Opinione scritta da Celestial Dream
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Top 10 opinionisti -
Secondo disco per la band madrilena che per l'occasione presenta anche alcuni ospiti di gran richiamo come Zeta e Patricia Tapia (MAGO DE OZ), Nacho Ruiz (SANTELMO) e Ronnie Romero (ex-SANTELMO) e una specie di concept album in cui ogni canzone ci narra qualche racconto fantastico.
Un approcio originale quello dei Perfect Smile che uniscono il power metal al prog, al jazz e ad orchestrazioni che ricordano le colonne sonore dei film di Tim Burton ottenendo un sound non molto distante da quello dei cugini Amadeus. E così sin dall'inizio del disco si è catapultati in questo mondo fatto di songs non certo tradizionali come "Cazadores de brujas" che racchiude in sè diversi generi spaziando dal power al prog rock. Anche le melodie non sono affatto banali e questo a tratti gioca anche a sfavore dei Perfect Smile e di questo album, visto che sono pochi i ritornelli che rimangono in testa e la sensazione che si ha a volte è che manchi qualcosa ai brani per poter decollare come si deve. Questa è la pecca del disco, sicuramente non trascurabile ma unica. Per il resto troviamo buoni brani come "Diamantes y oro" con il suo impatto melodico e l'iniziale e più tradizionale "Luz del alba" che è ciò che più si avvicina al power metal a cui siamo abituati. Piace "Un amor de ensueno" che presenta dei coretti ben costruiti così come la melodic song "Cita a ciegas", ma la vera hit del disco la troviamo verso la fine con "Un disfraz genial", bel brano che contiene tutta l'essenza della musica della band spagnola.
Il consiglio che posso darvi è di ascoltare qualcosa di questa band perchè potreste rimanere piacevolmente sorpresi dalla loro proposta. Un disco che va ascoltato più vlte perchè non immediato e che potrebbe essere una colonna sonora per qualche racconto o qualche film; i Perfect Smile hanno classe ed in un futuro non molto lontano, sistemando due o tre cosette qua e là, potrebbero davvero presentarci un gran bel disco. Intanto un 4 anche un pò sulla fiducia..
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I Death Dealer suonano heavy metal punto e basta. Non c'è moltissimo da aggiungere a questa affermazione perchè questo debutto della band Statunitense è un concentrato di energia e potenza senza fronzoli. Dieci tracce dove troverete riff tritaossa, solos veloci di scuola americana, una sessione ritmica indiavolata ed una voce acuta Halfordiana come quella del bravo Sean Peck. Una all star band che comprende i due ex Manowar, Ross The Boss alla chitarra e Rhino alla batteria, ma anche il bassista Mike Davis (Halford, Ozzy, Lizzy Borden), Stu Marshall (Empires Of Eden, Ronny Munroe, Dungeon) all'altra chitarra ed il già citato Sean Peck alla voce (Cage).
Da questa super band era lecito aspettarsi un gran disco ed in effetti è così; songs come l'aggressiva opener "Death Dealer", il mid tempo "Children of flames" o la speed "Curse of the heretic" faranno la felicità dei fans dei grandi Judas Priest e dell'heavy-thrash di scuola USA, visto che brani come la title track ricordano a tratti la cattiveria sonora degli Slayer.
"War Master" è una bomba ad orologeria che aspetta solo che premiate start per esplodervi nelle orecchie. I Death Dealer mancano totalmente di originalità ma piazzano dieci brani che sono oro che cola per gli amanti di questo genere.
Ultimo aggiornamento: 15 Agosto, 2013
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Un debutto di gran livello ("Silent Symphony", 2009); un secondo disco che ancora (nel nostro continente) non vede la luce tramite Limb. Questi i presupposti di Lotus, disco che andiamo a recensire e che mi sono procurato dal mercato Asiatico (uscito nel 2010 tramite Spiritual Beast). Un concentrato di power metal sinfonico tra primi Secret Sphere, Rhapsody e Dark Moor come dimostra la favolosa Title Track (una delle migliori power metal songs degli ultimi anni) che apre il disco dopo l'intro orchestrale.
Ma l'album è pieno zeppo di grandi brani come "Still unlabeled" dove arrangiamenti orchestrali ben si sposano con il lato più power e ottime melodie vocali. La band iberica non sbaglia niente e Christopher è esemplare al microfono, un singer nato e cresciuto per queste sonorità. Ana De Miguel al piano e tastiere dà una marcia in più ai pezzi, come in "Walls And Waves", altra indubbia hit. Il finale lascia spazio ad un quartetto di livello assoluto formato dalla melodic song "Strangers In Life", dalle più power "Mothers" e "The Last Ray Of The Sun" (quest'ultima cn un immenso chorus!), ed infine "Breaking The Silence".
