Opinione scritta da Corrado Franceschini
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Top 10 opinionisti -
Fondati dal chitarrista Nik Capitini nel 2001 I toscani Wild Roads incidono nel 2010 il loro EP d’esordio. Nella prima metà del 2012 il quintetto giunge al suo primo full lenght intitolato “Flaming Road”. La maggior parte delle nove canzoni che compongono il CD mettono in luce una band bella carica in grado di dare una scossa alle vostre provate membra. Parecchie sono le cose da mettere in evidenza. Musicalmente parlando non c’è dubbio sul fatto che il gruppo fa palese riferimento ai Motley Crue; la voce altissima e un po’ “sguaiata” di Michael Cavallini confuta questo accostamento, ma in genere è tutto l’Hair Metal a primeggiare con una lieve punta di Guns N’ Roses sound. In seconda battuta i Wild Roads dimostrano di essere grandi amanti di un certo tipo di cinema dato che canzoni come “Rider Of The Sunset” e “Titty Twister Blues” prendono ispirazione rispettivamente dai films “Harley Davidson & Marlboro Man” e “Dal Tramonto aAll’Alba” per non parlare di “She Has Been Cheated” che, molto probabilmente, mutua il suo inizio parlato da un film appunto. Terza considerazione: i testi di “Riding On a Flaming Road” sembrano rifarsi ad un certo tipo di “machismo” con donne che escono da storie con le ossa rotte o che sono vittima di vendette, non pensate al peggio però. Per avere una idea di ciò che Wild Roads propongono vi basterà spingere il tasto play e ascoltare la apripista “Look At Me Burning” che calamiterà la vostra attenzione con il suo inizio scoppiettante e la sua fase Blues/Southern. Se cercate la “botta di energia” provate a sentire “Sick Soul” dove le chitarre di Giulio Antonelli e dello stesso Capitini danno una prova di forza. Proprio mentre sarete tentati di etichettare “Relive My Life” come la solita stra sentita ballad con un che di Gunners ecco che, ancora una volta, uno Street arrembante ed una chitarra scatenata cambiano le carte in tavola. Certo; non tutto il Cd brilla come una stella e, ad essere sinceri, proprio la voce acidula e stridula desta qualche perplessità così come la precisione di alcuni cambi lascia a desiderare ma, nel complesso, il Cd risulta godibile e degno di ascolto.
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L’Emilia Romagna continua instancabilmente a partorire band di ogni genere e questa volta tocca ai SuperBones salire agli onori della cronaca con il loro EP uscito ad inizio 2012. Nonostante questo sia il primo lavoro del gruppo e si “riduca” a soli sei pezzi vi posso garantire che almeno due dei componenti, cioè B.Low (voce e chitarra) e Maio (basso), sono in giro da metà anni ’90 ed hanno fatto parte di parecchie bands. I due, affiancati da Nick (batteria) e Cesar (chitarra), hanno scelto di mettere su promo le loro idee e lo hanno fatto in maniera abbastanza schietta e “spartana” puntando assai poco sull’immagine e in maniera un po’ più consistente sulla (auto) produzione. I sei brani sono di stili abbastanza vari ma è preponderante quello che si potrebbe chiamare il Punk moderno alla Blink 182/Greenday. Un inizio in riff schizzato da inizio all’ EP ed è subito “Wrong…Again!”. Il riff introduttivo, rubato a man bassa ai Sex Pistols, di “Anything You Want”, lascia il posto ad una song che scorre tra Punk classico e moderno con la comparsa di un “chitarrone” bello pesante. “That Day” mischia un po’ le carte in tavola tra echi Surf/Grunge on speed. “Cold Sand” ci porta in pieno trip Stoner e rimanda direttamente a Kyuss, Queen Of The Stone Age, Monster Magnet e chi più ne ha più ne metta. “Last Breath (For You)” è uno pseudo Punk n’ Roll che nella seconda fase da dito ad uno sfogo delle due chitarre. “I Shall Rise” è una cavalcata con cambi che è stata tenuta un po’ troppo lunga per i miei gusti. In sostanza le prime 4 tracce, se pure con un che di “commerciale” e/o già sentito, colpiscono il bersaglio in modo immediato mentre le ultime due lasciano un poco a desiderare. Per ciò che riguarda i “difetti” avrei tenuto più alta la voce, anche se capisco i “timori” di B.Low che si è cimentato al canto per la prima volta, ed avrei tenuto più “controllata” la batteria che non sempre risulta a tempo. Un esordio che mostra buone possibilità di miglioramento usufruendo di una produzione adeguata ma che, indubbiamente, è da promuovere.
