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Opinione scritta da Ninni Cangiano

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    17 Dicembre, 2012
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Correva il 1986, quando gli inglesi Onslaught uscirono con il loro secondo album “The force”; fu l’anno di “Reign in blood” degli Slayer, “Master of puppets” dei Metallica e “Peace sells... but who’s buying” dei Megadeth, ma anche di tanti altri capolavori della storia del thrash mondiale, fra cui va sicuramente annoverato questo “The force”. Di quella band, al giorno d’oggi restano solo il cantante Sy Keeler ed il leader e chitarrista Nige Rockett e l’attenta AFM Records, dopo aver ristampato lo scorso anno il debut “Power from hell”, ha deciso questa volta di ristampare quell’ormai introvabile e leggendario secondo disco, rimasterizzandolo per una “Anniversary edition”, in vista del 30esimo anniversario dalla formazione della band previsto per il 2013. Ma veniamo alla musica di “The force”, uno dei primi dischi da me acquistati all’epoca in cui iniziavo ad ascoltare metal nella mia adolescenza. Il disco dura ¾ d’ora per un assalto thrash sulfureo; erano poche, pochissime le bands che suonavano a questa maniera all’epoca, ricordo solo i maestri Slayer, i Venom ed i Dark Angel. Indubbiamente l’atmosfera sulfurea, maligna e cattiva creata dalle chitarre rendeva il sound degli Onslaught immediatamente riconoscibile; c’era poi la voce eccezionale di Sy Keeler (uno dei pochissimi cantanti eccellenti nella scena thrash dell’epoca!) che era una vera e propria arma letale. A questo si aggiungevano poi dei testi che erano spesso tendenti al blasfemo (titoli come “Demoniac” e “Flame of the antichrist” sono tutto un programma!) ed un artwork che contribuiva ad inquietare gli animi dei benpensanti. “The force” è composto da 7 pezzi roventi, uno più arrabbiato dell’altro, uno più convincente dell’altro, nonostante minutaggi importanti (tutti i pezzi, tranne l’ultimo, viaggiano oltre i 6 minuti, un’eternità per il thrash!), tali da schiantare chiunque durante le esibizioni live! Ritengo che pezzi come “Metal forces”, “Let there be death” e “Thrash till the death” debbano essere vangelo per ogni thrasher degno di tal nome e questa ristampa può essere un’ottima occasione per quelle giovani leve che non hanno avuto la fortuna di vivere, come il sottoscritto, sulla propria pelle il thrash degli anni ’80. Semplicemente imperdibile per ogni fan del thrash metal di qualità!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    17 Dicembre, 2012
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I Civilization One sono la band del cantante srilankese Chitral “Chity” Somapala, noto per aver cantato con parecchi altri gruppi come Power Quest, Avalon, Ivanhoe, Firewind, Domain, ecc.; la band con questo “Calling the Gods” giunge al secondo album, dopo il debut del 2007 “Revolution rising”, quando nella formazione c’era anche Aldo Lonobile (Secret Sphere). A cinque anni di distanza, dalla precedente uscita, grazie alla Limb Music, i Civilization One tornano a far sentire il loro power metal anche se, è bene metterlo subito in chiaro, deludendo alquanto. Questo “Calling the gods”, infatti, sin dai primi ascolti mi è sembrato un “mezzo disco”, uno di quegli album in cui, accanto a canzoni piacevoli, ci sono altri brani meno indovinati, quasi a livello di fastidiosi fillers. Ho provato diverse volte ad ascoltare questi 12 pezzi (+ la solita inutilissima intro), come ogni buon recensore dovrebbe sempre fare, ma purtroppo il risultato è stato sempre lo stesso: diversi brani non convincono, non coinvolgono e rischiano di annoiare un ascoltatore poco paziente. Se, quindi, abbiamo songs piacevoli, con indovinati assoli di chitarra, come “Archangel”, “Hell awaiting” (la più ritmata del disco), “True believer”, le romantiche “Reunite” e “Believing the dream”, nonché la tribale ed allegra “Dreams of fire” che si lasciano ascoltare piacevolmente; dall’altra parte troviamo pezzi decisamente “pesanti”, nel senso che si fa davvero fatica ad ascoltarli fino in fondo, come “Evil eye” (che pure inizia gradevolmente), “The supernatural virtue” e “Spirit in the wind”. Aggiungete anche un suono del rullante della batteria del buon Michael Stein che non entusiasma (troppo freddo e simil “fustino del Dash”!) e capirete perché il voto finale non può essere sufficiente. Due parole occorre spenderle sulla voce di “Chity” Somapala; chi lo ha già sentito è a conoscenza della sua particolarità, chi non l’ha mai ascoltato potrebbe rimanere un po’ spiazzato dal suo tono sporco e basso, così raro nel power metal, in cui si è abituati ad ugole iper-acute e pulite. Un disco insomma difficile questo “Calling the Gods”, che non convince pienamente, nonostante le qualità indiscutibili della band; forse è passato troppo tempo dal precedente lavoro ed il processo compositivo può essere stato travagliato, fatto sta che non me la sento di giudicare positivamente questo nuovo album dei Civilization One; se siete fans di questa band, dategli un ascolto, chissà che possiate pensarla diversamente da me.....

