A+ A A-

Opinione scritta da Luigi Macera Mascitelli

484 risultati - visualizzati 271 - 280 « 1 ... 25 26 27 28 29 30 ... 31 49 »
 
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    09 Novembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 09 Novembre, 2020
Top 10 opinionisti  -  

Avete letto bene, non mi sono sbagliato nel titolo. 28 sono gli anni che il quartetto statunitense Thanatopsis ha impiegato per partorire il suo primissimo full-length, il qui presente "Initiation".
I nostri nacquero ad Oakland nel lontano 1992 come Existence per poi cambiare, dopo un primissimo demo, il nome ed avviare una carriera piuttosto frammentata, fatta per lo più di un Ep ed altrettanti demo, ma senza effettivamente dare alla luce un lavoro completo che assestasse la band su lidi sicuri. Questo fino al 2020, anno in cui finalmente, sotto l'ala della Extreme Metal Music, John Bishop e soci pubblicano il tanto agognato primo album: un lavoro che racchiude e dà lustro a questi 28 anni di incertezza ma comunque ricchi di buone idee. Ed è esattamente questo il punto di forza di "Initiation": è senza fronzoli. Mi spiego. Carichissimo dell'influenza thrash della Bay Area e del death metal americano (soprattutto Deicide e Morbid Angel), l'album non perde di certo tempo a presentarci la band -d'altronde 28 anni sono tantissimi- ma si lancia immediatamente a testa bassa scaricandoci addosso tutta la violenza che il tempo non ha evidentemente intaccato. Perciò ecco che l'opener "Age Of Silence", dopo un breve arpeggio di apertura, esplode in tutta la sua furia e subito ci presenta un John Bishop più che convincente alla voce. Pur non brillando per originalità, il suo stile canoro ben si incastra nel contesto, portando a casa una meritata sufficienza. Ma è nel comparto tecnico e musicale che il quartetto dà il meglio di sè. In nemmeno 40 min di durata "Initiation" è un concentrato di martellate old school che sapranno accogliere il favore di molti veterani e l'interesse delle nuove leve. É vero, si tratta di un lavoro non originalissimo -molti passaggi e accorgimenti sono piuttosto standard-, eppure questo riesce perfettamente a suscitare l'interesse dell'ascoltatore per il suo approccio diretto, quasi a voler dire "bando ai convenevoli, di tempo ne è passato a sufficienza; è ora di spaccare!". E tanto basta per dare all'opera in questione quella nota di risalto che fa fare al quartetto il salto di qualità.
Perciò, se siete fan del thrash e del death old school, di quelle sonorità zanzarose e di quelle ritmiche frenetiche, allora i Thanatopsis faranno al caso vostro. Per quanto mi riguarda sono contentissimo che la band non si sia mai arresa e abbia alla fine portato alla luce un validissimo lavoro dopo 28 lunghissimi anni. Complimenti!

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    05 Novembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 05 Novembre, 2020
Top 10 opinionisti  -  

Eterogeneo, coinvolgente e grintoso. Questi gli aggettivi migliori per descrivere il nuovo Ep dei pompeiani Land Of Damnation, "Eleftheria I Thanatos". Giunto solamente a distanza di due anni dal precedente lavoro, il qui presente ci mostra una band per certi aspetti nuova e più compatta. Se, infatti, prima la facevano -forse fin troppo- da padrona le classicissime sonorità alla Iron Maiden, questa volta nel calderone c'è molto ma molto di più. Nonostante l'impostazione heavy sia ancora ben presente, adesso ci troviamo su lidi ben più estremi che sanno spaziare da un melodic death vagamente riconducibile agli Insomnium, sino ad arrivare a delle belle sfuriate galoppanti. Il tutto condito dall'ottima performance canora del nuovo arrivato Francesco Longo che sicuramente è uno dei motivi di questo approccio più grintoso.
In cinque tracce, dunque, ritroviamo tutti gli elementi sopracitati che si fondono bene senza che uno prevalga sull'altro e dando anzi un sorprendente senso di continuità e razionalità all'intero lavoro. Ecco quindi che da una "thrashettona" "The Runner" si passa ad un'elegante quanto nordica "Eleftheria I Thanatos". E poi di nuovo con un tributo che trasuda Iron Maiden da tutti i pori: la splendida "A Descent Into The Malestorm", chiaramente ispirata ad Edgar Allan Poe e fortissima di quella grinta e galoppante energia di Bruce Dickinson e soci.
Insomma, per farla breve, i nostrani Land Of Damnation hanno fatto un gran bel salto di qualità, confezionando un Ep che -e lo dico con presunzione- sarà sicuramente un antipasto per un full-lenght davvero grandioso. Complimenti ragazzi!

