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Opinione scritta da Davide Collavini

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Opinione inserita da Davide Collavini    07 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 07 Marzo, 2024
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Quando si parla di Bruce Dickinson non si può non farlo con grande rispetto. Per molti di noi è stato grazie agli Iron Maiden una sorta di “Dio” nel mondo dell’Heavy Metal! Grande carisma, grande showman, ma soprattutto grande voce! Quando ero ragazzo proprio la sua voce fu la chiave che mi avvicinò ai Maiden… Quindi potete capire bene cosa può significare per me essere qui oggi a commentare e giudicare il sesto album solista del grande Bruce. Un Dickinson che alla soglia dei sessant'anni passati e con un tumore alla gola superato è sempre pronto a regalarci nuova musica, che sia con i Maiden ("Senjutsu" nel 2021) o da solista con appunto il suo “The Mandrake Project“. L'album vede la collaborazione consolidata del chitarrista e produttore Roy Z ed esce a quasi vent'anni dall'ultima fatica solista di Bruce, “Tyranny Of Souls“ del 2005. “The Mandrake Project“ è composto da dieci tracce per un totale di 58 minuti… Tutto l'album rappresenta la voglia di sperimentare di Dickinson, uscendo dagli schemi classici legati ai Maiden. “Afterglow Of Ragnarok”, l’epica traccia d’apertura, con i riff potenti di Roy Z, introduce la visione grandiosa di Dickinson. Il coro contagioso richiama il suo stile operistico. “Many Doors To Hell”: le chitarre incalzanti e il ritmo martellante rendono questa canzone coinvolgente. Con una melodia molto stile anni '80 con un Bruce veramente ispirato. “Rain On The Graves”: ancora una volta Bruce ci dà alla grande, con un ritornello che ti scava dentro e non se ne va più. “Resurrection Men”: inizio quasi da film Western alla Sergio Leone, per poi entrare nella canzone con Bruce che ancora una volta dà prova di grande tecnica vocale. Anche Roy Z ci mette del suo, con un ritmo pesante e grintoso. “Finger in the Wounds": qui siamo di fronte a qualcosa di veramente particolare ed elaborato, con il pianoforte che rende sua la canzone e un ritornello che vola nella fantasia trascinandoti nei tratti mediorientali nel finale. “Eternity has Failed”: bene, la prima volta che l’ho sentita ho pensato ad un errore nel lettore: è partita “If Eternity Should Fail” degli Iron Maiden??? Niente di tutto questo! Semplicemente è la stessa canzone che apre "The Book Of Souls" dei Maiden, ma in versione originale. Senza lo zampino di Harris che ne ha modificato i tratti. Sinceramente preferisco di gran lunga questa versione. “Mistress Of Mercy”: il basso d’apertura è bello pesante rendendo questa canzone forse più pesante di qualsiasi cosa troveresti in un album degli Iron Maiden. Chitarre possenti e un altro coro imponente da parte di Dickinson. “Face In The Mirror”: verso la fine dell’album, ci immergiamo in territorio più ballad. Anche se da quanto ho letto Bruce non è molto d'accordo nel dare questa etichetta alla canzone. Questo brano, con tocchi di pianoforte, è uno dei momenti più suggestivi e profondi di tutto l’album. “Shadow of the Gods”: anche qui un pieno di emozioni con pianoforte e un potente Bruce che ci accompagna in un vortice di emozioni in note e virtuosismi vocali per tutti i sette minuti di durata. Inutile dirlo basta ascoltarlo per capire che nonostante tutto quello che ha passato resta uno dei più grandi vocalist Metal di tutti i tempi. Chiude “Sonata (Immortal Beloved)”, nove minuti di cambio di ritmo e tempo che ti terrà incollato all’ascolto. Un’insieme di suoni quasi orchestrali oserei dire. Con un narratore smarrito che cerca la sua strada. In sintesi, "The Mandrake Project" è uno dei progetti più audaci di Bruce Dickinson, ma che conferma quanto negli anni Dickinson sia maturato, evoluto musicalmente e nonostante l’età e con un tumore alla gola sconfitto sia ancora in grado di regalarci delle emozioni. Roy Z si è occupato anche della produzione, direi in maniera eccellente! Magari si occupasse anche dei futuri lavori dei Maiden, visti gli ultimi risultati deludenti.

