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Opinione scritta da MASSIMO GIANGREGORIO

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    06 Agosto, 2024
Ultimo aggiornamento: 14 Settembre, 2024
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Sicuramente molto prolifici, questi Scarefield! Sembra ieri quando, a marzo, ho avuto il piacere di recensire il loro full-lenght “Creatures of The Night” ed ora eccoli già tornati a trapanarci le trombe di Eustacchio con questo “A quiet Country”. Un paio di anni fa, un chitarrista italiano si incontrarono. Le loro passioni comununi erano il metal ed i film horror. Pensarono bene di farle sposare. Fu così che da questo connubio malefico nacque il loro primo singolo, "Primitive Shadows". Un anno fa, altri due singoli, "Shiver" e "Always",poi confluite nel full-lenght di esordio, "A Quiet Country"; ebbene, ormai la vena creativa malevola della nostra strana coppia è esplosa, se è vero, come è vero, che a brevissima distanza dall'album appena menzionato,sentono il bisogno di condividere il loro ennesimo incubo musicale, dando vita a questo "Night Creatures" che annovera quattro pezzi inediti e quattro pezzi del precedente CD riproposti in versione demo.
Pronti, via e ci si para dinanzi una "Ancient Evil" che, nel titolo, rievoca l'immenso "Il Signore degli Anelli", laddove il termine "male antico" ritorna spesso e volentieri: e difatti, è come se ci desse il benvenuto un Ballrog fuoriuscito dall profonde viscere della Terra. La seguente"Dead Center" che sembra un bisturi impazzito in mano ad un chirurgo assassino. Segue la rocciosissima "Altar of Fear" equamente bilanciata tra melodia e potenza. Le fa eco "Spectre" ispirata alla organizzazione criminale combattuta dal mitico James Bond - Agente 007. Per fortuna giunge "Chil of the Corn" a darci una pausa con i suoi suadenti arpeggi e l'ugola di Markus che - per una volta - si acquieta. "God of Terror" ha una struttura anomala, atipica ma nel complesso molto convincente. "Primitive Shadow" è un ulteriore assalto all'arma bianca che lascia le sue cicatrici. La traccia successiva "Dream" ci consente di rifiatare con le sue ritmiche più cadenzate e le sue linee melodiche sinuose. "Shiver" sembra l'alternarsi di una sequenza di pugnalate sferrare da uno psicopatico, che ogni tanto rifiata, per poi proseguire nella mattanza. Degna di nota è la seguente "Always", quasi una ballad malinconica che sembrerebbe chiudere le ostilità: ma è solo una illusione, perchè – dopo pochissimo - il massacro riprende feroce come prima e la voce di Markus torna d'acciaio mentre l'ascia di Simone torna a colpire inesorabilmente, in coincidenza con la final track che (non a caso) si intitola "Goodbye". In definitiva, un album che non fa altro che confermare la altissima pericolosità degli Scarefield, che riscono nella (apparentemente impossibile) impresa di risultare ancora più che orrorifici, come li ho definiti nella precedente recensione: ora sono grandguignoleschi!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    27 Luglio, 2024
Ultimo aggiornamento: 27 Luglio, 2024
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Per tutte le bands, di qualunque standing, pima o poi giunge il momento dell'album celebrativo. Vuoi che si tratti del decennale dall'uscita, vuoi che si tratti di pezzi riproposti dopo lo scioglimento. In questo caso i Metal Church hanno optato per un live per rimembrare le gesta on stage di Mike Howe, il compianto vocalist scomparso tre anni fa. Per la verità, nel 2022 era già stata pubblicata una compilation a lui dedicata, ma la dimensione live a tutto tondo mancava a tutti i metalbangers. Certo è che per qualunque gruppo perdere un frontman del carisma e della bravura di Mike potrebbe rappresentare una mazzata dalla quale non ci si riprende mai più, portando persino allo scioglimento. Ma si sa, i cinque della Chiesa Metallica non sono un complesso (come si diceva nei mitici anni '70) qualunque. Per loro, diffondere il credo metallico è una missione che travalica tutto e tutti, anche l'esistenza degli stessi membri della band. E così, abbiamo già avuto modo di apprezzare l'ugola di Marc Lopes, degno sostituto di Mike nell'ultimo full-length "Congregation of