Opinione scritta da Celestial Dream
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Ultimo aggiornamento: 18 Dicembre, 2024
Top 10 opinionisti -
Forse non riceveranno mai le luci dei riflettori, almeno qui da noi, ma i Virtual Symmetry sono una band di altissimo livello che da qualche anno mostra il lato migliore del progressive metal dalle tinte melodiche. E questo nuovo “Veils Of Illumination”, quarto disco in studio, sembra confermare tutto ciò che di buono la band ha fatto in passato.
E a nostro parere, durante questi nuovi brani, il gruppo italo-svizzero, sembra quasi puntare su melodie ancora più calde ed intense, quasi Aor, lasciando da parte lunghe parti strumentali. Insomma il sound del quintetto sembra quasi unire i Dream Theater di “Images & Words” con il lato più ottantiano del melodic rock americano. A spingere il tutto, oltre alla tecnica invidiabile dei musicisti coinvolti, è soprattutto Marco Pastorino. L'artista italiano, leader dei Temperance e attivo con molti altri progetti (come i power metallers Serenity!), qui può dar sfoggio di tutte le sue doti vocali in maniera molto più espressiva. Il risultato è da 10 e lode!
Otto brani ricchi di pathos che iniziano con la regale “Heart's Resonance “, tra cambi di tempo e melodie coinvolgenti che lasciano spazio all'assolo preciso del chitarrista Valerio Æsir Villa. L'ugola poliedrica di Marco alterna momenti ruvidi a passaggi più espressivi fino ad arrivare a note elevatissime. Lo dimostra nella successiva “Canvas Of Souls “, dove diventa protagonista assoluto anche Ruben Paganelli con un assolo di tastiere esaltante. Passaggi progressivi, con tastiere a mò di hammond, ma anche passaggi aggressivi compaiono nella dinamica “Blades Of Inner Battles”, e successivamente il pianoforte del già citato Ruben, accompagnato da un sax, può intonare le note della lenta ed emozionante “Whispers Of The Ancients”. “Echoes Of Silence” risplende su orchestrazioni imponenti ed aperture melodiche ricche di pathos, e la conclusiva “Eightfold Path” è un viaggio di oltre venti minuti tra passaggi intensi, partiture progressive ed un impatto cinematico che si ricollega al precedente lavoro della band.
Un disco che necessita attenzione e diversi ascolti ma che è l'ennesimo centro di una band che merita molta più attenzione di quella che ha finora ottenuto. Lasciarsi sfuggire l'opportunità di ascoltare questo “Veils Of Illumination” sarebbe un grave errore.
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Davvero bello questo “Voilà”, disco pubblicato a nome Powell-Payne. Parliamo di di una collaborazione nata dal cantante Adam Payne (Airrace) assieme a Mark “Penfold” Powell (ex-batterista degli Psycho Kiss)
Niente di innovativo, anzi, ma un pacchetto di ottimi brani ben composti e suonati, dove risalta la buona ugola di Adam ed un sound pulito ed altamente melodico.
E già la partenza fa intendere di essere di fronte ad un lavoro sopra la media; l'opener “Better Days” si stampa facilmente in testa, la seguente “No Escape” esplode su linee melodiche epiche ed intense, con un refrain da 10 e lode, e la titletrack viaggia su sonorità maggiormente pungenti e rocciose dove la chitarra di Payne può lanciarsi su territori più tipicamente rock. I suoi brevi ma calorosi assoli fanno la differenza durante l'ascolto, che prosegue senza soste con la power ballad “The Storm”, il melodic rock a tratti progressivo e ricco di cori di “Staring At The Sun” ma soprattutto la raffinata “ Girl Like You”, che presenta melodie vocali capaci di fare subito centro e la lenta dalle tinte blues “Questions”, che mette in mostra la voce piena ed espressiva di Payne. E forse di brani soft si esagera un po' prima con la mega ballatona piano-voce di “Fly High” poi con la malinconica “Distance Between Us”. Meglio il finale con uno dei brani più riusciti della tracklist che risponde al nome di “All For Love”, dove linee vocali ariose si sprigionano tra cori e la voce squillante di Adam.
“Voilà” potrebbe essere uno dei migliori dischi melodic hard rock dell'intera annata, ormai vicina alla conclusione. Se questo è il vostro genere musicale, non perdetevi il piacere di ascoltare questi undici brani.