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Opinione inserita da Davide Collavini    25 Febbraio, 2024
Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 2024
Top 50 Opinionisti  -  

"Guitar Force" è il terzo disco solista di Victor Smolski, noto per la sua lunga permanenza con i Rage. Questo album è una dimostrazione della sua virtuosità come chitarrista e artista polistrumentista ed è composto da materiale completamente nuovo, molto vario e particolare. "Guitar Force" è considerato da Victor come una sorta di "best-of album", in cui presenta molte idee prese dai classici di Rage, Almanac e Johann Sebastian Bach in versioni modernizzate. Devo dire che sono rimasto piacevolmente affascinato dalla combinazione e tecnica utilizzata da Victor nell’unire parti classiche e sinfoniche con il Rock/Metal. Il brano che decisamente colpisce in assoluto dell’intero disco è senza dubbio “World Of Inspiration", che unisce una moltitudine di sensazioni e tecnica. Riff graffianti, orchestrazioni, aperture melodiche e anche una sana aggressività. Il tutto della durata di 16 minuti, che si fanno apprezzare dall’inizio alla fine. Altro brano che supera i dieci minuti, la title-track “Guitar Force”, presenta un brano ricco di un sound non necessariamente chitarristico, pieno di atmosfera, ma anche di riff trasgressivi. Nonostante l'album sia pieno di incredibile musicalità, a volte si rivela un po' troppo impegnativo, con molte cose che accadono in brani decisamente molto lunghi. Tuttavia, la produzione e le performance sono assolutamente abili, geniali e professionali, e insieme al suo gioioso suonare, "Guitar Force" offre un’esperienza molto piacevole all'ascolto. In sintesi, "Guitar Force" è un album sorprendente che catturerà sicuramente l'attenzione degli appassionati del Prog/Power Metal strumentale, ma anche chi ama la musica strumentale Rock e Metal in generale.
Brani preferiti :"Guitar Force", "World of Inspiration" e "Unity".

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Opinione inserita da Davide Collavini    16 Febbraio, 2024
Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 2024
Top 50 Opinionisti  -  

A neanche un anno dal loro album di esordio i Flames of Fire escono con il loro secondo lavoro da studio “Our Blessed Hope”. Lo stile e le influenze della band, fondata dal cantante Christian Liljegren e dal chitarrista Mats-Åke Andersson, si incontrano tra Hard Rock e Heavy Metal, e passano da Iron Maiden, Crimson Glory, Dio, Malmsteen, Alcatrazz, Europe ed altri. Dal disco d'esordio non ci sono grandi stravolgimenti di sorta: stessi musicisti, stesso produttore (Jani Stefanovic), identico stile e approccio. I testi sono molto incentrati su Cristo, il suo regno, il tutto insomma concentrato nel cristianesimo. Potrei definirlo tranquillamente un Heavy Metal cristiano (come il "White metal" di tanti anni fa), un po' curiosa come cosa… però, si sa, la musica non ha confini, né barriere. I brani in tutto sono dieci per un totale di 43 minuti. Dopo una breve intro con “Second Advent of Jesus Crist”, le cose si fanno più interessanti musicalmente con il singolo “This Is the One” che, pur non offrendo particolarità innovative, presenta un buon sound con dei bei solidi riff. Le cose migliorano con “Battlefield of Souls”, in cui il sound si arricchisce di riff più corposi e pesanti, ritmicamente una delle migliori dell’album e tra le più apprezzate. Un aspetto interessante è la presenza di una ballad nella tracklist proposta in doppia versione: in inglese, con il titolo di “Rest In Me”, e in svedese come “Vila I Mig”. La maggior parte dei pezzi risulta scontata e prevedibile. Poche sono le eccezioni, dopo la citata “Battlefield Of Souls” potrei citare anche “The King Will Return”, che spazia tra Metal classico e Power Metal, con un buon sound e ritornello orecchiabile e con dei bei cambi di tempo. In sintesi, per chi ama il genere e non cerca grandi innovazioni, i Flames of Fire potrebbero rappresentare un gradevole ascolto. La loro musica, seppur stereotipata, è suonata con maestria e freschezza compositiva.
Canzone preferita: "This Is The One"