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    01 Novembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 01 Novembre, 2020
Top 10 opinionisti  -  

Sui Carcass penso sia già stato detto tutto. Al quartetto di Liverpool, guidato sin dal 1986 da un inossidabile Jeff Walker al basso e alla voce, va la riconoscenza per aver dato vita al grindcore e alle successive frange più violente del death. Non è un caso quindi che si tratti di una delle realtà più rispettate e amate nel panorama metal. Lo stesso dicasi per la svolta che avvenne nel 1993 con quel capolavoro di inenarrabile bellezza che risponde a nome di "Heartwork", forse l'apice della loro carriera che diede il via a quel filone che tutt'ora conduce i nostri: quello del melodic death/death 'n' roll.
Per quanto ritenga piuttosto inutile e riduttivo ricorrere alle etichette, specie se si tratta dei Carcass, i quali mantengono comunque da oltre trent'anni una loro riconoscibilissima traccia, c'è da dire che il cambio di stile -o evoluzione, chiamatela come volete- ha portato a dei risultati a dir poco sbalorditivi. Ne è un esempio l'ultimo full-length del 2013, "Surgical Steel", il quale portò i nostri su lidi per certi aspetti nuovi ma legati comunque a quella violenza ferina della prima ondata, soprattutto nella inconfondibile voce del buon Jeff. Ed è proprio da qui che prende vita il qui presente "Despicable", Ep che vede la luce dopo ben 6 anni e che ci introdurrà al nuovo album previsto per l'inizio 2021 (già rimandato a causa della pandemia). Una bella responsabilità, insomma. Eppure dopo tanti ascolti -ricordo a tutti che le 4 tracce sono state pubblicate già da qualche mese con relativo video su YouTube- questi 19 minuti di durata mi hanno lascito davvero poco e niente, se non una domanda: era davvero necessario? Mi spiego. Tolta l'opener "The Living Dead at the Manchester Morgue" che molto mi ha ricordato gli ultimi Hypocrisy e la finale "Slaughtered in Soho", nel complesso tutto mi è risultato piuttosto sciapo, come se mancasse quel qualcosa che ti fa esclamare "wow!". E sinceramente dopo l'ottimo lavoro fatto nel 2013 mi sarei aspettato molto di più. Leggendo qua e là su internet ho poi appreso che Jeff Walker in un'intervista abbia confessato che i quattro brani dell'Ep sarebbero dei pezzi scartati e non degni del nuovo album. Ma allora perché pubblicarli? Questioni contrattuali?! Non ci è dato saperlo.
Se volete dare un ascolto, che comunque consiglio, sappiate prendere queste 4 tracce per quelle che sono: un antipasto, seppur sciapo, prima del settimo full-length.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    25 Ottobre, 2020
Top 10 opinionisti  -  

