Opinione scritta da Celestial Dream
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Top 10 opinionisti -
Non c'è bisogno di molte presentazioni quando si parla degli Edenbridge che arrivano all'ottavo album in carriera con questo "The Bonding". La band austriaca dal "lontano" 2000 ha piazzato sempre buonissimi dischi ad iniziare dal sorprendente debutto "Sunrise in Eden" dalle tinte più power, passando attraverso il bellissimo "Arcana", mio preferito della band, fino all'ultimo "Solitaire". Il sound della band in questi anni è cambiato, abbandonando la velocità dei primi album a favore di songs più ricercate, ma mantenendo sempre orchestrazioni e arrangiamenti sopraffini, ad opera del mastermind Lanvall, piccolo grande genio compositivo.
"The bonding" è un disco non facile, che necessita di alcuni attenti ascolti per essere compreso pienamente in tutto il suo potenziale. Nove brani che seguono una via comune fatta di melodie ricercate, orchestrazioni, arrangiamenti sublimi, con la band che grazie anche all'aiuto economico dei propri fans, ha potuto contare su una vera e propria orchestra, ottenendo un risultato perfetto; pochissime band possono vantare una produzione come quella che troviamo in questo disco. Parlare di metal quando si ha a che fare con gli Edenbridge è riduttivo; il loro sound va oltre i normali limiti tracciati dai generi, con composizioni sofisticate e ricche di svariate influenze. Ascoltate questo disco chiudendo gli occhi e lasciatevi trasportare dalle sue note; vi sentirete liberi come un'aquila che apre le ali e si destreggia tra le nuvole. Detto questo è inutile citare i brani uno ad uno; "The bonding" è un disco da ascoltare tutto d'un fiato..
Potrei parlarvi del singolo (da vedere il bel video girato per questa song) "Alight a new tomorrow", una canzone di facile presa ma non per questo scontata o dell'orchestrale "The invisible force" canzone bombastica in pieno stile Edenbridge, con un bel riff stoppato ed un coro che cattura. La semi ballad "Death is not the end" ci fa sognare e presenta uno splendido solo di chitarra ad opera di Lanvall. Si arriva così alla title track, una suite di oltre 15 minuti ricca di spunti interessanti, e spicca la parte strumentale dove a farla da padrone è la chitarra acustica di Lanvall ed il duetto tra Sabine ed Erik Martensson (WET), ma ripeto, ogni canzone in questo disco è una piccola gemma da scoprire.
Insomma il nuovo disco degli Edenbridge si dimostra all'altezza delle aspettative; la band austriaca è maestra nel comporre brani intensi e ricchi di pathos ed atmosfere e "The Bonding", pur privo di qualche power songs che a noi vecchiotti avrebbe fatto piacere, è un disco consigliatissimo e di gran classe. Un viaggio fatto di visioni ed emozioni, di suoni e colori..
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Attivi da oltre 2 decadi, solo negli ultimi anni i Lonewolf sono riusciti ad ottenere una certa visibilità e qualche successo, e con "The fourth and final horsemancon " arrivano a stampare il loro sesto disco in carriera. La band francese suona un heavy metal senza fronzoli ed orchestrazioni ma che ricorda da lontano i cugini tedeschi Powerwolf, anche se il sound dei primi come detto è molto più spoglio, e non a caso la produzione è stata affidata al bassista della band teutonica, ovvero Charles Greywolf.
Si alternano così mid tempos come la title track posta in apertura e qualche (rara) canzone più spedita, vedi "Hellride", sempre rispettando una struttura semplice, ma che colpisce fin da subito grazie a riff potentissimi, melodie facili (e banali) e solos melodici. Sono proprio le parti di chitarra a risultare l'aspetto più positivo di questo disco mentre la voce roca di Alex Hilbert, che ben si adatta al sound della band, si dimostra troppo monotona, non cambiando mai tonalità in tutta la durata dell'album. Inoltre le canzoni fanno fatica a prendere, con melodie raramente interessanti, sia quando viene lasciato Alex cantare in solitaria, sia quando si provano ad inserire dei cori. Quando risulta difficile pescare dalla tracklist delle canzoni interessanti da consigliarvi, allora c'è qualcosa che non va e questo è il caso di questo lavoro. dove si distinguono un pò dalla media solo la melodica "Guardian Angel" o l'epica "The poison of mankind".
