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Opinione scritta da Celestial Dream

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Opinione inserita da Celestial Dream    07 Luglio, 2012
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Sono e resterò sempre convinto che la scena metal italiana, dal punto di vista della quantità e della qualità di uscite, non sia seconda a nessuno. A dar man forte alla mia teoria ecco una nuova band proveniente dalla Lombardia e già capace di affacciarsi al mercato mondiale con un prodotto di qualità.

Parliamo di una proposta molto varia di non facile classificazione, che partendo da un power-death stile Empyrios e Mercenary si arricchisce di tante altre piccole influenze, dal new metal al crossover. Per poter offrire un prodotto valido, ancor più in questo genere, è indispensabile una produzione di un certo livello e fortunatamente “Turning maybes into reality” possiede le carte in regola essendo stato mixato da Diego Minach e Tancredi Barbuscia e masterizzato da Tom Baker (Deftones, Nine Inch Nails, Marilyn Manson, Rob Zombie, Sevendust) ai Precision Mastering in Los Angeles.

I Rhope alternano buone melodie, seppur non sempre originali, a momenti di rabbia sonora con un buon growl. Canzoni come l'opener “Slaves” (mio pezzo preferito del disco), “Your peace”, “Lust” e “Truth lies” mettono subito in chiaro le doti della band, sia tecniche che compositive. Ma tutte le canzoni hanno il loro perchè, anche se si fa fatica a trovare dei veri e propri pezzi vincenti (tranne i primi due elencati poco sopra), quelli che ti catturano e ti girano in testa intere giornate.

Moderno e potente, “Turning maybes into reality” è un debutto di indubbio valore. Chiaro c'è qualcosa da migliorare, soprattutto non tutte le melodie riescono a catturare l'attenzione dell'ascoltatore, ed è lì che a mio modesto parere la band dovrà concentrare maggiormente la propria attenzione in futuro. In ogni caso i Rhope al primo colpo centrano subito il bersaglio.

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Opinione inserita da Celestial Dream    21 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 22 Giugno, 2012
Top 10 opinionisti  -  

Scoperti grazie a Youtube, come spesso accade per questi gruppi distanti e sconosciuti, i Nova Era sono una giovanissima band messicana (esattamente da Ciudad Obregon, Sonora) dedita ad un power metal veloce e tradizionale cantato in lingua spagnola, tra Stratovarius, Rata Blanca, Galneryus e Angra,.

Non perdiamo minuti preziosi ed arriviamo subito al dunque: la domanda giusta da farsi è: “vale la pena perdere tempo alla ricerca di un disco di non facile reperibilità come questo?”. La risposta è “si e no”. Questi 5 ragazzotti messicani dimostrano un certo talento vista anche l'età (dalle foto non darei loro più di 20 anni a testa), sia dal punto di vista prettamente tecnico, sia per quanto riguarda la capacità di scrivere buone canzoni. Allo stesso tempo però, non siamo certo di fronte ad un album imperdibile, e senza girarci troppo attorno, il principale tallone d'achille di questo disco è la produzione. Nel 2012 siamo abituati a ben altri standard di registrazione, a differenza di una quindicina di anni fa, quando il power metal ebbe l'exploit e molte band pubblicavano dischi con dei suoni spesso imbarazzanti (mi viene in mente il meraviglioso debutto degli Highlord penalizzato da una pessima produzione). Ma torniamo a noi; a fare i conti più di tutti da questa situazione sonora è Anthony Rojas, singer della band, che comunque riesce a dimostrare un buon talento. Andando all'interno di Sin libertad, senza fermarsi al suo involucro, troviamo pezzi validi come la bellissima title track (cercate il video ufficiale proprio su Youtube), che mette in mostra tutte le capacità della band con Jemekroz, autentico mattatore dell'intero album, che lavora egregiamente con le sue 6 corde. Entre las sombras, Llantos de soledad e Nuevas comienzos sono canzoni veloci ed è qui che il quintetto centro-americano dà il meglio di sé. E' chiaro che in altri pezzi invece viene messa in luce tutta l'inesperienza della band come in Medianoche, brano dal gran potenziale che viene un po' rovinato da qualche soluzione criticabile e dettata proprio dalla giovane età.

