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Opinione scritta da Celestial Dream

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Opinione inserita da Celestial Dream    13 Luglio, 2012
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Bella rece del nostro mitico Capo Redatore Ninni! A me il disco è piaciuto, non mi aspettavo un album power ma qualcosa in stile "Pink bubbles go ape", che mi piace moltissimo. In realtà questo Unisonic è forse ancor più melodic hard rock, non è niente di epocale anzi, ma ha parecchie buone canzoni che acquistano ancor più valore grazie all'ugola d'oro di kiske che nonostante tutto resta al TOP.. risentirlo fa sempre bene c'è poco da fare! diciamo un disco da 7,5 se fosse un voto a scuola..

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Opinione inserita da Celestial Dream    10 Luglio, 2012
Ultimo aggiornamento: 12 Luglio, 2012
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Anche nel metal si seguono un po' le mode: senza andare troppo indietro nel tempo, mi viene in mente l'exploit del Black negli anni '90, prima che scoppiasse il Power; il boom del Pagan-Folk che ancora deve fermarsi, fino ad ora dove siamo quasi “invasi” da bands con il cantato femminile. Niente di preoccupante visto che tra decine e decine di questi gruppi come sempre c'è chi sa farsi largo con dischi che si fanno apprezzare. Una "moda" che sta colpendo anche l'Italia che solo in questi primi mesi del 2012 ha visto uscire dischi molto interessanti (mi vengono in mente quelli di Evenoire e Teodasia) come è "What remains of the day" dei Souls of Diotima. Non ho molte informazioni su di loro, ma arrivano da Sassari e questo che vado a recensire è il loro secondo disco, anche se il debutto mi era passato del tutto inosservato.

A differenza di molte bands che decidono di seguire il lato più Gothic prendendo come spunto la scuola Olandese di The Gathering e Within temptation, il combo Sardo già dalla bellissima Pandora fa capire che ci troviamo di fronte ad un disco con pochi fronzoli ma con qualche venatura prog. I Souls of Diotima pur dimostrando, come è normale, di prendere ispirazione qua e là, riescono a distinguersi, presentando una proposta vincente che punta, in maniera positiva, sulla semplicità dei pezzi, che riescono spesso a colpire già dal primo ascolto. Nessuna orchestrazione esagerata, nessuna influenza estrema come è di moda con voci growl alla Epica (fatta eccezione della title track), nessun pezzo depressivo da tagliarsi le vene. Sono le melodie quindi a farla da padrone, e pezzi come la già citata Pandora o la bellissima Von Braun, brano più cadenzato presente anche come bonus track nella versione fantastica cantata in Italiano (che addirittura preferisco), sono momenti notevoli e degni di bands molto più blasonate. Non sono da meno la melodicissima Sandy's flight, la più progressiva Title track e Rising soul che presenta anch'essa una parte cantata in lingua madre, mossa decisamente indovinata.

“What remains of the day” è un disco positivo che spero possa essere supportato da una serie di date live in modo che i Souls of Diotima possano ricevere la giusta notorietà che gli spetta. La valutazione che leggerete è un 3,5 che si avvicina molto al 4, che sicuramente meriteranno con il prossimo album. Bravi ragazzi, la strada è quella giusta!

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Opinione inserita da Celestial Dream    10 Luglio, 2012
Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 2012
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I Damnation Angels sono un'nteressantissima e giovane band Inglese che rompe il ghiaccio con “Shadow Symphony”, un Ep di 6 canzoni, uscito nel 2011,che mette in mostra tutto il potenziale di questo quintetto.

I DA mettono in pratica le lezioni impartite da Nightwish e Kamelot su tutti, con pezzi validi ad iniziare dall'opener "Bringer of light", ricca di orchestrazioni che strizzano l'occhio proprio alla band Finnica menzionata poco sopra. Il mid tempo "The black cancer" sembra invece uscito da “Fourth legacy”, e convince sempre più ascolto dopo ascolto. Il top del disco si raggiunge probabilmente con la fenomenale "Someone else": un inizio piano-voce che apre la strada ad un pezzo cadenzato dalle buonissime melodie.Ancora richiami ai Nightwish con "I hope", mentre "Against all odds" punta maggiormente sulla potenza risultando essere un altro buon brano. Infine la versione strumentale di "Bringer of light" chiude il disco.