La bellissima copertina non va a pari passo con il contenuto del disco; il nuovo capitolo targato Lonewolf è un lavoro onesto che riesce a trasmettere carica ma che manca completamente di qualche guizzo vincente che ne attribuirebbe maggior interesse, mantenendolo quindi sempre sul pericoloso filo della sufficienza.
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Dalla Grecia arriva un nuovo progetto di melodic hard rock con i Farraday. Roy Da Vis, singer, compositore, e tutto fare (anche chitarrista e tastierista in questo album) insieme all'amico Stathis Spiliotopoulos, produttore ma anche drummer e bassista, si sono uniti per dar luce a questo disco, "Shade of love", che contiene 10 canzoni tutt'altro che da disprezzare, di musica iper melodica e facile da digerire, come nella migliore tradizione Aor.
Poca originalità, produzione non eccelsa e persino la voce di Roy non è da ricordare nei decenni a venire, ma i Farraday piazzano una decina di songs piacevoli ad iniziare da "Rock U (The old fashion way)" e con la title track, un mid tempo ultra melodico. "Can't wait for love" non farà fatica a piacervi se amate queste sonorità grazie ad un bel coro, così come la bellissima ballata "There for you" mentre a chiudere il disco ci pensa l'ottima "When passion burns" forse la vera hit del disco.
Niente di straordinario quindi, ma se amate questa musica, se siete fans di bands come i Last Autumn's Dream e della scena melodica in generale, qui trovate un disco piacevole che potrà farvi trascorrere qualche oretta in compagnia di buona musica.
Ultimo aggiornamento: 11 Giugno, 2013
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"Chi non muore si rivede" diceva un vecchio proverbio e allora ecco che i Masterplan ritornano sulle scene dopo tre anni dal discreto "Time to be king" che aveva visto il ritorno di Jorn Lande al microfono. Una storia travagliata quella tra i Masterplan ed il biondo singer norvegese, un lungo tira e molla degno della famosa telenovela Beautiful e tristemente conclusa (ne siamo sicuri?) con il nuovo abbandono del cantante che non permetteva alla band una costante attività live, visti i suoi numerosi altri impegni. I Masterplan Versione 2013 sono una band completamente rivoluzionata con un look totalmente nuovo e Lande che viene sostituito da Rick Atzi (At Vance, Thunderstone e molti altri), e con Jari Kainulainen al basso e Martin Škaroupka (Cradle Of Filth) alla batteria.
Cosa aspettarsi da questi nuovi Masterplan? Il metal melodico, con quel tocco di progressive che aveva caratterizzato le prime uscite, è sempre presente, ma in quantità inferiore rispetto al passato. "Novum initium" suona più come un disco di heavy metal melodico tradizionale, e nel complesso è difficile osannare questo lavoro perchè i brani che lo compongono, pur essendo spesso validi, non coinvincono appieno... Sarà che il songwriting di Grapow non è più quello dei tempi d'oro, sarà che Jorn al microfono fa a dir poco la differenza e Atzi non è assolutamente all'altezza, ma "Novum initium" rimane un disco nella norma e quindi una mezza delusione, vista l'attesa che si portava dietro. I brani migliori li troviamo in "Keep Your Dream Alive" che un po' segue le caratteristiche degli storici singoli della band e "The game" pezzo potente che ci presenta subito il nuovo singer. Che dire quindi di lui? Atzi è il solito Atzi... chi ha già avuto modo di ascoltarlo nelle sue altre band sa cosa aspettarsi... Io personalmente non apprezzo molto il suo timbro e sono convinto che in ogni band in cui è subentrato, ha sempre fatto rimpiangere il suo predecessore, vedi At Vance e Thunderstone. Tornando al disco, la seconda parte è senza dubbio la migliore con il power sinfonico di "No escape", la veloce "Return From Avalon" e la power ballad "Through Your Eyes".
