Opinione scritta da Valeria Campagnale
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Ultimo aggiornamento: 02 Ottobre, 2024
Top 50 Opinionisti -
“Polaris” è il terzo album per il duo canadese Lodestar, che si addentra in una musicalità Gothic Metal, Doom e Hard Rock. Il disco in origine fu autoprodotto nel 2023, e si presenta oggi in nuova veste per Sliptrick Records. Partiamo subito con “Shooting Star”, che apre il disco con chitarra pesante ed ossessiva che si intreccia con synth delicati; è un pezzo d’apertura potente ed una sferzata di energia che ci porta verso la più tenebrosa “Never Die” e, per marcare l'atmosfera cupa, ecco la voce di Kate Glock che con la sua profondità accentua quest'impronta tetra. Anche questo secondo brano è interessante e proprio per la sua natura ombrosa che si rispecchia maggiormente nei miei canoni, mi fa apprezzare maggiormente l’inizio di “Polaris”. Manteniamo la cupezza con la successiva “Save Me from Fate”, in cui le voci melodiose lasciano uno spiraglio per prendere fiato prima di immergersi nuovamente nell’oscurità, anche i cori seguono questa linea e regalano al brano una sorta di saliscendi tra luce e oscurità, altro brano da apprezzare a pieno. C’è da dire che "Polaris" è un album molto intimista, per nulla commerciale e va ascoltato in tutte le sue sfumature gustandolo a pieno. Con “In This Life“ i Lodestar rallentano la morsa della mestizia e ci portano in un limbo più arioso, quasi spazioso, per poi tornare in un esteso ed intenso mondo tetro con la riuscitissima “In Your Shadow”, in cui il basso si fa penetrante e vitale, un’altra track incisiva che mostra ulteriormente l’anima Doom del duo. “Distance to Your Light” è una sferzata energica con una buona chitarra pesante, anche in questo pezzo la ritmica ci porta su e giù come fosse un ottovolante, estroso ed instabile. È davvero difficile decidere se in questo disco ci sia effettivamente un pezzo migliore di un altro, ogni canzone ci porta in luoghi differenti pur mantenendo uno stile preciso. Molto raffinata e soft la seguente “Light of My Life”, che si diversifica dai brani precedenti, mentre con “World of Change” i Lodestar ci propongono una sonorità più epica e devo ammettere che è un pezzo che non mi sarei mai aspettata. Dopo questo ‘coup de théâtre’, ecco la spettacolare “Polaris”, che chiude l’album in modo armonico. Un lavoro creativo ed interessante, un mix interessante tra Gothic, Doom Metal e melodie Hard Rock fatto di chitarre, synth e momenti orchestrali.
Ultimo aggiornamento: 30 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
The Lucidia Project, band del North Dakota, fonda melodie con riff molto pesanti, atmosfere oscure e venature Prog per un Metal melodico che arriva a toccare livelli Death. Con l’EP “Requiem”, uscito per WormHoleDeath, offre buone corde in un prodotto che non eccelle per produzione, ma poco importa in realtà, perché lo fa figurare come un lavoro naturale e genuino. La title-track “Requiem” è ricca di un pianoforte avvolgente che va ad accompagnare verso delle buone chitarre pesanti ma melodiche, mentre la bella voce pulita di Chase Baldwin spicca assieme ad una ritmica Rock, nel complesso è un brano con un buon piglio che riesce a catturare l’attenzione. “Eventide”, con le sue affascinanti tastiere, ci regala nuovamente degli ottimi vocalizzi tendendo sempre ad accenti malinconici e tristi, una traccia potente e, nel suo essere calorosa, è un’altra buona prova per questa band. Nell’accattivante “Deliverance” i nostri offrono una maggiore emotività con un pezzo che non per nulla è stato scelto come singolo, bella riuscita, pulita e con ottimi agganci. La strumentale “Interlude (Seeing the Truth)” è veramente molto bella e ci accompagna al finale con “The End of the Lies”, in cui riappaiono vocalizzi più che ottimi e queste voci più roche, arrivando al growl, ben si sposano con le solide chitarre ed una buona linea ritmica. Un EP che rappresenta la drammaticità dei The Lucidia Project che, visto questo assaggio di cinque pezzi, sono certa riusciranno, spero presto, a proporre un album carico dello spessore racchiuso in “Requiem”.
Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Charlotte Wessels ha pubblicato il suo nuovo album “The Obsession” per Napalm Records il 20 settembre, con il supporto di una band composta dai suoi compagni ex-Delain Timo Somers (chitarre, arrangiamenti aggiuntivi), Otto Schimmelpenninck van der Oije (basso) e Joey Marin de Boer (batteria), oltre a Sophia Vernikov (pianoforte/hammond), che contribuiscono al nuovo sound più pesante. Il disco presenta anche gli arrangiamenti di Vikram Shankar (Redemption, Silent Skies), il violoncello di Elianne Anemaat, è stato mixato da Guido Aalbers (Muse, Coldplay, Live, Queens of the Stone Age, The Gathering) e masterizzato dal pluripremiato mastering engineer Andy VanDette (noto per il suo lavoro con artisti del calibro di Porcupine Tree, Deep Purple, Dream Theater e molti altri). In questo nuovo lavoro Charlotte ha raggiunto più potenza nel suo songwriting, in cui musicalmente la malinconia e elementi oscuri seppur orecchiabili, si intrecciano tra sprazzi Prog e Metal. Le tematiche principali sono i pensieri ossessivi e la paura. Il brano di apertura “Chasing Sunsets” è molto orecchiabile, con chitarre che sapientemente riescono ad agganciare l’ascoltatore, anche la ritmica è davvero buona e nel complesso è un pezzo molto godibile. Più intensa la traccia successiva “Dopamine”, che vede ospite Simone Simons alla voce con lamenti operistici, apportando una elemento sostanziale al brano, già di per sé interessante. In “The Exorcism” l’apertura malinconica con la soave voce di Charlotte ci accompagna in una sorta di meditazione musicale, tra un cantato più angelico ed uno più grintoso, con la musica che seguendo la voce, si fa dolce o impetuosa. Questo è un pezzo in cui la nostra Charlotte si fa notare molto di più rispetto al brano iniziale, brillando per la sua interpretazione che la mostra al di fuori dei canoni a cui eravamo abituati ad ascoltarla. Con “Soulstice” Charlotte brilla nuovamente insieme ad un bellissimo pianoforte, la sua voce in questo brano si fa più dolce, mentre la musica che le fa da tappeto l’accompagna cullandoci. Altro ottimo brano. In “The Crying Room” respiriamo un’atmosfera leggera sempre con un altalenarsi di momenti melodici ad altri più pesanti, a volte appena accennati al Folk, molto brillante l’assolo di chitarra di Timo Somers. Più teatrale la seguente “Ode to the West Wind”, che ha come ospite Alissa White-Gluz, pezzo che appare più come un racconto narrato che in un fantastico duetto, ci regala un’altra atmosfera sognante, delicata e sicuramente legante. Se con quest’ultimo brano ci siamo lasciati trasportare in una sorte di turbine, con “Serpentine” Charlotte ci ammalia e irretisce in una rete raffinata di vocalizzi e suoni onirici, un pezzo davvero magistrale e magico, con un assolo meraviglioso, probabilmente il mio preferito dopo “The Exorcism”, due pezzi differenti ma entrambi coinvolgenti. “Praise” è molto particolare poiché contiene cori Gospel e venature Soul, mentre in “All You Are” ritroviamo una voce soave ed angelica, accompagnata da suoni più veementi. In “Vigor and Valor” la musica si fa più pesante, anche se a tratti rallenta la verve Metal per far spazio ai synth e ad una voce dolce, il basso di Otto Schimmelpenninck è molto profondo e marcato, così come la batteria di Joey Marin de Boer, per arrivare ad un finale epico. Il violoncello di Elianne Anemaat in “Breathe” è un brevissimo intervallo che ci porta alla chiusura dell’album con “Soft Revolution”, brano che si presenta con una veste che, ricordo, faceva parte di “Tales from Six Feet Under”, decisamente più pesante e con una differente interpretazione, sempre senza mai esagerare sconfinando in un Metal pesante. “The Obsession” è un album corposo e concettuale in cui le paure vengono messe in risalto esorcizzandole, un disco nel complesso intelligente e suonato da maestri che riescono a racchiudere la propria bravura in un complesso lavoro.