Annihilation". Ma torniamo al nostro disco: il live prescelto è stato quello di Kawasaki, nella terra del Sol Levante. Anche in questo, i cinque statunitensi hanno rinverdito la tradizione dei grandi concerti dal vivo in Giappone (Deep Purple, Judas Priest, Iron Maiden etc.). Che ve lo dico a fare? L'impatto è a dir poco devastante! I cinque ceffi di Frisco pestano durissimo come sempre, e come al solito non c'è spazio alcuno per nulla che sia al di fuori di un furibondo metallo pesante classico come Dio comanda e come headbanging esige. I brani selezionati sono una raffica di mitra che ripercorre tutti i passaggi discografici più importanti di Kurdt & Co. (francamente ritengo superfluo rammentarli, specie se siete dei super-esperti), anche grazie ad una produzione da urlo che rende giustizia al mille per mille alla inaudita potenza del sound di questi pionieri dell'Heavy Metal: pensiamo che hanno incominciato a distruggere tutto - ovviamente in senso sonoro - già dal 1981, quando il Metal a stelle e strisce cominciò a muovere i primissimi passi, specie nella cosiddetta Bay Area, laddove - però - fin da subito la scena attiva dirottò verso il Thrash Metal mentre loro rimasero (e sono rimasti) fedeli ai micidiali dettami dell'Heavy più ortodosso. Questo "The Final Sermon" conferma in pieno la coerenza musicale dei Metal Church e la loro estrema fedeltà al credo. Qualunque cosa accada.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    29 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 29 Giugno, 2024
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Se vi piacciono i Misfits, i The Lurking Corpses vi faranno impazzire! Resucitati dal cimitero monumentale di Fort Wayne, nello Stato dell'Indiana, nel 2001, questi quattro aspiranti zombie amano alla follia tutto ciò che è horror (fumetti, film, musica, etc.), tutto rigorosamente di "serie B". A tutti sarà capitato di leggere fumetti dell'orrore o assistere a film horror cosiddetti "B movies", magari di quelli che fanno tanto "anni '50": hanno innegabilmente un loro fascino particolare, hanno quel "non so che" che li rende unici ed ancora oggi emulati e fonte di ispirazione in tutti i settori artistici. Per rimanere in quello musicale, fin dalla fine degli anni '70 una certa branca del Punk più vicina alla tradizione del Rock'n'Roll (definita Rockabilly) era particolarmente attratta da questo tipo di tematiche (la frangia più oltranzista finì per dare vita allo Psychobilly), come i Cramps, gli Stray Cats, Joe Strummer and The Mescaleros. Ma la band che meglio ha sintetizzato ed incarnato tutto ciò, è stata indubbiamente quella dei Misfits. Nel progetto originale c'era un certo Glenn Danzig, ma è stato Jerry Only a dirigerli verso quell'Horror Punk dei quali sono stati i fondatori con tanto di look frutto di un malsano incrocio tra terrore e fantascienza. I nostri quattro Lurking Corpses rinverdiscono tutto questo e danno alla luce questo loro "Lurking After Midnight", che rappresenta il loro quinto full-length. I nostri morti viventi (sinonimo di zombies) infatti, miscelano sapientemente attitudine Punk nei riffs con un look palesemente Doom (tuniche nere per tutti e non personaggi diversi tra loro ma comunque inquietanti), inserti audio tratti da B-movies horror, assoli più che degni della tradizione Metal ed un vocalist carismatico ed eclettico, capace di passare dal growl al tenorile alla modalità "King Diamond". Comunque l'impronta a sangue dei Misfits volteggia lungo tutta la sequenza dei brani che compongono un album molto fresco e godibile, ottimo sia per pogare che per fare headbanging alla grande! Un CD assolutamente da non perdere, anche per rendere un po' più "animata" la vostra collezione di dischi.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    22 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 22 Giugno, 2024
