Opinione scritta da Mark Angel
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Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 2016
Top 50 Opinionisti -
Il bello di essere un recensore per una testata importante come Allaroundmetal consiste nell’avere la libertà di poter recensire qualsivoglia prodotto valido più o meno recente, anche se non pervenuto tramite le case discografiche; ho acquistato infatti questo Live dei Messerschmitt in occasione della loro recente esibizione a Napoli, non divagherò sul concerto da me vissuto, credo basti dire che non mi sono potuto esimere dal recensire questo disco.
Non conoscevo i Messerschmitt ma sono corso subito ai ripari chiacchierando cordialmente con loro dopo il live e successivamente documentandomi sul loro interessantissimo blog; ebbene questa band vede le sue radici nel lontano 1982 e può agevolmente annoverarsi come una formazione realmente storica del Metal capitolino; nel periodo iniziale infatti sotto il nome “Zellofen” militò alla voce il compianto Baffo Jorg, veterano del Metal romano.
Scioltisi nel 1986, dopo alcuni tentativi di reunion, nel 2014 la formazione si è consolidata con l’innesto del promettentissimo singer Flavio Falsone al posto del cantante storico Andrea Strappetti, mentre della formazione originaria sono rimasti i 2 axeman: Francesco Ciancaleoni e Fabrizio Appetito.
Il presente Live cd altro non è che la testimonianza della loro esibizione del 27 Febbraio 2015 al Closer di Roma, stupisce l’ottima qualità del suono che permette di distinguere chiaramente tutti gli strumenti bilanciati perfettamente, puntualizzazione non da poco in un panorama quale quello italiano, piuttosto lacunoso in tema di dischi dal vivo.
Riguardo il genere proposto i modernisti non troveranno alcuna concessione, qui siamo in presenza di un Heavy Metal classico in pieno stile anni ’80 con qualche tendenza verso lo Speed Metal: Judas Priest, Saxon, Iron Maiden sono le influenze principali anche se il quintetto romano non disdegna alcuni momenti particolarmente epici (sempre di stampo Nwobhm).
I brani sono tutti di ottima fattura, ben suonati e sono estremamente apprezzabili i magnifici ritornelli che si stampano in mente sin dal primo ascolto; sono fermamente convinto che se brani come “Kamikaze”, “Shape the Steel” o “Heavy Metal Fighters” fossero stati composti da qualche gruppo angloamericano avrebbero avuto ben altra sorte, tuttavia sta a noi recensori ed a voi lettori valutare o meno la qualità di un disco rendendogli il giusto tributo.
Senza dilungarmi in un track by track che avrebbe poco senso in un Live Cd mi limiterò a segnalare la potenza della Speed song “Blood and Tears” in cui la doppia cassa è terremotante, la Maideniana “King of Sky”, la sostenuta ma coinvolgente “Resurrection”, l’elaboratissima e misteriosa “Bringer of Mourning”; oltre alle tre canzoni citate in precedenza.
I brani nuovi sono all’altezza delle vecchie canzoni della band e pur essendo classici al 100% non risultano anacronistici bensì freschi ed estremamente ispirati, tutto ciò lascia ben sperare per il futuro; è importante puntualizzare come qualche mese prima la band aveva rilasciato (solo in formato vinile) una sorta di raccolta retrospettiva, quindi ancora deve uscire un vero e proprio debutto full-length della band.
Le premesse per un grande disco ci sono tutte, dalla qualità delle nuove composizioni, alle capacità del nuovo travolgente singer, autentico screamer di razza.
Forza ragazzi, l’Heavy Metal tricolore ha bisogno di voi!
Top 50 Opinionisti -
A volte capita che ci si trovi a recensire un disco meno recente come in questo caso: “Sulphur Paintings” infatti è uscito nel 2014, ma sono della ferma opinione che se una release merita è sempre meglio recensirla anziché relegarla nel dimenticatoio.
Gli Evil Never Dies sono napoletani ed esistono sin dal lontano 1990 nonostante la lunga militanza non sono mai riusciti a produrre un Full-Length ma soltanto 2 demo e 3 Ep di cui questo è il più recente.
La prima cosa che spicca è l’artwork molto curato, sicuramente al di sopra della media degli Ep che pervengono tra le mie mani; degna di nota è altresì la produzione cristallina che non ha nulla da invidiare agli standard internazionali.