Ultimo aggiornamento: 24 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
“Where Gods Fear to Speak” è il sesto album per gli Oceans of Slumber, band americana che continua a sviluppare un viaggio emotivo attraverso il Progressive Metal e l'Heavy Metal tradizionale. La combinazione tra temi sulla morte e l'anima con una base Doom Metal, crea un viaggio cinematografico musicalmente pesante e profondo. Iniziamo subito con la title-track “Where Gods Fear to Speak”, pubblicato come primo singolo di anteprima dell'album, con accordi iniziali carichi di Doom e che ci rivela per la prima volta i ferali growls di Cammie. Le chitarre di Alex Davis e Chris Kritikos risultano pesanti e con un ritmo pulito e incessante tra la batteria di Dobber Beverly ed il basso di Semir Ozerkan. In “Run from the Light” troviamo Fernando Ribeiro dei Moonspell alla voce con i suoi massicci growls, per un altro brano diretto e pesante in cui spiccano sempre le ottime chitarre. Apertura con synth soavi per “Don't Come Back from Hell Empty Handed”; questo brano è più leggero e lascia amplio spazio al carezzevole cantato di Cammie Beverly ed un pianoforte dal tocco Gothic. In realtà il pezzo è mutevole con suoni che spaziano da atmosfere cupe al Blues ed al Prog. Nuovamente la voce gentile di Cammie ci introduce in “Wish”, che diventa aggressiva con il tappeto musicale che altalena questi momenti più pesanti a quelli lenti, per un brano che personalmente trovo coinvolgente, una sorta di zona comfort in questo album tra pezzi inquietanti ed altri elettrici. In “Poem of Ecstasy” pianoforte e batteria aprono il brano con un cantato dolce a cui si aggiunge la chitarra più Grunge e distorta e quella acustica; la band ci culla per qualche istante poiché il pezzo ci trascina in un abisso oscuro dalla musicalità pesante tra growl e chitarre furiose. Davvero un gran bel pezzo, forse il migliore di tutto l’album. Synth e basso in apertura per “The Given Dream”, voci dal sapore epico mentre le chitarre ricamano una pesantezza fatta da momenti tonanti e laceranti. Anche per questo brano, la band si mostra al pieno riuscendo a donare emotività e concretezza nel suo essere malinconica ed aggressiva. Il piano ed i synth di “I Will Break the Pride of Your Will” danno il via ad un pezzo più moderno tra growl e voci pulite, che ben si intrecciano con la batteria per lo più dal suono pesante. In questo altalenarsi di momenti, l’atmosfera è sicuramente coinvolgente e posso immaginare il coinvolgimento suonata dal vivo.
Con “Prayer” ci si ritrova a metà tra un Doom ossessivo ed un Death Metal per lo più melodico, è un brano dal sapore evocativo tra la soavità della bravissima Cammie Beverly e i growl maschili. Con “The Impermanence of Fate” abbiamo la dimostrazione (sempre ce ne fosse bisogno) di come Cammie riesca a sostenere la scena in una performance strabiliante accompagnata dai synth, raggiunta in seguito dalla classica sfuriata fatta di growl, distorsione e una ritmica soffocante. Bellissimo il basso nella suo essere cupo e profondo, così come la batteria che riesce a mantenere il giusto equilibrio per tutto il brano. Altro pezzo memorabile per questo lavoro che risulta essere veramente epico. Nel finale ci lasciamo coinvolgere dalla versione di “Wicked Game” di Chris Isaak con il piano iniziale che viene affiancato dalle chitarre acustiche. Inutile sottolineare che la voce di Cammie Beverly è fantastica e regala un tocco più drammatico rispetto all'originale. Tra distorsioni, momenti epici alternati a venature melodiche sempre malinconiche, “Where Gods Fear to Speak” è un album meravigliosamente eseguito con interpreti eccezionali. Gli Oceans Of Slumber hanno superato loro stessi con questo nuovo lavoro, intriso di emozioni ed oscurità.