Se i Nova Era sapranno rimanere uniti, avere pazienza per migliorare pian piano e cercare soluzioni più personali, sono sicuro che sapranno sorprenderci ben presto e alla grande. Per ora abbiamo tra le mani solo un dicreto esordio.

Promettenti.

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Opinione inserita da Celestial Dream    19 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 20 Giugno, 2012
Top 10 opinionisti  -  

Negli ultimi anni la scena power metal greca è cresciuta esponenzialmente lanciata soprattutto dai Firewind, band ormai entrata a far parte dell'èlite mondiale del genere grazie a 3 ottimi dischi in studio come Allegiance, The premonition e Days of defiance. E' chiaro che dopo tre album di questo livello, le aspettative per il nuovo full lenght erano molto alte. Few against many è un album compatto e dalle sonorità meno power rispetto ai suoi predecessori (ma i Firewind non hanno mai suonato un power tradizionale e banale), anche se il sound della band ellenica è ben riconoscibile. Gus G noto chitarrista conosciuto anche per la sua militanza negli Ozzy Osbourne, si prende come sempre carico della stesura della maggior parte dei brani, peccato che, come vedremo, molte delle songs contenute in questo nuovo disco risultino poco ispirate.

Il già citato Gus macina riffs uno dietro l'altro già dall'opener “Wall of sound” dove heavy melodico e hard rock si incontrano per un buon brano d'apertura. Dopo la mediocre “Losing my mind”, troviamo la title track con il suo buon ritornello in pieno Firewind style ed un melodic solo di ottima fattura. Davvero valida è “The undying fire” dove melodia e potenza si intrecciano alla perfezione. Dopo l'aggressiva e non molto convincente “Another dimension”, il disco prova a decollare con i brani posti nel mezzo della tracklist ovvero “Glorious” con il suo splendido refrain, la ballata orchestrale “Edge of a dream” (dove troviamo gli Apocalyptica come ospiti) e la più powereggiante “Destiny” che ci ricordano tutta la classe della band greca. Sfortunatamente le successive songs non aggiungono molto a questo album lasciandoci, arrivati alla fine, un po' con l'amaro in bocca.

La tecnica ed il talento di una super band come i Firewind non sono in discussione ma nel complesso, le canzoni contenute in Few against many funzionano poco, con dei chorus e delle soluzioni poche incisive. Nonostante la produzione del disco sia semplicemente perfetta, e l'artwork di Gustavo Sazes splendido, Few against many rimane solamente poco sopra la sufficienza e forse i troppi impegni di Gus G non hanno giovato alla sua ispirazione.

Inutile dire che dai Firewind sia lecito attendersi di più.

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Opinione inserita da Celestial Dream    18 Giugno, 2012
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Che gran disco, mi trasmette delle sensazioni che pochi dischi riescono a fare soprattutto ultimamente.. ero alle stelle per il ritorno della Fede ma non pensavo in un disco cosi ispirato! la sua voce è favolosa ed il songwirint tornato a livelli super!

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Opinione inserita da Celestial Dream    16 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 2012
Top 10 opinionisti  -  

Dopo i successi di Golden Resurrection e Reinxeed, la Liljegren Records è sempre più attiva sul mercato. Già abbiamo decantato le lodi del positivo debutto di Pellek, recensito su Allaroundmetal solo qualche settimana fa, ora è il turno di un'altra band che giunge al primo disco, i Charlie Shred. Questo gruppo svedese è stato fondato nel 2008 dai due chitarristi dei già menzionati Reinxeed, ovvero Calle Sundberg & Mattias Johansson, e ci presenta un power-heavy che punta molto sulla melodia dei pezzi. Devo ammettere che le 10 tracce che compongono questo album non sono affatto male, a differenza di una copertina mediocre e del nome scelto per la band.

