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Opinione scritta da Francesco Yggdrasill Fallico

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Opinione inserita da Francesco Yggdrasill Fallico    07 Febbraio, 2021
Ultimo aggiornamento: 07 Febbraio, 2021
Top 50 Opinionisti  -  

Questa è la seconda release dei torinesi Feralia che mi trovo ad analizzare, dopo il mini “Over Dianam”, che era orientato su sonorità folk. Questo però, devo subito avvisarvi, non è il nuovo lavoro del progetto esoterico piemontese, bensì l’album che venne rilasciato nel 2019.
Il lavoro, cinque tracce + intro e outro, ruota, è proprio il caso di dirlo, attorno alla ciclicità e al processo di alternanza vita/morte, fatto di tappe inesorabili, presente in svariate culture e religioni. Musicalmente abbiamo una band davvero molto interessante, che, grazie alla presenza di figure che reputo non convenzionali all’interno di diverse scene internazionali, riescono a dare un’aura molto intrigante a questo lavoro, che in poco meno di 30 minuti, rappresenta un debut album che non bisogna affatto farsi sfuggire.
Al microfono troviamo Tibor Kati dei rumeni Grimegod, formazione storica del panorama musicale dell’Est Europa, che, ancora una volta, offre una prova vocale degna di nota! Inesorabile e massiccia presenza del basso sin dalle prime note dell’Intro, Khrura, è una figura sempre più fondamentale nell’economia musicale della band, mai eccessivo, ma puntuale e granitico, come non accadeva da tanto tempo nel panorama musicale italiano e non solo. Piacevolmente sorprendente è il lavoro dietro le pelli (comprensivo anche di innesti elettronici) del buon Ignotus Nebis che, insieme al chitarrista/tastierista Raijinous, completano e rendono impenetrabile la corazzata nera Feralia. Non c’è una caduta, per quanto mi riguarda, né un momento di esitazione, lungo tutto questo album, che è un must per tutti gli amanti dell’estremo e non solo.
Vorrei potervi dire qualcosa di più sui testi, ma non ho avuto modo di leggerli; nel frattempo però vi invito, ancora una volta, ad abbandonare l’esterofilia ad ogni costo e a farvi rapire dalla magia oscura dei nostri piemontesi, nell’attesa di un loro nuovo passo in avanti…
“Oh Sun…Oh Father…”

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Opinione inserita da Francesco Yggdrasill Fallico    09 Novembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 09 Novembre, 2020
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Non arriva ai 20 minuti di durata questo ritorno sulle scene dei piemontesi Feralia, alle prese con un folk acustico di pregevole fattura, ma davvero intriso di sonorità molto interessanti, che servono da preludio a quello che sarà il loro prossimo lavoro, del quale questo EP, dovrebbe esser parte integrante.
Il lavoro della band è reso disponibile in free download sulla pagina bandcamp e questo la dice lunga sul messaggio che i nostri vogliono far passare in questa difficilissima fase, dando un loro personale tributo ad un tempo che fu, partendo proprio dalla venerazione di una delle divinità (presente, con affinità e divergenze, sia nella cultura greca che in quella latina) più importanti delle civiltà che stanno alla base della nostra.
Ad affiancare Raijinous e Krhura (quest’ultimo in forza anche ai miei conterranei Inchiuvatu), troviamo dei personaggi che molti di voi, mi auguro conosceranno!
Il cantato/recitato sulle ultime due tracce è, infatti, affidato, rispettivamente, ad Erymanthon Seth mente degli Apocalypse (attualmente entrato in pianta stabile a sostituire l’ex Tibor Kati, membro dei rumeni Grimegod) e a Erba Del Diavolo, senza dimenticare l’apporto alla chitarra acustica di Mr. Håvard Jørgensen, che fece parte dei norvegesi Ulver durante la fase che va dai primi demo fino a “The Marriage…” passando per la storica trilogia nella quale è contenuto anche “Kveldssanger”, interamente basato sul folk norreno…
L’ascolto di questo EP è da farsi in maniera intera e continua, a nulla varrebbe estrapolarne un brano, perché avrei il timore di non restituirne il senso di totalità e di fragilità che appare.
La chiave di lettura che vi do resta, quindi, questa, un inno alla Natura potente e possente, identificata con la figura della Dea, protettrice quanto vendicativa (nei secoli diventata addirittura una strega, a causa di una interpretazione dei vecchi culti lunari che la ponevano in antitesi ad Ecate) alla quale dar tributo non in maniera violenta ed efferata, ma con i suoni onirici degli strumenti a corda e con la magia dell’acustico.
Scelta non facile, ma per quanto mi riguarda molto azzeccata, spogliatevi di ogni orpello e a pieni nudi innalzate i vostri canti…
“…the blood of the earth becomes eternal life…”