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I Fans Of The Dark si sono distinti con due dischi interessanti che molto devono alla scena ottantiana concentrandosi su un sound dalle sfumature AOR ma che getta le basi anche su un heavy-rock bello avvolgente. “Video” è il titolo del nuovo disco, un lavoro che arriva ad un paio di anni di distanza dal bel “Suburbia”
Le note soffici della patinata “Meet Me On The Corner” aprono il disco che prosegue sulla via della più rocciosa “Let's Go Rent A Video”, con echi di Def Leppard che escono con decisione. Un esempio dell'attitudine ottantiana dei Nostri arriva con la sognante “Christine”, pezzo capace di stamparsi in testa con un refrain raffinato. I ritmi diventano più scroscianti con l'elettrizzante “The Wall”, gran bella hit con aperture melodiche tutte da cantare seguendo la voce del bravo Alex Falk al microfono. Le chitarre del leader della band, Oscar Bromvall, si fanno sentire, sempre ben accompagnate dalle tastiere suonate da Freddie Allen. La più soffice “Find Your Love”, lascia spazio al bel midtempo “In The Bay Of Blood”, che colpisce con un gran bel ritornello. Da segnalare anche la conclusiva “Savage Streets” che con qualche rimando a quel sound vintage che negli ultimi tempi ha visto trionfare band come i The Night Flight Orchestra, si fa riconoscere con un refrain iper-catchy ed atmosfere sognanti e a tratti sci-fi.
Due-tre buone hit ed in generale un pacchetto di brani piacevoli, ispirati fortemente alle sonorità degli anni Ottanta; il terzo capitolo in casa Fans Of The Dark non delude le aspettative, confermando il buon livello del quartetto svedese.
Ultimo aggiornamento: 07 Dicembre, 2024
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Sono potenti, malinconici, diretti ed anche se si presentano come una band influenzata fortemente dalla scena grunge ed alternative e da gruppi come Alice in Chains, Soundgarden, Nirvana e Stone Temple Pilots, gli Smash Atoms – nati come The Torch, nick con il quale hanno pubblicato due dischi - sanno il fatto loro e in questo loro disco omonimo riescono a trovare un buon equilibrio tra modernità e incursioni verso sonorità anni Novanta, componendo brani potenti e ricchi di melodie calde. Arrivano dalla Svezia e hanno ricevuto ottimi riscontri dal loro singolo “Down” tanto da attirare varie attenzioni, pubblicare altri due singoli ed arrivare a questo full-length.
Le possenti “Bring the River”, “Pretend” e la menzionata “Down” colpiscono con riff decisi e con l'ugola più grintosa da parte del singer Martin Söderqvist con echi di un sound più sludge e stoner; passaggi più intimi e nostalgici arrivano con la potente ma malinconica “The Cloud” e poi con “Dead Season” grazie a coretti e atmosfere grigie. Insomma la tracklist si muove attraverso sonorità cupe, senza perdere mai la retta via, con potenza e una buona dose di personalità. Katatonia e (perchè no?) un pizzico di Type O Negative avvolgono brani come l'affascinante “The End of The Road” che riesce a conquistare con appassionanti melodie.
Registrato ai Crehate Studios (In Flames, Scorpions, Avatar) a Gotheborg, questo disco suona potente e preciso. Se amate la scena musicale più intima e malinconica, l'hard rock ed il metal dalle tinte alternative ma che mantiene sempre alto il livello di potenza e melodia, date una chance a questi Smash Atoms, che si presentano con un gran bel disco omonimo!
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Marc Storace per gli amanti dell'hard rock classico, non ha bisogno di presentazioni. Il suo nome infatti rievoca i grandi Krokus, leggendaria band svizzera con quindici milioni di dischi venduti!
“Crossfire” è il suo nuovo album solista, un concentrato di rock graffiante e possente, in linea con la carriera del cantante d'oltralpe, aiutato per l'occasione in fase di songwriting dal chitarrista Tommy Henriksen (Alice Cooper band) e dal batterista Pat Aeby (Krokus, Gotus)
Già in partenza con l'accoppiata “Screaming Demon” e “Rock This City”, l'headbanging è assicurato. L'ugola rocciosa e ruvida di Storace si muove alla perfezioni in pezzi diretti e compatti come questi. Il disco presenta però anche momenti più vari; “Adrenaline”, ad esempio, è un brano da stadio che ricorda i grandi Def Leppard ed il rock'n'roll di “Love Thing Stealer” e di “Hell Yeah” è altamente spassoso. Il midtempo “Thrill And A Kiss” conquista grazie ad un ritornello tutto da cantare, diventando presto tra i momenti più esaltanti del disco! A dare una grossa mano ovviamente ci pensano le chitarre; brevi ma incisivi gli assoli di Serge Christen, puntuali e precisi i riff di Dom Favez. La chiusura però si tinge di romanticismo con la ballatona acustica “Only Love Can Hurt Like This” che lascia il segno dopo l'ispirato hard rock dal tocco blues di “Millionaire Blues”, pezzo certamente da segnalare
“Crossfire” è un disco che entra diretto senza sorprese ed è tutto ciò che ci si aspetta ed anche quello che il cantante svizzero sa fare meglio; lo ha abbondantemente dimostrato da oltre quarant'anni per continuare fino ad oggi. La passione per l'hard rock più puro continua a bruciare nel petto di Storace!