Insomma i Masterplan tornano in careggiata con un disco che si aggira attorno alla sufficienza ed con un cantante che non farà certo dimenticare il caro vecchio Jorn. Grapow deve guardarsi allo specchio e capire che attualmente questa band non è all'altezza del suo passato. Spiace dirlo ma ci si attendeva molto di più, sarà per la prossima?
Ultimo aggiornamento: 11 Giugno, 2013
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I Powerwold nascevano nel lontano 2005 da una costola dei Freedom Call, ovvero dal bassista Ilker Ersin (tornato di recente nella band capitanata da Chris Bay), con l'intento nel primo disco di riproporre l'happy metal dei cugini tedeschi. Con l'andare del tempo il sound dei Powerworld è mutato parecchio ed ora con il terzo album, "Cybersteria", troviamo una band dal sound maturo con chiari riferimenti all'hard rock ed all'heavy-power melodico. Musica più matura dicevamo, accompagnata anche da tematiche più ricercate; il nuovo disco è una sorta di concept album che racconta dell'impoverimento umano con i rapporti che sono diventati sempre più virtuali, e di come le nostre vite siano ormai spiate tramite internet e i vari social networks.
Terzo cantante in tre dischi; dopo la parentesi nel debutto del non eccelso Steffen Brunner seguito dall'ottimo Andrew Mac McDermott (Threshold, come saprete scomparso nel 2011) presente nel secondo lavoro della band, il buon Ilker, vista anche la direzione che stava prendendo il sound in fase di songwriter, ha ingaggiato il grande Michael Bormann (Bonfire, Jaded Heart, Bloodbound e moltissime altre) cantante tedesco che ha prestato la sua voce a numerose bands (ed ha curato le backing vocals dei precedenti lavori dei Powerworld). Il suo timbro come sappiamo si adatta alla perfezione all'hard rock, e anche questo incide nel nuovo corso dei Powerworld che potrete apprezzare in brani di impatto come "Back on me", tipica song da singolo apripista, "Black ash" e la bellissima title-track. Basta ascoltare un brano di puro Hard Rock, che molto deve ai primi Gotthard, come "World knows your secret - Virtuality" per capire il nuovo approcio della band che riesce a risultare power in pochissimi episodi come la positivissima "You will find a way".
Come detto, "Cybersteria" è un disco niente male, che punta molto sulla sua omogeneità con alcuni pezzi davvero ben fatti. ma se vi aspettate del power metal tradizionale avete sbagliato prodotto. I Powerworld ormai non hanno più niente di power tranne il nome!
Ultimo aggiornamento: 11 Giugno, 2013
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Ammetto che gli Ivanhoe sono una band che ho sempre voluto seguire ma che alla fine ho continuato per vari motivi a lasciare da parte. Era destino che prima o poi io e questo gruppo ci saremmo incontrati e questo accade ora con "Systematrix", loro sesto lavoro in studio. La storica prog metal band tedesca però debuttò nel lontano 1994 con "Visions and reality" e di tempo ne è passato, dimostrandosi un tipico gruppo che fa le cose con calma (anche contando la pausa tra il 1997 ed il 2001 dopo l'abbandono del singer Andy B. Franck dei Brainstorm) e non nascondo che nutro massimo rispetto per queste rare realtà (chi ha detto Shadow Gallery?).
