Opinione scritta da Corrado Franceschini
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Ultimo aggiornamento: 06 Luglio, 2024
Top 10 opinionisti -
Nel 2022 i lombardi Di’aul avevano asfaltato la strada del Doom con un disco, “Abracamacabra”, che mi aveva convinto a pieno, tanto da meritare come voto 4 su 5. A due anni di distanza il quartetto torna con “EP II”. Il disco contiene due canzoni che fungono da antipasto al nuovo “EvAAvE” che vedrà la luce alla fine dell’anno, e che rappresenterà un viaggio attorno alla figura femminile - non il genere - con le sue implicazioni nella società. Cielo plumbeo, un rullo schiaccia sassi, cadenze rallentate e a tratti mortifere. Queste le immagini e le sensazioni evocate dai due pezzi. “Azazel” è oscura, un monolito caratterizzato musicalmente da un’andatura trascinata e da un solo di chitarra punteggiato nelle note. “Golgotha” è un Doom dai suoni saturi e compressi, inframmezzato da scoppi violenti ma mai veloci. Il solo di chitarra è appena tratteggiato. Se siete contrari ad ogni tipo di evoluzione in campo musicale e il vostro cuore batte al ritmo dei Black Sabbath, dei Candlemass o di band simili, fate vostro questo EP. Io aspetterò con curiosità il nuovo lavoro che, per la maggior parte, avrà testi che si ispireranno a scritti di poetesse come Sylvia Plath, Amelia Rosselli e Virginia Woolf, sperando che possa avere una minore staticità nei ritmi e qualche idea in più.
Ultimo aggiornamento: 28 Giugno, 2024
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Nel 1982 il sottoscritto aveva diciannove anni e, sull’onda di una recensione letta nel mensile Rockerilla del febbraio dello stesso anno, decise di acquistare il vinile degli Anvil dal titolo “Hard ‘n’ Heavy”. Da allora il gruppo canadese mi ha accompagnato in tutte le fasi della mia vita e non mi ha mai realmente deluso. Almeno fino ad oggi. Che il vento fosse cambiato lo avevo intuito ascoltando il primo singolo del ventesimo album da studio “One and Only” dal titolo “Feed Your Fantasy”. Un ritornello ripetuto fino allo sfinimento con un solo dove sembrava che il leader Steve “Lips” Kudlow “tentennasse” sulle corde. Mi sono detto: “Vedrai che il nuovo album spazzerà via questa delusione e ritroverai il terzetto in piena forma”. Vediamo i lati positivi del disco: un suono veramente potente e cristallino, non artefatto, che sprigiona energia. La batteria di Robb Rainer è come al solito roboante e terremotante e il basso di Chris Robertson, elemento in formazione dal 2016, rotola come un sasso che scende dalla montagna. Tutto bene quindi? Direi di no! La produzione e il mix dei brani, ascoltati in cuffia, non sono azzeccati. Suono pieno si ma, a larghi tratti, confuso in intrecci che spezzano il pathos aumentando il senso di "intasamento". Come se non bastasse la creatività del gruppo, almeno a livello musicale, è veramente molto scarsa tanto che vengono pescati richiami e riff da altre band e con un’operazione di copia/incolla, viene creato un nuovo brano. Di esempi ne avrei a bizzeffe. “Heartbroken” è stata clonata da una canzone del repertorio dei Black Sabbath: era Dio o Ozzy scegliete voi, e poco importa se il classico solo “a strappi” di Lips ci mette del suo per caratterizzarla. Che il terzetto abbia in mente il metodo di composizione dei Deep Purple è palese, basta ascoltare il solo di “Gold and Diamonds” o la grintosa “Run Away” che, se pur a velocità aumentata rispetto al gruppo di Blackmore, sembra uscita da un vecchio album dei cinque britannici. Chi non riconosce nello incipit di “Condemned Liberty” il “plagio” effettuato ai danni dei Metallica non merita neanche di essere chiamato appassionato di Metal. Non si può dire poi esperto degli Anvil, chi non associa il riff rallentato assai simile a quello di “March of the Crabs” inserito in “World of Fools”. Per chi ama i Motorhead segnalo la battente “Dead Man Shoes”. Una canzone che per aggressività e vigore potrebbe soddisfarvi, al netto dei difetti di produzione, è la conclusiva “Blind Rage” che con la sua corsa a perdifiato e i suoi riff alternati, lascia comunque un buon ricordo. Sono sicuro che leggerete un sacco di recensioni positive su questo album, ma a mio avviso da dei professionisti onesti come sono sempre stati gli Anvil, è lecito aspettarsi di più, soprattutto a livello compositivo.
Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 2024
Top 10 opinionisti -
La prima formazione degli Angels of Babylon, anno 2008, può essere considerata alla stregua di un supergruppo, o quasi. Da allora ad oggi molto è cambiato ma il batterista Kenny Rhino Earl (ex-Manowar, Holy Hell e molti altri) non ha perso la sua passione e il suo possente drumming. Il terzo album degli Angels of Babylon, “Aquarius”, mi ha soddisfatto in pieno e vi preannuncio sin da ora, che lo troverete al primo posto della mia classifica di fine anno (magari a pari merito con un altro N.d.A.). In questo terzo lavoro ci sono otto pezzi dalla produzione impeccabile e sono ognuno diverso dall’altro. Niente noia, grande energia, ma anche tratti melodici suggellati da tastiere mai invadenti. Questo, in estrema sintesi, il quadro generale dell’album. Si inizia con il Metal roccioso dai riff di chitarra poco geometrici dell’eponima “Aquarius”. Scoppio del ritmo che vira all’Heavy e solo scatenato lasciano il segno. “Stormzone” possiede una struttura varia e un ottimo assemblaggio dei ritmi, che non risultano mai “addormentati” né noiosi. “I Rule the World” sfrutta i solchi tracciati dal genere epico - cadenzato e permette alle chitarre di Alex Stephens e Kevin Burns di venire alla luce in tutta la loro perizia e conoscenza, oppure di “tramare” in sottofondo. “When the Spirits Fly Away” è un concentrato di tranquillità, e melodia apportata dalle tastiere. La voce di Rhino prende quota su delle note che, in certi passaggi, mi hanno ricordato una vecchia canzone di Mike Oldfield, “Guilty” del 1979, il cui video fungeva da sigla di una trasmissione Tv italiana (credo fosse Pop, Rock and Soul). “I Believe in You” è un Heavy battente e aggressivo, supportato da un solo di chitarra violento. “Zachery” è aperta da una fase prolungata di tastiere semi cupe e poi, dopo novanta secondi, sfocia in un ritmo in cadenza classica che sembra uscire direttamente da un album di Ronnie James Dio. Il risultato finale, grazie anche ad un coro insistente, è eccellente. “Into the Darkness” alterna strappi che passano dalla cadenza al suono pesante e veemente, sino ad arrivare a dei break epici. “Fallen Ones” è forgiata su un Power/Speed che verrà apprezzato dagli amanti degli Helloween, suffragata come è dal ritmo impresso dalle chitarre. Per una volta mi sbilancio e dico: “Acquisto obbligatorio”! Buon ascolto.
Ultimo aggiornamento: 12 Giugno, 2024
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Controllando per scrupolo l’anno di nascita degli austriaci Speed Limit ho visto che alcuni siti lo datano come 1979. Siccome la biografia dice che il 2024 è il quarantesimo anno di attività della band, prendiamo per buona questa asserzione. Quel che è certo è che il gruppo è rimasto in attività dal 1984 al 1994, ha subito uno stop e poi, grazie al bassista Chris Pawlak, ha ripreso l’attività fino ad arrivare ai giorni nostri mantenendo una formazione abbastanza stabile. Il mini a sei pezzi “New Horizon” è uscito a seguito del sesto disco della band intitolato “Cut a Long Story Short” (2023) e presenta tre versioni della canzone “New Horizon” (normale, radio edit e live), i brani dal vivo “Lady” e “Dead Eyes” (gli originali li trovate sull’EP “Prophecy” del 1988), e “Eye On You”, sempre in versione dal vivo, tratta dall’ultimo album. Detto che la produzione dei brani in studio è impeccabile e ben si adatta al suono Hard N’ Heavy melodico del quartetto, aggiungo che nella musica si ritrovano parecchi richiami al Metal degli anni '80 che potrebbero persino riportare all’epoca del Glam mischiato al Beat, vedi il break centrale della title-track. “Eye on You” segue la scia dell’Hard Rock a stelle e strisce e, tornando al discorso dei suoni, possiede un basso che gira a mille e una batteria bella tosta. I due brani registrati a Seeham (“Lady” e “Dead Eyes”) ci rimandano ad un gruppo coeso che, però, inanella qualche imprecisione: non è cosa da professionisti del genere. Quello che funziona sono i refrain incisivi e i crescendo che portano ad un Heavy mai esasperato. La versione di “New Horizon” registrata dal vivo a Salisburgo rende bene sia nel versante della produzione che in quello dell’esecuzione. Questo EP è anche legato ad un concetto di video ma, se fossi in voi, andrei a recuperare la discografia pregressa degli Speed Limit. “New Horizon” va bene se volete avere un’idea parziale del suono degli austriaci, altrimenti lasciatelo ai fans e completisti della band: lo apprezzeranno a pieno.