Ultimo aggiornamento: 16 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
I Legions Of Doom sono un supergruppo Doom Metal, composto da Ron Holzner (The Skull, ex-Trouble) al basso, Lothar Keller (The Skull, Sacred Dawn) alla chitarra, Henry Vasquez (Saint Vitus, Pentagram) alle percussioni, Victor Griffin (Death Row, Place Of Skulls, ex-Pentagram) alla seconda chitarra, e propongono l’album di debutto “The Skull 3”, lavoro di notevole rilevanza. Prima di tutto sottolineamo la nascita dei brani contenuti e secondo, ma non per importanza, la band è la naturale prosecuzione dei The Skull e si sono formati dopo la prematura scomparsa del cantante Eric Wagner. Se The Skull continueranno a esibirsi in onore ad Eric, i Legions Of Doom sono, come ho detto, la naturale continuità; “The Skull 3” è un ottimo Doom Metal old school, ipnotico, con un continuo ritmo incalzante, linee di basso profonde, complesso pur essendo minimale ma mai asettico. In apertura la profonda “Beyond the Shadow of Doubt” vede l’alternanza delle voci tra Scott Reagers e Karl Holzner: ognuna delle voci ha uno stile unico e proprio, per questo motivo si esaltano le sfaccettature della band e della musicalità proposta. La pesantezza del brano è ben strutturata ed eccelle nelle sue oscure radici, chitarre pesanti con uno shredding ottimo. Segue “All Good Things”, che contiene una malinconica melodia e riff potenti ed orecchiabili, strutturalmente questo brano è solido e marcato, i pezzi di chitarra sono nuovamente ottimi ed eccellono all’interno del brano. Intensa la seguente “Lost Soul”: qui la vecchia scuole Doom è presente in maniera evidente ed incarna una teatralità eccezionale con il cantato, mentre il tappeto musicale si fa sempre più ad incentrare in suoni tetri ed oscuri, bellissimo brano, una delle perle dell’album a mio modesto parere. Meno minacciosa “A Voice of Reason”, anzi è forse il pezzo più anthemico con pesanti riff di chitarra che si intrecciano al basso ben marcato di Ron Holzner, anche la voce è meno sofferente e plateale, ma più armoniosa e leggera, per quanto il Doom lo permetta. Venature Stoner Rock in “Between Darkness and Dawn”, brano che regala morbide linee di basso, chitarre pulite e la voce di Karl che risulta essere perfetta per questo pezzo arioso e leggero. “Insectiside” ci regala fantastici riff ed un assolo da brividi, brano energico con ritmiche incalzanti, bello anche questo brano con un’aurea stile anni '80 con uno scheletrato aggressivo e sempre profondamente Doom Metal. “Heaven“, brano più malinconico di questo album, ci regala la voce di Eric Wagner, un omaggio al cantante a cui dobbiamo la nascita dei Legions of Doom. Un pezzo che riporta alle sonorità anni '70 e che sicuramente lascia un segno profondo, molto intenso. A chiudere, “Hallow by All Means“, altra perla contenuta in “The Skull 3”, un pezzo direi epocale in cui la voce di Scott Little raggiunge una timbrica profonda, la presenza di organo accompagnato dal suono di campane aggiungo un tocco oscuro e drammatico, le chitarre sono tese, creando ancor di più un’aria opprimente, così come la sezione ritmica che risulta cupa e insistente. Il momento clou è l’aumentare della velocità che culmina in un vortice Metal schiacciante per un finale da brividi. I Legions of Doom ci regalano un lavoro trascendentale di Doom Metal, in cui la linea che lega gli otto brani è un tormentoso vortice di emozioni e oscura musicalità che sarà sicuramente la gioia dei fan del genere, me in prima linea.