"Lotus" è un disco obbligatorio per ogni fans del power metal sinfonico (cercatelo su Amazon) e se siete rimasti indietro correte a procurarvi anche il gran bel debutto di questa band. Grandi Delirion!
Ultimo aggiornamento: 15 Agosto, 2013
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Tra le metal opera che non entreranno nella storia del genere, ecco a voi i Lucid Dreaming che debuttano con questo "The Chronicles pt. 1". Lucid Dreaming nasce dall'idea del chitarrista degli Elvenpath Till Oberboßel , che si è occupato di tutte le musiche ed i testi. "The Chronicles pt. 1" non è un album molto orchestrale, ma più power metal oriented con diversi cambi di tempo ma senza mai cadere troppo nel sinfonico puro (come capitato con Avantasia molto spesso). Già dal titolo si presume che ci sarà una seconda parte, ed in effetti questi sono i piani futuri di questo progetto, ma scusate la mia franchezza, il buon Till deve trovare un songwriting più incisivo se vuole combinare qualcosa di veramente buono sotto questo monicker.
Gli artisti coinvolti non sono Kiske e nemmeno Jorn ma musicisti e cantanti più underground come, alla voce, Alexx Stahl (Roxxcalibur), Jutta Weinhold (ex-Zed Yago, Jutta Weinhold Band), Thassilo Herbert (Dragonsfire), e Leo Stivala (Forsaken), singers che forse mai avete sentito nominare ma che vi assicuro sanno muoversi piuttosto bene. In effetti i problemi del disco sono da cercarsi altrove, ovvero in fase di costruzione dei brani. Le songs svariano tra pezzi veloci, mid tempos e pezzi lenti, con qualche inserto più folk, ma risultano a tratti banali e soprattutto troppo spesso dispersive, con rari momenti che fanno drizzare le orecchie all'ascoltatore che invece, come nel mio caso, tende a perdere la concentrazione dopo poco. Questo disco mi ha ricordato un'altra "metal opera" uscita per Underground Symphony parecchi anni addietro ovvero i Final Chapter, e anche lì i problemi erano pressochè i medesimi. Tolta l'immancabile intro, da "Motherless Child" fino all'ultima track "Farewell" troviamo brani ben composti sulla carta ma che non fanno molto per distinguersi (sfido chiunque a trovarmi un refrain degno d'attenzione!), e alla fine di questo lungo disco mi sono chiesto più volte: "Ma davvero devo riascoltarlo dall'inizio?".
Insomma la Limb continua a restare lontana dai fasti del passato e, tranne rare eccezioni, si accontenta di queste produzioni di medio livello. Il progetto Lucid Dreaming non può che essere parzialmente bocciato e lasciatemelo dire, c'è molto di meglio in giro, magari senza uscire dal nostro spesso bistrattato stivale.
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Che senso ha un disco del genere? Bisognerebbe chiederlo al boss della Doolittle Group, Christian Liljegren.. 17 brani che compongono una compilation dedicata a Gesù e al Christian Metal, tematiche che hanno fatto la fortuna del singer svedese nella sua lunga carriera. Canzoni che probabilmennte già conoscete, estratte da dischi di Narnia, Divinefire, Golden Resurrection, Audiovision e Modest Attraction.
"Living water" e "Long live the king" degli storici Narnia (6 album in studio) sono brani che hanno fatto la storia del White Metal ma le due songs scelte dalle produzioni targate Audiovision (splendido il loro secondo disco "Focus") sono altrettanto valide, su tutte la splendida "We Will Go". I Golden Resurrection sono tra le band più calde degli ultimi anni (pubblicando tre grandi dischi, in particolare il debutto "Glory to my king") sono qui rappresentati da splendide songs come "Golden Resurrection" o "Proud To Wear The Holy Cross", e poi i Divinefire (5 album in studio), altra creatura del singer Liljegren che unisce il metal neoclassico con soluzioni più estreme, riff di granito e a volte qualche inserto growl. Troverete un bell'esempio della loro proposta con "Divinefire" e "Never surrender". L'altra band, a me sconosciuta, qui presente sono i Modest Attraction, gruppo hard rock (tra Deep Purple, Rainbow, The Sweet e Uriah Heep) attivo tra il 1991 e il 1997 in cui hanno composto due dischi in cui era contenuta la song qui estratta, "Down On My Knees" che onestamente non aggiunge molto alla compilation.
