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Opinione scritta da Celestial Dream

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Opinione inserita da Celestial Dream    29 Settembre, 2012
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Tornano in pista gli Amadeus, che a tre anni dal debutto "Caminos del alma", si ripresentano con un interessante concept, che affascina già dalla bellissima ed originale copertina. Ma prima di addentrarci sul nuovo lavoro, facciamo un passo indietro: il primo album metteva in mostra le grandi potenzialità di questa band che però non sempre riusciva a trasformare la propria classe in una completa riuscita dei pezzi, come se mancasse sempre qualcosina per decollare. Potenzialità riconosciute anche dal grande Alberto Rionda che li ha presi sotto la sua ala protettrice portandoli anche in tour con gli Avalanch nel 2009, prima che gli Amadeus continuassero con un'intensa attività live e la partecipazione ad importanti festival spagnoli. Si arriva così al 2012 con la pubblicazione di "Black Jack", disco ancora una volta registrato negli studios Dante di Barcellona (proprietà di Israel Ramos, cantante della band) e mixato e masterizzato dallo stesso Alberto Rionda (Avalanch) nei famosi Bunker Studios per un risultato sonoro davvero convincente.

L'intro "Prólogo: Mea Culpa" ci fa entrare direttamente nel concept (che non finirà con questo disco): morte, angeli, amore il tutto ambientato in un mondo fantastico partendo dalla nostra Sicilia del XIX° secolo per poi trasferirsi nel cielo tra Paradiso, Purgatorio e Inferno. A seguire troviamo 8 pezzi (più una lunga outro strumentale), dove gli Amadeus ci deliziano con il loro melodic metal barocco, ricco di melodie ed orchestrazioni. Intendiamoci, non stiamo parlando di Symphonic Metal alla Rhapsody, ma di una abbondante dose di arrangiamenti che arricchiscono il sound. Inoltre i pezzi contenuti in "Black Jack" suonano decisamente meno metal rispetto al debutto (che già non si poteva definire puro power metal), e anche la scelta dei suoni segue questa via con la chitarra ritmica che risulta meno heavy e più hard rock. La stupenda "Multiverso" già mette in chiaro questa leggera svolta stilistica, un ottimo brano, breve e melodico, che acquista ancor più valore grazie alla calda voce di Israel Ramos. I pezzi più riusciti sono decisamente "Al diablo", "Cabello de Angel" e "Juliet" che conquistano e deliziano con le loro affascinanti melodie. Impossibile non pensare ad un gran disco come "El hijo prodigo" (Avalanch) quando si ascoltano alcuni dei nuovi pezzi firmati Amadeus, vista la somiglianza del sound e a dirla tutta, persino la voce di Israel Ramos a volte ricorda da vicino quella di Ramon Lage. Resta comunque la percezione che dietro alcuni brani ben confezionati e impeccabili in realtà sotto sotto, un pò come successo già con "Caminos del alma", manchi sempre qualcosa per conquistare l'ascoltatore. Non sarebbe male, a mio modesto parere, un inserimento di qualche coro sopratutto duranti i ritornelli, per spezzare rispetto alle strofe con la voce peraltro ineccepibile di Ramos.

Gli Amadeus si confermano quindi band ambiziosa e ricca di talento a cui però continua a mancare l'ultimo step per poter fare il salto di qualità e diventare davvero grande. Potranno prendere l'eredità dei "defunti" Avalanch? Difficile ma solo il tempo ci dirà.. Intanto "Black Jack" è un buon prodotto, arricchito da un affascinante disegno grafico in stile cartoon (a me riporta alla mente quel gran videogame che fu “The course of Monkey Island”) che accompagna questo originale concept che non finisce qui. Diamogli una chance!

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Opinione inserita da Celestial Dream    29 Settembre, 2012
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Arrivano dalla Germania i Fire on Dawson e pubblicano "7 Billion and a Nameless Somebody" dopo il debutto "Prognative" che ha ricevuto un gran successo nel 2010, consentendo alla band numerose apparizioni live. Difficile descrivere il sound di questo disco visto che il gruppo teutonico riesce a spaziare toccando vari generì, unendo tante diverse influenze, andando come a comporre un puzzle formato da tanti pezzi spesso diversi tra loro ma che uniti, formano un lavoro molto gradevole. Un puzzle che possiamo chiamare progressive rock ma in cui per oltre 40 minuti di musica ogni pezzo ha una sfumatura diversa, con l'unico comun denominatore che è la melodia. I brani composti dai Fire on Dawson non sono complessi nè tecnici, ma necessitano alcuni ascolti per essere compresi viste le melodie ricercate e non facilmente accessibili. Ad impreziosire il disco la voce calda del singer Indiano Ankur Batra che sicuramente ha contribuito ad influenzare la proposta con le sue origini culturali/musicali. Le songs cambiano spesso umore all'interno anche di pochi minuti di durata, partendo spesso con chitarre "pulite" per poi passare ad un suono distorto durante i chorus, e questo accade anche alla voce. Le influenze maggiori le potete trovare in Porcupine Tree, Pearl Jam, A Perfect Circle, Pink Floyd ed Audioslave, ma, ripeto, questa è una proposta molto originale.