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Opinione inserita da Francesco Yggdrasill Fallico    11 Ottobre, 2020
Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre, 2020
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Non scomoderò nomi altisonanti dello scenario doom o death per parlare di questo combo che viene dall’estremo sud della Spagna, ma voglio esser quanto più onesto con chi si accinge a leggere le mie parole.
Troppo facile sarebbe liquidare la band o, ancor peggio, osannarla, semplicemente per compiacere qualcuno, come ultimamente va di moda, ma, credo sia più corretto darvi un’analisi libera da ogni pretesto o condizionamento.
Partiamo dal presupposto che chi scrive ama alla follia un certo tipo di doom funereo , fatto di atmosfere dilatate o rallentate all’inverosimile, suoni cupi e ovattati e una sezione ritmica al limite della psicosi, ma non è questa la chiave di lettura di questo lavoro e se qualcuno ve lo presenterà così, probabilmente ha ascoltato qualcos’altro!
Non inganni la presenza di due voci femminili all’interno della band iberica, in quanto la Carrasco rappresenta l’anima più dura della formazione, la voce in growl che a volte sfocia in uno screaming, non sempre preciso, ma comunque efficace nell’economia della band e dall’altra la soprano Lidalin che però non osa quanto potrebbe e mi auguro che prenda sempre più consapevolezza delle proprie capacità.
Si ragazze, vorrei proprio da voi una prestazione che mi faccia dire…loro sono uniche e non comuni!!!
Negli anni ’90, prima che divenisse quasi normale l’uso delle doppie voci, vennero fuori delle figure capaci di non esser rilegate al ruolo di coriste o di riempimento, ma che furono in grado di spiccare persino sui propri colleghi uomini che, in teoria, rivestivano il ruolo di lead vocalist…
A riscatto della band, vi sottolineo che, pur essendo questo il debut, che segue, a distanza di poco più di due anni, il demo di esordio, c’è una bella compattezza di suoni, che trovano esplicazione più intensa nella parte centrale di questo lavoro che si assesta sui 52 minuti di durata, dandoci, come da canoni, brani che non vanno mai sotto i 6 minuti di durata.
“Joy Of Your Misery” e ancor più “Your Somber Look”, sono i due brani che danno meglio il potenziale di crescita di questo quartetto, che spero riesca sempre più ad amalgamarsi e diventare band, vista anche la compattezza ritmica che il fondatore Euman, al basso, ha qui col batterista Jesus MW, vecchia mia conoscenza anche come editor di zines, oltre che in forza nei MurderWorker.
Mi aspetto davvero tanto da voi cari Funeralia e, credo non deluderete le aspettative!!!
“…I feel terror…I feel love!...”