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Opinione inserita da Davide Collavini    12 Febbraio, 2024
Ultimo aggiornamento: 12 Febbraio, 2024
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“The Fallen” - pubblicato il 12 gennaio 2024 SU Fireflash Records - è l'ultima fatica - e quarto album - dei “Ruthless”, band attiva nella scena Metal già dal lontano 1982. Guidati dal carismatico frontman Sammy DeJohn, con questo lavoro portano delle modifiche moderne al loro sound, offrendo un Metal classico fortemente influenzato dagli anni '80, con tocchi di Speed Metal unito ad un sound più duro dei giorni nostri, ispirandosi particolarmente ai Saxon. L’album si apre con la tilte-track “The Fallen”, che presenta uno sprint tipicamente Speed Metal e una voce possente da parte di DeJohn. "Dark Passenger" è un po' debole rispetto alla tracklist, e la power ballad "End Times" è abbastanza buona con alcuni virtuosismi vocali da parte del nostro Sammy veramente degni di nota. Altre tracce come “Betrayal” dimostrano la maestria della band nel creare riff robusti e un sound che richiama gli anni d’oro del Metal. “Thulsa Doom” amplifica l’atmosfera epica con riff doom massicci, mentre “Order of the Dragon” sembra un omaggio ai Saxon degli anni passati. Anche se non c’è nulla di innovativo o originale qui, i Ruthless riescono a riprodurre con competenza il suono del Metal degli anni '80, rendendolo familiare a chiunque abbia vissuto quella mitica epoca. In sintesi, “The Fallen” è un album compatto che mantiene un’intensità costante per tutta la sua durata di oltre 41 minuti. Nonostante non possa spiccare per originalità, se si è un fan del Metal classico degli anni '80, questo disco ti farà rivivere quei magici momenti, leggendari per questa musica.
Traccia preferita: “Soldier Of Steel”

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Opinione inserita da Davide Collavini    02 Febbraio, 2024
Ultimo aggiornamento: 02 Febbraio, 2024
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Gli Eradikated, giovani thrashers svedesi, hanno pubblicato il loro album di debutto intitolato “Descendants”. Questo disco, prodotto da Indie Recordings, è stato registrato nello studio del chitarrista Ragnar Östberg presso i suoi East Hill Audio, e ha una durata di 42 minuti per undici tracce complessive. I pezzi sono un mix diversificato di Thrash Metal veloce, pesante e tecnico, dove il tema comune esprime aggressività. “Descendants” è un lavoro che si ispira alle radici del genere, ma non si limita a essere una mera operazione nostalgica. Gli undici brani presenti nell’album sono caratterizzati da un’aggressività tipica del Thrash, con testi che narrano una storia oscura di un futuro apocalittico. In questo scenario, i disastri climatici e gli interessi di pochi stanno devastando l’umanità, ma forze di resistenza, speranza e ribellione lottano per creare un nuovo mondo. La mia opinione è che si tratta di un album molto potente e coinvolgente, che riesce a combinare le influenze del Thrash Metal classico con una visione moderna ed originale. Le tracce che spiccano su tutte sono "Unleash", "Descendants" e "Dead Heaven", che mostrano la bravura dei musicisti e la forza del loro messaggio. In conclusione, gli Eradikated hanno creato un album potente e solido, radicato nel passato ma proiettato nel futuro.