Ai Fire on Dawson possono bastare anche poco più di 2 minuti per comporre una canzone che colpisce nel segno, è questo il caso di due ottimi pezzi come “Pseudo Christ” e "The Code"; in fondo chi ha detto che una canzone prog deve durare almeno 5-6 minuti? Il lato più tipicamente progressivo viene fuori con “Synthetic Part I” dove Porcupine Tree e Pain of Salvation diventano i principali paragoni e finalmente la chitarra di Markus Stricker diventa protagonista con una lunga parte strumentale dedicata ai palati fini. Le sperimentazioni preseguono con la bella “Syria” e così una canzone dopo l'altra arriviamo alla fine del disco consci di avere tra le mani un buon lavoro.

Se il rock alternativo, moderno, sperimentale e di conseguenza progressivo, è il vostro pane quotidiano, date una chance a questi Fire on Dawson, una band coraggiosa che ha messo tanta passione in questo "7 Billion and a Nameless Somebody".

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Opinione inserita da Celestial Dream    22 Settembre, 2012
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Il termine "Allos" significa "Altro" e fa riferimento allo Spirito Santo nel versetto biblico di Giovanni 14:16 "E io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore, perché stia con voi in perpetuo".

Nati come cover band di Narnia e Stryper (e già qui, complimenti!), gli Allos sono provenienti da Belo Horizonte, Brasile e suonano un power metal con tematiche cristiane. Catturato dalla bella copertina (opera dell'artista a me sconosciuto Carlos Fides), mi sono imbattuto in questo "Spiritual Battle", album d'esordio di questa band attiva già dal 2003. Solo nel 2010 però il gruppo riesce ad entrare agli Studios WZ per iniziare le registrazioni di “Spiritual Battle”, prodotto da Alan Wallace e Andre Marcio, produttori e musicisti esperti della scena metal nazionale, e con Fernanda Ohara dei Braia (progetto di Bruno Maia della cult band Tuatha de Dannan) come ospite e voce femminile.

Se da una parte gli Allos dimostrano tecnica da vendere, vi basteranno pochi ascolti per notare che il songwriting non è allo stesso livello. Le canzoni di questo debutto infatti raramente riescono ad incidere e ne è un esempio lampante già l'opener (intro esclusa) “Mirror of deep waters”: tastiere in evidenza, ritmi sostenuti e degli ottimi scambi di solos tra chitarra e tastiera, ma le melodie non lasciano il segno. Il punto forte di questo disco è l'ottima voce di Celso Alves, un mix tra il miglior Edu Falaschi e Fabio Lione, che si aggiunge nella lista delle tante ugole d'oro provenienti dal Brasile (che ha una gran tradizione a riguardo). Tornando all'album, sale leggermente il livello con “Power of choice” che dimostra le già citate ottime doti esecutive dei giovani Sud Americani ma anch'essa non convince appieno e neppure l'ingresso della voce femminile (già da “Journey”) riesce a migliorare le cose, così questo “Spiritual battle” scorre via senza convincere. Funzionano già meglio le numerose ballate grazie alla prestazione magistrale di Alves e spicca tra queste “Eterno presente”, mentre la veloce e tutta in doppio pedale title track, chiude positivamente il disco.

Inutile dire che se cercate del buon power metal troverete molto di meglio in giro (soprattutto in questo periodo ricco di uscite di qualità) così come se siete alla ricerca di bands dai testi cristiani non dovete far altro che fermarvi in Sicilia dai grandi Metatrone o fare un saltino in Svezia dai Golden Resurrection dal re del White Metal tale Christian Liljegren. Se riusciranno a sistemare due-tre cose gli Allos potranno dire la loro in futuro, ma per ora sono decisamente rimandati!