La band ha già registrato e pubblicato per il Giappone il full lenght "Bringer of light", che vede anche un cambio al microfono con Pelle K, gran talento scandinavo recensito anche in queste pagine col suo interessante debutto solista, che sostituisce il comunque bravo Lewis Starfire. Al di là dei brani presi uno ad uno, questo Ep dimostra un potenziale enorme per un gruppo che potrebbe far parlare molto di sé nel prossimo futuro. Fans del power metal melodico segnatevi questo nome, secondo me ne vedremo delle belle!

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2.5
Opinione inserita da Celestial Dream    07 Luglio, 2012
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Gli Heaven Rain sono Bosniaci e, devo ammetterlo, a me questi gruppi con provenienze un pò atipiche affascinano tantissimo, inoltre la bella copertina ha aumentato la mia curiosità verso la loro proposta musicale. La band esiste dal 2006 anche se pochi credo abbiano sentito parlare di loro prima d'ora. "Second sun" è il loro secondo disco e ci presenta 11 pezzi di melodic metal con voce femminile seguendo un po' la scuola nordica con tastiere dal suono di ghiaccio e ben in evidenza. Non a caso è il tastierista Goran Baštinac ad aver fondato la band e ad essere il songwriter principale, quindi il suo strumento è sempre in primo piano ed ogni occasione è buona per metterci anche un buon solo.

Tolte l'intro e la bonus track, che non è altro che una cover di una famosa band Slava degli anni '80, troviamo 9 pezzi niente male ma che però fanno fatica a decollare. Quello che voglio dire è che siamo nel 2012 e tante cose sono state scritte e riscritte, le uscite discografiche sono numerosissime, molte di queste riescono ad essere intorno alla sufficienza o anche oltre, ma poche invece si distinguono, e spiace dirlo gli Heaven Rain fanno ben poco per provarci. Canzoni come "Heaven Rain", la title track, "My only one" e "Raven in heart" non sono affatto male anzi, però nel complesso il disco scivola via senza grossi picchi e alcuni brani sono decisamente banali.

In definitiva "Second sun" è un disco come tanti, merita senza dubbio la sufficienza, ma non mi sento di consigliarlo se non ai veri cultori del genere.

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Opinione inserita da Celestial Dream    07 Luglio, 2012
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Sono e resterò sempre convinto che la scena metal italiana, dal punto di vista della quantità e della qualità di uscite, non sia seconda a nessuno. A dar man forte alla mia teoria ecco una nuova band proveniente dalla Lombardia e già capace di affacciarsi al mercato mondiale con un prodotto di qualità.

Parliamo di una proposta molto varia di non facile classificazione, che partendo da un power-death stile Empyrios e Mercenary si arricchisce di tante altre piccole influenze, dal new metal al crossover. Per poter offrire un prodotto valido, ancor più in questo genere, è indispensabile una produzione di un certo livello e fortunatamente “Turning maybes into reality” possiede le carte in regola essendo stato mixato da Diego Minach e Tancredi Barbuscia e masterizzato da Tom Baker (Deftones, Nine Inch Nails, Marilyn Manson, Rob Zombie, Sevendust) ai Precision Mastering in Los Angeles.

I Rhope alternano buone melodie, seppur non sempre originali, a momenti di rabbia sonora con un buon growl. Canzoni come l'opener “Slaves” (mio pezzo preferito del disco), “Your peace”, “Lust” e “Truth lies” mettono subito in chiaro le doti della band, sia tecniche che compositive. Ma tutte le canzoni hanno il loro perchè, anche se si fa fatica a trovare dei veri e propri pezzi vincenti (tranne i primi due elencati poco sopra), quelli che ti catturano e ti girano in testa intere giornate.

Moderno e potente, “Turning maybes into reality” è un debutto di indubbio valore. Chiaro c'è qualcosa da migliorare, soprattutto non tutte le melodie riescono a catturare l'attenzione dell'ascoltatore, ed è lì che a mio modesto parere la band dovrà concentrare maggiormente la propria attenzione in futuro. In ogni caso i Rhope al primo colpo centrano subito il bersaglio.