L'inutile breve intro “Arise” apre la strada ad alcuni pezzi piacevoli come il duetto 100% power metal nordico, composto da “Panic” e “Death comes to all”. Mica male neanche la più controllata “The rose” che potrei definire come la miglior song del disco in questione. Mentre “Tainted inside” è un buon brano, che torna su ritmi più veloci ricordando gli Axenstar, band mai molto apprezzata dal sottoscritto, Peccato che la seconda metà di questo debutto sia nettamente inferiore rispetto al livello iniziale. La veloce e più 80's “Time to die” (in stile Riot di Thundersteel) e soprattutto la heavy “Game Over” c'entrano poco con il resto del disco e la strumentale “The ancestors Guide” non fa certo la differenza. Fortunatamente si ritorna sulla retta via con la bella “Fall down” posta in chiusura.

Quando tra 20-30 anni leggerete un libro sulla storia del power metal, difficilmente i Charlie Shred verranno menzionati, però questo debutto non è cosi malaccio e si attesta poco sopra la sufficienza.

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Opinione inserita da Celestial Dream    09 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 09 Giugno, 2012
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Da Orvieto arrivano al debutto i Signs Preyer sotto Red Cat Records. Accompagnati da una copertina non certo tra le più belle che abbia mai visto ma che, devo ammettere, mi ha colpito, il quartetto Umbro si presenta con un disco omonimo composto da 9 pezzi di non facile classificazione, tra Stoner, Rock, Crossover e Prog Metal, per poco meno di 40 minuti di durata complessiva.

La band punta sull'impatto delle songs, con brani che durano spesso poco oltre i 3 minuti. Niente male, questo a volte è un punto di forza. Anger, posta in apertura, è senza dubbio la hit dell'album con il suo prog metal “depressivo”, un incontro tra Pain of Salvation, Katatonia e Faith No More. Come potete capire anche dai titoli delle canzoni, i testi della band sono molto arrabbiati e l'artwork segue un pò questo concetto di sofferenza , dolore e rabbia che la band ha voluto trattare come aspetto personale e sociale. Dall'heavy-rock quasi stile Motorhead di Bitch Witch, al riff trhash di It comes back real, allo stoner della title track passando per la semi ballad Dark Soul, la band Umbra mostra tutti i lati della propria proposta musicale.

I Signs Preyer si dimostrano coraggiosi e si tuffano nel mercato discografico con un prodotto che non scende a compromessi. Certo, come ogni debuttante (o quasi), devono migliorare in fase di songwriting e di piccole cose, ma l'inizio è promettente. A parer di chi scrive, qualche melodia “vincente” in più (vedere Anger) ed il gioco è fatto!

Promossi.

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Opinione inserita da Celestial Dream    09 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 09 Giugno, 2012
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Era il 30 Dicembre scorso quando mi trovavo a Madrid per dare l'ultimo saluto a Josè Andrea, all'ultimo suo concerto con i Mago de Oz. Sedici anni di grandissimi successi scalando le classifiche di Spagna e centro-sud america. Una band capace di scrivere la storia, grazie anche ad un singer idolatrato dai propri fans. Qualcosa però negli ultimi tempi si era rotto, e Josè non si sentiva più al 100% partecipe della musica che cantava. Dopo aver preso l'ardua decisione di voltar pagina, eccoci qui, solo qualche mese più tardi, a presentare questa sua nuova avventura musicale denominata Josè Andrea y Uroboros. Ad accompagnare il singer iberico troviamo qualche compagno di vecchia data come Pedro “Peri” Díaz e Sergio Cisneros noto come "Kiskilla", entrambi ex Mago de Oz, rispettivamente a basso e tastiere. A completare la band Juan Flores “Chino” e Juanjo Balas.

Josè è stato coerente; come ci aveva promesso, è tornato presto e con un bel disco di rock-blues che ricorda un po' da lontano alcune cose che i Mago de Oz scrivevano agli esordi, tanti anni fa, prima dei grandi successi di La leyenda de la Mancha e Finisterra. Tredici canzoni piacevoli, di buona fattura, senza particolari hits, ma con buone melodie sia strumentali che vocali. Partendo da El tren, e continuando con Al Otoño Espero, No Cuentes con Ellos, Frio e Aún Me Puedo Peinar, solo per citare le mie preferite dell'album.

