, mentre le lead/solo che accompagnano l'intera opera risultano anch'essi un particolare importantissimo che rende il tutto avvincente.
Il disco "The Nemean Ordeal" risulta strutturato sulla base di brani che spaziano tra momenti doom di varie origini (da Void Of Silence a Type O Negative con "Wanax Eternal", giusto per citarne alcuni!), attimi black metal di sublime fattura, e novitá death moderna che strizzano un'occhio ai primi Gojira e, come giá detto, vecchi Textures.
Il tutto perfettamente congegnato offre un viaggio ed un'esperienza senza precedenti che é capace di trascinare l'ascoltatore in un caleidoscopico disco dalle mille luci ed innumerevoli colori.
I Dekadent cavalcano un gigante multiforme in cui tutto é possibile e tutto é sconvolgente.
Alla fine del primo ascolto viene voglia di dar ancora un colpo al tasto "Play" per riascoltare questo incredibile lavoro estremo e moderno, toccante e distruttivo.
I nostri son geniali nel riuscire a mischiare attimi di follia con attimi di pura estasi, come per esempio capita nel cambio tra "Levantine Betrayal" e la successiva e annichilente "Escaping The Flesh So Adamant", unico brano che si rifá completamente al lato black metal della proposta eppure in maniera intelligente e ben lontana dalle origini del genere.
La conclusiva titletrack "The Numean Ordeal (Death Of A Lion)" chiude il disco in maniera magistrale mettendo ancora una volta in mostra una band portentosa capace di unire richiami alla Nile, Cattle Decapitation e Morbid Angel nel suo calderone.
Kudos per la Dusktone che ultimamente non sbaglia un colpo ed ancora una volta porta al pubblico un'opera spettacolare! Un'altro album, per la label italiana, che fará parte della mia classifica dei best-of per questo 2019!

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Opinione inserita da Rob M    28 Luglio, 2019
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Dopo Avangarde Music, gli Old Forest son arrivati in casa Dusktone e con "Black Forests Of Eternal Doom" ecco un nuovo lavoro che trascina l'ascoltatore indietro nel tempo.
Palesi le influenze che riportano alla mente Arcturus, Borknagar e compagnia, per un disco che ha i suoi momenti di bellezza tra attimi che riportano, anche in questo caso, a tempi ormai dimenticati.
I nostri son capaci, grazie ad un songwriting di ottima fattura, di amalgamare momenti di puro black old school con frangenti che si dirigono su altri generi (vedi ad esempio i momenti dal sapore doom melodico del secondo brano "Wastelands Of Dejection" o di "Black Forests Of Eternal Doom"). La produzione, ultra pulita e potente, mette in mostra un approccio stilistico che gode di un sound perfetto per la proposta, rendendo il tutto compatto e squisitamente definito.
In questo contesto, i nostri, si muovon in maniera sublime tra reminiscenze dei Green Carnation, In The Woods e Queensryche, come nel caso della "ballad" dal titolo "Shroud Of My Dreams".
Ci si ritrova, repentinamente, scaraventati in un disco che ha molto di piú da offrire che un insieme di etichette che ne possan descrivere il contenuto. Gli Old Forest si trasformano in una band dalla maturitá artistica unica e che, se pur ancorata a certe influenze, riesce ad ergersi ben oltre i limiti che proprio queste influenze potrebbero rappresentare.
Nelle sue melodie, nei suoi mid-tempo, "Black Forests Of Eternal Doom" riesce a trovare il suo equilibrio e brani come "A Spell Upon Thee" racchiudono cosí, nel loro incedere monumentale, la bellezza di un'opera che risulta varia e poetica, cupa eppur magistrale.
Un lavoro, in conclusione, che ha bisogno di un certo stato d'animo per essere assorbito ed apprezzato nella sua totalitá e che, per chi cerca un certo livello di epicitá nel proprio black/pagan metal, non potrá che costituire un vero e proprio tesoro.
Questa é, ancora una volta, una grandissima produzione per Dusktone ed un lavoro imperdibile per chi, con una mente aperta, cerca atmosfere e approcci che vadan ben oltre le piú rosee aspettative.