La band a dispetto dell’età media dei componenti e del nome (ispirato ad una canzone degli Overkill) è al passo con i tempi ed alle influenze più classiche (Metallica, Slayer, qualcosa dei Testament ) si sovrappongono anche alcune interessanti idee di stampo svedese (The Haunted, Terror 2000 ecc.) ed americano dei 90’s (Machine Head, Grip Inc.).
Degli estratti sonori tratti da telegiornali russi e brasiliani introducono la killer song “V-Tv” che parte a razzo con un riff assassino accompagnato da una sezione ritmica ben collaudata; questo brano attacca senza peli sulla lingua il potere persuasivo e manipolatore della televisione, notevoli anche l’assolo e le linee di basso molto presenti e ben strutturate.
La successiva “Ariete” rispetta il titolo, anche questa song annichilisce l’ascoltatore col proprio Thrash preciso e moderno; in questo Ep modernità è la parola d’ordine in quanto a differenza di molti colleghi più giovani, gli Evil Never Dies suonano in maniera moderna e fresca senza lasciarsi coinvolgere in quel revival vintage che ha inflazionato la scena degli ultimi tre, quattro anni.
Un basso sinistro ed inquietante apre la song “Depths” una canzone molto particolare sia per la lunghezza (8 minuti) che per la struttura, alcune idee in questo brano si avvicinano alla genialità mostrata dai Kreator negli sperimentali “Renewal” e “Cause for Conflict” tuttavia l’impostazione del cantante Domecost è diversa e molto personale.
La quarta song dallo strano titolo “Em” è molto tecnica e proprio per il fatto di essere molto intricata e pretenziosa risulta essere la meno immediata del lotto ed a mio modesto parere il punto debole di questo ottimo Ep; “1926” è un breve interludio strumentale strettamente collegato alla finale “The Beginning” anche in questi brevi momenti la band mostra la propria fantasia compositiva ed il proprio gusto della melodia particolarmente elevato.
Ultimo brano vero e proprio è quindi l’oscura “Land with no Future”: qui siamo in presenza di un sound più canonico ed in linea con i dettami più classici del genere, giunge alle mie orecchie qualche leggera influenza di Thrash tedesco e la cosa non può che farmi estremo piacere essendo un amante del genere.
Tanto di cappello agli Evil Never Dies, alfieri di un genere sempre troppo bistrattato nel capoluogo campano: le band che a Napoli suonano Thrash si contano sulle dita di una mano (Evil Never Dies, Annihilationmancer, i riformati Kontra e per certi versi anche gli sperimentali Dresda Code recensiti qualche mese fa su queste pagine).
I veri amanti del genere si procurino questo disco senza esitazioni.
Top 50 Opinionisti -
Attenzione questi Reanimator sono una band giovane, non hanno nulla a che vedere con i colleghi Thrash inglesi sulla cresta dell’onda nei primissimi anni ’90.
Il quintetto in questione proviene dal Quebec, la parte francofona del Canada e propone un Thrash Metal di ottima fattura, ancorato agli schemi del passato ma comunque attuale grazie ad una produzione moderna accompagnata da una discreta personalità.
La band torna ben sei anni dopo il debutto “Ignorance is No Excuse” ed è più in forma che mai, soprattutto grazie alla grintosissima voce del singer Patrick Martin.
Ulteriori particolari non da poco che mi hanno permesso di apprezzare questa band oltremodo, considerando l’attuale calderone del Thrash odierno, sono gli assoli ben studiati ed eseguiti e l’attenzione per delle linee vocali immediate e convincenti, qualità non scontate tra le nuove band.
L’album si apre con “Electric Circle Pit”, un brano profondamente ispirati dai Testament più bulli e massicci, il cantante oltre ad esprimere una potenza vocale inaudita sembra davvero essere un novello Chuck Billy, non c’è che dire una gran bella partenza.
Con “Rush for the Mosh” I Reanimator mettono da parte la pesantezza per puntare su delle accelerazioni assassine, il riff iniziale è da manuale Speed Metal anni ’80 ed il cantato è davvero convincente, i ragazzi ci sanno fare.
Anche “Tempted by Deviance” e “Thieves of Society” non sono da meno, potenza e velocità viaggiano di pari passo e si intravede anche qualche influenza di scuola Exodus (ma diciamo la verità: chi nel Thrash non è stato influenzato nemmeno lontanamente dagli autori di “Bonded by Blood”?).
“The Abominautor” è uno di quei brani che sicuramente i fan vorranno sempre sentire dal vivo: potente e dotata di un ritornello molto coinvolgente da cantare a squarciagola durante un pogo scatenato; il massacro sonoro procede senza pietà con le seguenti “The Mosh Master” e “Still Sick”, quest’ultima decisamente “Slayeriana” dal punto di vista dei riff.