Ultimo aggiornamento: 07 Dicembre, 2024
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Ritmiche estreme, di scuola scandinava, ma all'interno di un percorso incentrato sull'heavy metal epico; ecco i Lord Goblin! Provenienti dalla Sardegna – dove nacquero addirittura nel lontano 2007 – ma spostati a Londra e spinti dall'estro compositivo di appunto colui che si fa chiamare Lord Goblin alla voce e dal suo braccio destro Antares al basso. I confini sono stretti ed il black metal old-school si mischia con il metallo classico più fumante ispirandosi a Primordial, Doomsword ed Immortal; nel 2016 registrarono un singolo in digitale per proseguire con un EP nel 2021. Bisogna attendere il 2024 per il debutto con la pubblicazione di questo “Lord Goblin”; ad inizio anno disponibile solamente online e successivamente stampato dall'etichetta greca No Remorse.
Trentotto minuti epici e tumultuosi che possono ricordare qualcosa dei Triumpher, e che mostrano un'attitudine eroica con la voce evocativa di Lord Goblin, che a tratti ci ha ricordato Morby, tastiere sempre presenti e dal tocco settantiano e chitarre dinamiche. L'oscura “Northern Skyline” apre bene le danze mostrando una verve imponente ed un'ottima capacità di ricreare atmosfere epiche e possenti. “The Wanderer” continua a colpire con decisione; ricca di pathos e con un bel refrain anche grazie ad un buon lavoro alla batteria di Athanor F.D.H.; si continua con il midtempo avvolgente di “The Oracle” e con i ritmi infernali della strumentale “Freedom Rider”, seguita da “Thunderous Smite”, un lungo assolo di batteria. E questa fase centrale onestamente indebolisce un po' l'ascolto che, in fin dei conti, può contare su solamente su cinque canzoni vere e proprie.
Una di queste è la tumultuosa “Light of a Black Sun”, che si divide in due parti; più possente ed epica la prima parte, più avvolgente la seconda.
Lord Goblin rompe il ghiaccio con un disco breve, ma che fa subito centro. La sensazione è che questa band, da ora anche supportata da un'etichetta di primo livello nel suo genere, potrà in futuro fare anche meglio.
Ultimo aggiornamento: 19 Novembre, 2024
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Riappaiono anche i greci InnerWish, power metal band che negli anni d'oro del genere aveva dato alle stampe dischi molto interessanti. E' con gran piacere quindi che ci immergiamo nell'ascolto di “Ash Of Eternal Flame”, disco che arriva addirittura a distanza di otto anni dal precedente e omonimo lavoro rilasciato nel 2016. Quel che troviamo è un full-length molto potente, un po' come la band ci ha sempre abituati, ma addirittura più che in passato e decisamente dinamico. “Forevermore” apre la via con sonorità epiche, accelerando durante un ritornello evocativo e subito capace di far centro. Sappiamo che tutte le band provenienti dalla Grecia possiedono sempre quel flavour epicheggiante che si ricollega alla cultura ed alla mitologia antica. Anche se in maniera minore, anche gli InnerWish ne risentono. La voce possente di George Eikosipentakis mostra un approccio deciso e diretto, adatto al sound che il gruppo vuole proporci. E la tracklist è piena di canzoni di livello elevato; “Sea Of Lies” appassiona con un incedere accattivante e la presenza di Hansi Kürsch – Blind Guardian, al microfono - aiuta ad elevare la riuscita del pezzo. La tumultuosa “Soul Assunder” viene sparata a tutto gas prima che i cori epici e le chitarre possenti di “Cretan Warriors” - con un tocco alla Arrayan Path - entrino in campo per costruire un brano metallico difficile da scalfire. La maestosa “Primal Scream” è un altro momento impeccabile, così come il midtempo eroico “The Hands Of Doom” che lascia spazio alla melodica “Once Again” per poi volare sul power metal più classico alla Helloween di “I Walk Alone”. A chiudere ci pensa la cover di “Send Me An Angel” dei Blackfoot, in una versione decisamente più powereggiante.
La band di Atene, attiva fin dal 1995, dimostra come gli anni passano ma la passione ed il talento rimangono invariati. Questo sesto disco della loro carriera è un piccolino gioiellino in un quasi deserto come quello che coinvolge il power metal attuale.
La fiamma del power-heavy metal torna a splendere dopo otto lunghi anni con gli InnerWish!