Ultimo aggiornamento: 16 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Dall’Australia, i Carmeria tornano con il loro secondo album “Tragédie d'amour”, combinando sonorità ossessionanti del Metal sinfonico ed oscuro, combinato con un Gothic Rock molto più energico rispetto al suo predecessore “Advenae”. “Call Forth My Sorrow” ha un breve intro orchestrale che ci accompagna ad un Power Metal melodico, e tra riff di chitarra ed una ritmica decisa, si esalta nuovamente l’orchestrazione ed il notevole stile virtuosistico del chitarrista Jerry Zahija ed in egual misura la voce di Jordan von Grae, davvero un brano potente per l’apertura dell’album. Malinconico inizio per il brano “Thorns”, malinconia che ci accompagna per l’interezza del pezzo tra armonie e ritmo secco e deciso tra la batteria di Lachlan Blackwood e l’ottimo basso di Emma Louise Nagy, anche con questo brano i Carmeria fanno centro. Convincente anche la seguente “Leading the Lyre”, più soft rispetto alla precedente, ma sempre sprizzante energia e con un ritornello molto trascinante. “Whispers of Forgiveness” presenta un breve interludio e la voce bellissima di Jordan ci ammalia con la sua voce tenorile, accompagnato dal piano di Mishka Bobrov, molto affascinante. Ariosa ed armonica la traccia “The Hoping Heart”, in cui brilla la voce di Jordan molto chiara e morbida, nuovamente i virtuosismi di Jerry Zahija si esaltano, ottimo il ritornello per un brano eccezionale. Molto più epica la traccia “Shadow’s Throne” che, con un tumultuoso sound, irretisce e non ti lascia andare fino alla fine, tra momenti di epicità ed altri più melodici; i Carmeria regalano un brano emozionante che potrei indicare quale mio preferito, ma è impossibile esserne certa poiché ogni brano esprime emozioni differenti e quindi ognuno ha un’anima a sé stante. Con “A Thousand Winter Rains” la band ci regala un’ottima atmosfera con la soave voce di Emma (che ricordo è colei che per l’intero album ci offre delle ottime linee di basso), il ritornello epico ha sempre il suo fascino e la voce di Jordan von Grae che alterna voce chiara e limpida con momenti rochi quasi growl. “Immortal” si apre con un breve intro soft per poi sfociare nello stile Power della band accompagnato da vocalizzi dolci di Jordan von Grae che convince sempre di più man mano che l’album procede, un pezzo nuovamente armonico e potente senza eccedere né da una parte sdolcinata, né da una parte troppo aggressiva. “Burning Ships” ci regala la suadente voce di Emma ed un assolo di chitarra grandioso per un brano che entra nell’anima, breve ma davvero intenso. “The Hoping Heart” ha un sapore retrò che mi riporta agli anni '80 ed è un altro pezzo che riesce a sprigionare emozioni e magia, la chitarra è molto sognante e la ritmica marcata che fa da tappeto al duetto tra le voci maschile e femminile. Bellissimo intro con piano per “A Vision in Passing”, che va ad accompagnare la voce melodiosa di Jordan, brano che sfocia in una struggente atmosfera con interventi di musica epica ed intesa. Audace, armonico, potente e con testi malinconici, “Tragedie d'amour” è l’album più virtuoso, teatrale e romantico che ho avuto il piacere di ascoltare quest’anno e che sicuramente si annovera tra i migliori di questo 2024.