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Opinione inserita da Celestial Dream    18 Settembre, 2012
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Qualche mese fa la mia recensione di "The power within", ultimo lavoro dei Dragonforce, fu una delle ultime pubblicate prima della nuova veste grafica di questo sito; quel disco è stato un netto passo avanti rispetto alle ultime produzioni della band Inglese di cui faceva parte, alla voce, il noto ZP Theart che nel 2010 decise di lasciare Herman Li e soci ed ora si presenta con la sua nuova band, gli I AM I. Tenendo conto che gli ultimi lavori in studio del singer Britannico mi avevano convinto poco e che non poteva più contare sui due principali songwriters della sua ex band (Li e Totman), avevo serissimi dubbi sulla qualità di questo lavoro. Lo ammetto, non credevo in ZP Theart, tanto da ignorare quasi totalmente questo progetto. Quando però nei vari forum che frequento, ho sentito parlare molto bene del disco e dopo aver ascoltato qualcosa su Youtube, ho pensato che forse dovevo concedergli una chance e già dal primo ascolto mi son dovuto ricredere: gli I AM I hanno fatto centro! Lontani dall'extreme power metal dei cugini Dragonforce, ZP si è circondato di sconosciuti ma preparati musicisti della scena Britannica (Neil Salmon al basso e Phil Martini alla batteria) e con il chitarrista Jacob Zienda ha scritto dieci ottimi pezzi di melodic metal con un sound maturo, fresco ed orecchiabile.

La semplicità diventa un punto di forza in questo disco; non troverete parti orchestrali, musica classica, suite di oltre 10 minuti, riff thrash, suoni moderni od originalità a tutti i costi. Gli I AM I puntano dritti alla sostanza con brani diretti, di durata media (tutte intorno ai 5 minuti scarsi), con strutture semplici e melodie vincenti. Non è facile citare qualche singolo brano contenuto in "Event horizon", un disco che non presenta sbavature ed è supportato dalla prestazione sopra le righe di ZP che non deve più cantare seguendo ritmi impazziti e tonalità altissime ma può spaziare e interpretare i brani, dimostrandosi così molto più a suo agio. L'album alterna mid tempos a parti leggermente più tirate, e non manca la classica ballata di turno così tra la bellssima opener, la più hard rock "Stay a while" e la veloce "Dust 2 dust" si arriva piacevolmente alla fine del disco.

L'album è stato il primo ad essere stato pubblicato, lo scorso 26 Maggio, solo in formato chiavetta USB con il booklet di un normale cd, autoprodotto e ordinabile dal sito della band, anche se proprio in questi giorni la Plastichead Distribution si occuperà di distribuire il disco nella classica versione in compact disc.
Certe separazioni danno benefici ad entrambi le parti; è questo il caso di Dragonforce e ZP Theart. "Event horizon" è un debutto molto piacevole e gli I AM I sono una band coi fiocchi. Bello, bello, bello!

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Opinione inserita da Celestial Dream    14 Settembre, 2012
Ultimo aggiornamento: 14 Settembre, 2012
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Non avevo mai sentito parlare di questi Serenade nonostante siano originari della mia stessa città: Padova. Nati nel 2009, questo "Wandering through sorrow" è il loro album di debutto e devo ammettere che provo sempre molto piacere quando una band italiana, ancor più della mia zona, riesce ad arrivare al tanto atteso traguardo della pubblicazione del primo disco. La proposta del sestetto Veneto è un Gothic Symphonic Doom Metal che ricorda bands come Draconian, Dark Sanctuary e (in parte) Epica. Ritmi spesso lenti, voce femminile lirica (della brava Claudia Duronio) e melodie gotico-depressive, sono le caratteristiche principali di questo lavoro; se tutto questo è ben distante dai vostri gusti musicali, cambiate pure pagina e statene alla larga.

Già dalle prime note è riconoscibilissimo il sound dei Serenade che fanno ben poco per sorprenderci durante tutto il resto del disco. I brani presi singolarmente sono anche piacevoli, spiccano soprattutto la veloce "Cruel Angels" (la migliore del disco e presenta anche un bel guitar solo) e la rocciosa "Doomed To Slavery", ma nel complesso il disco funziona un pò meno. Infatti se da una parte la band dimostra senza dubbio passione, coerenza e capacità tecniche, dall'altra non possiamo non sottolineare l'eccessiva monotonia che trasmette un disco del genere: rare accelerazioni, pochi cambi di ritmo e, spiace dirlo, ma la dotata singer Padovana canta sempre sulle stesse tonalità e le rare occasioni in cui è presente la voce growl non lasciano molto il segno. Saranno scelte volute, ma è chiaro che un prodotto del genere è adatto solo ad un ristretto numero di purissimi appassionati del genere, mentre un "classico" ascoltatore metal, anche se fan di Nightwish o Within Temptation, sarà accompagnato da qualche sbadiglio già dopo qualche minuto. Inoltre la produzione, nel complesso sufficiente, lascia troppo in ombra la chitarra che in alcune occasioni si sente a malapena.