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Opinione inserita da Francesco Yggdrasill Fallico    03 Agosto, 2020
Ultimo aggiornamento: 04 Agosto, 2020
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Basterebbe fare un copia/incolla della seppur piccola bio allegata o appioppare il massimo voto, per farvi capire il valore di questo album, ma chi mi conosce sa che non riuscirei in tale impresa così altamente utilizzata per accattivarsi favori di band ed etichette e quindi, ascolto dopo ascolto, vi restituisco le sensazioni ricevute da un’assunzione massiccia e continua di questo lavoro.
Partiamo localizzando la band, siamo a Genova, culla da decenni di tantissimi gruppi, più o meno famosi e più o meno estremi, molte delle quali hanno visto militare nelle proprie fila i musicisti che fanno grande questo debut album. Non vi dirò di più perché troverete i loro nomi allegati alla recensione e potrete tranquillamente scoprire, qualora non riusciste a primo impatto, chi si cela dietro questo bell’album realizzato dalla Black Tears. Vi anticipo solo che molti di loro hanno, in questo caso, imbracciato uno strumento diverso da quello suonato nelle band di provenienza.
Nove sono le tracce racchiuse in questo album che trasuda potenza come pochi! Compattezza sonora unica, furia sonora mai fine a se stessa, effetti usati per catapultarci nella scena tessuta dai nostri, linee di basso e di chitarra esageratamente coinvolgenti, una batteria sempre puntuale ed una prova vocale veramente interessante. C’è tanta Scandinavia in questo lavoro, ma c’è anche tanta Italia, tanta Genova!
Questo album è a tratti epico, senza perdersi mai in virtuosismi o becere e pacchiane sviolinate al metal più pomposo e più pompato, ma è una vera prova di forza da parte di cinque musicisti che respirano e vivono la scena tricolore da tantissimi anni! Non vi suggerirò un brano a scapito degli altri, perché queste tracce meritano davvero di essere ascoltate e riascoltate e fatte davvero vostre!
Marcio, nero come pochi sanno essere, con una pulizia di suoni ormai marchio di fabbrica, provenendo dai Nadir Studios, e con un artwork ad opera di Lisalinda Ozenga e la grafica di mister Paolo Puppo dei Will ‘o’ Wisp, che, sembra, aver seminato all’interno del booklet dei riferimenti esoterici…
Mettetevi alla RICERCA cari miei!!!
“…No hope…no dreams…no tears!...”