Interessante il fatto che Josè ci regali una prestazione fantastica dimostrando probabilmente che la sua voce è ancora più adatta nell'interpretare questo tipo di brani. Da segnalare una produzione davvero buona e dei testi ben fatti.

Un album diverso, altamente sconsigliato a chi spera di riascoltare del power folk metal in stile Mago de Oz. Chi ha invece una visione più ampia della musica, vuole ascoltare alcune spensierate melodie con una bella voce, questo disco piacerà. Ideale in auto, a finestrini rigorosamente aperti, in una delle vostre prossime gite fuori casa in questa Estate ormai alle porte.

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Opinione inserita da Celestial Dream    08 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 08 Giugno, 2012
Top 10 opinionisti  -  

Gli H.e.a.t arrivano al terzo disco. Dopo un bellissimo e omonomo debutto ed un secondo album "Freedom Rock" che li ha lanciati nell'olimpo dell'Aor mondiale, le aspettative per questo terzo sigillo erano altissime. In più se non bastasse, l'abbandono dell'ex cantante Kenny Leckremo aveva messo in allarme i numerosi fans della band. Erik Gronwall, il sostituto, dimostra di essere un singer di livello assoluto, e rassicura tutti già dall'opener, meravigliosa, "Breaking the silence". Ma così sono tutte le songs contenute in "Address the nation", un disco a dir poco clamoroso. E' onestamente inutile citare uno ad uno i brani contenuti in questo cd, visto che la band scandinava piazza dieci pezzi favolosi, dieci potenziali hits da radio. Vi segnalerei comunque "Living on the run", singolo apripista, che da solo meriterebbe i 15 euro spesi grazie ad un refrain che si impossesserà del vostro cervello, la ballata "The one and the only" mette in luce tutte le doti melodiche della band, la classe purissima di "In and out of trouble", dove troviamo anche il sax, "Heartbreaker" quasi un tributo ai migliori Europe (altro che quelli attuali), la finale, molto USA style, "Downtown" che mi fa sognare ogni volta ad occhi aperti.

Gli H.e.a.t scrivono una pagina importante della storia del Hard Rock, con quello che sarà il disco Aor del decennio. Per ogni amante di questo genere, ma anche per chi riconosce la grande musica in generale ed in particolare per gli amanti delle splendide melodie, inutile specificarlo, siamo di fronte ad un "buy or die" album .

Predestinati!

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Opinione inserita da Celestial Dream    03 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 04 Giugno, 2012
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Seguo Tommy Vitaly dal lontano 2002 quando, con l'album Unreality, debuttò coi Seven Gates. Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia; The good and the evil, secondo disco della band toscana, fu più che positivo mentre il primo album solista del talentuoso chitarrista fiorentino, lo lasciai negli scaffali poiché quasi totalmente strumentale. In questo Hanging Rock le cose cambiano perchè ben 7 pezzi su 9 sono cantati e non da qualche singer qualunque, bensì da alcune guest stars di primo livello.

L'energetica Betrayer apre le danze col suo rock d'impatto e Mats Leven alla voce, seguita tutta d'un fiato dalla più heavy Run with the devil. Servito il più che discreto antipasto con i primi due pezzi, eccoci al piatto forte. Da qui in poi, infatti, si susseguono una dopo l'altra alcune songs di altissimo livello ad iniziare da Hands of time, in compagnia di Todd LaTorre (Crimson Glory), con una partenza Helloweeniana Keepers-Era. Il riff portante e la voce aggressiva di Todd ci spiazzano durante la strofa prima di tornare con un ritornello 100% melodic ed un guitar solo veloce, ma dal buon gusto melodico. In Forever Lost troviamo un ospite d'eccezione, che si presenta subito, da solo, con un urletto, suo marchio di fabbrica. David Defeis è un cantante magico ed ascoltarlo in una bellissima ballata è una soddisfazione unica. Altro pezzo da 90 è la veloce Idol, dove Michele Luppi si diletta con la sua ugola d'oro accompagnato da un Andrea “Tower” Torricini al basso in gran spolvero, e da un bel duetto chitarra-tastiera. Tommy prende del tutto il proscenio con la melodica strumentale Misanthropy che ricorda i tempi migliori di Timo Tolkki agli Stratovarius. La grintosa Heavy metal God cantata da Carsten Schulz (ex Domain, ex Eden's Curse) strizza un po' l'occhio a Manowar ed Hammerfall dei tempi migliori, mentre chiudono il disco la strumentale title track ed Icewarrior con Zak Stevens alla voce.

