Opinione scritta da Celestial Dream
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Ultimo aggiornamento: 12 Aprile, 2013
Top 10 opinionisti -
L'album più atteso dell'anno da una larga fetta di metal fans è ormai nei negozi da qualche giorno. Tobias Sammet colpisce ancora e "The mistery of time" è la nuova opera che vede la luce sotto il monicker Avantasia. Un nome che fa sognare, che solo pronunciandolo fa lievitare l'emozione. Merito di tanta musica di classe composta negli anni e soprattutto agli esordi, per chi come me era poco più che adolescente quando tornava a casa dal proprio negoziante di fiducia con in mano la copia di "The Metal Opera", questo incredibile disco che avrebbe radunato tanti grandi ospiti per formare un autentico capolavoro di Power Metal. Di anni ne son passati (ben 12!) e tutto questo tempo ha inciso anche nella persona di Tobias che ha cambiato la sua visione ed il suo modo di comporre musica e Edguy ed Avantasia indistintamente, hanno subito questi cambiamenti. Cambi di sound e per il sottoscritto, anche un deciso calo di ispirazione con alcuni dischi delusione, "Tinniitus Sanctus" su tutti, ma anche i non esaltanti "The wicked symphony" e "Angel of Babylon" targati Avantasia.
L'amore di Toby per l'hard rock ha spinto questa nuova release verso sonorità maggiormente symphonic rock dove di power metal ormai c'è ben poco e con la presenza di personaggi legati a questo filone musicale ed in particolare i leggendari Joe Lynn Turner (Rainbow, Malmsteen..), Biff Byford (Saxon), Eric Martin (Mr. Big) e Ronnie Atkins (Pretty Maids) che si aggiungono ai "soliti" Michael Kiske e Bob Catley. Senza dilungarci troppo sul concept ambientato in un paesino inglese nel 19esimo secolo, che racconta la storia di un giovane scienziato agnostico e della sua visione del mondo tra tempo, scienza e spiritualità, andiamo alla scoperta della musica.
La grande attesa termina quando i riflettori si accendono tra le note di "Spectres", brano orchestrale e melodico, che apre piuttosto bene questa nuova fatica discografica. Il chorus conquista già dal primo ascolto e proietta la song d'apertura tra le migliori dell'intero disco. Un disco che si mantiene sempre su livelli qualitativi elevati ma presentando raramente quel guizzo geniale che i primi tre capitoli Avantasia possedevano e a cui Tobi ci ha abituati in passato. E così con un Joe Lynn Turner super protagonista nella prima parte dell'album, troviamo una sua grande interpretazione in "The Watchmaker's Dream " ed a seguire la spettrale "Black Orchid", bel brano arrangiato divinamente. La prima song veloce arriva finalmente con "Where Clock Hands Freeze", pezzo sublime che presenta un ritornello d'alta scuola che pochi possono permettersi e che diventa ancor più magico se ad interpretarlo c'è il maestro Michael Kiske. Dopo la parentesi a mio parere un pò scialba ed anonima di "Sleepwalking " (che però, ammetto, cresce con gli ascolti), troviamo la prima delle due suite del disco; "Savior in the Clockwork" è un lungo brano ricco di spunti interessanti anche se il bel ritornello ricorda qualcosa di già sentito nella discografia di Sammet. Anche dal punto di vista strumentale al disco manca qualche lampata brillante, con il buon Sasha Paeth che con la chitarra in mano non può competere con certi guitar hero di alto livello e se rimpiangerete ancora una volta Henjo Richter ricordatevi che non siete i soli. La vera ballata del disco è "What's Left of Me", una tipica song piano-voce in stile "Cry Just A Little" o "Anywhere", anche se probabilmente non raggiunge quei livelli. Si ritorna a pestare sull'acceleratore con "Invoke the Machine" ed il suo refrain ben giocato su un bel passaggio di voci tra Tobi ed un fantastico Ronnie Atkins. Il gran finale è tutto dell'altra suite, la splendida "The Great Mystery", opera magna che fa salire sul palco tutti i protagonisti del disco e presenta un chorus mozzafiato, tutto da cantare a squarciagola.