I tedeschi Dark Fortress sono una di quelle realtà che dal 1994, anno di nascita, ad oggi, non si è mai fermata, aggiungendo via via sempre più elementi che ne hanno ampliato il corridoio compositivo. Si è passati da quella perla di debutto del 2001, "Tales from Eternal Dusk", che tanto doveva ai leggendari Dissection e Naglfar, al 2020 con il qui presente "Spectres from the Old World", uscito per Century Media Records dopo sei anni dal precedente "Venereal Dawn". Un lasso di tempo che ha permesso a Asvargr -unico membro rimasto della primissima line-up alla chitarra- e soci di stratificare ancora di più il proprio sound, attestandosi certamente su lidi che richiamano ad un modus operandi ben riconoscibile e se vogliamo sicuro, ma aggiungendo quel marcato tocco di back-to-origins che mi ha fatto letteralmente venire la pelle d'oca.
"Spectres from the Old World" non è affatto un ascolto facile da mettere come sottofondo distrattamente; tutt'altro! Si tratta di un disco complesso, onirico, eterogeneo e pieno di infinite sfaccettature che ci offrono di volta in volta una prospettiva diversa. Ad un black metal a tratti canonico, a tratti moderno e sperimentale, si aggiungono un'infinità di elementi provenienti dal symphonic, dal melodeath, dal black 'n roll e perfino dal death americano dei Morbid Angel. Insomma, ci troviamo davanti a quasi un'ora di un labirintico viaggio introspettivo in cui l'approccio old school incontra il nuovo in un continuo gioco di luci ed ombre. Il cerchio tracciato circa una decina d'anni fa, e portato alla quasi chiusura con il precedente album, trova infine qui la sua ragion d'essere. In sintesi: questo sesto lavoro porta sulla vetta più alta lo stile dei Dark Fortress, c'è poco da fare. E badate, chi vi scrive la recensione è un fan incallito dei primi album; eppure qui c'è quell'elemento che ti ipnotizza, quella forza misteriosa che penetra lentamente fin sotto la pelle per poi insinuarsi nella testa e nell'anima.
Ecco quindi che "Coalescence" apre l'opera con il suo crudo e grezzissimo approccio anni '90, senza lasciare scampo a fronzoli o ghirigori. Perfetta la voce di Morean che si cimenta in uno scream corrosivo e acido piuttosto canonico ma comunque godibilissimo.Ma è nelle parti in clean la ciliegina sulla torta, in quei vocalizzi che sembrano echi lontane provenienti dalle viscere della terra -la spettrale quanto maestosa "In Deepest Time" ne è l'esempio perfetto ed è forse una delle tracce migliori-. Ecco poi che "The Spider In The Web" ci riporta subito alla mente Hoest e i suoi Taake e lo stampo black 'n roll. Si prosegue più in là con la splendida "Isa", una vera e propria dama di un'eleganza disarmante, con la sua velenosa melodia di sottofondo e quel non so che di disperato che gela il sangue mentre contemporaneamente ipnotizza. Insomma, penso di essere stato abbastanza chiaro.
"Spectres from the Old World" porta a compimento la maturazione stilistica che dal 1994 ad oggi non ha mai smesso di riempirsi di elementi sempre nuovi e ce la sbatte in faccia con una razionalità quasi atipica per il tipo di ascolto a cui si va in contro. Saper rendere un lavoro così complesso ed enormemente stratificato comunque fruibile senza scadere nella becera autoreferenzialità, non è da tutti. Album consigliato a praticamente tutti, con l'accortezza di dedicargli ben più di un distratto ascolto. Vi assicuro che entrerete in un loop di agonizzante e freddo tormento che vorrete approfondire ancora e ancora, traccia dopo traccia. Complimenti!

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    18 Ottobre, 2020
Top 10 opinionisti  -  

Posso semplicemente dire che i Dethrone hanno tirato fuori la quintessenza della cattiveria e finire qui la recensione con il massimo dei voti? No eh?!
E va bene, per quelli a cui non bastano le primissime note di questo micidiale "State Of Decay" vediamo di dare qualche info in più. Nato nel 2011 e con alle spalle due ottimi full-length, il quartetto svedese carica fin da subito a testa basta con una semplicissima regola: menare forte, ma proprio tanto tanto forte con un death/trash semplicemente stratosferico. A distanza di 4 anni, poi, ecco che la bestia si risveglia di nuovo con il qui presente Ep -che spero vivamente sia un assaggio di un futuro album-. Cosa dire di queste quattro tracce? Beh, sinceramente pochissimo, tranne un semplice: spaccano come poche cose nella vita. Punto e basta. Prendete il thrash metal più incazzato di Slayer, Sodom, Exodus e primi Sepultura; aggiungete la potenza del death scandinavo di The Haunted e At The Gates e una punta death/grind alla Napalm Death. Unite tutto in un calderone et voilà, la quintessenza della malvagità fatta musica è pronta! Ragazzi, qui si tratta veramente di roba seria che vi farà schizzare il cervello dalle orecchie a suon di blastate ferocissime e riff portentosi, granitici e massicci come incudini. E non parliamo dell'ottima performance della sempre garanzia Mattias Vestlund che riesce ad unire la voce hardcore a quella più ferina del death classico.
Insomma, comunque lo si giri, questo "State Of Decay" è un Ep disumano ed energico, in grado di presentarci una band in formissima e dedita alla sola ed unica regola di cui sopra: menare fortissimo. Se questo assaggio è solo l'antipasto prima di un terzo album completo, beh, ragazzi miei, comincio a preparare una testa di riserva perchè sarà una bomba atomica. Complimenti!