In sostanza per me "Wandering through sorrow" è un disco troppo piatto e depressivo; nonostante i Serenade mettano in mostra buone doti generali, dal punto di vista compositivo hanno ancora tanta strada da fare! Riservato ai fedelissimi del genere.

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Opinione inserita da Celestial Dream    11 Settembre, 2012
Ultimo aggiornamento: 11 Settembre, 2012
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Il 5 Ottobre del 2010 il grande singer Steve Lee si è spento in un tragico incidente stradale mentre era a cavallo della sua inseparabile moto. A seguito di questo fatto, Leo Leoni e compagni hanno deciso di continuare comunque la storia dei Gotthard e dopo una lunga e delicata ricerca di un sostituto al microfono, è stato presentato ai numerosi fans Nic Maeder, giovane talento canoro di origini Svizzere-Australiane. Meno di 2 anni dopo, e a circa 3 dal precedente e spettacolare "Need to believe", ecco il nuovo "Firebirth", la rinascita di fuoco della band di Zurigo. L'album presenta una produzione magistrale e suona Gotthard al 100% ma si distacca dalle ultime produzioni Melodic Rock della band tornando al sound di album più datati come "G" e "Dial hard". Troverete quindi pochi ritornelli tipicamente AOR come successo in "Domino effect" e nel già citato "Need to believe" (la sola "The story is over" ricorda quel sound), mentre sono più presenti i riferimenti al Hard Rock di scuola Americana come già in "Starlight", canzone che apre molto bene il disco. Inoltre sono molte le ballate (ben tre!) composte per l'occasione dalla mente sempre ispirata di Leoni; "Remeber It's Me" e "Tell me" sono due pezzi acustici che conquistano fin da subito mentre la magica "Where Are You" appassiona non solo per la bellezza del pezzo in sè ma anche e soprattutto per il testo legato all'assurda scomparsa di Steve. Inutile spendere parole sulla prestazione dei musicisti che già conosciamo, mentre è doveroso promuovere a pieni voti l'ottima prestazione di Nic Maeder: è sempre difficile prendere il posto di un fuoriclasse (e Steve Lee era un super fuoriclasse) ma il buon Nic dimostra di avere un'ugola d'oro, ideale per il sound dei Gotthard e perfetta ad adattarsi anche al vecchio repertorio della band, ed esce a testa alta da questo come back discografico.

Un album che scorre via che è un piacere ma che manca di alcune hits, quelle che ti si stampano in testa e ti seguono per strada e a lavoro. Stiamo comunque parlando di un disco di classe, quella che la band Svizzera ha sempre dimostrato nel corso della propria lunga carriera. Se non vi siete mai affacciati al mondo Gotthard vi consiglio di iniziare da qualche altro disco (lo stesso "Need to believe" ad esempio), se invece siete già fans della band, beh allora "Firebirth" non vi lascerà delusi e deve trovare posto nella vostra discografia.

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Opinione inserita da Celestial Dream    07 Settembre, 2012
Ultimo aggiornamento: 07 Settembre, 2012
Top 10 opinionisti  -  

Capita ogni tanto di avere una mezz'oretta libera da dedicare alla ricerca di qualcosa di musicalmente interessante e allora in questi casi, mi collego a Youtube dove mi posso sbizzarrire. E' così che è andata con i Fireland. Un paio di canzoni e ho pensato: “Niente male questi qui, procuriamoci il disco”. Arrivano dal Cile e han pubblicato il loro debutto a Dicembre 2010, dal titolo "God N Evil". Il loro sound è un Power Heavy Melodico, un mix tra Nocturnal Rites, Helloween, Edguy, HammerFall e Dream Evil.
“Ancient times”, “Here i am”, “Dream”, “Politica” e soprattutto la favolosa “Where is the heaven”, sono tutti pezzi davvero validi che farebbero gola ad alcune bands sopra elencate (vedi Edguy e Hammerfall in crisi di ispirazione da qualche anno ormai), e guarda caso, quando la band mette piede sull'acceleratore e punta su soluzioni più veloci il risultato è lodevole. Ad essere onesti bisogna dire che non sbagliano neanche l'appuntamento con la ballata di turno visto che “Believe” non è affatto male. Quello che sorprende è l'ottimo lavoro alle chitarre della coppia Castillo-Vidal che macinano riffs belli tosti ed ottimi solos in pieno stile teutonico.

