Opinione scritta da Celestial Dream
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Top 10 opinionisti -
La musica non ha confini e l'Aor arriva fino all'Olanda con questi Sparklands, quintetto capitanato dai fratelli Riekerk che hanno composto le musiche e i testi di questo debutto spinti dalla passione verso questa musica e bands come Bad English, Giant, Toto and Foreigner tramandata addirittura dai genitori. Ed ora che il padre è venuto a mancare qualche anno fa i due fratelli pubblicano questo album, con in particolare la song “Tomocyclus” dedicata proprio al papà scomparso. Una storia triste ma che rappresenta la passione vera verso queste sonorità.
In realtà sia Thomas che Robert bazzicano il music business da diversi anni collaborando con alcuni artisti del mondo rock e pop quind non aspettatevi dei musicisti alle prime armi. Il sound di “Tomocyclus” si rifà agli storici ed indimenticabili anni '80, a bands come Foreigner e Toto e niente ha a che fare con la scuola scandinava tanto in voga ultimamente. Un album che si lascia ascoltare senza però convincere particolarmente a causa di alcuni pezzi che scivolano va senza esaltare. Tra le songs che spiccano bisogna citare senza dubbio la splendida ballata “Shattered dream” esempio di gran classe, la strumentale "Sparklands", l'iniziale "The game" e poco altro. I brani nel complesso non graffiano, risultano scialbi e poco incisivi anche nelle linee vocali.
Nonostante le buone premesse questo debutto degli Sparklands non può che lasciare luci (poche) e ombre (tante). Un lavoro non indimenticabile, un po' noioso e che si ferma sotto la sufficienza.
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Terzo disco per gli svedesi Coldspell che dopo due buoni album, “Infinite Stargaze” del 2009 e “Out from the cold” del 2011, giungono alla prova del 9 come si usa dire. “Frozen paradise”, mixato ancora una volta da Tommy Hansen, è un lavoro solido che presenta riff potenti accompagnati da melodie sempre in primo piano ed immancabili tastiere ad accompagnare il tutto. Possiamo dire che i Coldspell suonano quel hard rock melodico di scuola scandinava ma in maniera forse un po' più “metal” rispetto ai colleghi nordici.
I buoni brani non mancano come “Paradise”, “On the run” e “Angel of the world”, e Niklas Swedentorp alla voce è il cantante giusto, dotato di una voce e di un timbro inattaccabili. Tutto perfetto quindi? Non proprio, visto che la band si presenta molto bene con brani esteticamente ineccepibili e ben presentati, ma song dopo song ci si accorge che in realtà sotto sotto, nella sostanza, mancano dei veri pezzi da 90, quei brani che ti conquistano e ti mandano in ecstasy. Quello che voglio dire è che gli undici pezzi del disco in questione sono tutti più o meno validi ma praticamente nessuno riesce a distinguersi e in questo modo è dura reggere il confronto con tutti gli ottimi dischi che sono usciti ultimamente (N.O.W., Fergie Frederiksen, Newman, Arc Angel, Niva...).
Chi si attendeva la definitiva consacrazione dei Coldspell dovrà probabilmente aspettare un altro po'; “Frozen paradise” è un buon disco a cui manca però la marcia in più, quei 3-4 brani irresistibili che ti fanno restare a bocca aperta e con la bava alla bocca.
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Eravamo rimasti a “Light of a new day”, gran bel dischetto uscito ormai un paio d'anni fa. E' tempo di rimettersi in gioco per la band milanese ed eccoci arrivati al loro quarto disco in carriera “Tales from the inner planet”.14 nuove tracks con una formazione ancora modificata che vede l'inserimento di Ruben Sacco alla voce ma una qualità sonora che si mantiene davvero elevata, come andremo a scoprire.
Rispetto al precedente lavoro le coordinate stilistiche rimangono più o meno invariate; i Myland ci offrono oltre un'ora di ottime melodie nella tipica tradizione Aor con tastiere sempre presenti ed il nuovo singer che dimostra di possedere il timbro giusto, capace di essere espressivo ma di saper toccare le note alte quando è necessario. E così i brani si alternano senza mai destare particolari segni di caduta, il livello del disco rimane quindi costantemente piuttosto alto fin dall'iniziale “Wave Of Memories”, passando attraverso “Hold on” ed il suo splendido coro, oppure la melodica “Rising up again”. Ma se devo proprio scegliere i brani a mio parere migliori del disco andrei sulla spedita “The last mile” e la splendida ballata “Heart and soul”. Forse 14 songs sono pure troppe, sapete che il mio disco ideale dovrebbe averne 10 altrimenti si rischia di mettere troppa carne al fuoco ottenendo un disco eccessivamente dispersivo, ma si può anche chiudere un occhio quando la qualità rimane così elevata.