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    18 Ottobre, 2020
Ultimo aggiornamento: 18 Ottobre, 2020
Top 10 opinionisti  -  

Un lavoro veramente complesso e travolgente questo "Drain the Sun", album di debutto per i canadesi Skyless Aeons che si buttano a capofitto nel panorama musicale con questa imponente creatura autoprodotta.
Nati solamente nel 2013, i nostri non si fanno certamente intimidire dall'enorme quantità di gruppi già presenti sul mercato, e mostrano fin da subito i denti con un massiccio melodic death/black con forti innesti technical tanto per dare quel tocco in più ad un lavoro già di per sé complesso e a tratti difficile da digerire. Ma tant'è, e il quartetto partorisce sette tracce a dir poco devastanti che sanno unire sapientemente l'approccio melodic death dei Dark Tranquillity con il prog death di Opeth e Beyond Creation e pesanti sferzate provenienti dal black moderno. Il tutto condito da un Nathan Ferreira alla voce decisamente all'altezza del ruolo ricoperto: il suo growl sembra provenire dalle viscere della terra e si incastra benissimo con i riff proposti. Ed è proprio di questi ultimi che vorrei parlarvi. Sperimentare al giorno d'oggi è pressoché fondamentale se si vuole essere notati. Tuttavia può succedere che non sempre il prodotto finale sia sempre perfetto, e questo è uno di quei casi. Non fraintendetemi ragazzi, il disco mi è piaciuto particolarmente, soprattutto per l'ottima commistione tra death e black. Il problema però sopraggiunge quando durante l'ascolto si respira quell'aria un po' macchinosa, come se si fosse messa troppa carne sul fuoco; e a testimonianza di ciò basta vedere la durata delle tracce: solo "Go Forth and Multiply" si attesta sui 3 min e mezzo, mentre le restanti vanno ben oltre i 6-7. Non che ci sia qualcosa di sbagliato, ma ciò fa capire come magari si poteva tagliare qualcosa per rendere tutto l'album più scorrevole e fruibile. Ma nonostante ciò devo dire che l'intento di proporre della musica per certi aspetti diversa è sicuramente riuscito. Il mio consiglio è quello di capire meglio quale sia il focus e l'obiettivo e puntare dritto cercando di evitare degli -a volte, sia chiaro- inutili orpelli che appesantiscono solo. Consigliati e soprattutto teneteli sott'occhio!

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    10 Ottobre, 2020
Ultimo aggiornamento: 10 Ottobre, 2020
Top 10 opinionisti  -  