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E' con orgoglio ed un pizzico di commozione che mi accingo a recensire l'ultima fatica di un gruppo della mia amata Bari! Gli Zolfo, infatti, sono cinque doomsters/sludgers che hanno deciso di unire le loro forze oscure e sinistre nel capoluogo pugliese nell'anno 2016. Sono rimasti nel loro habitat naturale (nell'ombra) per tre anni prima di dare vita (parola grossa) al loro singolo di esordio "Phosphene​/​Floaters" uscito nel 2019. L'anno immediatamente successivo hanno insanamente partorito il full-length "Delusion of Negation" ed ora, a quattro anni di distanza, segue questa ultima release dei nostri cinque allegroni, "Descending into Inexorable Absence". Diciamo subito che non è un disco per stomaci deboli, né per gente impressionabile. Si aprono le ostilità con la immancabile intro "Last Layers" che ha subito del geniale: vi compare un sax spiazzante ma che risulta nient'affatto fuori dal funereo contesto, che assume contorni molto introspettivi. Tutte le mortifere tracce di questo CD sono lunghe e tormentate: si va dai 6 minuti e rotti di "Apoptosis" ai ben oltre 18 minuti di "silence of Absolute Absence". Lasciate ogni speranza, o voi che vi accingete ad ascoltare! Ogni minuto che passa, ci si ritrova sempre più in fondo ad un abisso di disperazione. La luce diventa un ricordo sempre più lontano. Sembra quasi di ritrovarsi a scivolare lentamente - con un movimento rotatorio verso il basso ed a testa in giù - verso un baratro che ricorda le Malebolge di dantesca memoria. Il sound è cupo ed impastato, crea una miscela micidiale che ti fa sempre più perdere i sensi, man mano che continui la tua ipnotica discesa verso la tua parte oscura: eh si, perché questo è un disco - come ho scritto prima - introspettivo, nel senso che funge da colonna sonora del tuo attraversamento delle tue stesse oscurità, delle tue stesse tenebre. Oserei definire quello degli Zolfo un Doom/Sludge "colto", dietro al quale si capisce che c'è uno studio esoterico/occultistico molto profondo, a dispetto della loro giovane età. Basti soffermarsi sul titolo "Apoptosis" (in biologia, morte cellulare geneticamente programmata che si verifica diffusamente durante lo sviluppo embrionale e che nell'organismo adulto permette di mantenere sotto controllo il numero delle cellule in tessuti, organi ed apparati) per rendersene conto. Per non parlare dell'artwork maleficamente delirante. E intanto, quell'avvitamento ipnotico verso il basso continua inesorabilmente, interrotto solo dalla fine dell'album con l'ultimo, sofferente solco. Sempre che si sia ancora vivi....

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    15 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 15 Giugno, 2024
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Quando ho letto le note biografiche dei Marquis de Sade, mi sono venuti i brividi! Ho letto che sono originari di Londra, dove formarono il gruppo nel lontano 1979 in piena New Wave Of British Heavy Metal, ma che il loro progetto ebbe vita brevissima perché il bassista e fondatore entrò nientedimeno che negli Angel Witch, mentre il cantante andò a sostituire nei Samson (quelli di "Vice Versa") un certo Bruce Dickinson, che a sua volta era diventato il cantante di certi Iron Maiden! Tanta roba. E questo loro disco segna un ritorno che ha dell'incredibile, perché avviene ad una vita di distanza dal primo Demo del 1981, dal singolo "Somewhere Up in the Mountains / Black Angel" dello stesso anno e dalla presenza in una compilation con il brano "Somewhere Up in the Mountains" del 2012. Dopo una decina d'anni di silenzio, erano tornati nel 2023 con il singolo "London Air". Alla fine dei conti, questo loro secondo capitolo (appunto, "Chapter II") giunge dopo ben quarant'anni dai loro primi passi!!! Mi son detto subito:"Eh no, questi non me li posso proprio perdere"; e questo perché probabilmente, a causa dell'età che avanza inesorabilmente, parto dal presupposto (del tutto non obiettivo) che tutto ciò che proviene dagli albori del metallo o che venga prodotto da chi all'epoca faceva parte di quella mitica ed irripetibile scena, sia di per sé il top. E devo dire che, effettivamente, nel caso di questi "ragazzi" viene mantenuto ciò che viene promesso. Questa release è formata da nove autentiche gemme di puro Rock duro composto e suonato come Dio comanda. Forse un po' lunghette, ma pur sempre con tutti i sacri crismi del genere di cui sono stati anche loro fondatori. Il messaggio - neanche troppo - nascosto che questo CD trasmette è il famigerato detto "La classe non è acqua". La voce di Kriss è ben