La grande sorpresa arriva con il penultimo brano: “Off with their Heads”, qui sembra di sentire i migliori Anthrax (con le dovute differenze sul cantato), quelli di “Spreading the Disease” ed “Among the Living” per intenderci; che velocità, che ritmo e che ritornello coinvolgente, sono davvero pochi i gruppi Thrash moderni in grado di comporre dei refrain così “catchy”, questo è forse il brano Top a mio avviso.
L’ultimo brano è basato su di un groove coinvolgente molto “Thrash’n’Roll”, piacevole ma di certo non annoverabile tra i migliori di questo cd.
Come avrete capito la recensione di questo “Horns Up” non può che essere altamente positiva, la compagine canadese è davvero encomiabile, non se ne sentono molte di giovani band cosi ispirate e capaci di comporre delle canzoni davvero degne di tale nome, una piccola riflessione è necessaria: questo cd è autoprodotto, c’è qualcosa che non funziona evidentemente nel Metal odierno…
I Reanimator sono un gruppo da tenere d’occhio, hanno dalla loro anche un’ottima personalità, credo davvero che il prossimo (terzo album) potrà regalargli la consacrazione definitiva a livello mondiale.
Ultimo aggiornamento: 05 Gennaio, 2016
Top 50 Opinionisti -
Questo disco dei Killen altro non è che la ristampa del loro omonimo debutto risalente al lontano 1987, ad’opera della greca Cult Metal Classics, etichetta specializzata nel recupero della tradizione degli anni ’80.
Il quartetto Newyorkese in questione si è da poco riformato e, come da consuetudine, non poteva mancare la ristampa del loro unico cd, in aggiunta si trovano anche alcuni brani eseguiti dal vivo, nonché pezzi risalenti al loro demo “Restless is the Witch” del 1989.
La band ebbe un discreto seguito underground all’epoca, soprattutto grazie alle intense esibizioni dal vivo, tuttavia intorno al 1990 si persero le tracce di questo gruppo, a causa dei cambiamenti importanti che la scena musicale dell’epoca stava vivendo.
Il genere proposto è un Heavy Metal classico, ricco di influenze epiche di chiara scuola americana; vi si ritrovano molteplici influenze, da quella della Nwobhm, fino a bands come Manowar, Omen, Manilla Road e Cirith Ungol, senza tuttavia sfiorarne l’importanza storica e qualitativa.
Il songwriting è piuttosto buono e variegato, a tratti confusionario, ma spiccano più brani in grado di coinvolgere positivamente l’ascoltatore; la seconda “Challenge of Eternity” è molto epica ed il ritornello presenta un feeling oscuro che tende a sottolineare la maestosità drammatica del brano; altrettanto potenti, oscure ed epiche al tempo stesso anche “The Marauder” e “Victima”, quest’ultima caratterizzata da una cavalcata sonora costante.
“Striken by Darkness” si muove sullo stesso filone di “Challenge of Eternity”, epicità e ritmi misteriosi ed oscuri; stupenda è la seguente “Metal meets Metal”, connubio perfetto tra Punk ed Epic Metal, ottimo brano da proporre in sede live; le bonus tracks dal vivo non aggiungono, né tolgono nulla al lavoro in questione, in quanto suonano praticamente uguali alle versioni da studio.
Chi segue le mie recensioni sa quanto io sia un accanito sostenitore del Metal degli anni ’80, quasi mai guardo con sospetto le ristampe e le varie operazioni nostalgia che si mischiano sempre più spesso con le nuove releases; tuttavia in questo caso mi trovo dinanzi ad un bivio. Sebbene i brani siano di ottima fattura, questo disco presenta due difetti enormi impossibili da ignorare: il primo è la voce del cantante, non me ne voglia Vic Barron, ma la sua voce di basso registro non è assolutamente adatta al genere proposto e spesso, più che epica o drammatica, tende a risultare lamentosa ed inespressiva; il secondo difetto è la registrazione assolutamente indegna, sembra di ascoltare un demo mal registrato, i suoni sono pastosi e confusi ed alcuni strumenti (voce e chitarra solista) sovrastano oltremodo gli altri.
Avrei potuto valutare questo disco con un voto più che discreto, ma i due difetti sopracitati rendono l’ascolto dell’intero platter a volte davvero fastidioso e gravoso.
Che dire, alla luce dei fatti, sarebbe stato molto più intelligente registrare nuovamente queste canzoni, in modo da sopperire alle enormi mancanze del mastering del 1987, magari avvalendosi anche di un nuovo cantante.