Ultimo aggiornamento: 27 Mag, 2024
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Appena ho letto il nome dei Satarial fra quelli delle band da recensire, la mia mente è tornata indietro nel tempo. Era il 1999 quando la piccola e agguerrita etichetta italiana Beyond Productions di Giovanni Indorato, prese a cuore la causa del gruppo russo dei Satarial e pubblicò “The Queen of the Elves’ Land”. Quel disco e il successivo “Heidenalarm” del 2001, circolarono parecchio e ricevettero numerose recensioni dalle fanzine e dai giornali Metal dell’epoca. Dopo di ciò, almeno per quanto mi riguarda, non ho sentito più nominare i Satarial anche se la band, a fasi alterne, ha continuato a far uscire dischi. Lord Seth e sua moglie Angel Bust (oggi si fa chiamare Angelika N.d.A.) nel 2021 si sono trasferiti in Polonia e con una line up che è stabile dal 2014, nel 2024 hanno sfornato l’EP “Dance of Steel: Invocation of Dragon”. Tre brani, due dei quali sono versioni diverse dello stesso titolo, non sono molti per dare un giudizio. Dovete però tenere conto del fatto che durano più di otto minuti ciascuno e che, quindi, offrono un buon spaccato del mondo al quale appartengono i Satarial. Paganesimo, invocazioni sciamaniche, ipnotismo, Wicca e altro ancora: questi sono gli ambienti nei quali si muove il quartetto. Anche se come me non siete super esperti di generi e tematiche storiche, mistiche o occulte, non faticherete a riconoscere nel primo brano “Dance of Steel: Invocation of Dragon” richiami allo sciamanesimo fondati su un canto che, come un mantra, si interseca con una musica Folk fatta di strumenti attinenti al genere. Le voci maschile (più arcigna) e femminile (più dolce e ispirante la semi trance) si alternano su ritmi che crescono e calano fino alla conclusione di quello che è un rituale. Il secondo brano dal titolo “Veles” provoca sensazioni differenti e contrastanti. Si passa dall’ossessivo ai cambi con voci femminili e flauto. Si va dal Folk da ballare in un castello, al sapore orientale, per poi proseguire con un ritmo veloce e flauti a profusione. Se questa partitura fosse messa nelle mani di un’orchestra di musica classica, ne verrebbe fuori un capolavoro. Anche in questo caso sono presenti strumenti della tradizione Folk, alternanza fra voce maschile, voce femminile e cori. Il terzo e ultimo brano è l’altra versione di “Veles” dove mi pare di poter dire che è stato dato maggior spazio alla voce arcigna maschile, mentre la musica ha un ritmo che possiede maggior durezza. Se questo EP avesse avuto miglior sorte in fase di mix e mastering, avrebbe guadagnato mezzo punto in più. Resta il fatto che, se siete appassionati dei generi che ho descritto con le mie parole, “Dance of Steel: Invocation of Dragon” fa al caso vostro.