Arrivati alla fine ci si può ritenere soddisfatti; "The mistery of time" è un album per certi versi impeccabile, anche se andando a scavare più in fondo si denota, a parere di chi scrive, ancora qualche piccolo fantasma del recente passato che vede Tobias, un compositore eccezionale, in leggero calo di ispirazione, abile però a confezionare un prodotto che saprà ancora accontentare i suoi numerosi fans. Tobi sembra quasi tornato quello di un tempo e "The mistery of time" fa balzare di nuovo il songwriter tedesco al top assoluto superando senza dubbi i risultati qualitativi dei due precedenti capitoli. Tante luci e solo qualche ombra quindi per la nuova opera targata Avantasia.
Top 10 opinionisti -
Vogliono volare in alto sin dal debutto questi Laneslide, come suggeriscono il titolo del disco e la bella copertina ad opera di Matias Noren (Kamelot, Evergrey...), artista ultimamente troppo spesso lasciato da parte. Un progetto internazionale che unisce artisti di varie provenienze tra cui l'italiano Bruno Kraler (Brunorock) chitarrista e songwriter a cui si aggiungono l'ottimo singer americano Frank Vestry ma anche il nostro Alessandro del Vecchio, tastierista, songwriter e produttore sempre più protagonista nella scena aor mondiale. Completano la band John Billings (Rick Springfield, Donna Summer, Lancia) al basso e Dominik Hülshorst (ex-Bonfire) alla batteria.
Hard rock melodico ben composto, che non fa certo gridare al miracolo, siamo d'accordo, ma che si fa apprezzare con brani dall'indubbio impatto melodico come l'opener "Flying High" o l'ariosa ed elettrizzante "You Can Make It" che ricorda gli svedesi Last Autumn's Dream e si incorona come vera hit del disco insieme alla melodica "Understand" che mette in luce tutte le doti canore di Frank, il quale si destreggia piuttosto bene al microfono ed il resto della band lo segue di pari passo. Con dei chorus ruffiani, piacciono anche "Hangin’ Out Here" e "Dancing Girls" e l'album si mantiene su buoni livelli presentando però solo raramente momenti esaltanti soprattutto nel finale con la discreta "Look The Other Way" e la sottotono "Your Fight" e neppure la ballata piano-voce finale "Washed Away" riesce ad emozionare più di tanto.
Non abbiamo tra le mani il disco dell'anno in ambito aor/melodic hard rock, ma questo debutto dei Laneslide è senza dubbio un album ben composto e suonato che farà tracorrere alcune ore interessanti a molti seguaci di queste sonorità.
Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 2013
Top 10 opinionisti -
Strana storia quella degli A Hero For The World, che non solo vincono il premio come nome più lungo nella storia del power metal, ma si fanno notare anche per la propria storia. Due svedesi Jacob Kaasgaard (voce-tastiere-songwriting) e David Sivelind (chitarra-basso) si sono trasferiti a vivere nelle Filippine e da lì hanno composto e pubblicato questo disco con la collaborazione del batterista americano Andy Gentile e la cantante orientale (almeno lei!) Louibeth Aratan.
Epic melodic metal, tra Manowar, Hammerfall ed Edguy, la band Euro-Asiatica si presenta con un debutto niente male, composto da 10 pezzi di power-heavy metal facile da ascoltare ma piacevole, con le tastiere di Jacob dal suono arioso e sempre ben presenti. Il singer di origini Svedesi esagera invece al microfono, cercando spesso delle note alte che risultano un pò forzate (un pò alla Tobias Sammet soprattutto degli esordi) e che non sempre si sposano bene con il contorno musicicale. E' questo il caso della semplice ma piacevole power song "Eternal shadows", brano che funziona nonostante la prestazione non esaltante alla voce. Altri brani piacevoli non mancano, come non citare il brano d'apertura "We are forever" o la dolce ballata "Free Forever". Peccato per alcuni passi falsi che includono sicuramente la banalotta "Let it go" e l'anonima "End of time". Il mid tempo melodico "Alive" e la suite finale "One hope of light" (ottimo il bridge con la voce femminile di Louibeth) sono gli altri due pezzi molto buoni di questo full lenght.