Gli Ivanhoe han dovuto affrontare tanti cambi di line-up nella loro carriera, non ultimo quello dell'abbandono di Achim Welsch un paio d'anni fa che ha così lasciato tutta la responsabilità del songwriting sulle spalle del leader e membro fondatore Giovanni Soulas che infatti è autore di quasi tutta la musica di "Systematrix"; un album moderno, forse coraggioso ma che possiede davvero rari momenti interessanti e, ascolto dopo ascolto, si rimane abbastanza freddi di fronte alle 10 songs che lo compongono (12 per la versione digipack). Piace "Human Letargo" con il bravo Mang alla voce che si ispira chiaramente a Daniel Gildenlow (Pain of salvation) e la lenta "Madhouse". Piace anche la strumentale "Seduction", ma in generale il disco rimane sempre su livelli costantemente piatti.
Troppo poco per una band che si porta dietro un nome niente male. Mi aspettavo decisamente di più dagli Ivanhoe e sarei un bugiardo ad affermare che "Systematrix" è un disco da non lasciarsi sfuggire. Delusione.
Ultimo aggiornamento: 10 Giugno, 2013
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Ai fans del symphonic female power metal gli Amberian Dawn non suoneranno nuovi; in effetti il gruppo finlandese si colloca a metà tra le bands super famose (Nightwish, Epica, etc) e quelle che fan parte dell'underground, e hanno all'attivo ben 4 dischi, tutti di discreto livello. Ora visto l'ennesimo cambio di line-up, si è deciso di ri-registrare alcune songs pescate dai precedenti lavori, con la nuova formazione per presentare la nuova singer Paivi "Capri" Virkkunen su cui la band crede moltissimo.
Chiaro che essendo una specie di "best of" contenente i migliori pezzi composti dalla band, il livello del disco è piuttosto buono ed ogni brano è valido. Se amate questo stile di musica (primi Nightwish, Stratovarius..) e non date troppo peso all'originalità allora canzoni che vi piaceranno ne troverete molte come l'iniziale "Valkyries", la veloce e sinfonica "Lily of the Moon", la teatrale "Crimson Flower", la lenta "---"... insomma ce n'è per tutti i gusti e per quanto riguarda la voce di Capri, non c'è dubbio che la nuova singer ci sappia decisamente fare. Non aspettatevi una voce lirica in stile Tarja ma un timbro più tradizionale, per certi versi accostabile alla bella Elize Ryd (Amaranthe, Avalon).
Un lavoro utile ai veri fans per scoprire la voce di Capri, un disco interessante per chi non ha mai ascoltato questa band e vuole farsi un corso accellerato sulla loro discografia; per tutti gli altri "Re-Evolution" è un album piuttosto inutile. A voi la scelta!
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Secondo disco per i finlandesi Soulhealer autori di un heavy metal melodico che sconfina a tratti verso sonorità hard rock. La band nordica non compone un disco da tramandare ai posteri ma dimostra di saperci fare e "Chasing the dream" contiene dieci pezzi di buona fattura che vi faranno trascorrere 50 minuti in compagnia di buona musica.
Ascoltando questo disco mi viene da pensare che esistono decine di bands molto più pompate ma che valgono la metà di questi Soulhealer, basta ascoltare l'heavy melodico della splendida opener per rendersene conto; un pezzo che senza inventare nulla piace già dai primi accolti, così come il mid tempo molto catchy che risponde al nome di " The Deception" per la quale la band ha registrato un video promozionale. E il bello deve ancora venire con la title track, pezzo dai ritmi medio alti con un bel chorus molto 80's, forse il migliore dell'album, ma meritano sicuramente anche le più che positive "Finally free" e "Into the fire", anche se diciamoci la verità, ogni brano non è affatto male!
Voi continuate pure ad osannare ed a comprarvi le nuove uscite dei mostri sacri che in attesa di andare in pensione ogni tanto pubblicano qualcosa giusto per racimolare qualche altro soldo dai propri fans. Io preferisco puntare su queste nuove bands che di ispirazione ed energia ne hanno il doppio. I Soulhealer mi sembrano il classico gruppo che non arriverà mai a comporre un capolavoro ma che, restando sempre fedeli al loro sound e rimandendo un pò nell'ombra, potrà produrre dei buoni dischi ben sopra la media. Mi sento di consigliarvi all'ascolto di "Chasing the dream", un album di valore che non sfigurerà in nessuna collezione di dischi.