Quindi fedelissimi di questo genere, procuratevi questo disco, scrivete alla band e fatevi spedire una copia di “Tales from the inner plane”, avete 14 buoni motivi per farlo. Supportiamo la buona musica italiana, supportiamo i MyLand.
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Gli Until Rain sono una band progressive formata nel 2004 in Grecia a Thessaloniki e “Anthem to Creation” è il loro secondo disco che segue il debutto del 2009 “The Reign Of Dreams” (anche se nel mezzo c'è stato anche un Ep di quattro tracce “Pandemic”), ed è composto da brani piuttosto articolati e tutt'altro che facili da digerire vista la lunghezza.
Tra Vanden Plas e Circus Maximus, con un pizzico di Symphony X, un sound a tratti moderno e spesso complesso, “Anthem to Creation” è un lavoro dalla durata importante (supera abbondantemente l'ora), con brani sofisticati e questo è fin da subito un punto debole del disco; non è compito facile proseguire con gli ascolti visto che anche le linee vocali non sono di facile ssimilazione ma richiedono molti ascolti. Non sempre i greci riescono a disegnare melodie d'impatto, ed è facile perdere il filo durante l'ascolto. Canzoni come l'opener “Brain death” o la finale “Marionettes” dimostrano che la band saprebbe trovare soluzioni melodiche interessanti senza dover per forza esagerare con brani troppo prolissi. Peccato che nel mezzo troviamo anche brani che fanno fatica a decollare a causa dei motivi elencati sopra.
Gli Until Rain sono una band coi contro fiocchi, dalle grandi potenzialità, preparatissima tecnicamente, con un ottimo singer e capace di scrivere songs dai continui cambi di tempo. Credo però la scelta migliore per loro sarebbe di semplificare la proposta, rendere più snelle le composizioni, con brani più facili da assimilare e melodie più accattivanti altrimenti rimarranno sempre una band troppo legata ai soli (e pochi) appassionati della musica iper complessa che necessita di innumerevoli ascolti prima di essere compresa. Rimandati.
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Brett Walker è un vero songwriter, punto e a capo. Trasferitosi a Los Angeles, nella sua lunga carriera ha lavorato a Disneyland e scritto tante canzoni per vari dischi usciti a suo nome, per altri artisti/band (Jimi Jamison, Alias, Michael Thompson, Jonathan Cain, Jim Peterik..) o per televisioni come MTV, American Bandstand, HBO, The Tonight Show, & VH-1. Insomma il vecchio Brett è uno che sa prendere in mano la chitarra e comporre.
Accompagnato da vari artisti ma prendendosi cura di praticamente tutti gli strumenti (voce, tastiere, chitarre e basso), “Straight Jacket Vacation” vede i contributi di musicisti illustri come Mugs Cain, Timothy Drury, Jim Peterik, Jeff Paris, Pat Leon, e molti altri. Musicalmente ci muoviamo su territori hard rock soft in stile USA, con melodie sempre gradevoli come nell'opener “Reaching for the stars”, o in “What about you”. Ritmi cadenzato, arpeggi di chitarra, bei coretti, è cosi che il disco prosegue senza forse presentare super hits ma attraverso pezzi validi come il bellissimo lento “So Happy I'm Cryin” o con il coro d'altissimo livello di "Waiting for love".
In questo periodo dell'anno così ricco di uscite interessanti in questo genere, “Straight Jacket Vacation” si colloca tra i dischi non obbligatori ma sicuramente molto validi, capace di farvi trascorrere alcune ore in compagnia di buona musica.
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Power prog dall'alto tasso melodico questo “The iron cemetery” secondo disco degli Illusion Suite. La band norvegese dimostra man mano che svela le proprie carte, di avere diversi assi nella manica a partire da “Orpheus's quest” buon brano d'apertura dopo una breve intro. Canzoni accattivanti, potenti, progressive, melodiche che non faranno fatica a conquistarvi anche grazie alla produzione pulita e potente ad opera di Jens Bogren (Symphony X, Paradise Lost, Opeth, James LaBrie, Katatonia) che si è occupato di mastering e mixing e che esalta le doti strumentali dei vari musicisti qui coinvolti e la splendida voce del singer Bill Makatowicz capace di variare spesso registro pur restando sempre a suo agio.