Da segnalare il bell'artwork ad opera del Brasiliano Jobert Mello, già protagonista di lavori per Sabaton e Primal Fear. "A Hero For The World" è un disco che presenta qualche alto e basso ma che nel complesso merita la sufficienza piena grazie ad una manciata di pezzi che funzionano. Rivolto ai soli accaniti fans del power metal che non cercano l'originalità a tutti i costi.
Top 10 opinionisti -
Interessante debutto per questa giovane band che arriva da Lucca; i Kalidia ci presentano un demo di 4 tracce ben composte, e registrate all'Eden Studio da Alessio Lucatti (Vision Divine, Etherna).
Il giovane gruppo toscano suona un power melodic metal con voce femminile e dimostra classe da vendere! Già dalla spedita e tastierosa opener "The lost mariner" si intuiscono delle spiccate capacità di songwriting ed esecuzione da parte della band. I brani piaccono già dopo pochissimi ascolti grazie a melodie ben confezionate e anche tecnicamente questi giovani musicisti non si discutono e la brava Nicoletta interpreta alla grande la potente "Wiged Lords", bel brano iper melodico che presenta anche un ottimo solo di chitarra ed un ritornello cadenzato che sa conquistare. Altro bel pezzo da sottolineare è "Reign of Kalidia" (forse il migliore del disco), con un bel riff stoppato prima di un favoloso refrain tutto in doppia cassa. La power ballad "Shadow Will Be Gone" è abbastanza canonica ma sorretta da splendide melodie di chitarra dell'ottimo Federico, chiude piuttosto bene questo Ep.
Questo si che è un demo; la band ci sa fare e senza inventare nulla di nuovo sfodera 4 brani di una certa classe. I Kalidia sono da tenere d'occhio perchè son sicuro che presto li ritroveremo con un full lenght davvero interessante!
Ultimo aggiornamento: 05 Aprile, 2013
Top 10 opinionisti -
La Doolittle è sempre più attiva nel pubblicare dischi e scoprire nuove leve nel panorama scandinavo, certamente ben florido. Questo giro tocca agli Shadow Past, band svedese nata nel lontano 2005 che con "Perfect chapter" arriva finalmente all'esordio discografico. La prima nota da sottolineare è il gradito ritorno di Ola Halén, inconfondibile già dalle prime note, e singer che con i grandi Insania (Stockholm) ha scritto dischi che ogni fan di questo genere dovrebbe possedere (anche se il top lo si è toccato all'inizio con David Henrikson alla voce e quel capolavoro assoluto che è "Sunrise in Riverland"). Inoltre l'album è stato registrato da Erik Mårtensson (Eclipse, W.E.T., Seventh Wonder etc.) ed il risultato è davvero buono in termini di impatto sonoro.
Per quanto riguarda la proposta sonora abbiamo tra le mani dieci brani di power metal svedese, con ritmi sostenuti e tastiere in evidenza. La band cerca di inserire qualche elemento extra qua e là, ad esempio alternando in qualche rara occasione la voce growl, ma questo non fa acquistare punti bonus al disco. I brani sono più o meno tutti validi, ma difficilmente sapranno esaltarvi; cose già sentite e fatte meglio in passato da altre bands, e la buona prestazione di Ola non basta, né sono sufficienti dei buoni ritornelli come nella title track, che presenta anche un bel intreccio di solos chitarra-keys. Il top si raggiunge comunque con il bel trio formato da "The Scars Run Deep", "Impressed" e "Who Am I", tre songs ben costruite su facili melodie che potrebbero fare la felicità di chi vive a pane e power metal scandinavo!
Un esordio niente male e da non bocciare, ma che fatica a trovare sbocchi interessanti. Qualche buona songs ormai non basta più con tutta la concorrenza che gira e le decine di bands che pubblicano quotidianamente lavori estremamenti validi; "Perfect Chapter" è rivolto solo a chi non vede l'ora di ascoltare di nuovo la voce di Ola, o agli amanti incalliti del power metal scandinavo.