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    09 Dicembre, 2012
Ultimo aggiornamento: 09 Dicembre, 2012
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Recensire un disco di una band storica come i Gamma Ray è sempre un rischio perché, da una parte essendo un fan, si rischia di esagerare con i complimenti ed essere poco obiettivi, dall’altra, perché, in caso di pareri negativi, si può trovare qualcuno che ci venga a dire “come osi a criticare tu che non sei un professionista?”. Nel caso di questo “Skeletons & Majesties Live”, quarto disco dal vivo della carriera della band tedesca non ci sono rischi del genere perché obiettivamente ci si trova di fronte ad un lavoro semplicemente maestoso, e scusate il gioco di parole! L’opera, presentata di doppio-cd (di cui parleremo in questa recensione), blu-ray e dvd (di cui purtroppo non abbiamo avuto a disposizione il materiale video), riporta la registrazione del concerto tenuto allo storico locale Z7 di Pratteln (Svizzera) il 29 Aprile 2011, prima occasione per sentire al lavoro il nuovo batterista Michael Ehré (al posto dello storico Daniel Zimmermann, uscito dalla band a gennaio 2011). Ma perché definiamo “maestoso” questo lavoro? In primis per la scelta indovinatissima della scaletta; la carriera dei Gamma Ray è lunghissima e piena di brani eccezionali, ma Kay Hansen & C. hanno saputo scegliere 18 pezzi splendidi, potremmo obiettare sulla mancanza di “The silence”, “No return” o “Last before the storm”, come anche di “One with the world” o “As time goes by”, per non parlare di “Land of the free” o “Valley of the kings”, ma i pezzi splendidi dei Gamma Ray sono talmente tanti che ci vorrebbero altri 2 cd per contenerli tutti! Un’altra arma di questo cd, sono gli arrangiamenti di alcuni pezzi che non vengono riproposti identici a quelli da studio, su tutti spiccano le versioni acustiche di “Rebellion in dreamland” e “Send me a sign” che sono semplicemente fantastiche. Da segnalare anche la presenza di un ospite illustre, come Michael Kiske su “Time to break free”, "A while in dreamland" e "Future world". Come avrete capito, ci si trova davanti ad un lavoro semplicemente eccezionale, una splendida testimonianza di cosa sappia fare dal vivo questa grande, grandissima band che ha scritto e tutti quanti ci auguriamo continui a lungo a scrivere pagine memorabili nella storia della musica metal mondiale. Imperdibile!!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    09 Dicembre, 2012
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L’ho detto tante volte e continuerò sempre a ripeterlo: il vantaggio di collaborare con una webzine quale allaroundmetal.com sta nel fatto che si riesce a conoscere tante bands, la cui esistenza altrimenti avremmo del tutto ignorato. Per quanto mi riguarda è ciò che mi è successo con i tedeschi NulldB, band formatasi nel 2008 a me del tutto sconosciuta, fin quando dalla AFM Records non mi hanno proposto di recensire il loro secondo album intitolato “Endzeit”, dalla suggestiva copertina che ricorda tanto lo stile di pittura dell’artista barese Fabio Antenozio. Lo stile di questi quattro ragazzi provenienti dalla Germania è un roccioso heavy metal, con forti contaminazioni thrash ed anche qualche spruzzata di folk. In alcuni frangenti, infatti, vuoi anche per la forte somiglianza della voce con quella del grande Alea dei Saltatio Mortis, il sound mi ha ricordato certo folk made in Germany. Comunque sia, le coordinate di base dello stile dei NulldB restano ancorate a certo heavy/thrash, alquanto originale e personale per il quale, ad essere sinceri, ho faticato parecchio a trovare possibili accostamenti con altre bands. E’ questa la forza dei NulldB, pur suonando un genere per nulla trascendentale o complicato, sono riusciti ad essere personali e rendersi riconoscibili, evitando il pericolo di etichette varie o frasi tipo “assomigliano ai tali o a tali altri”. Se poi aggiungete