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La cantante polacca Dorata Malek risiede in Austria sin da quando era piccolissima ed è li che nel ‘99, a 14 anni, muove i primi passi nel mondo della musica. Dal 2003 al 2006 troviamo Dorata nella band Alice mentre nel 2007 inizia la sua carriera da solista. Dopo un singolo ed un E.P. a 3 tracce del 2010 a Marzo 2012 è uscito il CD “Dayphobia” inciso per la Noise Head Records. La voce di Dorata ha un timbro molto giovane e “acerbo”, se così si può definire, e le 8 canzoni per un totale di 30’41” ricalcano uno schema già sentito anche se questa è oramai una consuetudine in tutti i generi. Indovinate un po’? Siamo di fronte a dei pezzi semplici che vorrebbero fare il verso ai “soliti” Lacuna Coil, Evanescence e, vista una certa leggerezza delle tracce, Avril Lavigne. Niente di male in tutto ciò visto che ognuno può scegliere la musica che vuole proporre. Resta il fatto che la voce, per darle più risalto, è stata tenuta più alta rispetto agli strumenti e così facendo certe parti che dovrebbero emergere, quelle delle tastiere in primis, risultano sommerse. Che questi files su MP3 contengano qualche altra piccola carenza è chiaro ma, in fondo, poco importa a chi fruisce la musica per semplice svago. Tra le canzoni degne di nota segnalo “Dead Bird” che è dura e dolce nello stesso tempo e “Mirror” dove, finalmente, la chitarra “trova” il modo di rendersi riconoscibile e risalta al punto giusto. I più accorti fra voi noteranno la presenza dello spettro di un Alice Cooper, quello meno ispirato, nella traccia che da il titolo al CD, ovvero “Dayphobia”. Difficile prevedere che tipo di pubblico potrà acquistare questo lavoro che risulta troppo leggero per gli amanti del Goth/Dark e troppo contaminato per gli amanti dell’ Hard. Probabilmente lo potrebbero apprezzare le nuove generazioni “usa e getta” ma, per lasciare una traccia indelebile, Dorata Malek deve impegnarsi ancora parecchio.
Ultimo aggiornamento: 02 Giugno, 2012
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Pontus Snibb è stato voce e chitarra nei gruppi Bonafide e Snibb e nel febbraio 2012 ha lanciato quello che è il terzo capitolo della sua discografia solista. Per “Loud Feathers” Snibb ha chiamato con se Mats Rydstrom (Bs) e Niclas Matson, batterista già dei Bonafide, ed ha approntato 11 tracce registrate in meno di una settimana al Gig Studio di Stoccolma. Voglio soffermarmi un momento proprio su questo aspetto: se in questo modo la band ha deciso e voluto recuperare una certa “immediatezza” del suono usando pochissimo tempo per finire il lavoro, con la batteria ciò si è rivelato parzialmente controproducente e vi spiego il perché. Il drumming di Matson poteva essere “rifinito” meglio e comunque, in questo modo, sembra che il batterista risulti scoordinato in più di una canzone. Anche il timbro di voce di Snibb non riesce ad arrivare sempre dove dovrebbe, ma questo è un fatto un po’ più trascurabile; per il resto il Cd va bene così come è. Si possono fare diverse considerazioni su “Loud Feathers”. La prima, che è anche la più evidente, è che il gruppo ha messo i piedi sulle orme lasciate dai Led Zeppelin ed in esse ci si trova a meraviglia come dimostra la iniziale “Tag Along”. Seconda considerazione: L’hard dei seventies di bands come i Free si unisce al sound Boogie Rock n’ Roll dei primi AC/DC come in “Mental Breakdown” e “Filler”. Da ultimo i Pontus Snibb sconfinano in altri territori come quello del Rock sudista e la parte di chitarra di “Love Letter” è li a dimostrarlo visto che è fatta apposta per infiammare le platee dedite al repertorio caro ai Lynyrd kynyrd. Non mancano poi incursioni nello Sleazy/Hard come potete ascoltare su “Suck Face”, una delle tracce migliori. In sostanza “Loud Feathers” non è un brutto disco visto che mescola una non eccessiva rozzezza di fondo con suoni “antichi” e, per fortuna del gruppo, non esistono molte bands coetanee che si rifanno a tale stile.