Fan dei Meshuggah e del metal d'avanguardia accorrete numerosi. Oggi una chicca per voi amanti delle frange psichedeliche e progressive: il debutto dei tedeschi Intercepting Pattern con il loro primissimo "The Encounter", forse uno degli album più sorprendentemente strani che abbia mai ascoltato in quattro anni di recensioni. Ma andiamo con ordine -per quanto l'ordine potete anche metterlo da parte quando vi approccerete alla loro musica-.
Nati nel 2016 a Leipzig -dove ebbe luogo il leggendario concerto dei Mayhem nel 1990- i nostri si mettono subito a lavoro per creare qualcosa al di fuori dell'ordinaria comprensione umana; e in quattro anni il quartetto riesce nell'impresa con il qui presente "The Encounter", un album che riuscirà, come detto ad inizio recensione, a mettere d'accordo i fan del djent alla Meshuggah e Vildhjarta e gli amanti delle sonorità fusion e progressive. Il tutto condito con una leggerissima e per nulla fastidiosa vena elettronica che dà a tutto il composto una vena psichedelica moderna molto gradita.
Dieci sono le tracce di questo lavoro, per circa mezz'ora di viaggio mentale in cui le sinapsi dell'ascoltatore vengono letteralmente fatte a brandelli da una mole di riff liquidi, sconnessi dalla realtà ed accompagnati da una sezione ritmica che prende il concetto di linearità, lo distrugge in un milione di pezzi e lo ricompone come un quadro di Picasso dalle infinite prospettive. Esattamente come gli americani Pyrrhon per le frange più malate e distorte del progressive death, gli Intercepting Pattern portano a compimento l'impresa di rendere razionale l'irrazionale e lo fanno con un album che non ha punti di riferimento e che scorre come un metallo liquido insinuandosi nel cervello dell'ascoltatore e portandolo su una dimensione cosmica totalmente distorta. Complice di tutto ciò la quasi totale mancanza di cantato che rende la sola espressione musicale l'unica protagonista dell'opera. Ecco quindi che mi risulta pressochè impossibile citarvi delle tracce di riferimento: sia perchè di riferimenti non ce ne sono, sia perchè ciascun brano è messo lì in una sequenza ben precisa, come i pezzi di un puzzle che hanno uno ed un solo posto prestabilito. Eppure in questo grandissimo e vorticoso calderone trovano posto anche degli elementi perfettamente riconoscibili, come l'approccio djent dei Meshuggah nell'opener e nella -a mio avviso- fin troppo ispirata "Eigenlicht" - sbaglio o anche i titoli delle tracce sembrano usciti da un album di Jens Kidman e soci?-.
Tirando le somme, abbiamo davanti un album a dir poco sorprendente che lascia intuire fin da subito l'enorme talento musicale del quartetto di Leipzig ma che per certi aspetti necessita ancora di qualche rifinitura qua e là, soprattutto per quanto riguarda la fin troppo spiccata ispirazione in alcuni passaggi. In generale gli Intercepting Pattern hanno portato a compimento una grande opera che fa della musica la sola vera ed unica protagonista, in grado di far perdere la terra sotto i piedi ed ogni punto di riferimento. Ciò che resta è un viaggio mentale attraverso le note mentre tutto il resto si liquefà dissolvendosi poi nell'aria. Aspetto con super ansia il prossimo lavoro. Complimenti!

Ps. Avete riconosciuto fin da subito l'inconfondibile stile di Niklas Sundin (ex-Dark Tranquillity) nella copertina?

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    10 Ottobre, 2020
Top 10 opinionisti  -  

Sarò sincero, non conoscevo gli Across The Swarm prima del loro arrivo sulla nostra piattaforma, ma ehi, il bello delle recensioni è proprio questo: potersi approcciare a nuova musica. Perciò, bando alle ciance e tuffiamoci in questa realtà tutta italiana.
In realtà c'è molto poco da dire, in quanto il quartetto bolognese è attivo da solamente sette anni ed ha alle spalle un solo Ep del 2014 ed un altro uscito quest'anno per Time To Kill Records, il qui presente "Projection". E qui mi viene subito da chiedermi: come mai si è deciso per un ulteriore Ep e non per un primo album di debutto dato che sei anni di distanza non sono affatto pochi? Forse ci si vuol far conoscere ancora un po' prima del grande lancio? non ci è dato saperlo, perciò vediamo cosa hanno da offrirci le sette tracce proposte.
Devo dire che i nostri in fatto di death metal ci sanno veramente ma veramente fare e il risultato è un prodotto confezionato alla perfezione in grado di strizzare l'occhio alla vecchia scuola - in particolare sento la classica chitarra zanzarosa alla Dismember - ma guardando abbastanza a quelle che sono le soluzioni moderne, soprattutto in fatto di riff writing piuttosto compatto e martellante e poco avvezzo ad orpelli o ghirigori di abbellimento. Insomma, la formula è menare e basta, senza stare a dare troppo spazio ad evoluzioni o inutili -si fa per dire- fronzoli. Ecco, se da una parte questo approccio mi è piaciuto particolarmente, soprattutto perché è diretto come un pugno in faccia, dall'altro si porta dietro lo scotto da pagare: una tendenziale ripetitività delle tracce, soprattutto a livello di struttura e andamento, anche se non mancano le eccezioni come l'ottima "Waiting For The Hyenas" che mi ha ricordato i nostri Coffin Birth. Buone invece le sezioni ritmiche che svolgono il loro compito regalando dosi generose di manganellate sulla testa e un applauso al vocalist Francesco A. Flagiello, forse il punto di forza del qui presente "Projections". In alcuni passaggi ricorda tantissimo Karl Sanders dei Nile, non esagero. Davvero un portento!
In definitiva gli Across The Swarm confezionano un Ep di tutto rispetto che si lascia ascoltare anche più di una volta, ma che sicuramente non lascerà a bocca aperta per l'originalità. Speriamo in futuro di poter ascoltare di nuovo questi ragazzi, magari in un album completo. In bocca al lupo!