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Potremmo definirlo il disco più atteso dagli amanti delle sonorità AOR questo dei Lionvile, ed in effetti “Supernatural” è la risposta (affermativa!) a chi si chiede se queste sonorità sono ancora vive, arrivati nel 2024. La band che sta dietro alla mente di Stefano Lionetti stavolta presenta una novità importante con un cambio dietro al microfono che vede la presenza del bravo Alexander Strandell (Art Nation) a sostituire lo storico singer dei Work Of Art, Lars Säfsund. Più squillante ma comunque espressiva la voce del nuovo entrato rispetto a quella più “ragionata” e calda del predecessore, ma il tutto funziona ancora una volta alla grande.
Questo nuovo lavoro sembra a tratti voler ruggire in maniera più piena e possente, con la presenza di alcuni brani più rocciosi rispetto al passato e chitarre maggiormente in evidenza. Parliamo dell'opener “Heading for a Hurricane”, di “Breakaway” e dei riff corposi di “The Storm”.
Ma in generale sono le classiche atmosfere ottantiane con melodie celestiali, ritornelli tutti da cantare e tastiere sempre ben presenti a farla da padrone con momenti eccellenti che rispondono al nome dell'avvolgente “Gone”, della titletrack e della semi-ballad “The Right Time”. I ritmi più scroscianti di “Nothing is Over” conquistano con un bel refrain che spinge l'ugola di Alexander su note alte, ma è d'obbligo menzionare la lenta “Unbreakable”, per proseguire con le note ariose e splendenti di “Another Life” ed i coretti paradisiaci di “The One”.
Un altro capitolo imprescindibile per quanto riguarda queste sonorità, firmato dai soliti Lionville con un highlight in campo melodic hard rock ed AOR per questo 2024.
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Robert Majd (Metalite, Captain Black Beard) è la mente che sta dietro al monicker Nighthawk, band che si rifà pesantemente al sound settantiano. Nei dieci pezzi che formano questo terzo loro disco, "Vampire Blues", troviamo rock'n'roll frizzante, che è anche quello che apre l'ascolto sulle note di “ Hard Rock Fever”, ma in generale sono presenti sonorità molto vintage con tastiere a mò di hammond come si può ben avvertire in pezzi come “Generation Now” e che si fanno ancor più evidenti nelle atmosfere retrò di “S.O.S. (Too Bad)”, cover ben fatta degli Aerosmith, con coretti che ci catapultano ad oltre 4 decadi fa. Linnea Vikström (Thundermother) al microfono svolge un lavoro esemplare ed in generale la band è in palla. I nomi che infatti compongono la formazione dei Nighthawk è di livello; spinta dalla coppia Robban Eriksson (The Hellacopters) e Peter Hermansson (220 Volt) alla batteria, dal basso di Nalle Påhlsson (Treat) e dalle tastiere di Richard Hamilton (Houston). La tracklist alterna quindi pezzi più scoppiettanti – esemplare in tal senso la spedita e coinvolgente “Burning Ground”, vera hit del disco, la scrosciante “Come And Get It” e “Save The Love” dalle chiare influenze verso i grandi Deep Purple – a brani più intensi come “ The Pledge” e la classicissima “ Hold It Baby”.
Un tuffo tra le sonorità degli anni Settanta con un disco davvero esemplare come questo “Vampire Blues”. Un ascolto davvero ricco di passione grazie ai Nighthawk.
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Il super chitarrista Chris Impellitteri unisce ancora le forze con la voce profonda e possente di Rob Rock per dar vita a “War Machine”, nuovissimo e potente lavoro del musicista americano. Un disco ricco di energia che scorre senza soste lungo le undici compatte tracce che lo compongono. Quarantatre minuti di heavy metal rovente, poco innovativo ma certamente fumante per un lavoro che parte subito forte con l'opener “War Machine”, alternando riff corposi ad un assolo scintillante. La voce di Rob è graffiante anche durante l'heavy-rock di “Out of My Mind (Heavy Metal)” con influenze alla Motorhead mentre montagne di riff colanti esplodono dalle casse durante la portentosa “Hell On Earth”. E l'ascolto prosegue abbondando di momenti durante i quali è facile ritrovarsi a muovere la testa, esaltati dai possenti muri creati dalla chitarra di Chris come nell'esplosiva “What Lies Beneath” che colpisce duro e durante la tagliente “Power Grab”. Si denota però una certa ripetitività all'interno di una lista di brani ai quali manca qualche cambio di ritmo e qualche melodia soprattutto vocale capace di colpire e di farsi ricordare.
Una formazione carica, con la presenza di una sezione ritmica di alto livello formata da James Pulli e Paul Bostaph, e la sempre riconoscibile classe del virtuoso chitarrista, fanno di “War Machine” un lavoro adrenalinico e possente. Una bella mazzata sui denti anche se, come già detto, si fa sentire la mancanza di un po' di varietà e dinamicità in una tracklist nella quale manca il brano davvero esaltante.
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