equilibrata, pulita ma aggressiva e senza eccessi, le sei corde di Pauly sempre affilatissima senza mai debordare, le tastiere sono usate in modo a dir poco sapiente da Giles "Doc" rievocando i fasti del profondo porpora e la sezione ritmica di Pete e Gary è tanto impeccabile quanto implacabile. Ma è soprattutto il songwriting a lasciare piacevolmente stupefatti: classe allo stato puro, in grado di rinverdire gli antichi fasti della terra d'Albione come pochissimi hanno dimostrato di saper fare. Per il resto, c'è poco da aggiungere perché non potete non acquistare questo "Chapter II": lo dovete ascoltare sennò, prima o poi, non ve perdonereste mai!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    08 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 08 Giugno, 2024
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Se non fosse che i Nightmare abbiano iniziato nel lontanissimo 1979 in Grenoble suonando Punk Rock, al primo ascolto di questa release avrei pensato ai migliori cloni possibili dei nostri Lacuna Coil. Signori, questo è un Signor CD! Già dalle prime note di questo "Encrypted" ho cominciato a ruggire come non facevo da tanto tempo. Per me, che non ho remore a mostrare la mia abissale ignoranza, è stata una scoperta folgorante. Non avevo mai ascoltato i Nightmare e me ne pento amaramente, perché si tratta di una band all'apice della maturità artistica che mostra una vena compositiva sconfinata (basti dare una scorsa alla loro discografia immensa per rendersene conto...) ed una varietà di ottime idee abbinata ad una padronanza tecnica sopraffina. Quanto il sound della band francese ha cominciato a virare decisamente verso l'Heavy Metal, i membri fondatori Loïc Ribaud, Hervé "Eric" Mosca e Pierre-Louis Longequeue lasciarono il gruppo nel 1980 e rimasero i soli Yves Campion ed Etienne Stauffert come membri originari. Subito dopo si unirono a loro Joe Amore e Nicolas De Dominicis formando così la prima line-up dei Nightmare. Giunsero fino a fungere da band di supporto nientedimeno che dei Def Leppard nel in 1983. Un terzo album denominato "Nova Atlantis" fu messo in cantiere dopo l'uscita di "Power of the Universe", ma la band si sciolse nel 1988, per poi tornare - dopo un lungo letargo - nel 1999, anno a partire dal quale, fortunatamente, il gruppo transalpino non si è più fermato. "Encypted" rappresenta il loro dodicesimo full-length, ma il sound è talmente fresco che sembra che suonino insieme da un numero di anni inferiore ma che basta a decretarne la piena maturità, come ho scritto prima. I pezzi che compongono questo disco sono dieci autentici masterpieces metallici che mi portano a ritenere, senza tema di smentita, che sia uno dei migliori in assoluto in ambito Power Metal con riflessi Doom; coinvolgente e travolgente dalla prima all'ultima nota, provoca una vera e propria sindrome da headbanging contagiosissima, che non ti molla più, persino ad ascolto terminato! Dalla opening track "Nexus Inferi" fino alla conclusiva "Eternal Winter" sarete avvinti da una sequenza di brani bellissimi e sempre variegati, ottimamente suonati e con la voce di Barbara massicciamente ammaliante. Non può e non deve assolutamente mancare nella vostra collezione di dischi.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    01 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 01 Giugno, 2024
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La discografia dei Cloven Hoof è sconfinata. Da quando hanno cominciato a mettere tutto a ferro e fuoco partendo da Wolverhampton (città di media grandezza in UK) nel 1979, non si sono più fermati, garantendo una presenza quasi costante nell'Empireo del Metal. Quelli dello zoccolo arcuato sono stati tra i capostipiti della New Wave Of British Heavy Metal, pur non riscontrando lo stesso successo di chi gli faceva buona compagnia (Saxon, Iron Maiden, Judas Priest, Motorhead etc.) rimanendo sempre un po' ai margini del metalrama mondiale. Immeritatamente sottovalutati, non si sono mai smarriti ed hanno perpetrato pertinacemente e coerentemente il loro duro percorso, del quale questo "Heathen Cross" costituisce l'ennesimo capitolo. A confermare vieppiù la loro vena compositiva ortodossa e ultra-classica, la opening track funge da immancabile