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Opinione inserita da Francesco Yggdrasill Fallico    21 Mag, 2020
Ultimo aggiornamento: 21 Mag, 2020
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Questo 2020 ci regala il ritorno dei liguri Necrodeath con questo 5-tracks EP, formato da tre inediti, una versione live della storica “Flame Of Malignance”, risalente al loro “Mater Of All Evil” (che sancì il ritorno sulle scene dei nostri nel 1999) e una cover, l’intramontabile “California Über Alles" dei Dead Kennedys di Jello Biafra (pezzo risalente al 1979!!!)
Seppur con un lavoro di breve durata, i brani che vengono presentati sono molto interessanti e ci riportano alle sonorità tipiche a cui ci hanno da sempre abituati i Necrodeath, quel mix di thrash e proto black, sporco quanto basta, capace sempre di farti scuotere sin dal primo ascolto.
Perdonatemi se non sarò molto dettagliato nella descrizione, ma non ho a disposizione né testi, né altro per potervi donare un’analisi più accurata, quindi mi baserò solo sulle mie impressioni e sulle mie conoscenze musicali e non.
Ad aprire le danze (nere) c’è il brano “Inferno” che si lega al Neraka (o Naraka, delle culture dharmiche), con un Lucifero che si racconta in prima persona, in una versione moderna, come raffigurato nella front cover, in una sorta di riscatto che parte dal distacco dall’odierna società omologatrice, fino alla risalita verso ciò che gli è stato sottratto. Musicalmente il brano ha un’intro da vecchia scuola, campionamento, voci filtrate e poi Pier Gonnella con la sua chitarra, sostenuta da ritmiche prima marziali e cadenzate, poi sempre più velocizzate, a sostenere ciò che l’Angelo Caduto Flegias ha da urlarci senza pietà. Non a caso, la band ha scelto questo pezzo come singolo apripista di questo lavoro. Il secondo pezzo, “Petrify”, rappresentato graficamente sulla front cover dal personaggio a destra, è dedicato alla gorgone Medusa, protettrice e guardiana, oltre che pietrificatrice, mi riporta alla mente certe sonorità di un progetto nato nella mia Sicilia, tantissimi anni fa, denominato La Caruta Di Li Dei, dove, anche in quel caso, le tematiche erano legate alla mitologia mediterranea e l’incedere era a tratti epico. Ancora alla mitologia, anche se trasportata ai giorni d’oggi, fa riferimento la terza “Succubus Rises”, dove i suoni tornano ad essere più sporchi e bastardi, per tributare la sensualità e la seduzione demoniaca della Succuba (la figura di sinistra è chiaramente femminile!), alla quale nessuno può resistere, fino all’orgasmo finale guidato da Pier e segnato dal martellare di Peso. Prima di andare oltre, tiriamo in parte le somme: band compatta, suoni riconoscibilissimi e marchio di fabbrica unico!
Questa realtà musicale è patrimonio dell’intera umanità, non soltanto di questo Paese, che da una parte li annovera tra le leggende, ma dall’altra continua, dopo 35 anni, a snobbarli spesso senza farsi troppi problemi. In un mondo musicale fatto di tanti suoni finti, ultra modificati, i Necrodeath ci continuano ad offrire ciò che muscoli e anima sanno mettere sugli strumenti, senza ricorrere a mille orpelli,talvolta usati anche male! Quando torneranno a calcare i palchi, questi pezzi sicuramente saranno ancora più devastanti e daranno modo alla band di esprimersi al meglio.
Ebbi modo di apprezzarli live nel 2005 nella mia Sicilia e fu una prestazione unica, così come le successive alle quali ho assistito, ma quella presentò anche il volto umano della band, che regalò ai presenti un’esibizione unica e che, prima e dopo, si intrattenne con tutti, con Peso disponibile a mettere in piedi un’intervista improvvisata al momento prima del concerto e Flegias a firmare autografi, malgrado la febbre alta a fine concerto.
Che dirvi di “Flame Of Malignance”? Uno dei brani più belli contenuti all’interno di “Mater Of All Evil”, che in versione live diventa ancora più devastante e ci porta fino alla versione di un classico dei Dead Kennedys, dove GL e Peso salgono in cattedra appesantendo le ritmiche del pezzo originale e la prestazione vocale di Flegias rende il pezzo ancora più d’impatto, in una società nella quale gli uomini vanno spesso dietro “l’uomo sul cavallo bianco”.
Pensare che l’idea di questa cover venne dopo una serata tra amici, nella quale il tasso alcolico era fuori controllo! Chiudo proprio con un verso del pezzo: ”…serpent’s egg already hatched…”

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Opinione inserita da Francesco Yggdrasill Fallico    01 Mag, 2020
Ultimo aggiornamento: 01 Mag, 2020
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A tre anni di distanza dal 4-tracks demo che portava il loro nome (interamente rivisitato e riproposto in questo album), debuttano i deathsters danesi Kurgan. L’album, che in copertina vede una realizzazione dell’artista Dragan Paunović, presenta, sin dal titolo, un tributo alla cultura scandinava e a tutta la mitologia norrena, con riferimenti però all'attualità e alla distruzione verso la quale andiamo incontro. La ferocia sonora dei nostri danesi, ben si adatta alle tematiche presenti nei testi (che nella versione digitale in mio possesso purtroppo non sono inclusi), ma tracce come “Hellstorm”, “The Fall of Asgard” e la title-track non lasciano spazio ad equivoci.
Non è certamente la prima band a tributare la magnificenza dell’albero cosmico, ma a differenza delle altre che ne hanno sempre esaltato le doti e le virtù, qui i nostri ci mettono davanti al fatto compiuto, a quel Ragnarǫk, che come descritto nell’Apocalisse, nel caso del cristianesimo, porterà ad uno scontro tra forze della Luce e delle Tenebre e alla distruzione del mondo. E quindi siamo proprio nella fase in cui ad Heimdallr spetta l’arduo compito di far risuonare il Gjallarhorn e ogni divinità si appresta a scontrarsi e a soccombere uccidendo il proprio nemico… Il frassino Yggdrasil (o Yggdrasill, in alcune trascrizioni) è così in preda alle fiamme, ma non è una morte definitiva, in quanto, il fuoco è solo simbolo di rinascita; ma ogni cosa, per tornare a nuova vita, deve esser prima distrutta e purificata e, come l’Arca protesse Noè ed ogni animale generatore di vita, sotto l’Yggdrasil troveranno riparo un uomo ed una donna, pronti a far rifiorire ogni cosa.
Musicalmente, queste tematiche trovano riscontro in un alternarsi di suoni forti e cupi da una parte, e di armonie dall’altra, ad accompagnare questo continuo scontro tra realtà contrapposte, ma necessarie. La furia del death e del black scandinavo si fonde quindi alla grazia di un certo power e soprattutto del classic tipico degli anni d’oro ed il lavoro di Tue Madsen al mixer rende questo amalgama ben fatto, dando ampio respiro e spazio alle chitarre di Myrup e del solista Hvisel, ma non celando l’egregio lavoro svolto in sezione ritmica dal bassista Holmen, che si occupa anche dei cori, e dal martellare incessante di Charlie Selvig. Un plauso alla prova vocale di Brian Petersen che offre una prestazione in grado di rendere chiari i testi, anche nelle parti più furiose e ben si amalgama alla band, sia nelle parti thrasheggianti, che nei viking moments, alternando anche screaming e growling ben eseguiti.
Veramente una prova egregia, in un calderone spesso noioso e privo di creatività, questi ragazzi sono riusciti ad emozionarmi e a coinvolgermi totalmente!
“…into the night we march
a thousand miles from home
into battle over the lands…”