Otto brani (l'intro la escludiamo), anche piuttosto brevi per il genere proposto (per poco meno di 40 minuti di musica), possono sembrare pochi invece sono più che sufficienti agli Illusion Suite per confezionare un disco coi controfiocchi. E' davvero difficile risultare originale in questo genere ormai, quindi meglio pensare alla qualità dei brani, e qui il gruppo nordico fà pieno centro; i cambi di ritmo di “The iron cemetery” sono un esempio dell'ottima ispirazione della band. Parte come un mid tempo, rallenta durante l'arpeggio salvo poi accellerare per lo splendido ritornello tutto in doppia cassa. La tecnica si fonde con la melodia in “Uni-Twins” (favoloso il coro e l'assolo di keys). Roger Bjorge si occupa di tastiere e batteria e bisogna dire che con entrambi gli strumenti riesce ad eccellere. Il sound diventa a tratti moderno nei suoni di tastiera, come negli arrangiamenti di “When love fails”, mentre “The ugly duckling” è un altro brano dall'alto tassa tecnico e melodico.
Insomma, se amate il power prog di bands come Circus Maximus, Pagan's Mind, DGM e perchè no, Seventh Wonder, questo disco fa per voi. Illusion Suite, segnatevi questo nome!
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Non sono un fan dei "Best Of", lo ammetto. Questa premessa è d'obbligo; delle bands che mi piacciono possiedo tutti i dischi ma solitamente lascio stare queste raccolte, soprattutto se non aggiungono niente di inedito per meritare l'acquisto. Inoltre capisco alcune di queste che arrivano dopo numerosi dischi dell'artista meno quelle (come questa che recensiamo oggi), che racchiudono estratti da soli 4 album.
Tant'è “The best is yet to come” è il nome di questo "Best Of", che racchiude le migliori songs della carriera solista di Oliver Hartmann che inizia nel 2004 e fino ad oggi vanta quattro album in studio, in ordine “Out in the cold”, “Home”, “3” e “Balance” più un live album (e dvd) “Handmade”. Il risultato è un disco zeppo di buone canzoni, non v'è dubbio, come la title track del primo disco "Out in the cold", le ballatone "Crying" e "Into the light", il bel mid tempo "The sun's still rising", il melodic rock di "Save me" e potremmo andare avanti per un bel pò...
L'unico dubbio sta sempre sull'utilità di queste raccolte. Insomma, volete in un unico disco tutti i brani migliori di Oliver? Fatelo vostro. Siete dei fas sfegatati del singer tedesco? Compratelo! Avete già tutti i suoi dischi e conoscete tutte queste canzoni? Lasciatelo sulla scaffale. Non avete niente di Hartmann e volete scoprirlo? Prendetevi uno ad uno tutti e quattro i buoni dischi che ha composto.
Ps: le bonus track inedite sono 'Brothers' (live – feat. Tobias Sammet) e la cover dei Tears for Fears "Shout" in versione remixata.
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Jesse Damon non è altro che lo storico singer dei Silent Rage, band con cui negli anni 80 ottenne un certo successo grazie al video, più volte trasmesso su MTV, del brano “Rebel with a cause” e con cui registrò 4 album. Il singer, chitarrista e songwriter californiano forte di vari successi durante la sua carriera, ha iniziato a pubblicare dei dischi a proprio nome e questo “Temptation in the garden of eve” è il suo quarto disco, esce tramite Aor Heaven e vede 11 nuovi pezzi, scritti in compagnia di Paul Sabu il quale ha anche prodotto il disco e si è occupato di registrare il basso. Ad accomagnare i due troviamo il sempre presente Erik Ragno alle tastiere e Pete Newdeck (Eden's Curse) alla batteria.
Undici brani che prendono ispirazione da bands come Foreigner, Led Zeppelin e Whitesnake, composti con maestria alternando momenti più hard rock, ad esempio nell'opener “Garden of Eve”, a intense ballads come “A Chance For Us” e “Angel in the starlight”, sempre mantenendo come costante la melodia. Meritano il premio di brani migliori del disco il bel mid tempo “Black widow”, “I Need You Forever” che possiede un coro che si fissa in testa e la melodica “Save the world”.
Insomma il nuovo lavoro di Jesse Damon è un album ben bilanciato tra pezzi hard rock, melodic songs e ballatone da dedicare alla propria ragazza. Quello che manca è probabilmente qualche hit assoluta ma non vi è dubbio che “Temptation in the garden of eve” sia un bel disco!