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    04 Ottobre, 2020
Ultimo aggiornamento: 04 Ottobre, 2020
Top 10 opinionisti  -  

Nell'enorme panorama delle band thrash metal emergenti, i messicani Tulkas sono certamente una realtà da tenere sott'occhio. Attivi dal 2010 anni e con alle spalle due ottimi album, il quintetto inaugura il decimo anno di vita con "The Beginning Of The End"; Ep che se da un lato non brilla certamente di iniziativa per il titolo -quanti miliardi di altri lavori si chiamano così, ammettetelo-, dall'altro ci presenta una band a dir poco agguerritissima e dedita ad un thrash metal super vitaminico che pesca direttamente nell'avanguardia del genere (Havok, Vektor, qualche spruzzo di prog in stile Voivod e un tocco di Lamb Of God) pur rimanendo fedele alle origini indiscusse del genere (la chitarra alla Gary Holt degli Exodus è ben percepibile). Insomma, non mi stupisco affatto nel sapere che Javier Trapero e soci abbiano partecipato al Wacken Open Air del 2016.
Ma cosa ha da offrirci questa piccola bestiolina che, spero, sicuramente sarà l'antipasto prima del prossimo album? Una vera e propria carrellata di riff devastanti e mai, e dico MAI, scontati. Con anche la ruffianata della cover di "Shortest Straw" dei Metallica, a dirla tutta una delle migliori versioni che abbia mai sentito; perciò, approvatissima.
Quattro -tolta l'appena citata cover- sono le tracce di questo "The Beginning Of The End" per circa una ventina di minuti di sonori cazzotti in faccia in cui le asce di José Chávez e di Edgar Castañeda faranno letteralmente a brandelli il cervello dell'ascoltatore, mentre quell'animale di Javier Trapero, con il suo stile a metà tra Steve "Zetro" Souza e Marcel "Schmier", non si pone limiti nel distruggere il microfono con dei vocalizzi notevoli ed un cantato sporco, gracchiante ma maledettamente old school. Inutile dirvi che straconsiglio i Tulkas, soprattutto a coloro che cercano delle nuove leve in grado di portare avanti le redini di un genere che appassiona ed infiamma i cuori dei metallari da quarant'anni.

Trovi utile questa opinione? 
10
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    25 Settembre, 2020
Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 2020
Top 10 opinionisti  -  