Ultimo aggiornamento: 19 Mag, 2024
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Molto spesso, dai paesi del Sudamerica, arrivano a noi gruppi blasfemi o posseduti dal demone della velocità. Non è il caso dei peruviani Natthammer o, almeno, non del tutto. I Natthammer sono stati formati da Fàtima Natthammer (vero cognome Del Carmen) nel 2018. Fàtima ha iniziato la sua carriera di cantante e compositrice nel 2007 con la band dei Mandràgora e, da allora, non si è più fermata. La discografia del gruppo andino, dopo un primo album eponimo datato 2020, si arricchisce con il disco “The Hammer of the Witch”, concepito in piena ondata pandemica e, per questo, uscito in ritardo. Se Fàtima mostra con orgoglio il tatuaggio che ha di Doro, possiamo già capire quali sono le basi da cui attingono i Natthammer. La ragazza è dotata di una buona capacità compositiva e i suoi brani non sono mai piatti e inerti. L’iniziale “Don’t Burn the Witch”, ad esempio, vede l’alternarsi di quattro fasi che hanno come collante un ritornello semi oscuro, evocativo e quasi ossessivo. “Steel Warrior” è puro e classico Heavy Metal, ben strutturato il solo di chitarra. “Evil Nightmare” inizia con un omaggio (forse meglio dire un plagio? N.d.A.) a “The Hellion” dei Judas Priest, per poi alternare fasi “tupa tupa” a cadenze. La voce e la pronuncia inglese non sono eccezionali, ma un punto in più lo fa guadagnare la chitarra che segue le orme tracciate da Vivian Campbell (Dio). “Guardian of Light” ha un ritornello che riporta alla mente immantinente gli Helloween. I ritmi sono vari e, di nuovo, ben amalgamati fra loro. “The Traitor With Lizard Eyes” fa il verso ad Iron Maiden e Running Wild, con tanto di cavalcate e fasi epiche. “Queen of Acid Skies” miscela Heavy Metal, cambi “a strappo” e un ritornello energico: l’insieme è altamente godibile. La “devozione” per Doro è racchiusa in pieno nelle fasi lente della conclusiva “Visionary”. Anche in questo caso le sorprese non mancano e sono rappresentate da una partenza in crescendo che sfocia in un ritmo stile Helloween; persistente fino a quando il gruppo non torna sui suoi passi. I punti a favore dei Natthammer sono parecchi, vista la passione e dedizione di Fàtima, che nel frattempo ha formato anche il duo Natt & Wolf - pronto già il singolo “Motor, Cuero y Metal” -, il mio consiglio è di dar loro un’opportunità.
Nota: e’ disponibile un vinile 12" in edizione limitata a 300 copie, uscito in Europa per Ultraviolencia Label & Distro.
Ultimo aggiornamento: 07 Mag, 2024
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E’ difficile che dalla No Remorse Records - parlo dell’etichetta, non del negozio online - possa uscire una band dal successo planetario. A cercare a fondo però, qualcosa di interessante si trova. I Show N Tell da Phoenix, Arizona, si sono formati nel 2019 per volere del chitarrista/cantante David “Dave” Rodriguez e a gennaio 2024 hanno rilasciato l’album di debutto dal titolo “The Ritual Has Begun”. Come manifesto d’amore e di intenti, si può prendere come esempio la quinta traccia del disco che ha un titolo alquanto esplicativo: “Heavy Metal”. Scommetto che, dal vivo, diventerà il viatico per far cantare il pubblico a squarciagola. Oltre alla spiccata predilezione per gli Iron Maiden, cosa questa dimostrata dal lavoro delle chitarre del tandem Rodriguez/Dobbs e dalla cavalcata, presenti in “The Second Death”, Dave e soci hanno anche altri punti di riferimento. Lo Speed Metal dei Metallica dell’epoca “Metal Militia” è riconoscibile in “Run to the Light”, mentre l’influenza di band come Judas Priest e Dokken, si palesa in “Night Stalker”. Le rimanenti canzoni si prestano a molti altri esempi. La voce di Rodriguez si mantiene quasi sempre sui toni alti, condizione che ben si adatta ai vari ritmi e generi. In alcuni casi, però, la stessa soffre per un mix e mastering che la relegano in secondo piano rispetto agli altri strumenti: basta ascoltare l’eponima “The Ritual Has Begun” per rendersene conto. Un titolo come “All Alone tonight”, porta a pensare al fatto che ascolteremo una ballad e invece non è così: il gruppo si produce in un pezzo che non è esagitato, ma che soffre di qualche errore tecnico e di produzione. Cosa consiglierei ai Show N Tell? Di smarcarsi da certi riff che gli ascoltatori più attempati hanno ben stampati in mente perché li hanno ascoltati, oltre che dalle band che ho citato, da gente come Grim Reaper, Death Angel e molti altri. Consiglio inoltre di variare in maggior misura le scale dei soli di chitarra che, a lungo andare e nelle fasi veloci/velocissime, finiscono per assomigliarsi. Chi sogna di tornare nei ruggenti anni ’80/’90 può acquistare quest’album a occhi chiusi. Chi invece cerca nuovi stimoli e nuove idee, giri l’angolo e guardi altrove.