Non si può negare che questo disco contenga ottimi brani, viste le band coivolte. E' altrettanto chiaro che per chi già possiede questi dischi e conosce queste songs, questo album sia completamente inutile. Più utile per chi vuole scoprire da zero questi gruppi e fare un viaggio attraverso il White Metal svedese degli ultimi 15 anni. Ma anche qui il mio consiglio è di cercarvi uno ad uno i dischi di Narnia, Golden Resurrection, Audiovision e Divinefire. In ogni caso a me questa sembra una vera e propria mossa commericiale per tirare su qualche soldo senza il minimo impegno. Un 4,5 per il contenuto, ma un 1,5 per l'utilità del disco, la media è 3.
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E' vero, me le vado proprio a cercare.. perchè uno con un filo di sale in testa non andrebbe ad ascoltarsi un disco che si intitola Babbuini del Metallo! Sarò masochista in ambito musicale ma mi piace andare alla scoperta di band underground e a volte salta fuori il colpaccio. Altre volte, come in questo caso, si mastica amaro e ci si pone la classica domanda: "Ma perchè l'ho fatto?".
La band non si prende molto sul serio (anche la copertina potrebbe testimoniarlo), anzi potremmo definire i El reno ranardo come i Prophilax o i Nanowar of Steel di Spagna. Le loro songs sono un pò una presa in giro dei soliti clichè del genere power metal usando testi burloni che vanno a ironizzare sui fatti della società odierna (politica..) o sulla musica. Di canzoni di qualità però neanche l'ombra; "Game over", "Violenta Revolucion" e "No hay huevos" sono alcune delle poche songs che si salvano.
Produzione di qualità non eccelsa, songwriting che stanca già dai primi ascolti e la voce del singer che lascia alquanto perplessi; si può essere goliardici quanto si vuole ma se supportati da una certa preparazione e da songs valide dal punto di vista del songwriting. Qui invece non ci siamo proprio e per il prossimo sorprendente "gruppo da scovare" dovrò guardare altrove!
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Dal Perù arriva il debutto di questa sensazionale power metal band chiamata Nautiluz. "Leaving all behind" è un disco che ogni amante di gruppi come Galneryus, primi Sonata Arctica e Golden Resurrection deve procurarsi perchè qui abbiamo tra le mani un gioiellino che raramente capita di trovare.
Ritmi veloci, tappeti di tastiere, riff potenti, voce acuta, cori e melodie ben costruite: tutto quello che noi power metallers vogliamo trovare in un disco, è contenuto in "Leaving all behind". Canzoni come "Under the moonlight" o "The mirror" (che riff iniziale!) sono vere e proprie mazzate sonore che non possono che fare la gioia di tutti gli amanti di queste sonorità. La giovane band Sudamericana è preparatissima tecnicamente e anche Sebastian Flores alla voce si dimostra un gran bel talento. Brano dopo brano troverete "Leaving all behind" sempre più convincente grazie a songs come la più cadenzata "Burning hearts", la ballata "Unwritten serenade" e la portentosa title track, ma potrei davvero non fermarmi più e citarvi ogni songs contenuta in questo disco d'esordio.
Inutile aggiungere altro, l'ingresso in scena dei Nautliz è spettacolare e "Leaving all behind" (disponibile scrivendo direttamente alla band) è un debutto coi fuochi d'artificio che ogni fans del power metal veloce e melodico non può lasciarsi sfuggire. Power' standing ovation!
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La New Venture Music è una nuova etichetta che si presenta sul mercato discografico con il terzo disco degli italianissimi Markonee (e con il bellissimo debutto degli Indicco già recensito in queste pagine), band fondata nel 1999, capitanata da Stefano Peresson chitarrista ex Danger Zone e Carlo Bevilacqua, che segue il sound di band come Gotthard e Firehouse. Una cosa che mi ha colpito è la storia del gruppo, il fatto che il nome scelto è dedicato a Guglielmo Marconi ed il debutto del 2006 “The Spirit Of Radio” fu un concept sull'invenzione della radio. Con il secondo album “See The Thunder” la band riuscì a suonare parecchi live show in compagnia di band piuttosto blasonate come Winger, Gotthard, White Lion, The Sweet, Molly Hatchet, Tyketto etc etc...