Disco consigliato a chi non vuol farsi mancare nulla del magico periodo degli anni ’80, nel frattempo rimango in attesa dei prossimi passi della band dopo la reunion.
Ultimo aggiornamento: 17 Novembre, 2015
Top 50 Opinionisti -
I Dresda Code sono una band partenopea nata nel 2007, che sotto il precedente monicker “Aeonfire” era conosciuta come cover band Hard’n’Heavy; dopo due anni di transizione e cambi di line up, il nome è mutato appunto nel geniale “Dresda Code” e la band decide di puntare sui brani inediti, a mio avviso vero obiettivo e punto di partenza di ogni musicista.
Questo “From the Forest’’ è il loro Ep d’esordio, autoprodotto e composto da quattro brani più un interludio strumentale con percussioni; affascinante la copertina curata dal disegnatore Roberto Toderico mentre altrettanta cura è riservata ai testi, mai banali ed incentrati su alcune tematiche molto impegnate quali la natura, l’ecologia ed alcune citazioni storiche (nel brano Blindness).
Prima di addentrarmi nell’analisi, dei brani devo premettere che il quartetto partenopeo non può essere agevolmente catalogato sotto un determinato genere; qui c’è un po’ di tutto, un calderone di vari generi diversi ma attenzione: questa commistione di generi è presentata in maniera disinvolta e decisamente personale, quindi dare una definizione precisa del genere proposto in questo Ep è pressoché impossibile e controproducente; i Dresda Code sfuggono come anguille a qualsiasi catalogazione.
Il viaggio nella foresta inizia con “Deadwood Tales’’ in cui la calda voce del cantante Alessandro Mandofia anticipa di un paio di secondi l’ingresso degli altri strumenti; il ritmo è cadenzato e riflessivo salvo poi accelerare per poi rallentare nuovamente durante il cantato; sono rimasto davvero impressionato dagli ottimi fraseggi delle chitarre; brano spigoloso ma intrigante.
Con la successiva “Shilla” le cose si complicano ulteriormente, i Dresda Code puntano più sulla ricercatezza dei suoni e sul ritmo anziché preferire melodie commerciali o ritornelli dalla facile presa; in questo brano vi è qualcosa dei Metallica periodo ‘”Load”.
La breve strumentale “Bateria” trasuda influenze etniche latinoamericane grazie alla partecipazione amichevole della “PegaOnda” compagnia di percussionisti; questo ritmo selvaggio introduce la seconda parte dell Ep; nella successiva “Blindness” fanno capolino alcune influenze diverse, vi è qualcosa dei Tool come dei Paradise Lost più melodici, siamo in presenza di un brano sicuramente più accessibile rispetto ai primi due ed anche il ritornello è di grande impatto.
Con la conclusiva “Cloud Upon my Isle” il livello compositivo sale ancora, il brano inizia con un riff malinconico ed efficace che a tratti può ricordare i Megadeth dello scorso decennio; ogni strumento esegue alla perfezione il proprio ruolo al servizio del brano ottenendo un risultato magistrale, notevole anche l’accelerazione finale in pieno Bay Area Style.
Di certo questo “From the Forest” rappresenta un interessantissimo connubio tra innovazione e tradizione, già le influenze citate (Metallica, Megadeth, Paradise Lost, Tool ed elementi di musica etnica latina) possono far presagire come i Dresda Code siano un gruppo assolutamente non convenzionale.
Chi è realmente interessato al Metal di casa nostra farebbe bene a non farsi sfuggire questo disco, sono pochi i gruppi che al primo appuntamento riescono a mostrare una professionalità ed una personalità cosi accentuata; oltretutto ho avuto modo di ascoltare anche alcuni brani nuovi della band e posso tranquillamente affermare che la direzione intrapresa è quella giusta per farsi notare nell’affollata scena italiana.
Ultimo aggiornamento: 03 Novembre, 2015
Top 50 Opinionisti -
Ci vuole coraggio per uno come me a recensire i Cyrax; i miei ascolti infatti sono piuttosto classici, mentre la band milanese è autrice di un Progressive Metal piuttosto particolare e sperimentale, sicuramente non adatto a tutti.
Formatisi nel 2012, il quartetto lombardo è rimasto orfano del chitarrista Paolo Musazzi uscito dalla band recentemente; è del 2013 invece l’esordio ‘’Reflections’’ accolto molto bene dagli addetti ai lavori; proprio questo lavoro funge in parte da metro di paragone per analizzare il nuovo ‘’Pictures’’.