Top 10 opinionisti -
Finalmente arriva il debutto dei veneti The Moor, in cantiere da qualche tempo dopo il bel Ep uscito qualche anno fa. Musicisti giovani ma allo stesso tempo navigati e ben conosciuti nella scena del Nord Est e non solo; il gruppo capitanato da Enrico "Ukka" Longhin (Ex Bleed in Vain) propone una dozzina di tracce di non facile classificazione. La band va a pescare qua e là tra svariati generi, risultando piuttosto originale e mettendo in mostra gran versatilità in fase di songwriting sia dal punto di vista strumentale che in quello del cantato, promosso a pieni voti, del frontman Enrico, che alterna senza problemi la voce melodica a quella growl.
Quello che ne viene fuori è un incontro tra Pain of Salvation, Faith No More, Opeth, Foo Fighters e chi più ne ha più ne metta. Stili così diversi ma così vicini se ci pensiamo, che trovano in "Year of the hunger" un punto di incontro ben riuscito. I ritmi veloci e le melodie della bellissima opener "Hyperuranium", portano alla mente gli ultimi Amorphis, anche se lo splendido assolo centrale di Davide Carraro profuma tanto di prog rock. Carraro che si rende protagonista anche nella parte finale del pezzo in questione, grazie ad ottime sfuriate chitarristiche accompagnate da Alberto Businari, eccelso alla batteria. Piace anche la successiva "The others" soprattutto per delle belle aperture melodiche non banali e capaci di conquistare dopo pochi ascolti. La splendida "The road" unisce i Pain of Salvation più "intimi" ai Foo Fighters e la strofa mi piace da impazzire! Si passa anche attraverso l'heavy potente ma melodico con "Covered", song costruita su un riff spaccaossa che ci presenta Ukka in versione Peavy Wagner (Rage) con voce rauca ed aggressiva. Un'avvertenza è dovuta per il chorus che potrebbe diventare una vera e propria ossessione e girarvi nel cervello per diversi giorni almeno! Dopo la strumentale title track e la discreta "Clouds and Shales", si ritorna su livelli elevati con "Before Abigail" . Il disco si chiude alla grande con "Venice", brano che i fans che seguono la band sin dagli esordi, conoscono molto bene, una dolce ballata dove in questa nuova e migliorata versione, Enrico duetta con la brava Debbie Hyshka.
Peccato per un paio di brani leggermente sotto tono, altrimenti stavamo già parlando di un piccola gemma. Senza girarci troppo attorno, "Year of the hunger" resta comunque un debutto coi controcazzi, un disco, come la sua copertina (opera di Gyuri Lohmuller, un artista Rumeno), ricco di svariati colori e sfumature; troverete belle melodie, parecchia tecnica, attimi di rabbia sonora, dolci momenti, splendidi solos di chitarra, e molto altro ancora.
Con i veterani ma sempre in formissima White Skull e Arthemis, la nuova band sensazione Teodasia, i buonissimi debutti dei giovani 4th Dimension e Twintera, il grandissimo ritorno dei Great Master, e con questi versatili e imprevedibili The Moor (e sto sicuramente dimenticando qualcuno), probabilmente la scena metal in Veneto non è mai stata così grande!
Ultimo aggiornamento: 26 Marzo, 2013
Top 10 opinionisti -
26 Marzo 2013 - il giorno del tanto atteso ritorno dei maestri del prog-power metal è arrivato! I DGM, reduci dal fenomenale "Frame", anno 2009 (con la parentesi del Dvd e best of "Synthesis" l'anno seguente) sono considerati ormai tra le big bands del pianeta nel loro genere, secondi solo ai grandi Symphony X, anche se, come qualità delle ultime uscite, si potrebbe anche discuterne. "Momentum" si presenta con una copertina essenziale dal punto di vista visivo, meno su quello che vuole rappresentare. Sul lato musicale invece la band romana decide di non cambiare troppo le carte in tavola e gli 11 pezzi contenuti in questo disco seguono senza grosse novità il sound del precedente lavoro in studio.