intro spettrale scandita da un organo nefasto come non mai; è il preludio a "Redeemer" di virginsteeliana memoria: una mazzata nelle gengive! Harry ci fa capire da chi hanno preso spunto vocalist come David Wayne (Metal Church) e tutta la stirpe di ugole al vetriolo che hanno prestato le loro grazie a bands di Power metal dalle venature dark. Infatti, quello che caratterizza il sound dei Cloven Hoof è la costante presenza di temi orrorifici e fantasy nel songwriting, senza mai sconfinare nel Doom e rimanendo sempre alquanto vigoroso e melodicamente equilibrato. "Heathen Cross" è un album davvero potentissimo e ben ispirato, dalla prima all'ultima traccia (spicca un altro titolo con reminiscenze, "Frost and Fire", che ci riporta alla mente un'altra grande band sottostimata come i Cirith Ungol). Gli assoli di Luke sono taglientissimi, peggio di un bisturi, oltre che virtuosistici al punto giusto, senza indulgere troppo su sé stessi. Un full-length che è stato probabilmente composto come se si trattasse di un concept avente ad oggetto un rito pagano, partendo dalla benedizione iniziale (l'intro "Benediction") fino alla invocazione ("The Summoning") con tutti i commensali in preda al delirio, alimentato dalle note del CD portando fino al vero e proprio deliquio metallico chi lo ascolta. Assolutamente un must have!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    22 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 23 Mag, 2024
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Abbiamo già avuto modo di recensire i bolognesi Gengis Khan in occasione dell’uscita del full-length “Possessed by the Wolf” e della pubblicazione dell’EP “Master of My Sins”, rispettivamente nel giugno 2022 e nel febbraio di quest’anno. In entrambi i casi abbiamo avuto modo di esprimerci in maniera positiva, apprezzando il loro Heavy Metal classico con venature Epic, come si confà anche al nome prescelto per il monicker. Ebbene, siamo al cospetto di un ulteriore EP, intitolato "Arrows & Flames", generato dalle viscere di un immaginario vulcano incandescente, che funge da fucina nella quale forgiare ad elevatissima temperatura delle opere di acciaio che più duro non si può. Un EP che conferisce ulteriore continuità e coerenza a quanto realizzato finora dalla band felsinea. Pronti, via, la opening track è un monumento a colui che fu sovrano dell'Impero mongolo dal 1260 al 1294. Tra i suoi successi si ricordano la conquista della Cina e la successiva istituzione del dominio mongolo sul paese, che fu il primo non cinese a governare, ampliando l'impero fino ai suoi massimi confini. “Eyes Wide Shut”, titolo ispirato all’ennesimo capolavoro cinematografico di Stanley Kubrick, entra come un implacabile cingolato che tutto schiaccia inesorabilmente. La title-track è uno tsunami travolgente che fa partire un pogo incontrollabile, fino quasi a farti staccare la testa dal collo (a proposito, niente male davvero la drummer Gemma dietro le pelli…), raggiungendo il culmine con un assolaccio strappatutto. Peccato che la successiva “Escape” non si dimostri all’altezza della situazione, rappresentando un mezzo passo falso… Per fortuna ci pensa la traccia finale ad aggiustare un po’ le cose, con il suo piglio epico quanto basta per chiudere in bellezza un lavoro globalmente niente affatto malaccio. Questo "Arrows & Flames" è insomma un acquisto consigliato con headbanging assicurato!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    11 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 12 Mag, 2024
Top 50 Opinionisti  -  

Questa intrigantissima band meneghina a nome The Headless Ghost, stando alle scarne fonti biografiche sembrerebbe venuta fuori dal nulla (magari auto-riesumandosi in una notte tempestosa in un cimitero qualunque, di quelli monumentali stile liberty che mi fanno impazzire) ed è (ri)sorta come cover band dei mitici Mercyful Fate (e scusate se è poco...). E, in effetti, l'impronta della band danese - che è stata tra quelle seminali in ambito Metal - si sente anche se, fortunatamente, senza mai esagerare rendendo questa prima proposta discografica dei Nostri alquanto interessante. La opening e title-track viene introdotta da una cantilena infantile, tanto stralunata quanto malefica, che