Ultimo aggiornamento: 30 Aprile, 2024
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Nel mondo del Metal ci sono personaggi universalmente noti mentre altri, pur possedendo la stessa tenacia e passione, sono meno iconici. Robb Weir, chitarrista dei Tygers Of Pan Tang e unico membro originale rimasto nella formazione, fa parte della seconda tipologia. Chi è rimasto fedele al vinile sarà contento di sapere che nella versione doppio LP di “Live Blood” sono contenuti 19 brani, tre in più di quella in CD singolo. La performance dal vivo, registrata in Galles alla Patriot Venue, mostra una formazione dall’alto livello professionale e strumentale. E’ presente qualche piccola sbavatura ma, in un’epoca di esasperati ritocchi tecnologici, rimarca la veridicità di uno show ad alto potenziale energetico. La scaletta, mutuata dai primi quattro dischi e dagli ultimi quattro, rappresenta un buon spaccato di una carriera iniziata nel 1978. La veemenza giovanile è rappresentata dalla terremotante “Gangland”, una scheggia impazzita che, nonostante una seconda fase un po’ confusa, graffia come non mai. Se non conoscete il gruppo e vi chiedete quale sia la scia che segue, ascoltate “Edge of the World”: penserete che, con qualche piccola modifica, potrebbe essere uscita da un album degli Iron Maiden o di Dio. Il quintetto non è solo ligio alla NWOBHM, ma con “Back for Good”, ci delizia con un Heavy Metal roccioso affiancato ad un Rock di matrice Street/Hard. Ottime le interazioni delle chitarre di Weir e Francesco Marras e la voce di Jack Meille: il tutto forma un connubio perfetto. La melodia e il ritornello ruffiano di “Paris by Air” consentono al gruppo di tirare un poco il fiato. Ho citato Iron Maiden e Dio, ma c’è anche un altro punto di riferimento ed è palese: i Judas Priest - la doppietta formata da “Fire on the Horizon” e “A New Heartbeat” lo dimostra ampiamente -. Al diciottesimo posto della scaletta troviamo la cover di “Love Portion No. 9”. Andate a recuperare la versione pacata e Soul dei Clovers (1959) o quella Beat portata al successo dai The Searchers nel 1964, in questo modo potrete apprezzare meglio il trattamento “di tempra” effettuato dalle tigri. Ho vissuto l’epopea della NWOBHM ed ho recensito gli ultimi lavori dei Tygers of Pan Tang: vi posso dire con certezza, che questo live album merita tutta la vostra attenzione.
Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 2024
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Guardando la copertina disegnata da Daniel Andersson per l’esordio su lunga distanza dei londinesi Coltre, ho pensato che fosse perfetta per un disco di Progressive Rock degli anni '70, di gruppi come Beggars Opera e simili. Guardando il logo invece, mi sono tornati alla mente i Picture, combo olandese che nel 1983 rilasciò il capolavoro “Eternal Dark”. In realtà in “To Watch with Hands… To Touch with Eyes” non ci sono tracce di Rock Progessivo o “barocco”, però ve ne sono del Rock fine anni ’70 inizio anni ’80 assieme ai dettami di certa NWOBHM. Il quartetto formato da Daniel Sweed (chitarre), Marco Stamigna (chitarre e voce), Max Graves (basso) e Edoardo Mariotti (battteria) ha realizzato di proposito una registrazione dal suono genuino e senza troppi artifici. In molti degli otto brani - uno è la cover di “Are Friends Electric?” dei Tubeway Army (da Replicas – 1979) - si riscontrano le classiche galoppate portate al successo dagli Iron Maiden. Vista però la lunghezza dei pezzi - sono tutti al di sopra dei cinque minuti e trenta - c’è anche lo spazio per integrazioni e digressioni che, come detto, toccano il campo dell’Hard Rock. La voce di Marco Stamigna è nella maggior parte dei casi “acidula” e risulta poco gradevole da ascoltare. La produzione non è sempre impeccabile: pensate ai primi EP dei Diamond Head, fate il confronto e poi mi dite. Ciò nonostante, per