che, nonostante l’ostico idioma tedesco, la musica è decisamente orecchiabile e coinvolgente, il quadro è completo e capirete il perché del mio giudizio estremamente positivo. “Endzeit” è composto da 10 pezzi (nella versione digipack ci sono anche 3 bonus tracks, che purtroppo non ho avuto a disposizione per la recensione, su cui quindi non ho alcuna informazione), tutti qualitativamente molto buoni, se non in alcuni casi anche eccelsi. Tra quelli che mi sono piaciuti maggiormente, potrei citarvi l’opener “Tyrannei”, molto thrash-oriented e con accordi di chitarra in stile arabeggiante; l’allucinata “Roter Regen”, con qualche sprazzo industrial; ma anche “Kinder des Zorns”, con un coretto di bambini terrificante che starebbe benissimo in un film horror; la romantica “Kaltes Herz” in cui, nonostante il duro idioma tedesco, è la melodia a farla da padrona; fino ad arrivare alla conclusiva “Die Jagd beginnt”, frizzante grazie al ritmo imposto dalla batteria dell’ottimo Fabi Angermuller, nonché dotata di un coretto molto catchy. Un unico appunto per la band: avere il proprio sito solo in lingua madre non è una buona idea, visto che il tedesco non è una lingua molto conosciuta all’estero! Tirando le somme, mi sento di suggerire ai metal-heads meno ortodossi, ma anche a quelli che cercano originalità questi NulldB, perché il loro “Endzeit” potrebbe conquistare anche voi, come ha convinto me... fateci un pensierino!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    09 Dicembre, 2012
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Ci sono delle volte in cui, se non fosse per le proposte delle labels, molto difficilmente ci si avvicinerebbe ad un album ed ad una determinata band; è questo il caso per me con i Paradox ed il loro nuovo album “Tales of the weird” (molto bella la copertina!) di cui vi parlerò di seguito grazie alla proposta pervenutami dalla AFM Records. I Paradox sono una band tedesca attiva addirittura dal lontano 1986 che però, a causa di diverse vicissitudini anche gravi (tra cui il decesso di buona parte della famiglia del leader Charly Steinhauer), ha finora prodotto solo 5 albums prima di questo nuovo prodotto. L’heavy/thrash proposto dalla band tedesca è molto affascinante, convincente, orecchiabile, ritmato... ha insomma tutte quelle caratteristiche per far breccia nel cuore di un vecchio defender come il sottoscritto e per far scuotere il vostro capoccione in un furioso headbanging tritavertebre cervicali! Dopo un attacco che sembra scippato a quello di “Crystal Ann” degli Annihilator, parte la title-track che mette subito in chiaro cosa aspettarsi da questo album: ritmiche sostenute e frizzanti grazie ad un ottimo batterista di nome Daniel “Evil Ewald” Buld; un cantato aggressivo grazie alla discreta, ma non eccezionale, voce di Charly Steinhauer; piacevoli parti strumentali con notevoli passaggi di basso e chitarre. Il disco procede sulla stessa falsariga lungo i 10 brani di cui è composto, senza particolari cali a livello qualitativo (non ci sono fillers di sorta in questo disco, sia chiaro!), anche se con qualche minutaggio importante e forse un tantino esagerato (la title-track dura quasi 10 minuti, un’eternità in campo thrash!). Ogni tanto si sente persino qualche passaggio di tastiera, di cui ignoro l’autore, come le indovinatissime parti in stile anni ’70 nella conclusiva “A light in the black”. Ecco, sono proprio le parti strumentali ad essere la carta vincente di questo “Tales of the weird”, a dimostrare la indubbia capacità tecnica dei 4 musicisti della band. Non avevo mai avuto modo di ascoltare alcunché di questa band, nonostante la sua lunga storia, ma questo album mi ha convinto a colmare la mia lacuna.... se siete appassionati di heavy/thrash direi che dovete tenere d’occhio questi Paradox!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    03 Dicembre, 2012