L’esordio dei Cyrax infatti, nonostante sia sempre catalogabile nel genere Prog ed affini, presentava alcuni legami concreti a generi più classici come il Power, il Classic ed alcune parti piuttosto epiche; col nuovo album i Cyrax si sono spogliati in parte dalle influenze più classiche e di massa, per addentrarsi in territori musicali impervi ed inesplorati dalla maggior parte del pubblico Metal.
Paradossalmente la opener ‘’Cyrax’’ è la più classica del lotto, molto moderna e sperimentale indubbiamente ma, rispetto a ciò che seguirà, è sicuramente più ‘’easy listening’’ nonostante le influenze Jazz e Fusion; alcune parti mi hanno riportato alla mente i Crimson Glory, per delle tonalità alte raggiunte dal versatile cantante Marco Cantoni e soprattutto i Savatage, il cui ritornello strizza l’occhio a ‘’Sirens’’.
Con ‘’The 7th Seal’’ assistiamo ad un'alternanza di riff elaborati, cori sinfonici, inserti di pianoforte che rendono il tutto sicuramente molto raffinato, ma anche molto confusionario; verso la fine della canzone sembra di ascoltare i Rhapsody.
Psichedelica e schizofrenica la successiva ‘’Cockroach’’, l’alternanza tra riff potenti, parti di pianoforte ed un groove pazzesco la fanno da padrone, anche se non credo di aver captato un vero e proprio ritornello.
Con ‘’These Greenvalleys’’ la parte più oscura e sinfonica della band prende il sopravvento, questo brano, pur non entusiasmandomi, sono certo che farà la felicità dei fans di gruppi come: Rhapsody, Bal Sagoth, Elend, Arcturus e Solefald; molto evocativa la voce di Evelyn Iuliano, ospite fissa in molti brani dei Cyrax; sullo stesso registro inizia la successiva ‘’Oedipus Rex’’, salvo poi stabilizzarsi su territori prog sul tipico ‘’Cyrax style’’.
Con la lunga suite suddivisa in tre brani ‘’Shine Through Darkness Pt. I, II e III’’ i Cyrax si sbizzarriscono nella sperimentazione unendo freneticamente tutte le caratteristiche e gli stili visti nei precedenti brani; c’è di tutto, dal Prog al Thrash, dal Metal sinfonico al Jazz; un tripudio di emozioni e suoni diversi tra loro, qui c’è poco da scrivere e molto da ascoltare…
L’ultimo pezzo, la strumentale ‘’Phunkrax’’ è la mia preferita, non è sinfonica, non è pomposa, è un Hard Rock funkeggiante molto coinvolgente; sembra di sentire alcuni dei migliori momenti di quel cd fin troppo trascurato della discografia di Joe Satriani che è ‘’Crystal Planet’’.
Cari Cyrax, mi siete piaciuti, ma mi chiedo, potrete mai riproporre dal vivo queste canzoni? Perché non semplificare alcune parti?
La tecnica di questa band è superlativa; tuttavia il voto non è altissimo per via della sovrabbondanza di parti sinfoniche, a mio avviso troppo ridondanti ed inflazionate nel corso degli ultimi 15 anni, specialmente da parte di molte bands nostrane.
Ultimo aggiornamento: 03 Novembre, 2015
Top 50 Opinionisti -
Giungono dalla Germania questi promettenti Warfield, più precisamente dal cuore della regione della Renania/Palatinato e propongono un Thrash Metal aggressivo e senza compromessi, senza disdegnare tuttavia alcuni momenti melodici.
Nata nel Febbraio del 2012, questa band si fa subito notare per la giovanissima età; infatti il più "vecchio" è il bassista Ethan Stokes di 22 anni, mentre il batterista Dominik Marx è appena diciottenne; ciò nonostante, gli Warfield stupiscono per la loro personalità, la loro tecnica e destrezza compositiva, ben superiore ad alcune bands già affermate.
Dopo il primo demo intitolato "Killing Ecstasy" (a quanto pare mai pubblicato), esattamente un anno fa la band ha pubblicato questo Ep di 5 pezzi intitolato "Call to War" giuntomi con un anno di ritardo, ma corredato anche da un nuovo brano pubblicato recentemente come singolo, ovvero "Barrage Fire".
Con la title track posta come opener, i tedeschi manifestano tutta la loro chiara volontà di mettere al muro l’ascoltatore grazie al loro assalto frontale formato da riff potenti e melodici al tempo stesso, mentre la voce del singer Johannes Clemens flirta pericolosamente con uno screaming quasi Black Metal.