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Opinione inserita da Celestial Dream    21 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 22 Giugno, 2012
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Scoperti grazie a Youtube, come spesso accade per questi gruppi distanti e sconosciuti, i Nova Era sono una giovanissima band messicana (esattamente da Ciudad Obregon, Sonora) dedita ad un power metal veloce e tradizionale cantato in lingua spagnola, tra Stratovarius, Rata Blanca, Galneryus e Angra,.

Non perdiamo minuti preziosi ed arriviamo subito al dunque: la domanda giusta da farsi è: “vale la pena perdere tempo alla ricerca di un disco di non facile reperibilità come questo?”. La risposta è “si e no”. Questi 5 ragazzotti messicani dimostrano un certo talento vista anche l'età (dalle foto non darei loro più di 20 anni a testa), sia dal punto di vista prettamente tecnico, sia per quanto riguarda la capacità di scrivere buone canzoni. Allo stesso tempo però, non siamo certo di fronte ad un album imperdibile, e senza girarci troppo attorno, il principale tallone d'achille di questo disco è la produzione. Nel 2012 siamo abituati a ben altri standard di registrazione, a differenza di una quindicina di anni fa, quando il power metal ebbe l'exploit e molte band pubblicavano dischi con dei suoni spesso imbarazzanti (mi viene in mente il meraviglioso debutto degli Highlord penalizzato da una pessima produzione). Ma torniamo a noi; a fare i conti più di tutti da questa situazione sonora è Anthony Rojas, singer della band, che comunque riesce a dimostrare un buon talento. Andando all'interno di Sin libertad, senza fermarsi al suo involucro, troviamo pezzi validi come la bellissima title track (cercate il video ufficiale proprio su Youtube), che mette in mostra tutte le capacità della band con Jemekroz, autentico mattatore dell'intero album, che lavora egregiamente con le sue 6 corde. Entre las sombras, Llantos de soledad e Nuevas comienzos sono canzoni veloci ed è qui che il quintetto centro-americano dà il meglio di sé. E' chiaro che in altri pezzi invece viene messa in luce tutta l'inesperienza della band come in Medianoche, brano dal gran potenziale che viene un po' rovinato da qualche soluzione criticabile e dettata proprio dalla giovane età.

Se i Nova Era sapranno rimanere uniti, avere pazienza per migliorare pian piano e cercare soluzioni più personali, sono sicuro che sapranno sorprenderci ben presto e alla grande. Per ora abbiamo tra le mani solo un dicreto esordio.

Promettenti.

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Opinione inserita da Celestial Dream    19 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 20 Giugno, 2012
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Negli ultimi anni la scena power metal greca è cresciuta esponenzialmente lanciata soprattutto dai Firewind, band ormai entrata a far parte dell'èlite mondiale del genere grazie a 3 ottimi dischi in studio come Allegiance, The premonition e Days of defiance. E' chiaro che dopo tre album di questo livello, le aspettative per il nuovo full lenght erano molto alte. Few against many è un album compatto e dalle sonorità meno power rispetto ai suoi predecessori (ma i Firewind non hanno mai suonato un power tradizionale e banale), anche se il sound della band ellenica è ben riconoscibile. Gus G noto chitarrista conosciuto anche per la sua militanza negli Ozzy Osbourne, si prende come sempre carico della stesura della maggior parte dei brani, peccato che, come vedremo, molte delle songs contenute in questo nuovo disco risultino poco ispirate.

Il già citato Gus macina riffs uno dietro l'altro già dall'opener “Wall of sound” dove heavy melodico e hard rock si incontrano per un buon brano d'apertura. Dopo la mediocre “Losing my mind”, troviamo la title track con il suo buon ritornello in pieno Firewind style ed un melodic solo di ottima fattura. Davvero valida è “The undying fire” dove melodia e potenza si intrecciano alla perfezione. Dopo l'aggressiva e non molto convincente “Another dimension”, il disco prova a decollare con i brani posti nel mezzo della tracklist ovvero “Glorious” con il suo splendido refrain, la ballata orchestrale “Edge of a dream” (dove troviamo gli Apocalyptica come ospiti) e la più powereggiante “Destiny” che ci ricordano tutta la classe della band greca. Sfortunatamente le successive songs non aggiungono molto a questo album lasciandoci, arrivati alla fine, un po' con l'amaro in bocca.