Ultimo aggiornamento: 30 Mag, 2012
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La quasi totalità di voi lettori ignora il fatto che alcuni anni fa ho seguito una band di amici, i Crollo Verticale, in cinquanta concerti tenuti in birrerie, feste, e motoraduni. Ora vi chiederete: “E questo cosa c’entra con il DVD dei Rain intitolato “Come Back Alive”?" Vi rispondo che c’entra eccome visto che la prima parte del supporto è dedicata al tour americano del 2010 e, guardandola, mi è venuta una grande nostalgia. Nostalgia per un viaggio molte volte estenuante e al limite della stanchezza. Per lo scaricare casse e strumenti e montare la batteria; per assistere a mezz’ora di “tum tum” della stessa sessione di prove, per mangiare e bere con il gruppo sempre e rigorosamente dopo il soundchek tutti assieme. Nostalgia anche per le piccole e grandi difficoltà che un tour porta con se e la gioia di vedere la “tua” band finire la serata con la consapevolezza di avere dato il meglio di se. Non sono mai stato un roadie a tempo pieno, ci mancherebbe, ma questa vita un po’ mi manca. I primi 57’14” del DVD sono dedicati a tutte queste cose e mi è piaciuto il fatto di vedere i Rain (che, ricordatelo, hanno più di 30 anni di storia alle spalle) scaricare da soli il proprio equipaggiamento o mangiare in qualche Rock pub alla buona addentando un hamburger. Tra le cose più interessanti, e anche divertenti, il vedere i Rain tra monti e ferrovie per poi ritrovarli “impantanati” con il pulmino e montare successivamente una scena con la musica e lo stile del comico Benny Hill. Naturalmente ci sono anche piccoli estratti musicali di canzoni come “Rain Are Us”, “Only For The Rain Crew”, “Rain”, “Highway To Hell” e altre. Ci sono anche due brevi spezzoni di show degli WASP e altre scene più o meno interessanti di vita “on the road”. Per ciò che riguarda la seconda parte di “Come Back Alive” i 46’40” che la compongono sono più “tradizionali” visto che viene riproposto il concerto che i nostri tennero a Russi di Ravenna il primo Maggio 2010 a supporto dei Quireboys. In una performance non epocale, ma sincera; i Rain suonarono per terz’ultimi a pomeriggio inoltrato, vennero riproposti 10 brani che gli amici del gruppo conoscono molto bene e, tra di essi, oltre a quelli che ho citato nella prima fase della recensione e che qui sono naturalmente in versione integrale, mi piace ricordare la Priestiana “Dad Is Dead”. Come ho detto fu una prestazione onesta che, in questa versione su DVD, appare supportata da un buon audio (non me lo ricordavo così) ed una buona qualità delle immagini. I Rain non sono i Metallica, gli Iron Maiden o i Kiss e, molto probabilmente, non ci terrebbero ad esserlo, per cui quello che vi dovete aspettare è la schiettezza delle immagini e delle parole. La terza parte del DVD è dedicata come di consueto ai contenuti speciali; ovvero photo gallery e credits. Io una domanda ve la pongo: “ E se decideste di supportare il metallo italiano acquistando il DVD dei Rain?” Mi illudo pensando che la vostra risposta sia positiva?!