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I Molllust (avete letto bene, con 3 “L”) sono una band tedesca attiva, se non erro, da circa 2 anni dedita ad un genere particolarissimo che incrocia l’heavy metal con la musica operistica. “Tutto qui? Ed il symphonic metal?” potrebbe giustamente obiettare qualcuno; ma qui di symphonic metal, come lo si intende solitamente (per capirci, come lo suonano Rhapsody of Fire et similia), non c’è molto, direi anzi che rimane solo il concetto di fondo dell’unione tra il metal e la musica classica. Qui, infatti, immaginatevi un po’ di musica da camera con tanto di archi e pianoforte, cantata da una soprano accompagnata saltuariamente da un baritono (almeno così mi parrebbe la voce di Frank Schumacher), a cui si aggiungono i classici strumenti metal ad esaltare la componente drammatica delle composizioni. Uno stile, quindi, decisamente personale quello dei Molllust, estremamente teatrale e melo-drammatico che, a volerlo per forza catalogare, potremmo descrivere alquanto impropriamente “symphonic metal” o, forse, molto più avvedutamente “opera metal”, esattamente come lo definisce la stessa band. Questo “Schuld”, presentatomi in elegantissimo digipack a 3 ante (anche la bio è presentata in 3 eleganti volantini a colori!), costituisce il debut album di questo originalissimo gruppo che mi ha sorpreso in maniera estremamente positiva! E’ assurdo, infatti, come vengano prodotte da labels anche di un certo peso internazionale vere e proprie immondizie musicali, mentre gemme di simil splendore come i Molllust sono costrette all’auto-produzione pur di veder coronati i propri sogni in un cd! Ma questa è la dura legge del mercato, sempre più condizionato dai prodotti plastificati e massificati e, lasciatemelo dire, sempre più odiosamente ignorante! Ma torniamo a “Schuld” altrimenti ci facciamo tutti del fegato amaro... il disco è composto 10 brani, più una vera e propria ouverture (scarsa fantasia nell’intitolarla proprio così!), per poco più di ¾ d’ora di musica da ascoltare in quiete e rilassamento. Se dovessi scegliere qualche pezzo per indicarvi i miei preferiti, direi la veloce “Lied zur Nacht”, o la drammatica “Alptraum”, ma soprattutto “Schatten” che ricorda molto da vicino i Therion più lirici. Ecco, se proprio dovessimo cercare una band a cui accostare i Molllust, potrebbe avere un certo senso solamente il paragone con i Therion più recenti Se cercate violenza sonora o grugniti vocali, sappiate che nella musica dei Molllust non ve n’è traccia, qui ci sono solo melodie, gorgheggi e virtuosismi sonori e vocali (peccato che sia solo nell’ostico idioma tedesco!). Impossibile dunque rimanere indifferenti di fronte a questo disco, o si ama o si odia! Io rientro tra coloro che se ne sono innamorati e, se anche voi siete appassionati di certe sonorità e simili contaminazioni della musica metal, non potete ignorare questo album!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    01 Dicembre, 2012
Ultimo aggiornamento: 01 Dicembre, 2012
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Era il 1995 quando, entrando da quello che era allora il mio fornitore di fiducia, scoprii due albums che avrebbero per un po’ di anni costituito i punti di riferimento di un intero movimento musicale: “The gallery” dei Dark Tranquillity e “The Jester race” degli In Flames. Fu, infatti, principalmente grazie a queste due bands svedesi che nacque il “melodic death”, movimento musicale che annovera oggi nelle proprie file i russi Arcanum Sanctum, band nata nel 2004, arrivata con questo “Veritas odium parit”, edito da Buil2kill Records, al proprio secondo album, dopo l’esordio “Fidus achates” del 2010. Dopo aver abusato in maniera forse esagerata del death melodico durante i miei ascolti nella seconda metà degli anni ’90, adesso molto raramente riesco a “digerire” un intero album, mi capiterà forse una/due volte l’anno e l’indubbio merito di aver attirato la mia attenzione ed avermi convinto bisogna darlo a questi tre ragazzi