Ultimo aggiornamento: 13 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
I Ghost Warfare, gruppo Occult Heavy Metal bulgaro, hanno pubblicato l’album autoprodotto “Outer Rim II: Saaren Gammar” ad ottobre 2023 (ma ci è arrivato solo di recente). Ghost Warfare è un progetto artistico e musicale originale, creato da Georgi Latev e Dimitar Naydev nel 2007. L'obiettivo principale del progetto è quello di presentare, attraverso la musica e i testi, la ricerca della band nel campo degli studi esoterici e dell'essenza spirituale dell'uomo. Eterea introduzione all’album con il brano musicale “The Way” in cui si assapora così tanta diafana ed impalpabile sensazione, nonostante l’eccellente lavoro dei chitarristi che si spinge ad un livello più materialistico. “Perfidy II - the Weight of Guilt” è la prima traccia cantata in duetto tra Ganiela Ganeva e Dimitar Naydev, un brano di per sé inquietante che ci getta subito in un turbine di Metal pesante e con un ritmo secco e penetrante in cui sia la batteria di Diyan Georgiev, che il basso dello stesso Dimitar, puntano ad un ossessivo trasporto. Decisamente un brano incisivo, in cui è ben rappresentata la sensazione della colpevolezza. Con la successiva “Master of the Fade” si allenta la tensione per una direzione più delicata, ma comunque frammentata da intervalli pesanti, la voce di Ganiela è molto stimolante ed i suoi sussurri sono in un certo senso portatori di inquietudine; una bella prova vocale che si intreccia con elementi Prog per un pezzo che riesce ad affascinare; grandi infine le linee di basso di Dimitar. Continua più angosciante la linea soft con “Sign of Armageddon”, in cui nuovamente si alternano le voci di Ganiela e Dimitar, a volte opprimente ed a volte più lirico. Anche in questa traccia la band ci regala un emozionante coinvolgimento in cui le chitarre s’impennano grazie alle competenze tecniche di Georgi Latev e Dragomir Milev. Bel brano emozionale e soffocante, seppur a volte arioso. Con “Insight”, i Ghost Warfare ci portano in una dimensione parallela in cui la musicalità, sempre con accenni Prog, risulta essere più armoniosa e lieve, ma sempre accompagnata da un’aura minacciosa e pressante. “Under the Black Sea” è assolutamente il mio pezzo preferito, molto dark e oppressivo, in cui la voce di Dimitar risulta molto teatrale, tra growl e vocalizzi più neutri, per un risultato tanto pesante, quanto teso. Armonico l’intro di “Green Eyes of Temptation” che diviene pesante e inquieto sempre con i vocalizzi di Dimitar che prendono una direzione più Post-Punk che si sovrappongono al Metal in modo omogeneo. Musicalmente pesante ed opprimente, è un brano che ha piglio già al primo ascolto. Più direzionato ad accenni Epic il seguente brano “Wrath of Hades” che, tra leggere velature Folk e un minimale Prog, si fa strada grazie ai virtuosismi di chitarra ed al duetto tra i due cantanti. L’orientaleggiante intro di “The Forsaken” è intrigante; anche in questo pezzo gli elementi Prog sono tangibili, la voce di Ganiela è impressionante, più simile al canto di una sirena, incanta e mi ha trascinata per l’interezza del pezzo. “Hire Gods” è tendenzialmente aggressiva, con Dimitar Naydev che nuovamente in modo più drammatico dosa la voce sul tappeto musicale ruvido e pesante; un altro ottimo brano che, insieme a “Under the Black Sea”, è il biglietto da visita di questo ottimo album. Con la successiva “Gone” si aprono nuovi orizzonti, tra una sorta di interpretazione da ‘Grand Guignol’ disperata ed angosciosa, chitarre sempre ben in evidenza con grandi riff. Altro brano molto interessante è “Legacy of Renn”, che non capisco se si riferisca alla casata della famiglia de' Medici ed al Rinascimento Italiano, con Cosimo I ed il suo interesse per l’alchimia. Al di là del mio dubbio, il brano presenta una buona musicalità robusta e interessante. A terminare questo lavoro troviamo “Comprehension (Flight of the Fallen)”, pezzo adrenalinico, veloce e sempre con un occhio rivolto alla teatralità nella sua interpretazione vocale per il bravo Dimitar. A conti fatti “Outer Rim II: Saaren Gammar” è un album da tenere molto in considerazione, sia per la tematica che per l’interpretazione e tenendo conto che è un’autoproduzione. Una band davvero interessante questi Ghost Warfare, comunque attivi dal lontano 2009.