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La storia dei Bonfire ha origini molto lontane nel tempo. Anno 1972 i tedeschi Cacumen fanno la loro comparsa nel mondo musicale suonando metal tradizionale. Nel 1986 il nome viene mutato nel più indicativo e riconoscibile Bonfire e la musica subisce alcuni cambiamenti. 25 maggio 2012 la premiata ditta Lessman (voce) – Ziller (chitarra), insieme dal periodo dei citati Cacumen, torna con questo E.P. digi a supporto di PETA; organizzazione che si batte contro i maltrattamenti agli animali. In poche parole un euro del prezzo del mini verrà donato a questa associazione e per attuare questo mprogetto i Bonfire hanno deciso di “riesumare” e ri registrare “Cry For Help”; canzone contenuta nel L.P. “Double x” del 2006 con un testo adatto al tema affrontato. La traccia viene presentata in 3 versioni che differiscono tra loro per il modo in cui vengono proposte. La prima versione ha un forte sapore di Hard americano con un fievole sentore di Guns n’ Roses dato dal suono della chitarra. La seconda versione, la mia preferita, ricorda le sonorità di bands come i Boston, quelli di “More Than A Feeling”. La terza proposta, totalmente acustica e prolungata , a mio avviso poteva anche essere tralasciata per quanto poco coinvolge. Per arricchire il digi, questa la confezione in mio possesso, i Bonfire hanno aggiunto “You Make Me feel”. Il pezzo è fortemente debitore nei confronti degli Scorpions di “Always Summer” e visto che è presentato in una versione live registrata nel 2011 al Masters Of Rock di Vizovice, repubblica ceca, è adattissimo per fare tirare fuori gli accendini al pubblico e farlo “dondolare” a ritmo tutto assieme. Come quinta traccia troviamo “I Need You” in una versione da studio definita come “privata” ma, in pratica, si tratta di una semplice ballad con chitarra, piano, e voce. A chiudere il tutto c’è una versione di “Just Follow The Rainbow” tratta dallo stesso show a Vizovice che lascia il segno nel nome dell’ Hard Rock caro ai Bon Jovy più ispirati. I Bonfire hanno ottenuto una certa notorietà in Italia con i primi 3 L.P.’s dal 1983 al 1989 e poi sono caduti un po’ nel dimenticatoio pur proseguendo la loro carriera. Credo che questo mini non aumenterà di molto la loro popolarità nei nostri lidi ma, se volete fare una buona azione e usufruire di 25 minuti di (Hard) Rock, a voi la scelta!
Nota: il sito ufficiale dei Bonfire è curatissimo ed è uno dei migliori che abbia mai visto. Come se non bastasse, per i più maniaci dei giochi, ce n’è uno da fare on line; in fondo una visita “di cortesia” non costa niente.
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I tedeschi Dead Remains mi hanno piacevolmente sorpreso inviandomi il C.D. “Conscious Cremation” con acclusa una mini biografia in italiano. Quando ho scritto per ringraziare e chiedere spiegazioni mi è stato risposto che lo hanno fatto, e lo fanno, per rispetto verso i loro fans e recensori italiani. In poche parole, care le mie bands a cui tutto è dovuto, compreso lo scartabellare su siti e blogs alla ricerca di informazioni, prendete nota e imparate. Se non dovessero bastare nome del gruppo e titolo del lavoro per capire che genere fanno i nostri vi dico che hanno condiviso il palco con nomi come Primordial, Master, Pungent Stench etc. Ancora non si è accesa nessuna luce nella vostra zucca? Credo allora che i nomi degli strumenti etichettati come sadistic string massacre, verbal ear abuse, chainsaw, apocalyptic 5 stringer e detonations vi daranno la soluzione definitiva. Dead Remains suonano Death Metal e dopo un mini ed un primo C.D. completo, nel 2011 fanno uscire “Conscious Cremation” contenente sette tracce originali più la cover di “Revenge Of The Zombie” dei Six Feet Under. Il Death Metal ha delle regole ben precise e i Dead Remains le rispettano in pieno a cominciare dalla voce in growl di Thomas per poi continuare con la quasi totale assenza dei soli delle chitarre di Machine e Mille che comunque si fanno sentire e svolgono un enorme lavoro.Naturalmente anche i testi seguono il “trend” e sono a tema. Non venitemi a dire che per suonare questo genere non ci vuole tecnica; i Dead Remains la hanno e la mettono in campo passando da tempi iper veloci a cadenze mortifere in un batter d’occhio e con precisione. Ho cercato un brano che meglio degli altri potesse darvi una idea del valore di “Conscious Cremation” ma sin dalla seconda traccia della durata di tre minuti, ovvero “Hiding Under Corpses”, ve ne potete accorgere da soli; la si potrebbe considerare come la punta dell’iceberg. Se cercate qualche indicazione in più vi lascio un paio di titoli: “Throught Fire And Dust” non vi lascerà un solo attimo di respiro per quanto e come sarete impegnati a rincorrere tutti i suoi stacchi. “Awoken In Flames” è apprezzabile perché cerca, e ci riesce, di allontanarsi dai clichè del genere andando a trovare punti in comune con il Thrash anche se la voce non tradisce le sue “origini”. Se devo per forza trovare un difetto a “Conscious Cremation” posso obbiettare che la voce è un po’ troppo in evidenza rispetto al resto degli strumenti ma, mai come in questo caso, a chi ascolta Death Metal dico: “buy or die”.