fa da preludio ad un possente incedere che ti travolge immediatamente. Contrariamente a quanto ci si possa aspettare, la voce di Steven non ripercorre affatto gli stilemi di Sua Maestà King Diamond, tenendo più fede al proprio pseudonimo di corvo, quindi un vocalizzo più orientato verso Metal Church & co. L'altra peculiarità che accomuna i nostri cinque milanesi con i cinque del Fato Pietoso è il songwriting pieno di cambi di tempo: ogni pezzo sai come inizia, ma non sai mai dove andrà a parare, pur tenendoti sempre sul "chi vive", come testimoniato dalla successiva "Inside the Walls" e dalla altre sei tracce di cui si compone questa opera di metallo oscuro, molto variegata e molto ben suonata, con tanti spunti degni di rilievo presenti in ogni brano di questo "King Of Pain". "Whisper in the Dark" si insinua nella tua mente con un arpeggio quasi jazzistico, per poi farti scattare l'headbanging in automatico grazie anche ad una produzione da urlo, che ha saputo rendere ultra-heavy il sound del gruppo milanese. Così come - in ogni pezzo - non manca mai il duello di asce a suon di assoli più che pregevoli, ma mai ridondanti. "Vision" esordisce un po' alla Accept con un riffacchione ed una andatura cadenzona mid-tempo dirompente. "Let Them Go" prosegue sulla scia di fuoco iniziata dai primissimi solchi. Ed è poi la volta della monumentale "Angel in Flame": sette minuti magistrali ai quali dà la stura un arpeggio sinistro e misterico e che si snoda come un serpente stritolatore con il killer instinct. Intrigantissimo, come tutto questo CD dei The Headless Ghost: assolutamente un "must have"!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    04 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 05 Mag, 2024
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Con mio enorme piacere, ecco un disco dell'ennesima band tricolore che mi si para davanti: i genovesi Blue Dawn. Piacere duplicato dal fatto che si tratta di un gruppo dedito ad un Heavy Metal intriso di tematiche esoteriche e di venature Doom che non mi dispiacciono affatto. Nella fattispecie, trattasi di un complesso formatosi all'ombra della famigerata Lanterna nel 2009 e che ha esordito con il full-length omonimo ("Blue Dawn") nel 2011, riaffacciandosi due anni dopo con "Cycle of Pain", al quale ha fatto seguito - nel 2017 - "Edge of Chaos". Quindi il singolo apripista "Damage Done" nel 2022, poi trasfuso in questo loro quarto album "Reflections from an Unseen World". La formula proposta dall'ensemble genovese è davvero interessante, perché miscela tra loro tante influenze e reminiscenze, dai sottovalutatissimi Saint Vitus ai seminali Celtic Frost, specie nelle parti in cui viene in risalto l'intreccio tra la voce di Monica e quella di Enrico (stimatissimo compositore): in certi passaggi mi ha riportato alla mente pezzi come "Necromantical Screams" (dal leggendario "To Mega Therion" della band svizzera), così come emerge - a tratti - una certa ispirazione ai meneghini Lacuna Coil, quelli della prima ora (ad esempio "In the Reverie"...), anche se Monica non si accosta affatto a Cristina Scabbia. Nel songwriting dei Nostri, prevale il voler ricreare delle atmosfere un po' thrilling, più che oscure; sarà forse perché il colore blu ha queste caratteristiche: infonde calma, rallenta i battiti del cuore ed è un alleato prezioso per contrastare gli stati di ansia. È il colore dell'equilibrio, che ci aiuta a riportarci al centro. Secondo il sistema dei sette chakra è associato al quinto, quello della gola e governa la comunicazione. La parte centrale di "A Blue Monster in My Heart" ce la vedrei benissimo come colonna sonora di uno dei mitici thriller anni '70, di quelli con titoli tipo "Il gatto a nove code" o "Sette scialli di seta gialla". Interessantissima è poi la cover degli Dei Black Sabbath "Who Are You?" resa più elettronica, ma restando pur sempre il pezzo ammaliante e misterico che conosciamo. Insomma, questo "Reflections from an Unseen World" è un pregevolissimo disco, che si chiude con una originalissima final track ("Colorful") nella quale fa capolino un sax invero un po' spiazzante, ma assolutamente calzante ed in assonanza con tutto il contesto.

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