fortuna, idee e tecnica ci sono. Parlavo di cavalcate alla Iron Maiden: per trovarle basta schiacciare il tasto play e ascoltare l’apripista “Feast of the Outcast” che traccia il solco del suono dei Coltre, con i suoi pregi e difetti. Il quartetto mostra la propensione per un suono più oscuro e lo fa con “To Watch with Hands”. “Rat Race” è un pezzo che reputo “strano”: l’ho capito solo parzialmente vista la commistione fra una “marcetta”, diversi break e controtempi. “When the Earth Turns Black” l’ho vissuta come un omaggio ai KISS di “Black Diamond”, vedi intro, ma è anche uno dei pezzi meglio riusciti del lotto grazie ai suoi frequenti cambi dinamici e nervosi. La cover dei Tubeway Army, se ascoltata in cuffia, possiede un buon lavoro di chitarre sotto traccia e un buon solo, ma, forse perché il genere del gruppo di Gary Numan era un Dark Wave con synth, ha poca spinta. “Through the Looking Glass” ricalca lo stile dei gruppi meno blasonati della NWOBHM, quelli della seconda linea, e lo contamina con cambi più atletici e con le tastiere. Peccato per la chitarra verso il finale che sembra spaesata e non si capisce dove voglia andare. La conclusiva “Oblivion” è una semi ballata dal ritmo trascinato che, a mio avviso, non sortisce l’effetto romantico a causa della voce di Marco. Dal 2019 al 2024 i Coltre hanno realizzato un EP e questo disco ma, per restare a galla in un mercato come quello del Metal, ci vuole uno sforzo in più e il cambiamento di alcuni parametri, altrimenti si rischia di cadere nel dimenticatoio.
Nota: nel press kit la cover viene chiamata “Friends Aren’t Electric” invece di “Are Friends Electric?”
Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 2024
Top 10 opinionisti -
I più attempati fruitori del metallo italiano ricorderanno bene il periodo degli anni ‘80 nel quale Luca Bonzagni, cantante dei Crying Steel, veniva paragonato sia per la voce che per il vestiario a Rob Halford. Chi come me ha visto la band dal vivo ricorderà, fra le altre cose, le “coreografiche” piroette del chitarrista Alberto Simonini. Oggi a portare avanti la musica della band felsinea, seppur con qualche problema, è rimasto l’unico membro originale, il chitarrista Franco Nipoti. L’album dal vivo “Live and Thunder” è stato registrato nel 2022 all’Alchemica di Bologna in occasione dei festeggiamenti per i quarant'anni di vita della band. Dopo una partenza al fulmicotone dai tratti un poco incerti affidata ad “Hammerfall”, il quintetto guidato dalla tagliente voce di Alessandro Rubino si coalizza e nelle restanti undici tracce, fa capire di che pasta è fatto: pasta di grano duro, energizzante e di qualità. Il marchio Judas Priest è rappresentato nel suo massimo splendore e compattezza dalla coinvolgente “Defender” (da “Time Stands Steel” – 2013). Le chitarre della coppia Nipoti – Nocchi spiccano e si mettono in bella mostra in “The Killer Inside”. Canzoni come “Born in the Fire” e “Rockin’ Train” fanno capire quanto nel DNA di Franco e compagni, ci sono rispettivamente il sound dei Dokken e quello dei Saxon. Che dire poi della doppietta finale rappresentata da classici senza tempo come “Runnin’ Like a Wolf” (EP “Crying Steel”) e “Thundergods” (LP “On the Prowl”)? Che rivelano la piena forma di un gruppo al quale si deve massimo rispetto. Una canzone che reputo sotto tono, almeno in questa occasione, è “Raptor”: l’avrei preferita con una maggior “spinta” propulsiva. Da segnalare l’unico brano inedito: “Hell Ain’t a Bad Place”. Si tratta di un Heavy melodico che apre a fasi più marcate dove a brillare, sono una voce stupenda e degli ottimi soli delle chitarre. Non è dato sapere quando uscirà il prossimo lavoro della band ma sono sicuro che, risolto il problema della ricerca di un nuovo cantante, i Crying Steel non molleranno la presa e torneranno forti come sempre.
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