Molto simile nella partenza e nei ritmi è la successiva "Killing Ecstasy", meno brillante della opener, ma comunque destinata a mietere molte vittime dal vivo grazie alle accelerazioni improvvise ed ai cambi di tempo; un plauso è da fare anche all’ottimo lavoro dei chitarristi, sembra davvero di sentire dei veterani!
Con "Terror will Prevail" prende piede l’anima più tradizionale della band, echi degli Slayer e dei Kreator dei primi due album sono rintracciabili per tutta la durata del brano che spicca anche per il ritornello molto incisivo ed assimilabile, mentre la successiva "Under the Surface" presenta alcuni elementi "Swedish"; per intenderci mi ha ricordato quel tipo di Thrash che andava forte alla fine degli anni ’90/inizio anni 2000, ovvero: The Haunted, Terror 2000, Nocturnal Breed e compagnia bella. La conclusiva "Martyr", pur non essendo un brano malvagio, è forse la meno convincente del lotto pagando troppo dazio all’influenza dei Kreator.
Unica pecca di questi cinque brani è la struttura dei pezzi, molto standardizzata, se si prendono come esempio i primi 10 secondi di ogni brano sembra di sentire lo stesso riff variato di pochissime note; credo tuttavia che questo piccolo difetto possa essere limato con l’esperienza.
Conclusa l’analisi di questo Ep d’esordio, non resta che valutare "Barrage Fire", singolo nuovo di zecca da cui è stato tratto anche un ottimo videoclip; devo ammettere che gli Warfield hanno fatto dei passi da gigante, inserendo ulteriori elementi melodici, affinando il songwriting ed ogni singolo dettaglio musicale e tecnico; memorabile il bridge chitarristico pre-ritornello; ci troviamo qui davanti ad un brano molto convincente che potrebbe attirare l’attenzione di qualche label importante.
In definitiva, mi sento di consigliare questi Warfield a tutti i thrashers; il quintetto, nonostante la giovanissima età, non si perde nel marasma del revival Thrash ma riesce a coniugare benissimo vecchio e nuovo; è apprezzabile il tentativo di unire Thrash americano, tedesco ed influenze svedesi.
Ci rivediamo al full-lenghth Warfield!
Ultimo aggiornamento: 25 Ottobre, 2015
Top 50 Opinionisti -
Mad Max: non appena ho visto che era possibile recensire questo "Thunder, Storm & Passion" mi ci sono fiondato senza alcuna esitazione; sarà stata l’omonimia della band con uno dei capitoli cinematografici più importanti della storia (fondamentale per l’immaginario dell’Heavy Metal), sarà stata la volontà da parte mia di approfondire meglio uno dei gruppi più sottovalutati degli anni ’80, ho subito fatto mia questa release della storica band tedesca.
I Mad Max esistenti sin dal lontano 1982, sono stati un gruppo abbastanza attivo e contano ben 12 album compreso l’omonimo; è da annotare nella loro storia una pausa decennale dal 1989 al 1999 dovuta a motivi comuni a molte altre band, credo che nessuno si sia dimenticato l’effetto devastante che il Grunge ebbe su un certo Heavy Metal/Hard Rock classico…
Per chiarire qualsiasi equivoco, va detto che questo "Thunder, Storm & Passion" non è un nuovo cd, bensi una sorta di raccolta di brani ri-registrati provenienti dai loro migliori album, ovvero "Rolling Thunder" del 1984, "Stormchild" del 1985 e "Night Of Passion" del 1987. Il formato è quello di un doppio cd, purtroppo per la recensione ho avuto a disposizione soltanto il primo, mentre il secondo presenta alcuni brani eseguiti dal vivo in occasione del festival "Bang your Head" dell’anno scorso.
Chi conosce questo gruppo sa benissimo il genere proposto e la qualità di ogni singolo brano della compagine teutonica; vi è infatti una cura maniacale per gli arrangiamenti, gli assoli di chitarra, l’orecchiabilità e l’ immediatezza dei brani; alcuni potrebbero storcere il naso, additando i Mad Max come ‘’commerciali’’, ma basta sentire anche un solo brano di questa band per fugare ogni dubbio sulla genuinità della proposta; oltretutto una garanzia è data dalla stupenda voce di Michael Voss, conosciuto anche per la sua militanza nei Bonfire e nei Casanova.