Capita spesso quando si incontrano band provenienti del Centro-Sud America di avere tra le mani prodotti di basso livello dal punto di vista della produzione: non è il caso dei Fireland che si presentano con un buon disco sotto ogni punto di vista, ben composto e registrato. Degna di nota anche la bella copertina. Non dico che la vostra vita cambierà dinnanzi a questo lavoro ma potreste farci un pensierino, dopotutto il disco è disponibile contattando la band.

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Opinione inserita da Celestial Dream    04 Settembre, 2012
Ultimo aggiornamento: 05 Settembre, 2012
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E' possibile fondere il sound dei Rhapsody con quello dei Symphony X? I Wind Rose ci hanno provato ed il risultato è più che positivo. Il quintetto nostrano con questo debutto “Shadows over Lothadruin” riesce a trasmettere (con le giuste proporzioni) l'epicità di album come "Legendary Tales" suonando spesso in maniera molto progressive e ricordando in alcuni passaggi la band di Michael Romeo. Nati nel 2007 come cover band di Dream Theater, Symphony X e Blind Guardian e impegnata in svariati live shows, con i cambiamenti di formazione avvenuti nel 2009 i Wind Rose cominciarono a comporre del materiale proprio, che nell'anno successivo venne incluso nell'ep "Demo 2010", ben accolto dalla stampa specializzata. A distanza di un paio d'anni ecco che il gruppo toscano si presenta all'esordio, sempre sotto l'attenta supervisione di Cristiano Bertocchi (Chris Breeze in precedenti "vite artistiche") ex bassista di Labyrinth e Vision Divine e avvalendosi di Goran Finnberg (Opeth, Dark Tranquillity) per la masterizzazione e il super inflazionato (pure troppo a mio avviso) Felipe Machado Franco (Blind Guardian, Rhapsody Of Fire e mille altri) per la cura dell'aspetto grafico.

“Shadows over Lothadruin” racconta la storia fantasy scritta da Claudio Falconcini (chitarrista della band) e contiene diverse intro che sapientemente si alternano ai brani veri e propri per far calare l'ascoltatore all'interno del racconto. Nonostante i temi fantasy trattati e la grande epicità delle canzoni, non ci si deve aspettare il solito e canonico disco di Symphonic Power Metal nè la fotocopia di "Symphony of enchanted lands"; i Wind Rose sorprendono in positivo per quanto riescano ad essere multiformi e versatili, ancor più visto che stiamo parlando di un giovane gruppo all'esordio. Se con l'iniziale "Endless Prophecy" troviamo un pezzo impeccabile che segue le lezioni impartite da Turilli negli anni passati, con il proseguire del disco scopriamo nuove facce della band ad iniziare da "Siderion", pezzo niente male ma non tra i più riusciti (a mio avviso), che presenta delle venature folk ricordando molto da vicino Spellblast (soprattutto) ed Elvenking (in parte). "Son of a thousand nights", una semi ballad molto epica che non sfigurerebbe in qualche disco dei Blind Guardian, e "The fourth vanguard" una super power song, riportano il disco a livelli molto alti mentre ad iniziare da "Majesty" e proseguendo con "Oath to betray" troviamo finalmente il volto più prog della band che mostra una gran preparazione tecnica con alcuni riferimenti a Symphony X e DGM. La chiusura è affidata al bel lento "Moontear sanctuary" ed alla lunga magistrale suite "Close to the end".

Un debutto interessante che ci presenta una band dal gran potenziale, che possiede tutte le carte in regola per poter fare molto bene nel corso dei prossimi anni. In questo periodo di imperdibili uscite in questo genere, tocca fare qualche sacrificio e metter mano al portafogli perchè “Shadows over Lothadruin” è un disco che non si può ignorare.