La produzione perfetta ad opera di Mularoni nei suoi Domination Studios di San Marino, (perfetto come sempre anche alla chitarra) esalta ogni strumento ed ogni singola nota del disco. Inoltre la qualità dei brani è sempre eccelsa e la prestazione al microfono di Marco Basile elettrizzante. Il singer partenopeo è un autentico talento, non lo scopriamo certo ora, ma davanti a prestazioni come queste è impossibile rimanere freddi. In "Reason" poi, pezzo d'apertura, si permette di duettare con Russell Allen in persona senza sfigurare, tutt'altro.. I brani stellari iniziano da subito con "Trust" che ammalia con un chorus meraviglioso e la successiva "Universe" mantiene altissimo il livello del disco ed entra senza dubbio tra i miei pezzi preferiti dell'album. La più hard rock "Numb" mette in mostra la voce eccezionale di Mark e vi farà cantare a squarciagola con le sue continue aperture melodiche, mentre un altro pezzo da sottolineare è "Remembrance" una power ballad di classe che non vi stancherete di ascoltare e riascoltare. La vera e propria lenta del disco è la magica "Repay", che Emanuele Casali introduce al piano, ma è senza dubbio l'ugola d'oro di Basile ad esaltare il pezzo e renderlo da brividi! Impreziosita da Jorn Viggo Lofstad (Pagan's Mind) prende il via la canonica ma comunque molto bella "Chaos", mentre c'è tempo per un'altra super hit in coda al disco con la monumentale "Void", esaltante pezzo che conquista con i suoi favolosi cambi di tempo durante il chorus.
Basile-Mularoni-Arcangeli-Costantino-Casali, il quintetto nostrano gioca a memoria come solo i grandissimi interpreti sanno fare e ha acquisito una sicurezza ed una maestria uniche capaci di far brillare ogni singolo momento della propria opera come in un continuo show time, dove l'ascoltatore non può permettersi nessun attimo di distrazione. La sensazione è che attualmente i DGM non siano secondi a nessuno; inchinatevi dinanzi ai maestri del power-prog metal. Orgoglio tricolore!
Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 2013
Top 10 opinionisti -
Arrivano all'atteso full lenght i Damnation Angels, una delle più promettenti giovani bands del pianeta, che già con l'ep "Shadow Symphony" del 2009 (recensito in queste pagine) avevano mostrato una certa classe. Se poi aggiungiamo a delle già più che buone composizioni, una voce di gran livello come quella del singer norvegese Pellek (che alcuni ricorderanno con il suo disco solista uscito lo scorso anno) che si è aggiunto alla band prima della registrazione di questo esordio, allora i Damnation Angels hanno tutte le carte in regola per lasciare fin da subito il segno.
Il gruppo inglese suona del power metal sinfonico con delle atmosfere a tratti gotiche ed un certo "abuso" di orchestrazioni che ci possono portare alla mente Kamelot, Nightwish, Within Temptation e Serenity, anche se i DA riescono ad essere piuttosto personali. L'album è un continuo susseguirsi di brani stellari che ormai raramente si ha la fortuna di ascoltare. Partendo dalla lunga "The longest day of my life" ricca di cambi di ritmo ed atmosfere, e continuando con la favolosa "I hope", song di classe sopraffina, ma come dimenticare l'intensa ballata "Someone else", uno di quei pezzi lenti che ultimamente si fatica a trovare, o "Shadow symphony", un mid tempo ricco di orchestrazioni che ricorda i migliori Within Temptation in versione più potente, capace di catturare con il suo incedere?! La chiusura, dopo la cover ben interpretata dei Metallica "No leaf clover", è affidata alla maestosa "Pride (the warrior's way)", opera magna per la band inglese che scrive un autentico capolavoro miscelando a dovere sonorità orientali, melodie super, orchestrazioni di alto livello, ed un ritornello di impatto.
Insomma questo debutto dei Damnation Angels è un highlight assoluto di questo 2013, un disco esente da difetti e da non farsi sfuggire, straconsigliato e di cui risentiremo parlare sicuramente a fine anno in fase di compilazione delle ormai abituali liste top ten. "Bringer of light" è un viaggio in 1° classe nel mondo del power metal sinfonico.
Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 2013
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Dopo l'Ep del 2011 "Maria Magdalena" ed il full lenght "Delta" di qualche mese prima, tornano alla carica i Visions of Atlantis con il loro quinto album "Ethera". La band austriaca ha cambiato nella sua storia più cantanti che bacchette alla batteria, ma fortunatamente ritroviamo oggi la formazione quasi intatta rispetto a "Delta", con la sola aggiunta del chitarrista Cris Tian. Confermata quindi Maxi Nil alla voce e la singer di origini greche si alterna come in passato alle male vocals di Mario Plank creando un sound che potrebbe essere descritto come un mix tra Within Temptation, Nightwish ed Epica. Un metal sinfonico che in questo disco diventa meno power orchestrale e più rock/gothic strizzando l'occhio ai nostrani e sempre troppo sottovalutati Tystnaden per alcune soluzioni più "moderne" (anche se qui di cantato in growl non se ne sente).
Di strada ne è passata da quel bellissimo "Trinity" che fece innamorare il sottoscritto alla band austriaca; se già con "Delta" i Visions of Atlantis avevano iniziato una piccola evoluzione del proprio sound, ora con "Ethera" li ritroviamo in una nuova veste, fatta di suoni più moderni e molto meno sinfonici come dimostrano "The ark" ed il bridge elettronico di "Machinage". Le canzoni ben riuscite ci sono anche se non abbondano, e su tutte spiccano a mio avviso "Avatara", "A.E.O.N. 19th" e la lenta "Vicious Circle" che mette in mostra le doti dei due singers e soprattutto la voce calda di Mario. Ma nel complesso il disco si attesta su livelli un pò lontani dall'eccellenza con alcuni brani che passano via senza trasmettere un granchè. A ridare spessore all'album ci pensa nel finale la piccola gemma melodica che è "Bestiality vs. Integrity", una power ballad che mette in mostra tutta la classe della band, classe che non può essere di colpo evaporata nel nulla! Infine la più che discreta power song "Clerics emotion" chiude questo disco e ci riporta, almeno in parte, i VoA di un tempo: veloci ed orchestrali.
Le aspettative erano ben altre, "Ethera" è un album solamente discreto che alterna momenti buoni ad altri piuttosto anonimi. E' evidente che le potenzialità messe in mostra in passato non sono ancora esplose e poi, siamo proprio sicuri che la band abbia intrapreso la strada giusta? Io qualche dubbio ce l'ho...
Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 2013
Top 10 opinionisti -
Ci sono un Russo, un Ucraino ed un'Austriaco che formano una band. No, non sto per raccontarvi una barzelletta, ma è la vera storia dei Russkaja. Insieme partendo da Vienna hanno suonato in svariati concerti di generi diversi in giro per l'Europa (addirittura al Wacken!) proponendo il loro Russian Turbo Polka Metal. Tutto chiaro no? Mmmhhh, immagino qualche espressione perplessa davanti allo schermo... ok, ammetto che non è facile capire il sound proposto da questi ragazzi, ma potete immaginarlo: i Russkaja rivedono la loro musica folkloristica Russa in chiave metal. "Energia" è il loro terzo album, un mix tra vari generi cosi distanti tra loro che derivano dai diversi backgrounds dei componenti della band.
Insomma avete presente il Kazatchok? Quella danza folk Ucraina che sicuramente avrete visto in qualche film o spettacolo? Ecco ascoltando i Russkaja sembra quasi di avere a che fare con questa musica in versione metallica. Inutile dire che i testi sono in gran parte in lingua Russa e quindi non ho compreso una mazza; la band capitanata dal cantante e fondatore Georgij Makazaria presenta nel proprio sound anche un violinista e alcuni strumenti a fiato tra cui il Potete, un incrocio tra la il trombone e la tromba. Il risultato è un disco originale, con dei ritmi inusuali che ricordano anche lo SKA e possono attirare la vostra attenzione con brani come la title track o "Autodrom", con la vivace "Kartuli Vino" o la potente "Dikije Deti", mentre ascoltando "Istanbul" sembra quasi di essere catapultati in qualche sala da ballo liscio. Tirando le somme, di metal c'è ben poco in questo disco e personalmente mi è risultato difficile mantenere la concentrazione e non cadere nella noia più profonda dopo qualche pezzo.
Originali, interessanti ed unici ma, per quanto mi riguarda, piuttosto soporiferi e non accessibili a tutti.
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