russi. La loro musica, infatti, sprizza energia ed adrenalina dal primo all’ultimo secondo di questo album che ha il grande pregio di durare solo mezz’ora! 30’26” di assalto sonoro, come solo i grandi di questo particolare genere di metal hanno saputo fare in passato. Certamente, si potrà obiettare loro che siamo nel 2012 e questo genere ha già dato il meglio di sé oramai tanti anni fa e l’originalità abita lontano dai solchi di questo disco, ma quando si suona così bene, quando la musica comunica passione e trasferisce la propria energia all’ascoltatore convincendo appieno, resto sempre dell’opinione che certi discorsi abbiano poco senso! Otto pezzi molto belli, compresa la lenta strumentale “In memory of...” che, se fosse stata fatta al pianoforte, invece che ad una scadente tastiera, avrebbe fatto letteralmente venire i brividi! Unico appunto forse che si può muovere alla band sta nella voce di Vadim “Sad” Nalivaiko che ricorda vagamente quella del grande Mikael Stanne, ma si presenta un attimo troppo isterica, risultando quasi più adatta al black metal. Sono comunque dettagli che non inficiano la validità di questi Arcanum Sanctum e del loro “Veritas odium parit”, fans del death melodico non lasciatevi sfuggire questo interessantissimo disco!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    01 Dicembre, 2012
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Sono passati 2 anni da “Rise, legions of free men” ed i francesi Galderia hanno finalmente trovato una label che crede in loro (la canadese Metalodic Records) e pubblicato il loro terzo lavoro (nel 2009 avevano debuttato con “Royame de l’universalitè”), intitolato “The universality” e dotato di una splendida copertina, ennesima opera di Felipe Machado Franco. Lo stile della band rimane un’orecchiabilissimo power metal, nella sua versione più happy, chiaramente ispirato soprattutto a gente come Freedom Call e Gamma Ray. Si tratta anche del primo disco con il nuovo bassista Lionel, il cui strumento è forse un po’ troppo relegato in sottofondo ed ad un ruolo da comprimario. A livello di tematiche, chi conosce i Galderia, saprà che si parla di filosofie cosmologiche, quasi a sfondo mistico/religioso. Ma torniamo alla musica di “The universality”, composto da 11 pezzi + intro ed outro (bella lunga a dire il vero!). Si tratta di un lavoro compatto e decisamente frizzante a livello musicale, di facile assimilazione, nonostante alcuni brani presentino minutaggi anche elevati (sono numerosi gli episodi che si aggirano tra i 6 ed i 7 minuti). Indubbiamente la proposta musicale dei Galderia non sarà originalissima, ma la musica di questi quattro francesi comunica sentimenti di allegria e felicità ed il suo ascolto porta una sensazione di benessere e leggerezza che non dispiace assolutamente, coinvolgendo l’utente in questa positività che traspare dalle tematiche trattate. La voce del leader e fondatore della band Seb, inoltre, non dispiace assolutamente, pulita ed acuta al punto giusto, forse un po’ troppo melodica e poco aggressiva, ma non mi sembra sia questo il trend che i Galderia cercano di raggiungere con la loro musica. Brani piacevoli ce ne sono parecchi, dall’inno melodicissimo “Galderians”, alla notevole “Universality” (scelta anche per un singolo che ha preceduto l’album), passando per le ritmate “Sundancers” e “Rising soul”, il culmine si raggiunge forse con “One million dreams”, pezzo che dal vivo saprà sicuramente coinvolgere il pubblico con il suo continuo crescendo. E’ comunque tutto il disco a convincere nel suo insieme, presentando un’altra band che, nel settore power, ha tutte le carte in regola per affermarsi e dire la sua. Concludendo, “The universality” dei francesi Galderia è sicuramente suggerito a tutti i fans del power metal nella versione più happy ed, in attesa dei mostri sacri Helloween e Gamma Ray, può sicuramente essere indicato per farvi trascorrere poco più di un’oretta spensierata.