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Da appassionato di comics americani quale sono ho accolto con entusiasmo l’occasione di occuparmi di questo progetto/gruppo messo in piedi dalla cantante Emily Lazar. Il perché è presto detto: la storia completa che fa da tratto d’unione nel C.D. “Melacholia” è nata 3 anni fa dalle menti della stessa Lazar e di Marc Silvestri della Top Cow Comics e vedrà nell’immediato futuro una realizzazione grafica in forma di fumetto a cura proprio della casa editrice americana. Non è un caso se questo racconto, presentato in forma live prima di un concerto di Marilyn Manson, ha attirato al momento l’interesse di siti e webzines più avvezzi al Gothic visto che il concept si situa tra la cultura Dark – Fantasy e narra come una ragazza di nome September usa cuore e spirito per cercare di modificare il fato agendo sugli esseri umani impossessandosi di loro. Tanta ambizione e alcune buone intuizioni si avvalgono della splendida ed eterea voce di Emily Lazar che, all’occorrenza, diventa di volta in volta aggressiva e/o “ringhiosa”. Purtroppo i September Mourning mostrano presto la corda e ciò avviene per diversi fattori. In primo luogo il gruppo ha deciso di auto prodursi e questo, per un genere che va a toccare le “corde” di bands come Lacuna Coil, Evanescence e Nightwish, ma come detto è presente anche il Goth puro, diventa controproducente. In secondo luogo mixaggio e registrazione hanno teso a valorizzare al massimo la voce per relegare gli strumenti in genere e le tastiere in particolare, ad un ruolo di secondo piano. Terzo luogo le canzoni mostrano poca fantasia ed uno schema compositivo abbastanza piatto; attenzione: ho detto schema compositivo e non che sia facile suonare questo genere di musica. Non imputo poi alla band il fatto che mi è toccato ascoltare i files in ordine diverso dalla track list; ho dovuto guardare il libretto per scoprire quello esatto, una cosa che, dove c’è una storia da seguire, non aiuta per niente. Non voglio bocciare questo C.D. visto che le atmosfere tristi e malinconiche sono bene rappresentate anche se nel collegarle con le fasi più Hard mancano alcuni accorgimenti di base. Tra le cose positive metto i ritornelli orecchiabili al punto giusto ed alcuni cori ben eseguiti assieme alla già citata voce di Emily che, a questo punto, dovrebbe trovarsi una band all’altezza e non sforzare troppo quando vuol fare la cattiva provocando invece un effetto “fastidioso” (ma forse ciò è voluto). Per una volta mi limito a segnalarvi una sola traccia, cioè la iniziale “Go For The Throath”, che vi acchiapperà, vi sbatacchierà ben bene, e vi lascerà esanimi sul pavimento. Hard, Power, Goth, da qualsiasi parte lo si guardi/ascolti “Melancholia”poteva e doveva essere arrangiato meglio.
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