La tecnica ed il talento di una super band come i Firewind non sono in discussione ma nel complesso, le canzoni contenute in Few against many funzionano poco, con dei chorus e delle soluzioni poche incisive. Nonostante la produzione del disco sia semplicemente perfetta, e l'artwork di Gustavo Sazes splendido, Few against many rimane solamente poco sopra la sufficienza e forse i troppi impegni di Gus G non hanno giovato alla sua ispirazione.

Inutile dire che dai Firewind sia lecito attendersi di più.

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Opinione inserita da Celestial Dream    18 Giugno, 2012
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Che gran disco, mi trasmette delle sensazioni che pochi dischi riescono a fare soprattutto ultimamente.. ero alle stelle per il ritorno della Fede ma non pensavo in un disco cosi ispirato! la sua voce è favolosa ed il songwirint tornato a livelli super!

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Opinione inserita da Celestial Dream    16 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 2012
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Dopo i successi di Golden Resurrection e Reinxeed, la Liljegren Records è sempre più attiva sul mercato. Già abbiamo decantato le lodi del positivo debutto di Pellek, recensito su Allaroundmetal solo qualche settimana fa, ora è il turno di un'altra band che giunge al primo disco, i Charlie Shred. Questo gruppo svedese è stato fondato nel 2008 dai due chitarristi dei già menzionati Reinxeed, ovvero Calle Sundberg & Mattias Johansson, e ci presenta un power-heavy che punta molto sulla melodia dei pezzi. Devo ammettere che le 10 tracce che compongono questo album non sono affatto male, a differenza di una copertina mediocre e del nome scelto per la band.

L'inutile breve intro “Arise” apre la strada ad alcuni pezzi piacevoli come il duetto 100% power metal nordico, composto da “Panic” e “Death comes to all”. Mica male neanche la più controllata “The rose” che potrei definire come la miglior song del disco in questione. Mentre “Tainted inside” è un buon brano, che torna su ritmi più veloci ricordando gli Axenstar, band mai molto apprezzata dal sottoscritto, Peccato che la seconda metà di questo debutto sia nettamente inferiore rispetto al livello iniziale. La veloce e più 80's “Time to die” (in stile Riot di Thundersteel) e soprattutto la heavy “Game Over” c'entrano poco con il resto del disco e la strumentale “The ancestors Guide” non fa certo la differenza. Fortunatamente si ritorna sulla retta via con la bella “Fall down” posta in chiusura.

Quando tra 20-30 anni leggerete un libro sulla storia del power metal, difficilmente i Charlie Shred verranno menzionati, però questo debutto non è cosi malaccio e si attesta poco sopra la sufficienza.

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Opinione inserita da Celestial Dream    09 Giugno, 2012
Ultimo aggiornamento: 09 Giugno, 2012
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Da Orvieto arrivano al debutto i Signs Preyer sotto Red Cat Records. Accompagnati da una copertina non certo tra le più belle che abbia mai visto ma che, devo ammettere, mi ha colpito, il quartetto Umbro si presenta con un disco omonimo composto da 9 pezzi di non facile classificazione, tra Stoner, Rock, Crossover e Prog Metal, per poco meno di 40 minuti di durata complessiva.

La band punta sull'impatto delle songs, con brani che durano spesso poco oltre i 3 minuti. Niente male, questo a volte è un punto di forza. Anger, posta in apertura, è senza dubbio la hit dell'album con il suo prog metal “depressivo”, un incontro tra Pain of Salvation, Katatonia e Faith No More. Come potete capire anche dai titoli delle canzoni, i testi della band sono molto arrabbiati e l'artwork segue un pò questo concetto di sofferenza , dolore e rabbia che la band ha voluto trattare come aspetto personale e sociale. Dall'heavy-rock quasi stile Motorhead di Bitch Witch, al riff trhash di It comes back real, allo stoner della title track passando per la semi ballad Dark Soul, la band Umbra mostra tutti i lati della propria proposta musicale.

I Signs Preyer si dimostrano coraggiosi e si tuffano nel mercato discografico con un prodotto che non scende a compromessi. Certo, come ogni debuttante (o quasi), devono migliorare in fase di songwriting e di piccole cose, ma l'inizio è promettente. A parer di chi scrive, qualche melodia “vincente” in più (vedere Anger) ed il gioco è fatto!

Promossi.

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