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    01 Dicembre, 2012
Ultimo aggiornamento: 01 Dicembre, 2012
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Seguo i toscani Nhorizon, sin dai loro esordi con il demo “Oneiric tales” del 2007, cui ha seguito poi l’ottimo debut album “Skydancers” del 2009. Da allora, tre anni di silenzio e qualche cambio di line-up con il chitarrista Giacomo Paradiso che sostituisce Massimo Castri e, soprattutto, il singer Alessandro Buzzo al posto di Lorenzo Ticci. Recensire un lavoro di una band a cui si è legati da un rapporto d’amicizia (il tastierista Fab Muratori fa parte del nostro staff) non è mai facile, per cui preferisco partire non esaltando i pregi di questo E.P. “Nightstalkers”, ma parlando dei relativi difetti. La prima cosa che salta subito all’orecchio è la voce di Alessandro Buzzo che, per quanto mi riguarda, è inferiore a quella del suo predecessore a livello qualitativo; per carità, la tonalità quasi sporca e roca di Alessandro non è male ma, per un genere come quello suonato dai Nhorizon, quel prog/power tanto in voga nel Nord Europa, forse sarebbe stata necessaria un’ugola più pulita e soprattutto più calda. Mi rendo conto che trovare un altro Daniel Estrin (singer degli australiani Voyager), tra le voci migliori dello specifico settore, non è cosa semplice, quindi l’unico suggerimento che posso dare al buon Alessandro Buzzo è quello di cercare di modulare la sua voce in modo meno freddo e più ammaliante, un po’ come cerca di fare all’inizio di “Restless”, brano conclusivo di questo lavoro. Per il resto non mi vengono in mente che pregi per questo E.P., partendo dalle consuete ottime prove del bassista Simone Cantini (semplicemente eccezionale), ottimamente sorretto dal fantasioso drumming di Alessandro Brandi (mai relegato al ruolo di accompagnatore, ma sempre protagonista nel sound della band), finendo per i piacevolissimi assoli di tastiere (Fab in questo è maestro!) e chitarre con la bella scoperta del nuovo arrivo Giacomo Paradiso. Giudicare una band da soli tre pezzi non è esauriente, ma indubbiamente la musica proposta su questo “Nightstalkers” è molto piacevole e raggiunge il proprio apice nella melodicissima e romanticissima “Sequel”, semi-ballad semplicemente strepitosa ed indovinatissima per momenti live con accendino al seguito, con un coretto decisamente easy che si ficca in testa immediatamente ed, in genere, una sorta di allegria di fondo contagiosa! Non sono da meno anche la veloce e robusta “Restless”, nonché la title-track “Nightstalkers” con chiari rimandi al prog dei mostri sacri del settore e ricca di atmosfere e colori differenti. Un ottimo ritorno per i Nhorizon insomma, un biglietto da visita che fa ben sperare per il futuro di questa band che mi auguro presto di ritrovare alle prese con un full-lenght... è strano, in fondo, come un gruppo di tale qualità non abbia ancora un contratto, mentre le labels continuino spesso a produrre immondizie musicali atte solo ad impestare il mercato mondiale!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    19 Novembre, 2012
Ultimo aggiornamento: 26 Novembre, 2012
Top 10 opinionisti  -  

I Sanged nascono in Campania nell’estate del 2009 per la passione verso il thrash del chitarrista e singer Rino “Fury” Bortone; dopo una serie di cambi di formazione, arrivano alla registrazione di questo primo lavoro intitolato “The threat of aggression” (nel frattempo è già cambiato il bassista con Giacinto “Giax” Bianchi che ha sostituito Luigi “Lee” Schiavone), con un simpatico, quanto artigianale, lupo mannaro metallaro in copertina. Come avrete immaginato, i Sanged suonano thrash metal, fortemente ispirato dalla scena americana ma direi che le influenze, più che dai nomi famosi, credo possano riscontrarsi in band più particolari e tecnicamente evolute come soprattutto i grandissimi Heathen, i Defiance e quelle bands della seconda ondata thrash di fine anni ‘80/primissimi ’90. Purtroppo, pur comprendendo le difficoltà economiche di una band ai primi passi, ciò che non mi convince è la registrazione che penalizza, ad esempio, in maniera fortissima la batteria dell’ottimo Luigi “Vinnie” Pio D’Errico, con quel fastidioso effetto “fustino del Dash” sul rullante; l’amalgama sonoro che ne viene fuori non è eccezionale, alquanto “old-fashioned”... diciamo che, se 15/20 anni fa avessi avuto un demo simile, sarebbe stato superiore alla media del periodo, ma nel 2012, con la moderna tecnologia, diventa difficile farsi bastare un suono simile. Ed è davvero un peccato, perché i 4 pezzi (+ la solita inutilissima intro) di “The threat of aggression” sono sicuramente convincenti e coinvolgenti, 4 sfuriate thrash che mettono in mostra una band dalle ottime potenzialità che suona con passione e perizia. Persino la voce del leader Rino “Fury” Bortone, pur non essendo obiettivamente eccezionale, si adatta molto bene al genere per la sua aggressività e malignità. Attendo i Sanged al prossimo lavoro, sperando possano disporre di un budget economico superiore che valorizzi la loro musica al meglio... per adesso promossi con la sufficienza.

P.S. I Sanged mi hanno fornito un'altra versione del demo, ri-masterizzata in maniera più professionale. Molti dei difetti di registrazione sono scomparsi e resta solo un rullante freddo e poco "corposo" che non mi convince. Per il resto, siamo a livelli sicuramente migliori!

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