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Opinione inserita da Davide Collavini    27 Gennaio, 2024
Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 2024
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L'album “The Serpent's Cycle” dei canadesi Hyperia è un disco autoprodotto uscito il 17 novembre 2023. La band suona in modo assolutamente violento con il lavoro della chitarra solista ad un livello davvero impressionante, mentre la cantante Marlee mette in campo una grande performance vocale con urla sconvolgenti e ringhi demoniaci mescolati con alcune voci più melodiche che rimangono aggressive e piene di quell'imbattibile attitudine Thrash. "The Serpent's Cycle" è un disco che conserva il suo suono vecchia scuola pur incorporando una sensibilità melodica senza diluire l'aggressività. Sicuramente un materiale veramente forte, decisamente un grande passo avanti per la band. Un lavoro coerente, un Thrash che morde e cattura l’attenzione con potenza, durezza e una melodia sotto corrente. Se vi piace questo particolare sound, allora “The Serpent's Cycle” è un lavoro a cui prestare attenzione. In tutto il disco ci sono ritmi precisi e chitarre soliste, batteria martellante, il basso rimbomba nei posti giusti. Le canzoni spaziano da assalti furiosi e divertenti come “Automatic Thrash Machine” e la title-track, a brani ricchi di potenza come “Prophet Of Deceit” e “Eye For An Eye”. L'album si conclude con una cover di “Crazy On You” delle “Heart”, che mostra il lato più melodico della band. La produzione è chiara, le chitarre sono in primo piano, forse personalmente preferirei una voce più chiara e pulita, ma forse è difficile avere una buona intonazione quando si urla e si ringhia. Comunque è un album che decisamente cresce ascolto dopo ascolto.

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Opinione inserita da Davide Collavini    14 Gennaio, 2024
Ultimo aggiornamento: 14 Gennaio, 2024
Top 50 Opinionisti  -  

Canadesi di nazionalità, gli Aggression, nonostante la loro storia inizi nel 1984, sono al loro sesto album nel panorama Thrash Metal canadese. La copertina del nuovo album “Frozen Aggressor” ricorda molto la serie tv Game Of Thrones, Il Grande Inverno: copertina molto ben congegnata a tema per l’album. LP che si presenta con un sound molto aggressivo (come potrebbe essere altrimenti??) con un Thrash vecchio stile; vista l’esperienza decennale del leader direi quasi una celebrazione del Thrash vecchia scuola. I riff sono fulminanti, il basso si concede percorsi anche propri che non gli permettono di sparire sotto la coltre saettante delle sei corde. A ciò si unisce un drumming poderoso, agile e a tratti spiazzante, in più un cantato roco nella maniera giusta. L’album è composto da otto tracce, iniziamo con “C.H.U.D. Invasion”, una intro strumentale di quasi quattro minuti, rabbiosa al punto giusto. Veramente un bel pezzo. “Circus of Deception”, velocissima e coinvolgente con un durissimo attacco simil-Blues, “Song #666”’ci porta in ritmi molto più Punk, ma restando sempre molto intensa. “Crib of Thorns”, di chiara ispirazione classica al Thrash anni '80 di Metallica e Megadeth. La batteria la fa da padrone con ritmi martellanti in “Holidays in Sodom”. “Satanic Cult Gangbang” oltrepassa il confine del Thrash Metal virando nel Death, per poi passare ad una “Queen of the Damned” dalle varie complessità sonore. L'album si conclude con “Hyperspectral Winter Incursions”, otto minuti e mezzo di pura tecnica e melodia, con assolo di lunga durata e di grande tecnica. "Frozen Aggressors" degli Aggression è un’album ben realizzato, senza grandi pretese, ma che riuscirà sicuramente ad essere apprezzato dagli amanti del Thrash anni '80 Anche a tutti gli altri comunque consiglio di ascoltarlo almeno una volta, non ne rimarrete delusi.