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Oliver Hartmann è un artista che non ha troppo bisogno di presentazioni. Prima singer di grande prestigio in campo power metal con (soprattutto ma non solo) gli At Vance, grazie alla sua voce potente e graffiante, poi come punto fisso nel progetto Avantasia di Tobias Sammet come chitarrista e cantante. Ma dal 2004, abbandonata almeno in parte la via del metal (rimane ancora stabile con Avantasia) inizia la sua carriera solista indirizzata su sonorità Melodic Hard Rock. Ricordo questo bel debutto “Out in the cold” che feci immediatamente mio visto il debole che provo per questo musicista e soprattutto per la sua voce inconfondibile. Prodotto e mixato dallo stesso Oliver con l'inseparabile compagno Sascha Paeth ai celeberrimi Gate Studios in Germania, il disco ricevette ottimi riscontri dalla critica, tanto che Hartmann volò in tour con i Toto ad aprire i loro show in Europa e continuò negli anni seguenti a pubblicare dischi tanto che ad oggi vanta ben 4 album in studio ed un dvd live oltre all'imminente “best of”.
Ora il disco d'esordio (uscito nel 2005) viene ristampato dalla Avenue of Allies che pubblicherà in contemporanea, il 20 Settembre, anche un “best of” di Hartmann a nome “The best is yet to come”. “Out in the cold” è un gran bel disco, con un particolare gusto melodico, composto da 12 brani scritti con classe dal singer tedesco. Si parte subito alla grande con l'accoppiata “Alive Again” e la splendida title track, ma è d'obbligo citare altre splendide songs come la melodicissima “I will carry” ,ideale come colonna sonora per una serata romantica con la propria lei, la spedita “What if i”, la più “incazzosa” “Who do you think that you are” e la lenta “Into the light”. La voce di Oliver è semplicemente magica e dona ai brani quella marcia in più che fa davvero la differenza. Bisogna dire che questa ristampa aggiunge una tredicesima song “Rescue in my arms”, originariamente bonus track dell'edizione giapponese, una ballatona acustica niente male ma allo stesso tempo, non così imperdibile.
Un disco che non si discute dal punto di vista della qualità; “Out in the cold” non è un capolavoro, intendiamoci, ma è un album straconsigliato che se non fa già parte nella vostra discografia qui avete una buona occasione per procurarvelo. Al contrario, se come il sottoscritto avete avuto modo di farlo vostro in passato, questa ristampa è praticamente inutile.
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Thessalonki, Salonicco, dev'essere una città appassionata di rock e metallo visto che in questo periodo mi è capitato tra le mani anche un altro disco di una band proveniente da questo luogo in Grecia, i progster Until Rain. Fatto sta che anche i Redrum giungono da lì anche se la loro proposta è 100% melodic hard rock. La loro storia inizia nel 2003 ma prende davvero il volo qualche anno più tardi (nel 2007) quando, dopo diversi problemi di line up e sempre alla ricerca di un valido singer, la band decide di andare a registrare in Germania nello studio personale di Michael Bormann (ex-Jaded Heart, J.R. Blackmore, Bonfire, Zeno Roth, Rain), affidando a lui anche le parti vocali. Michael è una vera e propria ugola hard rock che tutti gli appassionati in un modo o nell'altro conoscono.
Per questo secondo disco la collaborazione è proseguita visto anche il buon successo dell'esordio che ha portato la band a suonare in patria insieme a band come Bonfire, Tyketto, Krokus, Danger Danger, House Of Lords, Europe, Robert Plant, Glenn Hughes solo per citarne alcuni. “Victims of our circumstances” contiene 12 nuove songs (composte in appena 2 settimane) sempre registrate negli RMB Studios del biondo cantante tedesco, che ha preso parte anche al songwriting. Melodic hard rock che più classico non si può tra Gotthard, Fair Warning e Bonfire ma ben composto con canzoni melodiche come il singolo “Dust in your eyes” che colpiscono già dai primi ascolti. Si gioca molto bene su cori e melodie catchy come in “Empty promises”, ma senza dimenticare la giusta potenza, basti ascoltare ad esempio “Tear down the walls” o l'iniziale “One of us”. Inutile dirvi che Bormann è l'assoluto protagonista del disco con la sua voce melodica e graffiante allo stesso tempo. La classica ballata “Mother i'm coming home” e “You can't buy no hero” sono solo un altro paio di brani composti con maestria e sicuramente tra i più riusciti del disco.
“Victims of our circumstances” gioca su sentieri sicuri e già calpestati senza osare troppo ma si fa apprezzare grazie ad una dozzina di brani validi. I Redrum hanno composto un disco piacevole che va incontro alle esigenze dei fans di questo genere. Niente più, niente meno..
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