Ultimo aggiornamento: 05 Settembre, 2024
Top 50 Opinionisti -
Simone Simons, voce per eccellenza del Symphonic Metal e cantante degli Epica, ha pubblicato il primo album come solista “Vermillion“ - scritto e prodotto da Arjen Lucassen (Ayreon), che troviamo anche alle chitarre e alle tastiere - per Nuclear Blast. L’album, direzionato più verso il Prog, contiene anche sonorità Ambient e melodiche, bellissimo il suono del violino di Ben Mathot, mentre troviamo sì parti orchestrali ma diversamente dagli album classici degli Epica, qui sono scesi in campo i sintetizzatori che, ahimè, non danno quel giusto appeal come ci si sarebbe potuto aspettare. In compenso, sia i cori che le tastiere, elettroniche, ci rimandano ad atmosfere cinematografiche. “Aeterna”, apre questo lavoro con tastiere sia elettroniche che Ambient per poi essere trasportati in un turbinio di chitarre prettamente Heavy Metal ed il ritornello corale con voci pesanti lo rende davvero epico. Ovviamente, la voce di Simone brilla di luce propria anche nei momenti più operistici del brano. “In Love We Rust” è decisamente più delicata, mentre in “Cradle to the Grave”, in cui appare la voce di Alissa White-Gluz (Arch Enemy), risulta essere più Industrial Metal, ed anche in questo pezzo, il ritornello diventa un perno in cui si uniscono la pesantezza e l’intensità trasmessa dai 'growls' della White-Gluz e le voci più emotive della Simons. Nuovamente un brano soft, “Fight or Flight”, una ballad che inizia con una chitarra morbida, intrecciata alle tastiere e la voce delicata di Simone che tuttavia cambia tono nel ritornello in modo potente accompagnata da chitarre distorte. Bellissimo l’assolo di violino di Ben Mathot. “The Weight of My World” è caratterizzata da un riff lento e pesante che riesce a guidare questo meraviglioso pezzo. Le voci distorte nella strofa iniziale passano a voci liriche, mentre le chitarre sempre molto pesanti, fanno da contrasto con questi vocalizzi melodici e le tastiere energiche ma non invasive. Un brano intenso e carico. Con “Vermillion Dreams” ritorniamo ad un suono più delicato con un’atmosfera cinematografica, aperto da tastiere più orchestrali che cambiano durante le strofe facendosi elettroniche ed Ambient, mentre nel finale troviamo una batteria che diventa segnatamente marcata ed intensa. Molto più pesante è la seguente “The Core”, con alcuni growls potenti che riescono ad alternare una luce tenebrosa a melodia. Nuovamente le chitarre si fanno pesanti e nel mentre ritornello alcune voci epiche e operistiche. In progressione, il brano si fa più epico ed intenso ed il lavoro del basso di Rob van der Loo è decisamente grandioso. “Dystopia” è il brano più pesante dell'album, anche qui che troviamo contrasti tra musicalità pesante e soft in cui dominano le tastiere e vocalizzi Ambient. I riff, talvolta Djent, rendono intenso l’intera canzone. “R.E.D”, uno dei quattro singoli che ha anticipato l’album, ha come ospite Mark Jansen degli Epica alla voce ed un brano particolarmente atmosferico. ll ritornello, intenso, ha chitarre potenti e tastiere tumultuose. Se Simone Simons è presente con la sua brillante voce, Jansen fa da contrasto con i growls. “Dark Night of the Soul”, è una morbida chiusura ed una ballata con pianoforte, in cui anche il violino ha una parte notevole. La voce come sempre meravigliosa di Simone risulta dolce per tutto brano. “Vermillion” è un album sostanzialmente minimale in cui l’essenzialità è la linea principale e non si perde in fronzoli aggiuntivi. Simone Simons è andata oltre il lavoro in cui è coinvolta con gli Epica e ha dimostrato di superare la sua prima opera solista.