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Opinione inserita da Davide Collavini    28 Dicembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 2023
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Quando parliamo degli Ektomorf parliamo di una band attiva da oltre trent’anni, con sedici album in studio realizzati e un live. Ungheresi di nazionalità, sono capitanati da Zoltan Farkas, unico superstite della formazione originale. Il loro sound si nutre delle influenze sonore ben distinte, dai Sepultura/Soulfly agli Slipknot su tutti; ed infatti, in tal senso, si notano l’uso delle percussioni su molte canzoni e lo stile inconfondibile della band di Corey Taylor. Quasi da assomigliarci un po' troppo in alcuni passaggi. Il che, per carità, non è neanche male perché suonato molto bene, con riff belli tosti e martellate alla batteria di grande impatto, ma un po' di originalità non sarebbe guastata. Diciamo che tutto l’album non si distacca molto dalle produzioni precedenti degli Ektomorf. E questa non è una nota positiva. “Vivid Black” ha un’impronta molto Groove/Nu Metal, con Zoltan che alterna una voce roca e potente a tonalità più melodiche. Mi ripeterò ancora ma, ascoltando le prime canzoni, mi è sembrato di ascoltare gli Slipknot: “I'm Your Last Hope (The Rope Around Your Neck)”, “Never Be The Same Again”, “Fade Away”, praticamente tutte nella stessa linea. Il clima cambia con ritmi più rabbiosi in “Die”, “You And Me” e “I Don’t Belong To You”, con un’approccio decisamente più Thrash. Molto più coinvolgenti decisamente delle precedenti. A queste aggiungerei anche “You Belong There”, puro rabbioso originale Nu Metal! Personalmente non disprezzo totalmente quest’album, poiché ci fa ascoltare comunque qualcosa di buono in una realizzazione abbastanza piatta nell’originalità, andando troppo a “clonare” per primi se stessi (perché l’album risulta molto simile a realizzazioni precedenti), sia altre bands più blasonate. E la cosa mi dispiace, perché tecnicamente, a mio modesto parere, avrebbero sicuramente molto da dire. Il batterista, devo evidenziarlo, è decisamente di ottimo livello! E da una band con trent’anni di esperienza ci si aspetta decisamente qualcosa in più. Sulla copertina dell’album invece non mi esprimo, meglio soprassedere.

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Opinione inserita da Davide Collavini    16 Dicembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 2023
Top 50 Opinionisti  -  

La copertina di “Switch to Reset” ricorda molto i videogiochi che si compravano in edicola negli anni '90, si immaginavano avventure o battaglie epiche, salvo poi rimanere delusi dal gioco perché di scarsa qualità. Per fortuna con il disco in questione, questo non accade! Ma facciamo un passo indietro. Band irlandese, i Crossfire sono stati fondati dagli amici Kevin O'Connor-Conroy (chitarra e voce) e Conor Jordan (basso), con l'aggiunta di Dan O'Connor (batteria) e Matt O'Brien (chitarra), hanno consolidato la loro reputazione tra le più importanti giovani band Thrash Metal irlandesi. Il loro sound risulta molto particolare e a tratti originale, un Thrash classico ma distinto dal passato. “Switch to Reset” ci presenta otto tracce, la maggior parte delle quali con un minutaggio abbastanza importante, che però nella durata totale di un’ora ci delizia con canzoni mai banali o uguali tra di loro. Ogni canzone, soprattutto quelle più lunghe, hanno un’attenzione nella realizzazione strumentale veramente notevole. Ci presentano riff granitici potenti e variegati, assoli di grande qualità e taglienti, cambi di passo, di tempo con a volte pause e ripartenze che arricchiscono l’esperienza musicale di chi ascolta. Troviamo anche molta energia e potenza fin dall’inizio con la title-track a deliziarci in apertura con un solo di chitarra, per poi partire a ritmo battente. Un’introduzione di due minuti prima di ascoltare la voce rude e roca di Kevin. Anche “Book of the Dead” ci delizia con un arpeggio e un’atmosfera cupa prima di partire sull’acceleratore. “Lost All Control” è tra i pezzi più riusciti: parte con riff pesanti intervallando tempi e ritmo, con il nostro Kevin che si cimenta in un’interpretazione meno dura ma profonda, con un ritornello molto orecchiabile. “Who Goes There?” è una delle tracce più lunghe dell’album, ma che non risulta mai noiosa o scontata, piena di energia e realizzazione tecnica veramente di grande livello, si apprezzano molto gli assoli iniziali e anche qui i vari cambi di tempo. “Coercion” ci offre un antipasto di quello che sarà la conclusione dell’album, con una interpretazione quasi completamente strumentale, ritmo battente, riff ruvidi, grezzi e potenti, con la parte vocale che fa la sua comparsa solo nella parte iniziale e nella parte finale. Altra canzone degna di nota è “Guns for Hire”, con i suoi riff e la sua potenza fa venire voglia di headbanging!! “Prometheus” è la mia preferita: completamente strumentale, inizia con un arpeggio di chitarra che ricorda lontanamente “The Call Of Ktulu” dei Metallica, salvo poi continuare con un solo alla chitarra elettrica. Anche qui i cambi di tempo la fanno da padrone rendendo questa canzone di ben dieci minuti un’opera veramente eccezionale. Si vede che i Nostri ci sanno fare con gli strumenti, anche Conor trova spazio con il suo basso e intorno al quinto minuto ci delizia con un bel solo, accompagnato successivamente dalla chitarra di Matt. La parte finale, gli ultimi quattro minuti sono un crescente di energia e tecnica. Che dire di quest’album? Sicuramente mi è piaciuto molto e sono sicuro che piacerà soprattutto a coloro che cercano nel Thrash anche qualità realizzativa strumentale e non solo un costante martellare. Una cosa mi ha lasciato un po' perplesso e la voce di Kevin, a tratti geniale e precisa, altre volte invece un po' meno. Nulla di irreparabile, per carità: il classico “pelo nell’uovo”.