Uada, un nome che forse che risulterà sconosciuto. Eppure il quartetto americano meriterebbe ben più di un semplice sguardo veloce nell'enorme panorama del black metal moderno. Attivi dal 2014, i nostri attirano le attenzioni con un black metal fortemente ispirato alla scuola polacca e svedese, in particolare a Mgla e Dissection, passando per quel tocco melodico di stampo Drudhk . Insomma, sulla carta Jake Superchi e soci sapevano benissimo di aver messo le mani ad un progetto fruttuoso; e tanto è stato con i primi due album. Seppur, a mio avviso, fin troppo ispirati ai sopracitati gruppi, o comunque dall'approccio ruffiano ma funzionale, i lavori hanno saputo consolidare la carriera del quartetto statunitense che si è piazzato, a buon diritto direi, tra i nomi di spicco di questa ondata di black metal moderno.
Ma il vero e proprio salto di qualità è avvenuto quest'anno, soprattutto dopo gli alti e bassi nei vari live. In questo 2020 la band di Portland confeziona il qui presente "Djinn", la piccola grande perla, la meta agognata dopo anni e anni di sufficienza politica. Senza troppi giri di parole, ci troviamo di fronte al miglior lavoro dei Uada, senza se e senza ma. Complice di questo giro di boa è stato l'aver abbandonato, o quantomeno ridimensionato su livelli non più tendenti al copia/incolla, quelle sonorità che troppo rimandavano ai polacchi Mgla e agli svedesi Dissection per intraprendere un cammino più incentrato sulla melodia, i riff frenetici, tracotanti e ripetitivi -in questo caso una carta vincente-. Il risultato è stato impeccabile ed evidente a tutti: un signor album in cui il black metal si fregia di quei meravigliosi passaggi dello swedish death e del black sinfonico. Insomma, si era capito che bisognava dare briglia sciolta all'estro compositivo dei quattro, e tanto è bastato per dare forma ad un lavoro che merita a tutti gli effetti un bacino d'utenza molto ma molto più ampio.
Sei sono i brani di questo "Djinn". Sei tracce lunghe, lunghissime -"No Place Here" dura quasi quattordici minuti- che vi paralizzeranno per la loro epicità e potenza evocativa: un turbinio di sensazioni in cui la roca voce di Jake Superchi, ispiratissimo allo stile canoro di M. (Mgla), fa da eco in questo caotico e velenoso viaggio. I riff sanno emozionare per la loro tracotanza ed opulenza senza mai sfociare nella stucchevole e pomposa esecuzione fine a se stessa. E stiamo parlando comunque di brani molto lunghi che, seppur potrebbero finire prima, non danno fastidio, ma, al contrario, si insinuano lentamente e penetrano l'anima: Il connubio perfetto tra la furia evocativa del black metal e la marcata componente catchy della melodia che vi farà entrare i brani nella testa.
Per farla breve. Questo terzo album dei Uada ha finalmente raggiunto lo scopo di presentarci una band in formissima ed ispiratissima, piena di idee e non più schiava di una eccessiva ispirazione ai grandi del genere. La formula è semplice ma allo stesso tempo complessa ed il risultato non poteva che essere altrettanto potente ed onirico: il melodic black che scorrerà nelle vostre orecchie saprà regalarvi una sessantina di minuti di pelle d'oca, senza mai sfociare in una ruffianata per imbonire l'ascoltatore. Un giro di boa inaspettato che getta nella luce -o nell'oscurità, fate voi- una band che si è elevata al rango di punto di riferimento per il genere. Complimenti!

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
484 risultati - visualizzati 271 - 280 « 1 ... 25 26 27 28 29 30 ... 31 49 »
Powered by JReviews

releases

All'assalto con i Razgate!!!
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Social Disorder tornano con un gran bel disco a cavallo tra Hard Rock e Heavy Metal
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Thornbridge, che discone!
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Si confermano band di qualità gli Arkado!
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Civerous: ancora un po' macchinosi, ma la nuova strada sembra quella giusta
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Autoproduzioni

Dyspläcer, un debut album che fa intravedere del talento
Valutazione Autore
 
3.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Blood Opera: grande incompiuta
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Con “Yet I Remain” i Pandora's Key ci guidano in un oscuro regno di Metal melodico
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Ember Belladonna, un debutto fin troppo poco Metal
Valutazione Autore
 
2.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Metal melodico: debutto per gli Attractive Chaos
Valutazione Autore
 
3.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Gengis Khan: epica cavalcata
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Consigli Per Gli Acquisti

  1. TOOL
  2. Dalle Recensioni
  3. Cuffie
  4. Libri
  5. Amazon Music Unlimited

allaroundmetal all rights reserved. - grafica e design by Andrea Dolzan

Login

Sign In

User Registration
or Annulla