Accompagnato da una sezione ritmica precisa e di classe (oltre al già citato Torricini, troviamo Kenny “Rhino” Earl alla batteria), Tommy Vitaly ci presenta 9 tracce di assoluto livello, spaziando tra rock, heavy metal, neoclassic e power-happy metal. E' un periodo pieno zeppo di uscite interessanti (Sonata Arctica, Firewind, Rhapsody, Sabaton, White Skull per citare solo i primi che mi vengono in mente), come potete anche notare dalle numerose recensioni presenti nel sito. Ma tra i grandi nomi protagonisti di questa Primavera/Estate Metallica 2012, Tommy Vitaly può decisamente dire la sua, con un prodotto valido che può soddisfare più di qualche palato fine.

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Opinione inserita da Celestial Dream    02 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 02 Giugno, 2012
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Pellek è il nome d'arte di Per Fredrik "PelleK" Åsly, cantante e songwriter famoso per essere stato protagonista assoluto nella versione norvegese di “X Factor”, cantando in tv nazionale pezzi power di gruppi famosi. In effetti il power metal è decisamente la vera passione di questo artista che, aiutato da alcuni ospiti d'eccezione, si presenta al pubblico mondiale con Bag of tricks, album scritto interamente da lui. Aiutato dal singer e polistrumentista (a mio parere un pò sopravvalutato e troppo “inflazionato”) Tommy ReinXeed in fase di produzione e registrazione, l'album ha trovato un contratto sotto l'etichetta Liljegren Records, del noto cantante di Golden Resurrection ed ex Narnia e DivineFire.

Le canzoni che compongono questo disco non faranno gridare al miracolo; seppure siano tutti brani di ottima fattura, la struttura è abbastanza semplice e l'innovazione è pari a zero. Quello che però fa la differenza e che sicuramente attirerà la vostra attenzione fin da subito è la splendida voce di Pellek che, se devo proprio fare un paragone, ricorda tantissimo quel Tommy Karevik, immensa voce dei Seventh Wonder, che figura anche tra gli ospiti di questo album. Una voce, quella di Per Fredrik, pulita, capace di arrivare ad estensioni incredibili ma allo stesso tempo di essere molto calda, interpretando i brani ma sempre dimostrando una grandissima tecnica.

Dopo l'immancabile e trascurabile intro, la “Stratovariussiana” Fugue State ci presenta la band. Una canzone ben fatta, ma il discorso si fa ancora più interessante con Reason and psychosis dove finalmente ritroviamo Oliver Hartmann (At Vance, Avantasia, Hartmann) cantare di nuovo una vera canzone power. Una delle mie voci preferite in assoluto, che torna a destreggiarsi duettando con l'impeccabile Pellek, in un bellissimo pezzo sinfonico scritto ed eseguito come si deve. I duetti continuano nella power ballad Send my message home dove troviamo una Amanda Sommerville (Avantasia, Trillium) in gran forma, mentre le più tradizionali, ma non meno incisive, Thundernight e Win, non fanno altro che consolidare lo status del disco. Un violino, che ricorda vagamente i Kamelot di Epica, introduce Stare into my eyes dove finalmente prende in mano il microfono anche Tommy Karevik, ed è sempre un piacere per l'apparato uditivo ascoltare la sua voce celestiale. Chiude il disco la breve e acustica Conflagrate my heart, che diventa una passerella finale, per il singer protagonista di questo disco, dove mettere in mostra tutte le sue doti canore.

Una mini metal opera con ospiti da 5 stelle extralusso, alcune delle migliori voci del panorama metal mondiale, 7-8 pezzi di alto livello... Fans del power-melodic metal che volete di più?

Benvenuto Pellek!

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