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Opinione inserita da Davide Collavini    05 Dicembre, 2023
Ultimo aggiornamento: 05 Dicembre, 2023
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A vedere la copertina e a leggere il titolo dell’album non è difficile capire che tipo di influenze musicali possa aver avuto questa band polacca, ma avranno saputo diversificarsi dai mostri del passato? Andiamo a vedere cosa ci offrono con questa loro ultima fatica gli Acid Force. Band polacca appunto, formata da Andrej Pretro alla chitarra e voce, Juraj Ondrejmiska al basso, Federico Petrik alla batteria e Erik Lesko alla chitarra. "World Targets in Megadeaths", secondo album della band, contiene otto tracce per una durata di trentasei minuti. Facciamo finta di essere in un programma di cucina e la ricetta di oggi è l’album in questione. I nostri sono i cuochi che usano ingredienti di sicuro successo, ispirandosi ai maestri del passato. Un pizzico di Metallica, un po' di Megadeth, una spolverata di Kreator e un ingrediente segreto conosciuto solo ai Nostri. Quel componente segreto rende quest’album frizzante, piacevole ma mai noioso, un Thrash Metal puro, veloce e furioso con un contorno Punk. Lo stile e impegno nel disco lo si nota fin dall’inizio con “Out of the Trench”, con un’intro alla “Blackened”, per poi partire a mitraglia con riff articolati a ripetizione, con Juraj al basso sempre presente e ben distinto (finalmente). I nostri ci deliziano con assoli di qualità, la voce di Andrej Petro rude ma non troppo, quel giusto da dare espressività e spessore alle canzoni dando anche una nota Punk, suggellata in “Praise the Atom”, anche se all’inizio mi ricorda molto “Motorbreath” dei Metallica. Le canzoni che spiccano di più in quest’album sono: “Fast Friday”, con un ritmo serrato alla Overkill, “Rebirth of the Sun”, fantastica con il suo chiaro riferimento ai Megadeth, ma sempre intelligentemente originale che la rende unica, con assoli che spiccano piacevoli per tutta la canzone“. Lighting Cops” si fa apprezzare soprattutto per l’ottimo lavoro alle due chitarre. “Beyond the Concrete Fields” è una strumentale con arpeggi e un sound in perfetto Metallica style! Chiude “World Targets in Megadeaths”, rabbiosa con riff pesanti, ritmo serrato a mitraglia! Un album che ha molti riferimenti e sicuramente ha preso molto dal passato, ma senza diventare un clone di esso, regalandoci trentasei minuti di vero e puro Thrash Metal. Originale quanto basta, che farà sicuramente felici tutti gli amanti del genere, mentre a tutti gli altri consiglio comunque di dargli almeno un ascolto, perché non ne rimarrete delusi.

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