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Gli Amaze me non sono dei novellini visto che negli anni '90 pubblicarono ben tre dischi. Dopo un best of uscito lo scorso anno ("Ultimate Collection") ora tornano con un nuovo full lenght "Guilty As Sin", che contiene una dozzina di nuovi brani. Guidati dalla coppia Peter Broman (songwriting, strumenti e produzione) e Conny Lind (voce) i nostri dimostrano di saperci ancora fare piazzando alcuni pezzi di buona fattura, che faranno la felicità di quegli aor maniacs che sapranno passare oltre l'orrenda copertina.
Dodici songs brevi e di facile ascolto (la durata del disco si aggira sui 40 minuti); non tutti di alto livello, ma diciamo che la media si mantiene sempre sopra, anche se di poco, la sufficienza, senza toccare probabilmente mai vette altissime ma allo stesso tempo senza mai sbagliare completamente il tiro. Brani come l'opener o "Can't Stop Loving You" sono ottimi esempi di aor ben composto, così come piacciono la title track e la lenta "Dying To Be Loved". Peccato che non tutti i brani siano su questo livello o si poteva ambire a qualcosa di più.
Insomma mancano delle vere e proprie hits e sono presenti 3-4 fillers; "Guilty as sin" è un disco nella media per una band che non ha un talento cristallino ma che ha saputo scrivere una manciata di buone songs. Si poteva fare di più ma comunque piacevole.
Ultimo aggiornamento: 05 Giugno, 2013
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Una nuova super band è alle porte: l'unione di John West alla voce con il tastierista Mystheria ed il drummer John Macaluso, insieme al chitarrista Roger Staffelbach, musicisti che hanno già condiviso esperienze musicali importanti insieme con gli Angels of Eden e gli Artension, dà vita a questo nuovo progetto che unisce melodic power metal e neoclassic senza inventare nulla di nuovo ma con una certa ed innegabile maestria.
La tecnica e l'esperienza non manca di certo a questi personaggi ma quello che conta aldilà di tutto sono i brani e parliamoci chiaro, "Across The Seven Seas" non convince appieno perchè i pezzi che lo compongono fanno fatica a decollare e danno sempre l'idea che si potesse osare di più. Dall'iniziale e rocciosa "2012" alla neoclassica "Devout" con le keys di Mystheria in evidenza, passando per la bella ballata "You`re Still Away" (impreziosita dallo splendido timbro di John West, davvero a suo agio in questo disco); tutto fatto bene nella forma, peccato che sono pochi i momenti che rimangono e colpiscono l'ascoltatore. E non è solo questione di originalità basti pensare al nuovo disco di Timo Tolkki che pur girando sempre attorno alle solite cose, ha piazzato alcuni brani favolosi. Piace il bel mid tempo della title track, così come "Demon In My Mind" che segue le lezioni impartite negli anni da Yngwie J. Malmsteen, peccato per il chorus che sa troppo di già sentito, mentre "You`re Still Away" e "Nightmare Life" sono altri due brani ben composti ed eseguiti ma che, come in precedenza, non fanno gridare al miracolo.
Non basta un'ottima produzione, nè la gran voce e l'ottima prestazione di John West come non è sufficiente la tecnica messa in campo dagli altri musicisti coinvolti. Zero originalità già a partire dal pessimo nome della band, dalla copertina e nelle songs.. La musica non è matematica e non è unendo e sommando il talento dei musicisti che si misura il risultato finale. Nonostante le ottime premesse gli Artlantica non riescono a comporre delle songs abbastanza accattivanti da meritare l'attenzione di noi fans di questa musica. "Across The Seven Seas" non è un brutto disco ma manca di momenti veramente vincenti per poter emergere dalla mediocrità.
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