Ultimo aggiornamento: 28 Agosto, 2024
Top 50 Opinionisti -
Formatisi originariamente a Melbourne, in Australia, The Eternal sono emersi sulla scena musicale all'inizio del 2003, prima di evolversi in una collaborazione internazionale, con metà dei membri basati a Melbourne e l'altra metà a Helsinki. Nel corso di due decenni di carriera, la band ha raccolto consensi internazionali grazie alla pubblicazione di sei album in studio. “Abandoned by Hope”, una vera e propria opera di dieci minuti, apre l’album con un suono molto heavy ed oscuro; le voci pulite all'inizio, si trasformano diventando immediatamente corpose. Un brano di forte impatto emotivo che racchiude lo spirito e l’animo del gruppo, ma soprattutto di questo “Skinwalker”, album decisamente emblematico. Questo brano ha come ospite Tomi Joutsen degli Amorphis. Più aggressivo e diretto è il pezzo seguente “Deathlike Silence”; ciò nonostante, la band ci regala vocalizzi armoniosi che legano perfettamente nel contesto musicale. Molto bella anche “Under the Black”, che vede ospite Santeri Kallio degli Amorphis alla Hammond. La brevissima traccia “Temptation's Door” ci porta all’interessante ed emotiva “The Iconoclast”, in cui ci si immerge in un vortice molto ben equilibrato di tonalità aggressive e tetre. Molto più armoniosa la seguente “When the Fire Dies”, con la chitarra solista di Richie Poate che si esprime al meglio, ciò non toglie che la bravura di Richie si nota in tutto il disco, ma è proprio con questo brano che esprime una determinata sensibilità. Orientata verso sonorità doom è “Fall Upon the Earth”, con un inizio di bassi fantastici e qui, Niclas Etelävuori si eleva tantissimo. Melodie, riff piuttosto importanti e la voce eccezionale di Mark Kelson, sono i perni della canzone. Ad ogni brano mi dico che è il migliore di “Skinwalker”, ma in realtà sono tutti così affascinanti e diversificati tra loro, che è impossibile sceglierne uno in particolare e proprio per questo motivo, The Eternal riescono a brillare per la loro intelligenza musicale, cioè dare vita ad un album variegato ed esprimersi a 360 gradi tra oscurità, melodie e tanto sano Heavy Metal. Tra Prog, Doom e Metal più classico, la title-track “Skinwalker” è forse la traccia che spicca maggiormente per un suono più sperimentale, ospite d’eccezione alla voce è Albert Kuvezin degli Yat-Kha, mentre “Shattered Remains” in chiusura, è quello maggiormente pesante in senso emozionale, navigando nel profondo in modo quasi claustrofobico; è un pezzo meraviglioso che vede, tra l’altro, Tomi Joutsen nuovamente alla voce. Oltre agli ospiti d’eccezione citati, sono molti gli artisti che hanno partecipato alla registrazione dell’album, tra cui ricordiamo anche il grande Sami Yli-Sirniö dei Kreator. Grande pathos, ospiti d’eccezione e una musicalità veramente molteplice per un disco ricco di emozioni di una band solida come The Eternal.
Ultimo aggiornamento: 26 Agosto, 2024
Top 50 Opinionisti -
Tre anni dopo l'acclamato album di debutto autointitolato, i Servants to the Tide tornano con “Where Time Will Come to Die”, un album più dinamico e versatile sotto l’essenza del Doom Metal, che vede la band più matura e ampliata arrivando ad avere cinque elementi. Il brano di apertura “With Starlight We Ride” è una pezzo Doom Metal dal sapore epico con le chitarre di Leonid Rubinstein e Katharina Großbongardt in bella mostra con riff accattivanti. I vocalizzi di Stephan Wehrbein sono fantastici e il tappeto ritmico è costantemente solido, ottimo il ritornello. L’Heavy/Doom di “Sunrise in Eden” è veramente intenso con la voce sempre imponente ed espressiva.
Con “White Wanderer” i Nostri ci avvolgono nell'oscurità, e se “The Trial” (bonus track per la versione CD) è un breve pezzo emotivo, “If the Stars Should Appear” è la perla dell’album. Un’intensa suite divisa in tre atti in cui piano e voce aprono, seguiti dalla chitarra, un seguito più cupo dopo questa serenità. Un brano mutevole ed intenso che racchiude lo spirito Epic Metal della band. La ballad “Towards Zero” è un altro pezzo che merita moltissimo, che precede il finale emozionante con la title-track, che racchiude Epic, Doom e Prog. “Where Time Will Come to Die” è consigliato poiché è un ottimo album in cui si spazia tra Doom ed epicità, delicate melodie e tanto Heavy Metal molto spesso anthemico.
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