Ammetto che non ho ascoltato i lavori precedenti dei Markonee, quindi mi sono affacciato a questo disco senza sapere bene cosa aspettarmi. I dodici brani che lo compongono, tutti scritti da Stefano Peresson, sono ben composti con il quintetto bolognese che si destreggia piuttosto bene tra riff da far scuotere il cranio e refrain da canticchiare e ne sono un esempio lampante l'opener "Native European" o la title track "Club of Broken Hearts". La masculina "I Say No (To The V Words)" si alterna con la lenta "Never Ever Loved Me", mentre "Angel, She Kept Me Alive" si candida a vera hit del disco grazie al suo ritmo veloce e ad un impatto melodico degno di nota. L'anthem "Rock City" è un omaggio a Bologna, città d'origine della band, e anche qui il nuovo singer, Alessio Trapella si dimostra un talento niente male, capace di interpretare assai bene le varie songs.
I Markonee sono un'altra ottima realtà del panorama melodic rock nostrano. "Club of broken hearts" è un lavoro che forse manca di vere e proprie hits indimenticabili, ma che risulta solido, senza cedimenti e capace di reggere il confronto anche con acts stranieri molto più quotati. Siete avvisati!
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Grazie alla sempre attenta Yesterrock abbiamo qui tra le mani un dischetto rarissimo, datato 1986 che fu stampato solamente su pochissime copie in versione vinile, poichè al tempo la Epic Records credette poco a questo "progetto". Rimasterizzato dagli MSM Studios di Monaco, "Ten stories" racchiude 10 canzoni scritte dal songwriter e cantante Jef Scott (ma anche chitarrista e bassista), dieci songs che anche dopo quasi 3 decenni risultano fresche, trasmettendo quel sound che ora si è un pò perso ma che negli 80's ha fatto appassionare molte persone.
Canzoni come "One by one", "You are the only one" , "Graceland" e "Only you" faranno la felicità di molti aor maniacs ed in particolare di quelli più legati alle sonorità "datate" di questo genere, di quando questa musica regnava padrona nelle radio di mezzo mondo. Un american hard rock melodico e commerciale con una produzione dal sound "leggero" con suoni puliti e la voce calda del buon Jef (Australiano di nascita ma Americano di adozione).
Una ristampa forse non essenziale ma interessante e degna di nota.
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Tornano dopo otto anni i The Storyteller, cult band svedese che fece parte dell'ondata di gruppi che tra il finire del secolo scorso e l'inizio del nuovo, portò il power metal svedese al grande successo insieme a Crystal Eyes, Insania, Zonata, Freternia e Morifade.
La band ha sempre avuto uno stile epico e potente riconducibile, con le dovute proporzioni, a quello dei Blind Guardian, ma il nuovo disco cambia leggermente sound e ci presenta 11 brani più snelli e diretti, potenti e più rivolti al heavy power. "Release me" apre le danze con un power metal tradizionale fatto di doppia cassa, riff stoppati ed un buon chorus anche se L.G. Person, singer della band, mette in mostra qualche carenza. Con "Strenght of Valhalla" troviamo un sound più heavy in stile Stormwarrior, che non dispiace, anche se il brano sembra un pochino banalotto. E' niente però a confronto dell'epica "Dark legacy" e dell'oscura "Uninvited Guest" che fanno fatica a colpire nel segno, soprattutto quest'ultima si dimostra un pezzo piuttosto scialbo. Si continua così con pochi momenti di buona musica; se "Forever they shall kneel" ha dei sussulti, si ritorna a sbadigliare con "God of gods" mid tempo soporifero e "Upon your icy thorone". La chiusura è affidata alla buona "Break the bounds" con la sua partenza in stile Maiden ed un buon refrain, mentre la lenta "Sands of time" e "Battle of Yggdrasil" ritornano a non convincere.
Non ci siamo proprio; il ritorno dei The Storyteller è un lavoro con tanti difetti e quasi nessun pregio (qualche buon solo di chitarra va segnalato, oltre che un paio di buoni brani elencati sopra). Non solo l'originalità manca totalmente, e questo ce l'aspettavamo. Quello che penalizza fortemente "Dark legacy" è la qualità dei brani che spesso risulta piuttosto bassa e raramente tocca momenti di interesse (e qui le attese erano diverse). Un disco decisamente mediocre e da lasciare lì dov'è!
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