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Opinione inserita da Celestial Dream    31 Agosto, 2012
Ultimo aggiornamento: 31 Agosto, 2012
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Cinque lunghi anni sono passati da "Dead Reckoning" ultima perla targata Threshold, che ritrovano lo storico cantante Damian Wilson dopo la separazione da Andrew "Mac" McDermott che ci ha tristemente lasciati solo un anno fa. Il tanto atteso nono album in studio della band inglese è "March of progress" ed esce sotto Nuclear Blast.

Nonostante il tempo trascorso, il sound che troviamo in questo disco non si discosta molto da quello per certi versi più “easy listening” di “Dead Reckoning” e “Ashes”, brano posto in apertura, segue la via di pezzi di grande impatto come “Slipstream” (da “Dead Reckoning”) o “Mission profile” (da “Subsurface”), e riesce a catturare sin dal primo ascolto. Altrettanto vincente è la successiva “Return of the thought police”, uno dei miei pezzi preferiti dell'intero disco. Richard West alle keys si alterna con la chitarra di Karl Groom e i due master minds sono ancora una volta impeccabili sotto ogni punto di vista (tecnico, esecutivo e chiaramente di songwriting). Il lato più prog del disco si scopre un po' alla volta già a partire da “Staring at the sun”, che strizza un po' l'occhio alle produzioni più datate e maggiormente sperimentali della band come “Hypotetical” e “Clone”. Il disco prosegue e i Threshold con una precisione chirurgica non sbagliano una virgola; vi renderete presto conto di come gli oltre 70 minuti di musica contenuti in “March of progress” scorrino via che è un piacere senza un accenno di sbadiglio, senza la minima tentazione di aprire facebook per controllare il proprio profilo. “Colophon” è altro pezzo degno di nota e ricco di classe, dove Damian Wilson dà il meglio di sé soprattutto durante la parte acustica iniziale, prima dello splendido solo di Groom che apre la strada ad un chorus che merita senza dubbio la lode. D'altronde la cura dei cori è sempre stata una marcia in più per West e company e questo disco ne è l'ennesima conferma. La fantastica "The hours" vi ammalierà già dai primi ascolti, mentre la semi ballad “Thats why we came” e la power-prog song “Dont look down” aprono la strada al gran finale: “The rubicon” racchiude in oltre 10 minuti tutto quello che di meglio i Threshold ci hanno regalato in ormai vent'anni di carriera.

La band inglese possiede da sempre una rara capacità di suonare progressive senza annoiare anzi, entrando nella mente e nel cuore dell'ascoltatore già dai primi ascolti grazie ad un gusto per la melodia che ha pochissimi eguali (qualcuno sta pensando agli Shadow Gallery?) e che in alcuni chorus si avvicina a produzioni di stampo Aor e Melodic Hard Rock. Gli anni passano ma i Threshold restano dei maestri assoluti nel loro genere e forse mai come ora possono guardare tutti dall'alto; “March of progress” è un disco di livello superiore, un album imperdibile per chi la Classe, quella con la C maiuscola, la sa riconoscere.

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Opinione inserita da Celestial Dream    25 Agosto, 2012
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Terzo album in 3 anni per la produttiva band tedesca Unherz che probabilmente non ha ancora raggiunto il successo sperato e prova a farsi notare piazzando due belle chiappe in copertina. Mossa non così fuori luogo sia perchè il genere proposto è un heavy-rock molto grezzo che stonerebbe di certo con un artwork pieno di rose e cuori, sia perchè noi metallari siamo comunque dei comuni mortali che davanti ad un bel sedere siamo disposti a spendere 15 euro. "Die Wahrheit liegt dazwischen" è un album di impatto composto da 10 canzoni (più bonus track) senza fronzoli e cantate in lingua madre. Sempre più band teutoniche ormai stanno optando per questa scelta, forse spinte dal successo di Rammstein e In extremo (tra le tante).

L'album mette in mostra passione e sudore per questa musica, ma sono pochi i pezzi degni di nota che sanno elevarsi dalla media generale piuttosto mediocre. Stiamo parlando sicuramente delle prime due song “Schmerz neu definiert” e “Mein Weg, mein Wille, mein Leben” con le loro melodie avvincenti, la catchy “Dieser Traum”. la ballata “Nur wenn du Träume hast” che mette in mostra le doti del singer Felix Orschel e la particolare “Leuchtfeuer”, canzone acustica “da sagra popolare” con la fisarmonica ad accompagnare la voce di Felix.

In definitiva, senza farmi condizionare dalle chiappe (giuro!), questo è un disco che tocca, ma non può superare, la sufficienza piena. Da rivedere!

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