Come genere ci troviamo dinanzi ad un misto di Class Metal, Hard Rock anni ’80 ed Aor; ci troviamo insomma nelle coordinate musicali di gruppi come: Ufo, Dokken, Scorpions, Bon Jovi, Pretty Maids, Pink Cream 69 ed Axxis.
Chi segue le mie recensioni sa bene che spesso e volentieri mi cimento nei "track by track", ebbene stavolta è inutile: non saprei davvero cosa dire in quanto le canzoni sono molto omogenee (attenzione: non uguali) tra loro, tutte di altissima qualità; credete che io esageri? Ascoltatevi capolavori come: "Fly, Fly Away", "Never Say Never", "Stormchild" o "Burning the Stage", per comprendere.
Non un calo di attenzione o di noia in questa splendida raccolta, in cui i brani hanno assunto una veste nuova grazie alla produzione cristallina che per fortuna non ha scalfito minimamente il loro fascino "eighties".
Se possedete già la discografia di questa band, allora questa raccolta è pressoché inutile, a meno che non vogliate confrontare le differenze tra i brani nelle versioni di ieri ed oggi; se invece questa recensione vi ha incuriosito ed intrigato, allora questo "Thunder, Storm & Passion" fa assolutamente per voi, considerando anche la scarsa reperibilità del vecchio materiale dei Mad Max.
Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 2015
Top 50 Opinionisti -
Provenienti dalla capitale greca, i Nightbreed presentano il loro omonimo debutto cinque anni dopo la loro fondazione e con alle spalle il demo ‘’From Yuggoth’’ del 2012.
Complice anche la simpatica copertina dell’album questa band ha destato la mia curiosità, sperando di rimanere affascinato anche dal contenuto musicale mi sono cimentato nell’ascolto.
Il quintetto ateniese suona un Thrash Metal d’annata senza compromessi, non spiccando di certo per personalità; le influenze sono le solite: Slayer della prima ora e soprattutto il Thrash tedesco antecedente al 1987, ovvero i primi lavori di Kreator, Sodom e Destruction, quelli meno tecnici ma più istintivi per intenderci.
La opener ‘’Satanized’’ mette subito in chiaro le cose e rivela le intenzioni battagliere dei Nightbreed, la song è un attacco brutale ben calibrato,ben suonato e coinvolgente; non c’è nulla fuori posto ed anche le linee vocali ed il ritornello sono create ad hoc per un headbanging sfrenato, due minuti e mezzo di pura goduria Thrash.
Anche la successiva ‘’Pandemic’’ si muove sulle stesse coordinate sorretta su di un riff maligno totalmente influenzato dal songwriting degli Slayer del capolavoro ‘’Reign in Blood’’ e nonostante la maggior durata di questo brano, l’attenzione rimane alta e l’ascolto piacevole.
Con la terza canzone del lotto ‘’Epilepsy’’ cominciano i problemi ed un terribile sospetto invade la mia mente, mi chiedo ‘’ma vuoi vedere che ora i pezzi sono tutti uguali?’’ ebbene proseguendo l’ascolto del disco questo sospetto purtroppo diventa realtà; i brani di questo album sono tutti maledettamente troppo simili; stessa struttura canzone, stessi ritmi, stessi cambi di tempo, stesse linee vocali.
Sebbene molte bands degli anni ’80 venute allo scoperto sulla scia dei mostri sacri non brillassero per originalità c’è un piccolo particolare, siamo nel 2015,non più nel 1987!
Dei successivi 6 pezzi spicca su tutti l’omonima ‘’Nightbreed’’ infatti a metà brano avviene qualcosa di inaspettato, un interludio melodico veramente azzeccato squarcia la canzone, si sentono delle melodie e delle armonizzazioni davvero interessanti ed anche il cantato e gli assoli convincono appieno; per rendervi l’idea sto parlando di quegli esperimenti melodici dal vago retrogusto ‘’Swedish’’ che stanno proponendo anche i Kreator da ‘’Violent Revolution’’ in poi, se devo essere sincero vi è qualcosa anche dei Rotting Christ in quell’ interludio centrale e ci può stare essendo il miglior gruppo greco.
Alla fine devo confessare che questo disco mi ha lasciato un grosso amaro in bocca, i Nightbreed sono degli ottimi musicisti con una grande padronanza tecnica, ma ciò purtroppo per un recensore non basta, ci vuole di più, ci vogliono le canzoni e soprattutto la varietà tra queste, 38 minuti di brani fotocopia sono un mediocre biglietto da visita.