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Opinione inserita da Francesco Yggdrasill Fallico    23 Febbraio, 2020
Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 2020
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Vorrei farvi percepire la bellezza agghiacciante che questo nuovo lavoro della one-man band bresciana emana, ma... mi è veramente difficile.
Dopo aver recensito il precedente “Vestigium Mortiis” su altri lidi virtuali, “4” arriva a spiazzarmi nuovamente!
Se nella scorsa recensione avevo evidenziato dei richiami alla scena svedese, qui si torna nella culla nera, quella Norvegia da cui partì tutto, anche se, come già detto nel precedente episodio, il nostro Mortifero rielabora tutto in chiave decisamente personale!
Otto capitoli, senza nome, quasi a voler sottolineare l’essenzialità del messaggio di questa nera opera, corredata da un bellissimo artwork che cela i testi, quasi a non voler dar in pasto le nere perle ai porci.
Capitoli sì, black metal crudo con degli inserimenti vocali epici, quasi bucolici, che mi rimandano a quel "Bergtatt" dei lupi norvegesi Ulver, datato 1995.
Le tracce, di per se, non lunghissime, sembrano dilatarsi durante l’ascolto e si passa da parti sparate a parti più cadenzate senza rendersi conto di esser all’interno dello stesso Capitolo e questo grazie alla versatilità di questo musicista che, pur avvalendosi di ospiti in alcune parti, esegue tutto da solo in maniera magistrale.
Tante dissonanze si percepiscono lungo l’ascolto, devastante, rigorosamente al buio e al volume che merita; di tanto in tanto si fa breccia anche la melodia, ma è una sadica forma di ulteriore tortura prima dell’affondo definitivo!
Scarno, essenziale, crudele ed altresì affascinante!
Questo resta il malvagio progetto di Mortifero…
La nera fiamma continua a bruciare!
In alto il calice per Nott!