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Opinione inserita da Rob M    28 Luglio, 2019
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Certe volte, guardando al genere, sempre che il black metal non si sia mai spostato da quell'approccio vecchio stampo che ha fortemente caratterizzato gli anni novanta.
Quando poi ci si ritrova ad ascoltare progetti che infatti provengono da quell'epoca e che, ancora oggi, portan avanti la purezza del genere, non si puó che apprezzare il salto indietro nel tempo che rende certe uscite ancora piú interessanti e emozionalmente profonde.
Indipendentemente dalla qualitá di registrazioni e composizioni, il tutto risulta essere una benedizione in un momento in cui tantissime persone han dimenticato l'aura sacrale che ammantava le origini del culto.
Nel caso di Myrholt, l'artista dietro il progetto, non é nuovo al genere ma anzi ha portato avanti diverse band a partire dai primissimi anni novanta e Myrholt sembra essere semplicemente l'ultima incarnazione di un'entitá ben piú antica.
"Nordland", un lavoro prodotto dalla Myrholt Design (etichetta portata avanti dal mastermind del progetto) nel 2018, rispecchia la volontá di non allontanarsi dalle origini del genere e nei suoi sette capitoli il concentrato black metal primordiale che si puó quasi toccare riesce a trasportare l'ascoltatore indietro di quasi trenta lunghi anni.
A cavallo tra classicismo norvegese e primi del 2000 in Francia, Myrholt risulta essere una vera e propria perla quando si parla di black metal old school.
Eppure, ci son dei momenti in cui i nostri hanno addirittura movimenti al limite del hip-hop nelle loro composizioni, come ad esempio la parte parlata di "Min Dolk, Ditt Beger Mast". Ora, questo é un aspetto che in tanti odieranno ma allo stesso tempo é qualcosa che anche i Manes han gia sperimentato. Quindi, dove inizia il modernismo e dove finisce il classicismo é un limite che ogni ascoltatore dovrá poner di suo.
Fortunatamente/sfortunatamente certi frangenti son limitati ad episodi ridotti ed il resto del disco si muove vertiginosamente verso le glorie del passato.
Si puó ascoltare cosí un po' di tutto, pensando ai classici del panorama nord europeo delle origini e Myrholt si sposta in maniera interessante tra momenti che emulano i nomi piú conosciuti del suo paese.
Un album che possa cambiare la vita? No, non credo. Eppure, in questo piccolo gioiellino, ci son dei momenti di pura estasi che non potranno che piacere a chi, ancora oggi, non riesce a scostarsi da un sound primitivo eppur atmosferico come quello dei bei vecchi tempi!
In attesa di un lavoro ancora migliore, consiglio Myrholt a chiunque abbia ancora passione per ció che fu, tanti anni fa, il culto black metal.

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Opinione inserita da Rob M    28 Luglio, 2019
Top 50 Opinionisti  -  

Negli ultimi anni la famosa Osmose Productions é tornata alla ribalta con alcune produzioni abbastanza interessanti e spesso a cavallo tra ció che l'etichetta aveva stampato "back in the days" e le nuove diramazioni black metal moderne che han contaminato il sound primordiale a cui la label é sempre stata fedele.
In questo contesto, arrivan i norvegesi Nordjevel, il cui secondo album é stato stampato a marzo quest'anno e che offron un violentissimo surrogato a cavallo tra la furia degli ultimi Marduk ed il groove di Khold ed ultimi Satyricon, ma con una marcia in piú che presenta soluzioni decisamente piú tecniche ed una rabbia unica!
Il tutto risulta annichilente e assassino, per un disco che sin da subito attacca l'ascoltatore con un assalto frontale capace di tirar giú i santi.
Violento eppur patinato, il prodotto in se risulta decisamente sopra la media ed il risultato finale é un disco che da voglia di essere ascoltato nuovamente e che, alla lunga, rappresenta uno dei lavori piú violenti che abbia avuto occasione di ascoltare quest'anno!
"Necrogenesis" é un macigno, una macchina da guerra, un lavoro moderno eppur classico che ha la capacitá di unire vecchio e nuovo in maniera intelligente e decisa.
La band é capace, durante questo capolavoro moderno, di unire parti ultraviolente e frangenti atmosferici accompagnati da un groove incredibile.
Ci troviamo cosí ad ascoltare capolavori come "Black Lights From The Void", vero e proprio pilastro di questo imperdibile lavoro, ed un'insieme di canzoni che davvero vanno ben oltre il classico approccio black violento ma senza ne arte ne parte.
Anche nei momenti piú leggeri, vedi ad esempio "Nazarene Necrophilia", i nostri son abili nel mantenere comunque alto quel senso ritmico che incalza e che porta ad un inevitabile head banging, forse l'unico aspetto che potrebbe portare l'ascoltatore medio ad odiare proprio quelle parti filo-black'n'roll che caratterizzano il sound del progetto.
Per il resto, questo disco, non ha nei o momenti che potrebbero far fare all'ascoltatore un passo indietro.
Un lavoro solido, che davvero ha tanto da offrire, per appassionati del black metal piú violento e per quelli che, ad ogni modo, amano un approccio comunque vecchio stampo al genere! In tutto e per tutto un'opera che merita e che andrebbe ascoltata non solo da chi ama il black metal ma anche da chi, in questi tempi, ama la musica estrema senza limiti di etichette e aggettivi.

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