Ogni band ha le proprie influenze, ma il gruppo in questione farebbe bene a distaccarsi un attimino dai propri idoli e cercare di fare qualche passo in avanti per acquisire una propria personalità ed un pizzico di originalità nella proposta musicale.
In ogni caso questo è un debutto e sono certo che la band in futuro potrà fare molto meglio in quanto le potenzialità non mancano, tuttavia per onestà intellettuale mi sento di consigliare l’acquisto di questo cd soltanto ai Thrashers nostalgici più incalliti che non riescono ad accettare che il 1987 sia passato da un pezzo.
Ultimo aggiornamento: 14 Settembre, 2015
Top 50 Opinionisti -
Ammetto la mia ignoranza, non avevo mai sentito parlare prima dei Fuck Off nonostante io sia un patito del Thrash Metal, a volte questo è il bello del lavoro del recensore: venire a conoscenza di gruppi che difficilmente uno avrebbe scoperto.
I Fuck Off sono una band spagnola, per la precisione sono Catalani originari di Barcellona e furono uno tra i primi gruppi a suonare un certo tipo di Metal nella penisola iberica; formatisi nel 1986 furono attivi per soli quattro anni con 2 dischi pubblicati, salvo poi tornare sulla scena nel 2013 con l’album del ritorno ‘’Smile as You Kill’’. Questo ‘’Hell on Earth II (Revisited & Faster)’’ altro non è che una riedizione suonata dalla nuova line up del loro storico secondo disco, appunto ‘’Hell on Earth’’ del 1990, operazione compiuta in occasione del 25esimo anniversario dell’uscita di quel disco per dare la possibilità ai fans di reperire del materiale oramai divenuto raro.
Oltre a registrare i pezzi di quel disco, c’è spazio anche per due brani del demo ‘’Invasion’’ del 2000, alcune versioni dei brani risalenti al 1989 ed altre registrazioni del 2013; materiale sicuramente succoso per i fans più accaniti, un po’ meno per gli altri.
Per quanto concerne i brani, la title track posta in apertura è un attacco frontale senza fronzoli, uno Speed Thrash duro e puro maledettamente convincente sul ritornello melodico, qualità che manca in molti gruppi ‘’revival’’ Speed/Thrash odierni.
La successiva ‘’Blasphemy’’ è caratterizzata da un testo decisamente ‘’Evil Old-Fashioned’’ e potrebbe agevolmente essere accostata in album come ‘’Show no Mercy’’ e ‘’Hell Awaits’’ degli Slayer; la successiva ‘’Whom You Have Never to Say his Name’’ è un'altra mazzata di grezzo Speed Thrash sempre di alto livello, ciò che in questi brani iniziali mi ha colpito è il considerevole gusto melodico del chitarrista solista; tanto di cappello a Pep Casas, peraltro unico membro originario rimasto nella band.
Il quarto brano del lotto ‘’Ride On’’ è di gran lunga la mia preferita del disco, potente, a tratti epica e curata in ogni particolare, dal bridge pre-ritornello, al chorus e agli assoli. Gran bel pezzo da cantare a squarciagola ai loro concerti. Dopo un paio di brani meno convincenti ma comunque più che dignitosi, occorre soffermarsi sulla velocissima ‘’Midnight Confession’’ in cui fanno capolino alcune influenze Punk Hardcore meravigliosamente integrate nello stile della band, anche questo brano credo sia spettacolare da vivere in un live.
Finita la parentesi delle nuove versioni del vecchio ‘’Hell on Earth’’ troviamo 2 brani tratti dal demo ‘’Invasion’’ del 2000; il brano ‘’Torquemada’’ è molto potente ed incisivo e presenta la particolarità del cantato in spagnolo, sembra di sentire una versione Speed ed anfetaminica dei Baron Rojo, mentre il successivo ‘’Cyclone Pt. IV’’ è un brano strumentale piuttosto breve.
I rimanenti brani altro non sono che le versioni del 1989 e del 2013 che nulla aggiungono o tolgono da questa release, unica nota da segnalare è che il 13esimo brano ‘’Inquisicion’’ corrisponde alla richiamata ‘’Torquemada’’ nella sua versione originaria del 1989.
Concludendo questo cd è consigliatissimo agli amanti del Thrash e dello Speed Metal, i Fuck Off altro non sono che una versione ispanica di gruppi come gli Slayer dei primi 2 album e dei Venom; attenzione però, facendo questi paragoni non voglio assolutamente sminuire la band anzi, di personalità il gruppo catalano ne ha da vendere e le composizioni sono estremamente gradevoli e mai noiose; sono contento di averli scoperti!
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