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Opinione inserita da Francesco Yggdrasill Fallico    30 Novembre, 2019
Ultimo aggiornamento: 02 Dicembre, 2019
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Due generazioni, Alfredo Gargaro, classe ’70 e Alessandro Evangelisti, classe ’90, unite al cospetto del la musica che rese grande l’Italia persino in Sol Levante, Sua Maestà il Prog!!!
Questo è infatti il punto di partenza per questo combo romano, che riesce ad inserire nel suo debut album, anche sonorità metal dovute alla militanza del buon Gargaro in band del calibro di Rosae Crucis e Exiled On Earth.
Le sonorità sono molto dilatate ed avvolgenti, e vedono alternarsi tracce strumentali a brani cantati, sicuramente con un’innovazione stilistica non indifferente.
Dimenticatevi, signori miei, la classica forma canzone, qui si va oltre, molto oltre, e l’impronta del pianoforte avvolge, disfa e crea…
“A Picco Sul Mare”, una bella storia di una bimba nata storpia e per questo rifiutata, ma diventata sirena, è il punto di partenza di questo bellissimo viaggio, un meraviglioso crescendo, nel quale la band crea un suono meraviglioso ed una voce, come non se ne sente da tempo, ci porta all’interno di questo meraviglioso mondo chiamato “Disincanto”.
“La Metamorfosi Dei Sogni” è uno strumentale che tante band, metal e prog, farebbero carte false, per avere all’interno dei propri lavori.
“Il Canto Di Sìrin” è eterea, col suo cantato avvolgente, accompagnato solo da tastiere e pianoforte e fa da spartitraffico con le tracce successive, legate da un filo che è quello bellico.
Ci si lascia bagnare dall’estemporanea, orientaleggiante, “Pioggia Nel Deserto”, senza renderci conto di esser catapultati nella realtà fuori dal mondo di “Gaza, lì dove “…la terra non ha padroni, libera dai suoi confini…”, lì dove, “Dopo La Guerra”, “…un giorno tornerà la fantasia…”.
Complici anche due voci decisamente uniche come quelle di Francesca Palamidessi e Serena Stanzani, mi son sentito avvolgere e vibrare come non accadeva da tempo, fino alle stilettate pianistiche di “Resti”, che mi fanno, se ce ne fosse ancora bisogno, crollare definitivamente davanti alla bellezza di questo lavoro, che, mi auguro, non rimanga un caso isolato.
Mi spiace essermi imbattuto così tardi in voi, e aver aspettato così tanto, per motivi meramente lavorativi, a recensire la vostra opera, ma, per quel poco che può valere, sono felice ed onorato di aver avuto modo di assaporare questo frutto della vostra creatività e delle vostre anime.
“…non lasciare mai la strada della tua felicità…”

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Opinione inserita da Francesco Yggdrasill Fallico    13 Ottobre, 2019
Ultimo aggiornamento: 13 Ottobre, 2019
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CAPOLAVORO!!!
E potrei già fermarmi così, perché di capolavoro si tratta!!!
Grandissimo ritorno sulle scene da parte di Marco ed Andrea Basili, che conobbi nel lontanissimo ’96 sotto le nere spoglie di Hastur Evocation con quel marcio demotape che era “When Bestial Moans Compose A Sweet Symphony”.
Questo progetto, giunto al quarto full-length è, l’ennesima e chiara dimostrazione, di quanto valida sia la scena italiana e di quanto, da più di vent’anni ha un senso soffermarsi e dar spazio a realtà meno blasonate, ma solo perché lontane dai grandi canali di distribuzione e propaganda!
Le 7 FERITE che la band ci infligge sono la summa di quanto di più bello il black abbia lasciato in chi lo ha vissuto sin dagli anni ’90.
Momenti di pura follia e devastazione sonora, alternati a mid-tempos, armonie, assoli e una presenza avvolgente ma mai svilente delle tastiere.
Si respira tanto di Scandinavia, ma anche tanto di Italia in questo lavoro, che, puntualmente mi tocca recensire in versione digitale e non fisica, tra l’altro, anche in questo caso, senza i testi.
Qualcuno tirerà fuori, sicuramente i grandi nomi, ma questa volta preferisco rimandarvi alla parte iniziale della recensione, facendovi soffermare sulla data…1996 e da lì partire, con una visione finalmente più ampia e priva di pregiudizi, in quanto, tanti capolavori nordici, sono contemporanei o addirittura pubblicati dopo le prime uscite dei Basili, un esempio su tutti lo sconvolgente “Nattens Madrigali” dei lupi norvegesi Ulver, pubblicato nel 1997…
Album da brivido, ve lo ribadisco con molta convinzione!
Una delle realtà più belle nelle quali mi sono imbattuto negli ultimi anni, fieramente proveniente dalla nostra Italia, precisamente da Soriano, meraviglioso borgo viterbese, incastonato alle pendici del monte Cimino.
Strumenti egregiamente suonati, partiture eseguite con dovizia ed arricchite da azzeccati suoni di tastiera, il tutto farcito dalle vocals di Marco, che si occupa anche degli strumenti a corda, mentre sono entrambi i fratelli a curare synth e tastiere, con un lavoro, impeccabile di Andrea alla batteria, che coadiuva in alcune parti il fratello, affiancandolo con la sua voce.
A loro, che utilizzano la lingua degli avi, con un’espressione molto forte nel titolo, parafrasando, auguro di arrivare alla gloria più luminosa!!!

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Opinione inserita da Francesco Yggdrasill Fallico    30 Settembre, 2019
Top 50 Opinionisti  -  

Pubblicazione molto particolare, questa ad opera degli scaligeri Eresia, in quanto è una sorta di summa di tutto ciò che i nostri hanno realizzato a partire dal lontano 1995/96, periodo in cui, abbandonata l’identità punkeggiantie delle origini, estremizzano musiche e testi, virando verso un roccioso death metal cantato in madre lingua!
Ben 15 sono i brani racchiusi all’interno di questo album della band che parte da un concetto tipicamente Stoico e Pitagorico, quale l’ αἵρεσις, l’eresia appunto, ma vista con un’accezione notevolmente diversa da quella negativa che la cultura giudaico-cristiana ha poi dato nel corso dei secoli.
Ciò che ai nostri interessa è il concetto di SCELTA, diversa sicuramente dai canoni classici, ma certamente viva e caparbia, come i pezzi che si susseguono senza sosta.
In apertura vi segnalo subito la presenza di “Dahmer”, brano che risale al 1999, contenuto all’interno di “Parole Al Buio”, incentrato su una tragica figura, quale quella di J.L. Dahmer, meglio noto come Il Mostro Di Milwaukee, autore di efferati delitti tra il 1978 e il 1991, quando venne poi catturato e condannato all’ergastolo.
Proprio dal processo sono tratte l’inizio e la fine del pezzo, dove troviamo la sentenza che dichiara la non infermità mentale del soggetto e parte della testimonianza resa dall’assassino stesso durante il processo.
“Fai O Muori” è il brano che segue, una sorta di singolo scelto per spingere ancor più questo album, fatto di brutalità sonora oltre che lirica.
Come detto, le prime 4 tracce sono tutte già edite, ma qui riregistrate in una nuova veste.
I 2 inediti invece, sono le tracce che ci vengono presentate in versione live, rispettivamente “Fragile” e “Silente Anelito D’Odio”, tratte da un concerto del 2009 e ci offrono in versione nuda e cruda, l’atmosfera massacrante che si respira ai concerti della band.
Le 9 tracce conclusive, infine, sono la riproposizione dell’album “Moto Perpetuo” del 2001, album nel quale erano presenti le 3 tracce che componevano il demo di debutto del 1998, “Altrove”, “Eresia” e “Sei Solo”.
Quest’ultima traccia è devastante, una sfuriata che ti stende e ti toglie ogni speranza, ritmi frenetici e serrati ad accompagnare le liriche di Max, che non esita a toglierci di dosso ogni barlume di illusione negli altri.
Non aspettatevi un album facile, sotto nessun aspetto, considerate anche l’uso, da me apprezzato sia ben chiaro, dell’italiano per i testi, che rende, ne sono consapevole, ostico ai più l’ascolto ma…esticazzi!?!?
Non ci si conforma e non ci si uniforma del resto, come chiaramente espresso già dal nome che la band ha scelto!
Per quanto mi riguarda, la proposta di Max e Bonfy è davvero molto interessante e vi invito a cercar di far vostra una delle 500 copie pubblicate, supportando una realtà tricolore che non ha nulla da invidiare a tante quotatissime band di oltre confine.
Un plauso speciale va poi alla cover realizzata da Flavio Bondani, che aveva già curato quella di “Moto Perpetuo”
“E re sia chi regna su di se! “

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